Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’epica latina altomedievale, che formalmente rivela una forte impronta virgiliana, si caratterizza per la grande libertà con la quale il materiale poetico classico viene reimpiegato in nuovi ambiti narrativi e tematici. Mentre prosegue la tradizione tardoantica dell’epos biblico, nascono i carmi eroici di argomento agiografico e storico-contemporaneo, tra i quali le narrazioni cittadine e locali. Il rinnovamento più significativo si registra grazie al recupero letterario del repertorio orale della tradizione folclorica popolare e delle saghe germaniche, che proprio nella letteratura latina trovano le loro prime attestazioni.
Ekkehard I
La pace dopo lo scontro finale
Con questo tipo di scambio ebbe fine la lotta.
La propria sua ferita, e la stanchezza grave ciascuno convinse
a deporre le armi. Chi incolume avrebbe potuto uscire
da una battaglia in cui due grandi eroi, uguali di forza
1400. e di coraggio, stetter di fronte in scontro militare?
Al termine di tutto, ognuno ha il suo trofeo:
a terra giaceva di Gunther il piede, e la gran destra
di Walther, e infine ancor tremolante l’occhio di Haghen:
così, così si eran spartiti il tesoro degli unni!
Due di essi sedevan, il terzo era sdraiato,
e con erbe i copiosi fiotti di sangue cercavan di stagnare.
Allora chiama con un grido la timida fanciulla
il figlio di Alfere, ed ella giunta a tutti fasciò le ferite.
Terminate queste cose, così dice alla donna il suo promesso sposo:
1410. “Or mesci da bere del vino, e offri ad Hagen per primo:
è valoroso guerrier, se i patti di fedeltà rispetta;
poi danne a me, che ho faticato assai più degli altri;
per ultimo voglio che beva Gunther, che imbelle
1415. s’è dimostrato in mezzo a prodi guerrieri,
e che senza energia né calore ha affrontato gli scontri”.
Ma il Franco pur con la gola secca di fronte al vino offerto,
“Porgilo”, disse, “prima al figlio di Alfere tuo promesso e signore,
o donna, poiché – io l’ammetto – è più forte di me,
1420. e non solo di me, ma di chiunque è più valoroso nell’armi”.
Alla fine di tutto Haghen lo spinoso e l’Aquitano stesso,
entrambi di spirito freschi sebben nei corpi prostrati,
dopo il fervor della battaglia e i colpi tremendi,
fra un bicchier e l’altro rivaleggiano in una gara di morti:
1425. dice il Franco: “Amico mio, d’ora in poi andrai a caccia di cervi
e col lor cuoio ti farai un gran numer di guanti;
ma il destro, t’avviso, riempilo di tenera lana,
per trarre in inganno gli ignari con una mano posticcia.
Ah, ma che dirai a chi non ti vede seguir del tuo popol l’usanza,
1430. e ti veda portar al fianco destro la spada,
e la moglie tua, quando ce l’avrai,
abbracciar – evviva – con la sinistra in modo assai strano?
Perché continuar? D’ora in poi tutto ciò che farai,
lo farà la mano mancina!”. E a lui questo Walther risponde:
1435. “Perché sei così arzillo mi meraviglio, tu orbo Sigambro:
s’io andrò a caccia di cervi, la carne tu eviterai di cinghiale!
D’or innanzi darai ordini ai servi di traverso guardando,
e le schiere dei guerrier saluterai guardandole di sbieco.
Ma memore ancor dell’antica amicizia un consiglio ti do:
1440. quando torni in patria e ti troverai in casa tua,
fatti una bella pappina, col lardo, di farina e latte:
potrai usarla ugualmente per cibo e per medicina!”
Dette queste cose, rinnovano ancora il lor patto,
e insieme sollevando il sovrano assai dolente
1445. lo mettono in sella; e così separati tornaron
i franchi a Worms, e alla patria sua l’Aquitano.
Testo originale:
Tali negotio dirimuntur proelia facto.
Quemque suum vulnus atque aeger anhelitus arma
Ponere persuasit. quisnam hinc immunis abiret,
Qua duo magnanimi heroes tam viribus aequi
1400. Quam fervore animi steterant in fulmine belli?
Postquam finis adest, insignia quemque notabant:
Illic Guntharii regis pes, palma iacebat
Waltharii nec non tremulus Haganonis ocellus.
