PODOLOGIA (dal gr. πούς "piede" e λόγος "studio")
È la branca della chirurgia veterinaria che si occupa della costituzione anatomica, delle funzioni, delle forme difettose e patologiche del piede dei grandi animali domestici, particolarmente di quello del cavallo, al quale qui ci riferiamo. L'importanza della podologia appare subito che si considerino i grandi animali domestici sotto la loro più importante funzione di macchine da lavoro, celeri o lente che siano.
Il piede. - È formato dalla parte distale dell'arto che negli equini ha per base anatomica le tre falangi note con nomi particolari: la prima o osso pastorale; la seconda o osso coronale; la terza o falangetta o osso triangolare. Quest'ultima è completata dal piccolo osso sesamoide o navicolare e dalle due cartilagini complementari. Tutta la terza falange e metà della seconda sono racchiuse in un invoglio corneo che forma lo zoccolo. Questa parte distale dell'arto è quindi un dito, il dito III, unico rimasto dei cinque, o, secondo alcuni, dei sette che ebbero i progenitori del cavallo attuale.
Filogenesi. - È infatti noto che gli equidi attuali discendono da forme fossili polidattili dell'Eocene inferiore, delle quali il Phenacodus primaevus dell'America Settentrionale, animale grande come un cane di media statura ungulato plantigrado con denti da onnivoro, sarebbe la forma ancestrale del cavallo attuale ridottosi monodattilo gradualmente attraverso numerose successive forme scomparse. A questo proposito è anzi opportuno ricordare come nei puledri appaiano relativamente frequenti i casi di polidattilia: come si abbia cioè la presenza di qualche dito soprannumerario ritenuto come una manifestazione di atavismo.
Lo zoccolo. - Forma l'invoglio corneo che riveste la parte distale del dito del cavallo in continuazione della cute dell'arto della quale è una modificazione. Internamente una membrana, detta cheratogeno ungueale o derma ungueale e che, in continuazione del corion cutaneo, si trova interposta tra lo zoccolo e la parte scheletrica, provvede alla produzione delle diverse parti cornee dello zoccolo stesso e con la sua faccia profonda lo salda ai tessuti sottostanti, particolarmente all'osso triangolare. Questa scatola cornea è dotata di una notevole elasticità che permette alla terza falange i suoi movimenti fisiologici; la pone al riparo con le altre parti endoungueali dai traumi derivanti dalla sua particolare posizione e dalla sua funzione e la mette in grado di sopportare le forti pressioni cui è sottoposta. L'elasticità, che è condizione fondamentale dello zoccolo, è data in primo luogo dal corno di cui esso è costruito, diversamente elastico nelle sue varie parti componenti; poi dalla particolare forma e disposizione architettonica di queste parti, cioè: la benda perioplica, la parete a forma di anello spezzato posteriormente, la suola, la linea bianca, il fettone. Si deve aggiungere che un altro organo, sebbene non sia parte integrale dello zoccolo, il cuscinetto digitale, per la sua particolare costituzione istologica e per la sua posizione, porta un decisivo contributo alla funzione della elasticità, cui contribuiscono pure le due cartilagini complementari della terza falange. Ricorderemo incidentalmente che il cuscinetto digitale è ricco di fibre nervose terminali e di corpuscoli di Pacini che fanno del dito equino un organo tattile di squisita sensibilità.
La tenace aderenza dello zoccolo alle parti interne, oltre che da altri minori fattori, è data dalla continuità dei tessuti, dalla conicità dell'invoglio corneo, dall'ingranaggio tra la membrana cheratogena e il tessuto cherafilloso della parete dello zoccolo stesso. Questo ingranaggio è possibile per la disposizione a lamine longitudinali numerosissime del corpo papillare del tessuto fogliettato con le quali s'ingranano, alternandosi l'una all'altra, le lamine cornee del tessuto cherafilloso. Ne risulta un'estesissima superficie di aderente attrito che dà ragione della solidissima unione della parete dello zoccolo alla superficie dell'osso triangolare. Queste proprietà dello zoccolo di elasticità e di solida unione alle parti endoungueali debbono essere presenti a chi osserva la funzione del piede equino in stazione o in movimento e considera le enormi pressioni e reazioni cui è sottoposto quando l'animale sia lanciato al galoppo o trascini gravi carichi.
