PO (A. T., 17-18-19, 24-25-26)
Il massimo dei fiumi italiani, e in pari tempo l'unico che costituisca, insieme con la numerosa serie dei suoi tributarî, un vero e complesso sistema fluviale. Il nome Padus, da cui l'attuale deriva, attestatoci per la prima volta da Polibio un secolo e mezzo a. C., è di etimo ignoto (certo, però, veneto o celtico; così detto dai pini, o padi, che crescevano lungo le sue rive, secondo alcuni; secondo altri, i primi abitatori di queste, i Liguri, l'avrebbero detto Bodincus o Bodencus, cioè profondo), e non va confuso con quello greco di Eridano ('Ηριδανός), applicato del pari a varî altri corsi d'acqua europei e identificato col Po solo in epoca relativamente tarda.
Il Po si origina dal fianco nord-orientale del gruppo del Monviso (la notissima polla che zampilla tra i massi del Pian del Re, a 2020 m., è solo uno, e non il più copioso, dei suoi rami sorgentiferi), volgendo da O. a E. il breve corso montano (35 km., fino a Revello), nel quale scende di ben 1700 m. (la pendenza media, che è del 48,6‰, giunge al 9% nei 16 km. che separano le sorgenti da Paesana, a 606 m. s. m.). A valle di Revello il fiume piega verso NE. e poi più decisamente (Carmagnola) verso N. (Torino), finché, lambite le estreme propaggini appenniniche (Colline del Po), riprende a scorrere in direzione di levante, direzione che conserva in complesso fino al suo sbocco nell'Adriatico, disegnando tuttavia una così numerosa serie di volute e di serpeggiamenti, che, mentre la distanza tra le sorgenti e la foce è di soli 420 km. in linea di aria, la lunghezza dell'alveo raggiunge 672 km. (secondo altre misure 652 km.). Dopo il suo sbocco in piano le pendenze si riducono presto a valori minimi: da 1 a 1,5‰ nel tratto medio, da Revello alla confluenza del Ticino (247 km.); da 0,3 a 0,2‰ di qui alla foce, da 0,09 a 0,075‰ fra Ostiglia e Pontelagoscuro, a meno di o,01‰ negli ultimi 50 km. di corso.
Il fiume raccoglie le acque di un bacino esteso 74.970 kmq., chiuso entro la cerchia alpina dalle sue origini fino al gruppo dell'Ortles-Cevedale, dove la linea di displuvio scende per l'Adamello alle Prealpi trentine, fiancheggia il Garda e taglia la pianura mantovano-veronese per riprendere sull'opposta gronda fra Panaro e Reno, e salire sul cimale appenninico in corrispondenza del Corno alle Scale. Bacino che comprende e interessa così non pure il territorio politicamente italiano (Piemonte, Lombardia e parte dell'Emilia e del Veneto), ma anche quello della finitima confederazione elvetica (bacino del Maggia, dell'alto Ticino e dell'alto Mera). Il rapporto fra la superficie scolante e la lunghezza del recipiente principale è di 115 kmq. per ogni km. di corso, valore più elevato che per qualunque altro fiume italiano (più che doppio di quello del Tevere), ma inferiore a quelli di molti altri fiumi europei (meno di un terzo di quello del Volga).
I valori medî delle precipitazioni si mantengono in tutto il bacino abbastanza elevati, dovunque superiori ai 700 mm. annui, giungendo nelle zone marginali fino oltre i 2000 mm.; per la maggior parte dell'area emunta oscillano tra gli 800 e i 1000 mm., con tendenza a decrescere, in complesso, da O. a E., e dalle regioni periferiche verso le interne. La distribuzione stagionale è però caratterizzata da regimi diversi, che si possono riassumere sostanzialmente in due tipi: quello continentale (con un solo massimo estivo e un solo minimo invernale), che interessa un lembo abbastanza esteso del settore alpino e prealpino (laghi lombardi), e quello sublitoraneo (con due massimi in primavera e in autunno, e due minimi in estate e in inverno), esteso a tutto il rimanente, cioè alla parte senza confronto maggiore del bacino. Il comportamento delle "punte" è però in questo secondo caso così vario, che si può contrapporre ancora un regime appenninico (con massimo principale molto accentuato in autunno, e un minimo principale in estate) realizzato in prossimità del margine meridionale del bacino, e un regime piemontese (col minimo principale in inverno e il massimo principale in primavera), proprio naturalmente della regione omonima, al regime padano vero e proprio, nel cui dominio rientra la porzione più estesa del bacino, regime caratterizzato da un minimo principale in inverno, con due massimi, primaverile e autunnale, quasi uguali o con lieve prevalenza del secondo.