Sic sic armillas partiti sunt Avarenses!
1405. Consedere duo, nam tertius ille iacebat,
Sanguinis undantem tergentes floribus amnem.
Haec inter timidam revocat clamore puellam
Alpharides, veniens quae saucia quaeque ligavit.
His ita compositis sponsus praecepit eidem:
1410. “Iam misceto merum Haganoni et porrige primum:
Est athleta bonus, fidei si iura reservet;
Tum praebeto mihi, reliquis qui plus toleravi;
Postremum volo Guntharius bibat, utpote segnis
Inter magnanimum qui paruit arma virorum,
1415. Et qui Martis opus tepide atque enerviter egit”.
Obsequitur cunctis Heririci filia verbis.
Francus et oblato licet arens pectore vino
“Defer” ait “prius Alpharidi sponso ac seniori,
Virgo, tuo, quoniam – fateor – me fortior ille,
1420. Nec solum me, sed cunctos supereminet armis”.
Hic tandem Hagano spinosus et ipse Aquitanus,
Mentibus invicti licet omni corpore lassi,
Post varios pugnae strepitus ictusque tremendos
Inter pocula scurrili certamine ludunt.
1425. Francus ait: “Iam dehinc cervos agitabis, amice,
Quorum de corio wantis sine fine fruaris;
At dextrum, moneo, tenera lanugine comple,
Ut causae ignaros palmae sub imagine fallas.
– Wah! –, sed quid dicis, quod ritum infringere gentis
1430. Ac dextro femori gladium agglomerare videris
Uxorique tuae, si quando ea cura subintrat,
Perverso amplexu circumdabis – euge – sinistram?
Iam quid demoror? en posthac tibi quicquid agendum est,
Laeva manus faciet!” Cui Walthare talia reddit:
1435. “Cur tam prosilias, admiror, lusce Sicamber.
Si venor cervos, carnem vitabis aprinam!
Ex hoc iam famulis tu suspectando iubebis
Heroum turbas transversa tuendo salutans.
Sed fidei memor antiquae tibi consiliabor:
1440. Iam si quando domum venias laribusque propinques,
Effice lardatam de multra farreque pultam:
Haec pariter victum tibi conferet atque medelam!”
His dictis pactum renovant iterato coactum
Atque simul regem tollentes valde dolentem
1445. Imponunt equiti; et sic disiecti redierunt
Franci Wormatiam, patriamque Aquitanus adivit.
Waltharius. Epica e saga tra Virgilio e i Nibelunghi, a cura di E. D’Angelo, Milano-Trento, Biblioteca Medievale, 1998
Letaldo di Micy
Within viene inghiottito dalla balena
Within piscator
Lo chiamavano Within, era noto per la sua abilità di pescatore, che esplorava il fiume, ma anche le profondità del mare. Né le acque dolci, né quelle salate avrebbero potuto distoglierlo dal trascinare a riva la preda sottratta alle onde vorticose.
Costui per l’appunto, mentre l’Aurora lasciava il dorato letto di Tritone, punta verso l’alto mare, salpando con la sua barca; prende con sé l’acciarino e la pietra focaia e non dimentica l’esca (potrebbero servirgli per accendere un piccolo fuoco) e reca al fianco il fedele coltello a doppio taglio. Prepara tutto; degli arnesi del mestiere non gli manca nulla: non fanno difetto le reti, sui banchi è poggiata l’ancora, con cui tenere ferma sull’acqua la poppa quando beccheggia sulle onde, e le gomene ritorte coprono il tavolato, c’è un cestello con il pane e dell’acqua dolce in un recipiente, per evitare il tormento dell’aspra salsedine del mare dall’onda risonante. Within si affida così da solo al mare aperto; prende il largo e i boschi e i monti si allontanano. Così avanza baldanzoso fra le onde attraversando i flutti salati. Poi, mentre scruta in quale zona gettare le reti, in quale l’amo, si appresta a fissare la barca con l’ancora là dove il mare non era agitato dalle onde, poiché spirava un mite zefiro.