Ferratura. - Queste forze che si trasmettono per gli arti sono causa di un attrito notevolissimo fra il terreno e la parte distale dello zoccolo e di un conseguente notevole consumo dell'unghia. Per impedire che questo consumo sia maggiore della produzione e per evitare danni gravi alle delicatissime parti endoungueali, negli equini (e spesso anche nei bovini) si pratica la ferratura che consiste nel dotare l'orlo periferico distale dello zoccolo di un ferro, cioè di un cerchio metallico di regola aperto nella parte posteriore e normalmente fissato con chiodi adatti allo spessore della parete ungueale. Questa pratica è di massima importanza per la buona conservazione e per lo sfruttamento dell'animale in condizioni fisiologiche.
Ma questa funzione protettiva, sebbene sia la più comune e la più nota, non è la sola della ferratura, la quale serve anche a curare alcune malattie dell'unghia o del piede, a correggere alcuni difetti, a rendere possibile la deambulazione dei nostri grandi quadrupedi in particolari condizioni di terreno altrimenti impraticabile o di difficile praticabilità.
La ferratura, quale mezzo protettivo dell'unghia dei grandi animali domestici, dovette essere sentita come un bisogno urgente, quando l'uomo, ridotti quegli animali in servitù, si accorse che il loro uso su cattivo terreno o troppo a lungo protratto, determinando usura rapida dell'unghia, era causa di gravi zoppie che costringevano gli animali a una lunga immobilità. Le migrazioni, le guerre, la caccia richiedendo l'uso dei grandi quadrupedi domestici e specialmente del cavallo, dovettero mettere ben presto l'uomo di fronte alla necessità di dover riparare in qualche modo al grave inconveniente accennato. Questa preoccupazione dei popoli antichi per la conservazione dell'unghia dei cavalli è implicita nelle opere degli scrittori e dei poeti: Omero, Virgilio, Orazio decantano appunto la durezza degli zoccoli equini. È noto come Alessandro il Grande nella sua marcia attraverso l'Asia dovette abbandonare molti cavalli impossibilitati a camminare per eccessivo consumo degli zoccoli; così come avvenne in tempi recenti a Napoleone nella campagna di Russia, nella quale non poté sfruttare sempre la sua cavalleria perché i cavalli, privi di ferri da ghiaccio, non potevano essere usati sul terreno ghiacciato. I primitivi mezzi di riparo per gli zoccoli non furono certamente metallici; ma probabilmente furono piastre rotondeggianti di pelle disseccata, con lunghe appendici a guisa di legacci che servivano a fissarle al pastorale; poi ne furono fatti di vero cuoio, specie di sandali, per cavalli (ἐμβάται) e per cammelli (καρβατίναι), ricordati da Senofonte e da Aristotele: mentre ippiatri greci e romani ricordano sandali di sparto, atti non solo a riparare l'unghia, ma anche a mantenervi aderenti sostanze medicamentose: primo esempio di ferrature terapeutiche. Questi sandali furono poi resi più duraturi col munirli inferiormente di una piastra di ferro o di rame; e, infine, ne furono costruiti completamente di metallo, con larghe appendici rimboccate sullo zoccolo o munite di anelli nei quali passavano cintoli di cuoio o di corda che fissavano questi "ippopodi" al pastorale dell'animale. Claudio Ermerote (v.) ci descrive queste soleae ferreae (fig. n.1) e gl'inconvenienti cui davan luogo i legacci stretti al pastorale. Evidentemente questi erano mezzi provvisorî di riparo e non potevano essere usati stabilmente: proprio come oggi. Poiché su quegli antichi modelli furono costruiti ipposandali moderni attualmente in uso dovunque (fig. n. 2); così come nel Giappone si trovano tuttora ipposandali costruiti con treccia di paglia di riso (fig. n. 3). Il sistema degl'ipposandali e delle suole ferree atti a proteggere l'unghia è così il più antico sistema di "ferratura senza chiodi" che si conosca. Ma la ferratura vera e propria, quella cioè che fissa il "ferro" all'unghia per mezzo dei chiodi, ci nasconde ancora la sua origine: non sappiamo né dove né quando essa sia sorta. È accettata come molto probabile l'opinione che i Galli, già verso il sec. IV a. C., conoscessero la ferratura con chiodi per averla appresa dai Cimbri, presso i quali sembra fosse privilegio dei druidi e facesse parte delle pratiche religiose. Un'altra versione ammette che la ferratura con chiodi fosse