Queste diversità si accentuano ancora nelle parti superiori dei bacini montani per effetto del predominio che qui mostra, in misura maggiore o minore, il regime glaciale, con magre invernali e un solo massimo estivo, ma in definitiva tutti gli affluenti vengono ad assumere, nella sezione terminale del loro corso, un regime qualitativamente analogo, con due massimi e due minimi ben netti, che è anche, di conseguenza, il regime proprio del Po, almeno nella maggior parte del suo bacino. Di questi massimi, il principale cade sempre in giugno, il secondario tra ottobre e novembre; dei minimi, il più accentuato è l'invernale (gennaio), il meno accentuato l'estivo, che corrisponde all'agosto. Le differenze essenziali che distinguono il comportamento del fiume da un punto all'altro del suo decorso consistono nel sempre più deciso rilievo che da monte a valle vengono assumendo l'intumescenza autunnale e la magra estiva: ne consegue che i due massimi e i due minimi tendono a uguagliarsi, pur rimanendo di regola più decisi il massimo primaverile (giugno) e il minimo invernale (gennaio). Questo comportamento dimostra che l'alimentazione pluviale risulta, in sostanza, la determinante (sempre s'intende, quanto al regime); tuttavia i ghiacciai, l'alimentazione nevosa e la presenza di più o meno vasti serbatoi lacustri fanno sentire il loro influsso anche sul corso del collettore, assommandosi nel diverso stile con cui operano (e operarono in passato) i tributarî delle due sponde. Entità, regolarità e costanza delle portate pongono infatti i fiumi alpini in una condizione di chiara preminenza su quelli appenninici, non alimentati da ghiacciai, privi di bacini di decantamento e in genere più brevi di corso; ma per queste stesse ragioni l'apporto solido è sulla destra del Po (anche in senso assoluto) molto più copioso, e, quel che importa, più di frequente si determinano su questo lato piene e inondazioni, con le quali stanno in rapporto le fasi critiche dell'evoluzione cui è sottoposto l'alveo del fiume. Se la gronda in cui corre il Po continua a rimanere in complesso più vicina all'Appennino che alle Alpi, ciò è conseguenza di condizioni geologiche anteriori alle attuali (glaciali e preglaciali), queste essendo spesso prestabilite da quelle, non foss'altro perché, avendo il fiume seguitato a incidere le proprie alluvioni, ha finito per precludere a sé stesso quasi ogni libertà di movimento su di una parte almeno del proprio corso. D'altro canto, al libero giuoco delle forze in contrasto sulle due sponde s'è da tempo antichissimo aggiunta e sovrapposta l'attività dell'uomo, diretta non solo alla difesa dei terreni minacciati dalle inondazioni, ma anche alla disciplina delle correnti acquee, che in epoche diverse e su diverse fronti conveniva talora volgere a diverso cammino. Di più, mentre l'intenso disboscamento del bacino cresceva il carico di torbide affidato ai tributarî, queste non erano lasciate più libere di deporsi nelle zone depresse di confluenza e lungo le sponde del collettore, perché convogliate direttamente al mare. Tutto il corso del Po è infatti, negli ultimi 410 km. (a valle della confluenza del Ticino), imbrigliato entro argini (appena 1/6 dei quali in froldo); ciò nonostante è chiara la tendenza dell'alveo a migrare in complesso verso N., per effetto della spinta che gl'imprime il forte carico di torbide proveniente dalle non lontane pendici appenniniche, nelle quali l'attività erosiva è facilitata anche dalla scarsa o debole consistenza e compattezza delle masse rocciose (si confronti, ad es., il gomito che il Po descrive a valle di Guastalla). Il diverso comportamento dei tributarî sulle due sponde del fiume si riflette anche nel diverso modo con cui si operano le confluenze: mentre sulla destra i fiumi finiscono con direzione normale, o quasi, a quella del Po, negli affluenti alpini gli alvei s'inflettono a notevole distanza da questo, per secondarne il decorso e unirvisi ad angolo acuto.