Improvvisamente da mezzo il mare balza fuori un animale mostruoso, simile nel muso e negli occhi a Scilla e Cariddi, con denti di serpente e con la gola sempre spalancata, una gola capace di inghiottire e di trascinare al Tartaro intere città. Within tira su la rete con l’intento di strappar via il dente ricurvo dell’ancora e di puntare verso la spiaggia con il favore del vento. Ma, con le mani tremanti e con il respiro affannoso, abbandona l’impresa e rimane immobilizzato tra le onde agitate. Intanto il mostro crudele accosta infuriato la sua enorme bocca a quel poveretto e, come nel pieno della calura il viandante riarso dal sole, trovata l’acqua che sgorga da una fresca fontana, la beve d’un fiato, così quello ingoia Within e la sua barca nel ventre affamato.
Within, seduto a poppa, si trova prigioniero di un antro senza uscita: ormai non c’è più bisogno di remare o di distendere le vele al vento, e le stelle splendenti non sollecitano a seguire una rotta stabilita; eppure il viaggio tra le onde agitate non s’interrompe.
Testo originale:
Within dictus erat, piscandi nobile arte,
rimator fluvii rimator et aequoris alti,
quem nequeant dulces et amari avertere fluctus
20. quin praedam a rapidis ad litora devehat undis.
Hic hic, Thitoni croceum dum Aurora cubile
linqueret, alta petit, carabo devecto amico,
et calibem silicemque gerit fungumque reponit
(his opus affuerit tenues excudat ut ignes)
25. et femur ancipiti fidus praecingitur ense.
Cuncta parat; nichil artis abest: non retia desunt,
anchora, fluctivagam quae sistat in aequore puppim,
transtra tenet teretesque tegunt tabulata rudentes,
sportula panis adest dulcesque in vase liquores,
30. ne maris undisoni sale comprimeretur acerbo.
Solus sic Within pelago se credit aperto;
it procul a terris: montes silvaeque recedunt.
Sic freta salsa secans mediis exultat in undis.
Tum meditans qua rete plaga, qua poneret hamum,
35. dente ratem stabilire parat qua pontus ab undis
immotus, zephiro tenui spirante, manebat.
Fluctibus e mediis mox belua surgit enormis:
os, oculos Scillae similis similisque Caribdi,
dentibus anguineis et gutture semper hianti,
40. gutture quod totas ad Tartare volveret urbes.
nitutur et placidis ad litora tendere ventis;
sed manibus trepidis et pectore prorsus anhelo
deserit inceptum tumidisque in fluctibus haeret.
45. Ast fera dira furens misero capiti os agit ingens
et carabum Withinque avidam traducit in alvum,
aestibus in mediis velut ardens sole viator
ebibit inventam gelidis e fontibus undam.
Within, puppe sedens, caeco concluditur antro:
50. non remis opus est, non tendere carbasa ventis,
nec flagitant certum splendentia sidera cursum;
nec tamen in tumidis cursus sibi deficit undis.
Letaldo di Micy, Within piscator, a cura di F. Bertini, Firenze, Giunti, 1995
L’epos latino del Medioevo è un genere che non si conforma a precise definizioni teoriche; la sua caratteristica primaria è quella di essere forgiato sull’impronta dell’Eneide e, nel contempo, di discostarsene liberamente, ampliandone gli ambiti tematici in modo significativo.
L’epos rientra infatti nella definizione di poesia virgiliana medievale assieme a una serie di altri generi che appartengono al cosiddetto genus mixtum e che in diversa misura partecipano del medesimo stile: i canti eroici, la poesia encomiastica, la poesia di argomento storico contemporaneo, l’epillio, le serie di epilli e il romanzo. Occorre tuttavia distinguere con nettezza queste opere, che lato sensu possono essere considerate epiche, dai poemi che, pur sfruttando modelli virgiliani, appartengono al genere didascalico – come il De actibus apostolorum di Aratore – oppure dalle molte versificazioni esametriche di opere non eroiche. Ciò che distingue l’epos vero e proprio, infatti, non sono tanto i mezzi stilistici impiegati (diversificazione dell’esposizione degli avvenimenti, dei discorsi, delle descrizioni; uso di similitudini, di cataloghi, di excursus e di digressioni liriche), quanto l’argomento, che si presenta come unitario e riguarda le azioni gloriose divine e umane. L’ampia estensione del testo, così come la destinazione a una lettura o a un canto pubblico, sono invece caratteristiche non condivise dalla totalità dei poemi medievali.
Tutte le composizioni di stampo epico, così come molta della poesia esametrica medievale, fanno riferimento, oltre che all’opera di Virgilio, a pochi altri modelli, tra i quali Lucano, Stazio e Prudenzio.