sorta in Oriente e fosse poi importata in Gallia e in Germania. Dai Galli più tardi sarebbe passata ai Romani, presso i quali peraltro ne troviamo tracce solo verso il sec. VI-VII d. C. Nei secoli seguenti l'arte della ferratura o "mascalcia" (da marescalcus: latinizzazione della voce germanica marahskalk "palafreniere") fiorisce in Italia e vi raggiunge un'alta perfezione favorita anche dalle condizioni politiche della penisola, per varî secoli percorsa senza tregua da masse di cavalli e di cavalieri. Le necessità belliche e i costumi delle corti italiane fecero del cavallo, ancor più di quanto fosse stato nel passato, un animale assai prezioso e uno strumento di guerra non solo, ma anche, nei tornei e nelle cacce, un elemento di grande importanza, cui furono rivolte tutte le cure e le maggiori attenzioni. Queste condizioni favorirono in Italia, più che altrove, l'osservazione e lo studio sulla ferratura del cavallo ed elevarono a una vera arte la mascalcia, della quale si occuparono con appassionata competenza principi e prelati, ippiatri e nobili cavalieri che su essa compilarono opere anche oggi apprezzatissime. Sono degni di ricordo: Teodorico, vescovo di Cervia, e Pietro Crescenzio di Bologna, medico, giureconsulto e filosofo (sec. XIII); Giordano Ruffo, imperialis marescalcus maior alla corte di Federico II; Dino Dini, cittadino di Firenze (sec. XIV); Lorenzo Rusio; Cesare Fiaschi, nobile ferrarese; Carlo Ruini, senatore bolognese (sec. XVI): tutti autori d'interessanti memorie.
Per la ferratura con chiodi si ammettono oggi due tipi: uno asiatico-africano, in cui il ferro è costituito da una specie di suola di lamiera che copre tutta la faccia inferiore dello zoccolo ed è fissata all'unghia con chiodi la cui lamina viene ritorta su sé stessa all'uscita sulla parete; e un tipo europeo, che adotta il ferro, formato da una sbarra metallica che copre l'orlo inferiore dell'unghia, aperto posteriormente e fissato alla parete dello zoccolo con chiodi ribaditi. Questo tipo europeo ha una "varietà latina" (italiana) e una "varietà anglosassone", che differiscono fra loro per qualche particolare del ferro e dei chiodi.
La sostanza di cui possono essere fabbricati i ferri da cavallo è diversa. La più diffusa è il ferro dolce omogeneo, che offre indiscutibili vantaggi di prezzo, di resistenza, di fucinazione; ma altri metalli e leghe furono usati per particolari bisogni, come, per es., l'acciaio, il bronzo, l'alluminio, e anche altre sostanze quali il legno duro, la carta compressa, il cuoio, la corda, il caucciù. Né dobbiamo dimenticare che in altri tempi, in particolari occasioni di feste o di avvenimenti politici, si usò ferrare gli animali con ferri d'oro e d'argento.
Il ferro da cavallo tipico europeo è formato da una sbarra metallica curvata alla sua metà in modo da continuare la parete dello zoccolo, e i cui estremi posteriormente restano aperti e allontanati. Questa sbarra ha una parte centrale anteriore che è la "punta" del ferro, dalla quale partono i due segmenti laterali che volgono posteriormente, i "rami" del ferro; ha una superficie superiore su cui poggia lo zoccolo, e una superficie inferiore che combacia col terreno: quindi due angoli superiori e due inferiori, esterni o periferici e interni o al centro.
I rami del ferro considerati nel loro complesso formano la benda. Dalla punta del ferro all'estremo dei rami si trovano delle zone che ripetono quelle omonime della parete, cioè: le mammelle, i quarti, i talloni. Spesso il ferro ha delle appendici, rivolte in alto e ribattute sulla parete, in punta o alle mammelle e dette barbette; oppure all'estremo dei rami, volte in basso e dette bottoni o ramponi a seconda della loro forma. Perché il ferro possa essere fissato all'unghia è attraversato da fori, gli stampi, in numero vario, ma regolarmente 7 od 8, per cui passano i chiodi che attraversano la parete sulla quale sono poi ribaditi.
Ciò per il ferro latino o italiano. Il ferro anglosassone differisce da questo principalmente perché nella faccia inferiore gli stampi sono affondati in una scanalatura che riceve la testa dei chiodi; e perché la superficie superiore è divisa in due parti: una periferica perfettamente piana su cui poggia l'unghia e detta sedile; e una parte centrale leggermente concava che forma la svasatura.