In rapporto con la lunghezza e la portata del fiume stanno, nei varî tratti di questo, lo sviluppo e l'ampiezza dei meandri, mediante i quali l'alveo realizza la sua tendenza a spostarsi di continuo verso il basso. A monte della confluenza del Ticino il diametro delle massime botti supera raramente i 500 m.; in corrispondenza alla foce dell'Adda si oltrepassa un km. e mezzo: la più ampia, che chiude la cosiddetta Isola Serafini, misura 300 m. sull'istmo e 14 km. nel giro totale. Secondo E. Lombardini, sotto Cremona un meandro impiegherebbe, in media, 30 anni per occupare, circa 6 km. più a valle, il posto del successivo sulla stessa sponda (il modulo si riduce a qualche centinaio di metri all'anno in altri tratti del fiume); il medesimo autore ha potuto stabilire che i serpeggiamenti del Po (e dei fiumi che vi affluiscono) si compiono entro una zona la cui larghezza equivarrebbe press'a poco a venti volte quella dell'alveo ordinario del fiume. Ai meandri si accoppiano di regola mortizze, lanche e ancone, la cui frequenza, al pari di quanto si nota per le isole fluviali, varia d'assai da tronco a tronco: massima fra Casale e Stradella (data la copia di torbide di cui lo caricano il Tanaro e la Scrivia), si attenua a valle del Ticino, il più ricco d'acque dei suoi tributarî, per riprendere oltre la foce dell'Adda e continuare, sia pure diminuendo, fino a Ostiglia, dove il letto si affonda e si stabilizza fra resistenti sponde argillose.
Il Po mette foce nell'Adriatico con un delta formato da 14 bocche, dipartentisi a loro volta da cinque rami: Po di Levante, Po della Maestra, Po di Tolle, Po della Gnocca e Po di Goro. Di questi, il mediano (il terzo) è il più attivo, scaricando da solo l'87% delle acque del fiume attraverso le due bocche della Pila e del Bastimento, che assorbono rispettivamente il 53 e il 24% della sua portata. Il delta (esteso intorno ai 400 kmq. ed elaborato all'incirca negli ultimi tre secoli) è costituito da materiale assai minuto, con intercalati però spazî più o meno ampî lagunari (valli) o marini (sacche) e, specie nell'interno, file di dossi (scanni), rialzati al massimo una diecina di m., diritti o leggermente inarcati. Questi lidi sabbiosi, che il mare è venuto costruendo con gli stessi apporti del fiume, permettono di fissare gli stadî attraverso i quali è passata la formazione del delta, o meglio dei delta che costituiscono la foce del Po. Delta tutti esterni alla linea delle lagune e tutti, probabilmente, d'epoca storica. Alla fase che potremmo dire entrolagunare, nella quale il fiume aveva l'estremo suo corso con regime d'estuario, tenne dietro un primo periodo in cui la deposizione delle alluvioni venne regolata dal lavorio delle onde marine; si formarono così, uno dopo l'altro, più sistemi di lidi sabbiosi, ognuno dei quali costituito in sostanza da due ali distese ai due lati del corso d'acqua, in modo che l'ala destra (o sinistra) di ciascuno si appoggia alla sinistra (o destra) del precedente. O. Marinelli, cui spetta il merito di avere riconosciuto il ritmo di questo sviluppo, stabilisce, per la prima fase costruttiva, la presenza di almeno 5 apparati deltizî, corrispondenti, in successione cronologica, al ramo di Volano, a quello di Goro, alla foce di Primaro (laguna di Comacchio), e ancora di nuovo alle bocche di Volano e di Goro, e abbraccianti tutta l'area compresa all'ingrosso fra Chioggia e Ravenna, toltane l'emergenza plurilobata che si protende in Adriatico da Brondolo alla Sacca di Goro. I primi due delta si sarebbero formati in epoca preromana, in epoca romana il III, nel Medioevo il IV e il V.
Dopo la celebre rotta di Ficarolo (1152), una parte delle acque del Po, seguendo forse l'alveo del Tartaro, venne a mettere foce presso Loreo, e iniziò così la costruzione di un nuovo delta (che ebbe il suo più intenso sviluppo al principio dell'evo moderno), ma con uno stile costruttivo sensibilmente diverso dai precedenti: l'accrescimento, la cui intensità sembra diminuita e diminuisce di fatto per ciò che riguarda la formazione di aree sopra il livello marino, prese figura di una sporgenza a più lobi, i cui elementi, più o meno fusi tra di loro, e spesso separati da sacche, stanno in rapporto con le ramificazioni fluviali ai cui depositi sono dovute. Così vennero disegnandosi i due delta più recenti (il VI e il VII del Marinelli), che sono da considerare ambedue, e massime il secondo, creazioni artificiali, nel senso che furono regolate e fino a un certo punto determinate dall'uomo. Col taglio (7 km. di canale) di Porto Viro (1599-1604), la repubblica veneta mirò a impedire l'interrimento del porto d'Adige (Fossone) e l'inceppamento dello scolo delle acque del Polesine: due minacce che le venivano dalle foci di tramontana, allora più attive. Il Po fu quindi condotto tutto o quasi tutto verso l'insenatura di Goro, che il fiume riempì, cominciando poi il rapido protendersi in lobi che tuttora continua.