Sconosciuti, o quasi, restano invece autori di minore diffusione manoscritta, come Silio Italico o Gaio Valerio Flacco.
Rientrano a pieno titolo nella definizione di epos i molti racconti versificati ed epicizzati delle vicende vetero e neotestamentarie che continuano una tradizione tardoantica. Accanto a guerrieri e condottieri, i nuovi eroi dell’era cristiana sono i santi. Alle loro imprese non belliche ma innegabilmente gloriose, sono dedicati numerosi poemi agiografici, alcuni dei quali dell’epos hanno solo il linguaggio, come la Vita Martini di Venanzio Fortunato, mentre altri sono stati considerati dalla critica moderna epici a tutti gli effetti, come i Gesta Witigowonis abbatis di Purcardo di Reichenau, composti per il decimo anniversario dell’abbaziato di Witigowone (X sec.) in forma di dialogo drammatico tra il poeta e il monastero, personificato come consorte dell’abate. Ugualmente epico è il poema De triumphis Christi di Flodoardo di Reims, che in 19 libri e in 19.939 versi celebra le gesta dei vescovi, dei martiri, dei monaci e delle sante donne in Palestina, ad Antiochia e in Italia dall’età apostolica fino alla contemporaneità dell’autore (936-939 ca.).
Si affermano nell’alto Medioevo anche molte opere di argomento storico contemporaneo, spesso mosse da intenti panegiristici, come la Iohannis di Flavio Cresconio Corippo, sulle battaglie del generale Giovanni Troglita contro i Mauri in Africa del Nord, cui fanno seguito diverse composizioni di epoca carolingia di diverso taglio ed estensione.
Tra queste, il Carmen de conversione Saxonum, 75 esametri che raccontano la storia della conversione dei Sassoni avvenuta nel 777 in seguito all’azione di Carlo Magno; il frammento dell’Hibernicus Exul (VIII sec.), un dialogo panegiristico che forse faceva parte di un più esteso epos sulla vittoria del 787 di Carlo Magno contro Tassilone III duca di Baviera; e il De Pippini regis victoria Avarica, canto trionfale e di ringraziamento per la vittoria contro gli Avari riportata nell’estate del 796 da Pipino, figlio di Carlo Magno e re d’Italia. Di maggiore rilievo è il De Karolo rege et Leone papa, che costituisce la terza parte (la sola superstite) di un poema in quattro libri che delineava la vita e le imprese di Carlo Magno come nuovo Enea. I suoi 536 esametri raccontano dell’edificazione di Aquisgrana, seconda Roma, e dell’incontro avvenuto a Paderborn tra il re dei Franchi e papa Leone III dopo l’attentato che quest’ultimo aveva subito il 25 aprile del 799. Diversamente dal De Karolo rege et Leone papa, sono giunti per intero gli Annales de gestis Caroli Magni imperatoris del poeta Saxo, che in quattro libri raccontano la storia del sovrano a partire dal 771, mentre nel quinto si diffondono in un suo ritratto celebrativo. Un breve carme è invece il Rhythmus de pugna Fontanetica di Angilberto, che racconta, secondo la testimonianza oculare dell’autore, la battaglia di Fontenoy-en-Puisaye, nella quale il 25 giugno dell’841 l’imperatore Lotario I e il re di Aquitania Pipino II si scontrarono con Ludovico II il Germanico e Carlo il Calvo.
Meno aderente alle strutture dell’epica è il Carmen de exordio gentis Francorum, dedicato a Carlo il Calvo, nel quale un anonimo poeta, che scrive intorno all’844, traspone in versi celebrativi ed eroici una genealogia della dinastia carolingia. Formalmente poco epico è anche il De strage Normannorum di Sedulio Scoto, una breve celebrazione in forma innografica, mentre il poema In honorem Hludowici Christianissimi Caesaris Augusti di Ermoldo Nigello, pur composto con intento panegiristico, è un vero e proprio epos, che in 2649 versi narra le gesta compiute tra il 781 e l’826 dall’imperatore Ludovico I il Pio. La tradizione carolingia prosegue in epoca successiva con i Gesta Berengarii imperatoris, sulle lotte di Berengario I re d’Italia contro Guido II da Spoleto, Lamberto da Spoleto e Ugo di Provenza per la conquista del regno, e con i Gesta Ottonis I di Rosvita, che raccontano la storia della dinastia ottoniana da Enrico I di Sassonia fino all’infanzia di Ottone II.