Perché il ferro possa essere bene applicato, lo zoccolo nella sua faccia inferiore deve essere convenientemente "pareggiato" cogli appositi strumenti da mascalcia; manualità che richiede capacità, intelligenza e conoscenza perfetta del proprio mestiere da parte del maniscalco. Il "pareggio" della suola dello zoccolo deve portare a un perfetto combaciamento tra l'unghia e il sedile del ferro, combaciamento che si può ottenere perfetto sia usando solo la raspa e la lima, sia ponendo a contatto dell'unghia il ferro già prima preparato e portato al calor rosso, sì che i dislivelli della suola siano messi bene in evidenza e convenientemente pareggiati. Il primo modo è noto come il sistema di ferratura a freddo e il secondo come il sistema di ferratura a caldo. Quest'ultimo garantisce un pareggio più preciso e dà una maggiore solidità alla ferratura.
Per comprendere perché la ferratura abbia sempre costituito e costituisca anche oggi un grosso problema per lo sfruttamento del cavallo, si deve pensare alla funzione fisiologica del piede di questo animale e al modo come esso è costruito (v. sotto): si deve ricordare soprattutto che la scatola cornea che chiude l'ultima porzione degli arti è dotata di un movimento elastico indispensabile al buon funzionamento e alla conservazione delle delicatissime parti interne del piede e che l'imposizione di quella sbarra tenace e rigida che costituisce il ferro, limitando l'elasticità dello zoccolo, può apportare alle parti interne del piede danni più o meno gravi. Abbiamo già veduto d'altra parte che l'uomo, giunto alla ferratura degli animali certamente molto tardi e attraverso una lunga esperienza, rilevatine i vantaggi e i danni, si è imposto il problema di ridurre questi al minimo. Ciò spiega il tentativo spesso rinnovato di trovare tipi di ferri che, pure adempiendo al loro primo ufficio di porre riparo all'usura dell'unghia, mantengano íl piede in condizioni quanto più possibile prossime alle fisiologiche: tentativo che non ha raggiunto risultati decisivi, ma ha apportato indiscutibili vantaggi.
Un ferro che è ancora in uso e che certamente rappresenta quanto di meglio sia stato fatto in questo senso è il "ferro a lunetta" descrittoci da Cesare Fiaschi (1539), ma certamente già usato in quel tempo in Italia e poi modificato varie volte da diversi podologi. Comunque, per i non definitivi risultati raggiunti è prevalso il concetto che ogni cura sia messa nell'applicare con la miglior perizia quel tipo di ferratura che è richiesto dal particolare servizio cui il cavallo è adibito: essendo evidenti le diverse condizioni di lavoro e di funzioni del piede di un cavallo puro sangue inglese che galoppa sull'ippodromo e quelle di un animale comune attaccato sotto le stanghe di un pesante barroccio.
Il ferro del cavallo carrozziere (v. fig., n. 7) ha caratteri normali, per così dire, che lo differenziano da tutti gli altri: da quello del cavallo da corse al galoppo (n. 10), che avrà proprietà di volume e di peso atte a permettere lo sviluppo della velocità; da quello da caccia, che avrà carattere di snella solidità e sviluppo di appendici che permettano una buona presa sul terreno accidentato, favorendo l'impulso; da quello da corsa al trotto, che avrà pure particolari caratteristiche (n. 11) che giovino alla massima estensione delle falangi e all'efficacia dell'impulso; da quello del cavallo da tiro pesante, che avrà invece bisogno di una larga base di appoggio e con tutti i caratteri di un ferro normale, ecc.
Ferrature particolari che vogliono essere ricordate sono quelle antiscivolanti e quelle da ghiaccio, che offrono numerose varietà. Le ferrature antiscivolanti (nn. 12 e 13) sono fabbricate con materiali che prendono facile attrito col terreno levigato, quali quelle fabbricate con bronzo di alluminio, con legno duro, con corda, con gomma indurita. Le ferrature da ghiaccio sono invece munite di speciali barbette arrovesciate (numeri 14 e 15) e ramponi, fissi o mobili, o anche di speciali apparecchi mobili che si possono adattare al ferro e togliere anche durante il cammino con relativa facilità.