Mentre nella prima fase entrolagunare si ebbe una debole attività costruttiva (perché dal bacino, ancora ben ammantato di foreste, erano esportati solo pochi materiali e di questi parte veniva abbandonata per via, parte spazzata alle foci dalle correnti di riflusso), nella seconda si stabilì una specie di equilibrio fra il lavorio prima prevalente della marea e il carico dei materiali che tendevano a depositarsi, di modo che questi poterono essere disposti in cordoni sabbiosi regolarmente foggiati dal moto delle onde. Intensificatasi però l'attività agricola e industriale dell'uomo, divenuta più stretta ed efficace l'azione delle arginature, e cresciuto, anche per altre cause (disboscamento), il tributo che il Po doveva condurre al mare, i materiali finirono per deporsi press'a poco dove erano stati scaricati. L'opera dei flutti fu allora impari all'eccessivo carico e questo solo in parte venne elaborato e distribuito in cordoni, anche perché, protendendosi sempre più innanzi il delta, sempre più profondi divengono gli specchi d'acqua in cui vanno a finire le alluvioni.
La portata del Po all'idrometro di Pontelagoscuro (96 km. dal mare) è calcolata in media di 1540 mc. al secondo; l'oscillazione fra minima (140 mc.) e massima (8900 mc. circa), pur rimanendo di molto inferiore a quella di molti altri fiumi italiani (per es., dell'Arno), è fra le più alte fra i corsi d'acqua europei. Il materiale solido che negli ultimi anni passò in sospensione allo stesso idrometro si aggira intorno ai 23 milioni di tonn. annue, che salgono ad almeno 30, tenendo conto del materiale strisciante sul fondo, sì che occorrerebbero circa 2500 anni per abbassare di un metro il bacino d'alimento. L'accrescimento è proceduto con ritmo assai diverso nel tempo, tendendo tuttavia a intensificarsi in complesso, dall'era volgare ai nostri giorni: attualmente può essere valutato intorno ai 70-80 ettari ogni anno. Dato il regime delle precipitazioni nel bacino, la massima frequenza delle piene si ha in autunno (54%) e in primavera (34%); al primo periodo corrispondono anche le inondazioni più gravi (famose fra tutte quelle del 589, 1438, 1882 e 1917, che caddero tutte in autunno; primaverile fu invece la rotta del 1872, che allagò circa 3000 kmq., danneggiando oltre 50 mila persone), che le moderne opere di protezione hanno pressoché definitivamente scongiurato.
La grande instabilità dei fondali, più che le variazioni di portata, limita la navigabilità del Po, che si può dire cominci a Pavia (e con questo fatto è appunto in rapporto l'origine e lo sviluppo della città). Grandi lavori sono stati compiuti in regime fascista per la sistemazione del fiume, cui è legata l'esistenza dell'idrovia Milano-Venezia, soprattutto nel percorso tra le foci dell'Adda e del Mincio; l'ultimo tratto che congiunge il ramo principale del Po con Brondolo (e così con Venezia) è stato canalizzato e reso adatto al traffico dei natanti fino a 600 tonnellate. Il canale di Volano, che unisce il Po a Ferrara (mediante la conca di Pontelagoscuro), è anch'esso opera del fascismo (v. navigazione: Navigazione interna).
Oltre 10 milioni di abitanti vivono oggi nella regione che costituisce il bacino idrografico del Po; la parte pianeggiante corrisponde a una delle zone di massima densità della superficie terrestre (per vaste superficie superiore ai 250-300 ab. per kmq.; localmente si giunge a oltre 700).
Fino da epoca antichissima si è cercato di trarre partito dalle acque del Po e soprattutto da quelle dei suoi affluenti; questi ultimi hanno grandemente favorito le industrie, alimentandole di forza motrice. Sviluppo moderno hanno avuto gl'impianti idroelettrici, che interessano i tratti montani di questi affluenti, massime alpini: notevole il fatto che la diversità dei regimi sulle due sponde del collettore consente la produzione di energia in periodi diversi, e perciò tendenti a completarsi. Più recente ancora è l'opera di bonifica compiuta nelle regioni di confluenza coi tributarî maggiori, anch'essi protetti da arginature negli ultimi tratti dei loro corsi; nella zona del delta la grande bonifica ferrarese, fra il Po di Volano e il ramo principale, comprende oltre 50 mila ettari, e altrettanti quella del Polesine di S. Giorgio, fra il Po di Volano e quello di Primaro. (V. tavv. CXXXV e CXXXVI).
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