Plinio il Vecchio (C. Plinio Secondo)
Poligrafo e uomo politico romano (Como 23 - Stabia 79 d.C.). Oltre a opere di storia e di varia erudizione, tutte perdute prima del Tardo-antico, fu l'autore della Naturalis Historia, una vasta enciclopedia in 37 libri che rappresenta una silloge preziosa del sapere antico. Quest'opera, anche se è fatica per lo più di erudizione e di compilazione da fonti svariate o addirittura discordi, riveste una particolare importanza perché è l'unica del genere che sia sopravvissuta nel Tardo-antico e nel Medioevo fino a noi.
La trattazione abbraccia l'intero quadro della natura con divagazioni sostanziali sulla produzione e la tecnologia (libro 1: indicazioni delle fonti; libro 2: intorno alla costituzione dell'universo; libri 3-6: geografia ed etnografia; libro 7: antropologia e fisiologia umana; libri 8-11: zoologia; libri 12-19: botanica; libri 20-27: medicine derivate dal regno vegetale; libri 28-32: medicine ricavate dal regno animale; libri 33-37: mineralogia, lavorazione dei metalli e delle pietre e loro applicazione in arte). La Naturalis Historia ebbe nel Tardo-antico e nel Medioevo numerose rielaborazioni ed estratti, sia per temi particolari, come la medicina (la Medicina Plini, il Liber Medicinalis di Q. Sereno Sammonico) o la geografia (il Liber de mensura orbis terrae, di Dicuil), sia per la tematica generale (i Collectanea rerum memorabilium, di C. Giulio Solino, Marciano Capella, Isidoro, Beda). Direttamente o indirettamente l'opera influenzò tutta l'erudizione medievale e fu tenuta presente specialmente nella compilazione dei bestiari e dei lapidari e nella trattatistica scolastica (Alberto Magno) relativa.
Tuttavia D. cita P. una sola volta, in VE II VI 7, insieme con Livio, Frontino e Orosio, come elemento del canone degli scrittori qui usi sunt altissimas prosas (il nome di P. ricorre anche, ma in una variante tarda e di codici non buoni, in If IV 141, in luogo di Lino; cfr. Petrocchi, ad l.). È probabile però che D. conosca P. soltanto di nome e di fama (dei quattro prosatori citati, solo per Orosio è dato stabilire la lettura diretta da parte di Dante). Anzi lo stesso canone potrebbe non essere di D. o quanto meno potrebbe risultare elaborato sulla traccia di canoni precedenti. E infatti accettabile l'ipotesi che D., sulla base della nominanza di Livio, Plinio e Frontino e sulla conoscenza diretta di Orosio (che d'altra parte cita i primi tre), abbia elaborato una quaterna ‛ regulata ' di prosatori che comprendesse soltanto " gli scrittori di storia e di cultura tecnica romane, non Cicerone e Seneca; e quelli che si sono stupiti del silenzio nei loro riguardi a questo punto non hanno compreso che i due sommi prosatori latini sono considerati da D. nel quadro del pensiero etico greco " (Paratore) e che quindi la loro sede naturale era piuttosto il nobile castello del Limbo. La quaterna del De vulg. Eloq. è invece una quaterna stilistica. Che essa comprenda nomi come quelli di Livio, Frontino, Plinio che D. probabilmente non lesse, non deve impressionare, primo perché Giovanni di Salisbury (Policrat. II 29, 30) in modo analogo cita la terna Plinio, Frontino, Orosio; poi perché D. con la frase et multos alios, quos amica sollicitudo nos visitare invitat, lascia pienamente intendere quanto sia provvisoria la sua quaterna ‛ regulata ' di prosa, laddove i quattro scrittori citati devono essere indicativi dei multi alii e cioè della tradizione prosastica latina in cui regulamur, non certo paradigmatici di un genere letterario (questo ruolo è riservato ai poeti) né di concezioni filosofiche (un ruolo che li classificherebbe, come Seneca e Tullio, fra i sapienti).
Peraltro i luoghi danteschi in cui è indiziata una fonte pliniana non ne hanno bisogno.
Il veglio di If XIV deriva in tutto da Daniele 2, 31; la sua collocazione in un monte di Creta è dovuta certamente alla notizia di Plin. Nat. hist. VII XVI 16 " In Creta terrae motu rupto monte inventum est corpus stans XLVI cubitorum " (If XIV 103 Dentro dal monte sta dritto un gran veglio), ma sicuramente attraverso Agostino Civ. XV 9, che la riporta.
La descrizione di Gerione in If XVII eredita essenzialmente la descrizione delle locuste di Apoc. 9, 7-11 (" facies earum sicut facies hominum " = If XVII 10 La faccia sua era faccia d'uom; " et habebant loricas sicut loricas ferreas " = If XVII 14-15 lo dosso e 'l petto e ambedue le coste / dipinti avea di nodi e di rotelle; " et habebant caudas similes scorpionum, et aculei erant in caudis earum, et potestas earum nocere hominibus ": cfr. If XVII 25-27 tutta sua coda guizzava, / torcendo in sù la venenosa forca / ch'a guisa di scorpion la punta armava), senza bisogno del raffronto con altri animali favolosi di cui parla P., o la manticora (Nat. hist. VIII XXXI 30 " facie et auriculis hominis, oculis glaucis, colore sanguineo, corpore leonis, cauda scorpionis modo spicula infigentem ") - che d'altra parte è descritta con le stesse parole da Solino e Brunetto Latini (Cipolla) e, sotto il nome di " morintomorion ", da Alberto Magno -, o lo stellio " animal fraudolentius " più che ogni altro (Chisholm; cfr. Plin. Nat. hist. XXX X 27).
Bibl. - F. Cipolla, Il Gerione di D., in " Atti Ist. Veneto " s. 7, VI (1895) 706-710; A.R. Chisholm, The Prototype of Dantes: Geryon, in " Modern Language Review " XXIV (1924) 451-454; V. Cian, Postille dantesche. I, D. e P., in " Giorn. stor. " Cv (1935) 195-199; P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954, 180 n. 605; E. Paratore, Tradizione e struttura in D., Firenze 1968, 99, 248 n. 37.