Ma l'arte del ferrare richiede soprattutto intelligenza e acutezza di osservazione nei casi in cui occorre correggere o eliminare i numerosi difetti che, congeniti o acquisiti, s'incontrano nel piede del cavallo, quando la ferratura da "normale" diviene "correttiva". Essa non può essere trattata qui e basti averla ricordata. Così accenniamo alla ferratura "terapeutica", che ha funzione curativa in casi di lesioni acute o croniche del piede e che trova vaste applicazioni.
La ferratura degli altri equini domestici, muli e asini, differisce poco da quella del cavallo, per la forma dello zoccolo e specialmente per la maggiore solidità della parete, che è molto più spessa e robusta che nel cavallo. Tuttavia anche per ġli asini e per i muli sono tenute. presenti le necessità richieste dal servizio e dal terreno dove sono impiegati, necessità che obbediscono alle stesse leggi che regolano la ferratura del cavallo.
Anche i bovini possono essere ferrati con speciali suole di ferro dette "pianelle" e possono essere ferrati a tutti e quattro i piedi o soltanto ai due anteriori. Egualmente esse possono essere fissate con appositi chiodi e applicate a tutti e due gli unghioni o soltanto a uno per ciascun piede. Queste suole ripetono la forma degli unghioni e sono munite all'orlo interno della loro estremità anteriore di una lunga barbetta che si ripiega sull'unghione stesso per meglio fissarvelo.
Fisiologia. - La funzione fisiologica del piede richiede naturalmente il concorso di ossa o di muscoli con i relativi tendini, i quali ultimi, nel caso particolare, acquistano speciale interesse e, in unione a organi desmoidi interessati alla regione digitale, formano l'apparecchio di sospensione del modello. Le ossa falangee possono ciascuna per sé formare delle leve; la loro serie forma la cosiddetta leva digitale, composta dei due segmenti pastoro-coronale e triangolare, che ha grande importanza per la distribuzione delle forze nel raggio distale dell'arto. L'apparecchio di sospensione formato dai tendini flessori delle falangi, dal legamento interosseo mediano e dai legamenti interfalangei, regolando la discesa del nodello, regola l'inclinazione della leva digitale e quindi il percorso delle pressioni e reazioni che si trasmettono lungo l'apparecchio scheletrico. Appare quindi evidente che tra apparecchio scheletrico, peso del cavallo col suo carico, e apparecchio di sospensione, si stabilisce un sistema di leve i cui momenti col cambiare della posizione del piede, in appoggio o in movimento, cambiano continuamente entro certi limiti fisiologici. Quando questi limiti siano oltrepassati, siamo in presenza di forme patologiche o almeno difettose. Si è molto scritto di difetti del piede e se ne sono fatte classificazioni, tutte sulla prima di L. Brambilla, basata sulla direzione dell'appiombo, sulla qualità dell'unghia o sulla forma o sulla grandezza dello zoccolo. Oggi alcune di queste forme difettose, che si vollero differenziare nettamente dalle forme patologiche, sono piuttosto considerate come espressioni dello sviluppo fisiologico di particolari attitudini ereditarie; e altre come manifestazioni direttamente conseguenti a veri processi patologici, quali retrazioni tendinee, osteiti della terza falange, distrofie dell'organo cheratogeno.
D'altra parte anche nel piede, naturalmente, si hanno vere e proprie forme patologiche; quelle comuni a tutti i tessuti e altre proprie del piede: quali il chiovardo nelle sue varie forme, la malattia navicolare, il rifondimento, il papilloma del fettone. Ciascuna di queste forme difettose o patologiche pone un problema di ferratura che non è sempre semplice risolvere bene; e una cattiva ferratura può essere causa di danni più o meno gravi per l'animale cui è applicata. Donde la necessità che la difficile arte del ferrare sia esercitata da artigiani intelligenti e capaci.
Bibl.: C. Fiaschi, Trattato dell'imbrigliare, maneggiare, ferrare i cavalli, ecc., Bologna 1556; C. Ruini, Anatomia del cavallo, infirmitadi et suoi rimedi, ivi 1598; S. Solleysel, Le parfait maréchal, Parigi 1664; A. Bourgelat, Essai théorique et pratique sur la ferrure, ivi 1771; H. Bouley, Traité de l'organisation du pied du cheval, ivi 1851; L. Leisering e H. Hartmann, Der Fuss des Pferdes, Dresda 1861; L. Brambilla, Teorie sui difetti del piede del cavallo, Milano 1870; A. Vachetta, Dizionario pratico illustr. di veterinaria (varie voci), Milano 1911; V. Bossi, Trattato di mascalcia, Milano 1926.