Parallelamente alla poesia storica rivolta ai grandi regni e alle grandi dinastie, nasce e fiorisce sempre più rigogliosamente col passare dei secoli l’epica che testimonia le vicende di singole città, di singole diocesi e di singoli monasteri, come i Versus de episcopis Mettensis civitatis (VIII sec.), una prosopografia esametrica dei vescovi di Metz, o i più noti Bella Parisiacae urbis, nei quali Abbone di Saint-Germain, testimone diretto dell’assedio di Parigi dell’885-886, racconta la guerra contro i Normanni che terminò nell’anno 896. Rientra nell’epica monastica il De clade Lindisfarnensis monasterii di Alcuino di York, che descrive in distici elegiaci la distruzione del monastero di Lindisfarne perpetrata dai Vichinghi nel 793. Un monaco dello stesso cenobio, Edilvulfo, scrisse il Carmen de abbatibus et viris piis coenobii Sancti Petri in insula Linsdisfarnensi, che racconta in circa 800 versi la costituzione del monastero a opera di Eanmund, il suo sviluppo tramite l’azione degli abati che lo hanno retto, le opere di alcuni monaci e anche le visioni manifestatesi all’autore stesso. Di ambito monastico anche i Primordia coenobii Gandeshemensis di Rosvita, che descrivono la fondazione e i primi decenni del monastero di Gandersheim dall’846 al 919.
I poemi più originali sono senza dubbio quelli che attingono al repertorio narrativo orale costituito dalle saghe germaniche e dalle leggende popolari.
Si distingue per qualità letteraria il Waltharius, composto nel IX o nel X secolo da un autore che i numerosi studi dedicati all’opera non sono riusciti a individuare con certezza – forse si tratta di Eccheardo I di San Gallo. Racconta la storia di Walther, figlio del re d’Aquitania, giovane guerriero che si trova ostaggio di Attila assieme alla fidanzata Ildegonda, figlia del re di Borgogna, e a Hagen, inviato dal re dei Franchi al posto di Gunther, figlio del re Gibicone. Quando questi muore, Gunther rompe il patto con gli Unni che il padre aveva stipulato, così Hagen fugge dalla reggia di Attila e lo raggiunge. Poco tempo dopo riescono a fuggire anche Walther e Ildegonda, portando via una parte del tesoro che Attila aveva ricevuto in pegno dai popoli sconfitti. Non appena Walther e Ildegonda attraversano il confine del regno unno, vengono attaccati da Gunther, che vuole rientrare in possesso del tesoro corrisposto da suo padre ad Attila. Walther ingaggia una serie di duelli con i dodici compagni d’arme di Gunther, sconfiggendoli uno dopo l’altro, fino a quando si troverà a combattere contro Gunther e Hagen, accorso in suo aiuto. Nella lotta finale Walther perde una mano, Gunther un piede e Hagen un occhio. I tre allora desistono dalla battaglia, vengono curati da Ildegonda e, dopo aver scherzato sulle rispettive ferite, si dividono il tesoro prima di fare ritorno alla loro patria. Gunther e Hagen si avviano verso il regno dei Franchi, Walther e Ildegonda verso l’Aquitania dove celebreranno il loro matrimonio.
Di diversa origine e ambientazione è il De gesta re, trasmesso da uno dei testimoni degli Hisperica famina, che descrive l’avventura di una flotta navale interamente inghiottita da una balena e la lotta dei marinai per riconquistare la libertà. Un simile argomento si ritrova nel Within piscator di Letaldo di Micy. Il poemetto narra di Within, pescatore di Rochester che, uscito in mare sulla sua barchetta, viene inghiottito da una balena. Nel ventre del mostro marino, Within accende un falò dando fuoco ai resti della barca. La balena cerca disperatamente refrigerio immergendosi, ma Within comincia a colpirla dal di dentro con il coltello, squarciandole lo stomaco e giungendo fino al cuore. Affamato, taglia dei pezzi di carne del cetaceo e li cuoce sullo spiedo, divorando così chi l’aveva divorato. Dopo quattro notti di battaglia, la balena agonizzante si arena sulla spiaggia di Rochester, dove i cittadini accorrono per farla a pezzi e spartirsela. Within, ancora dentro, chiama aiuto e la sua voce terrorizza tutti i presenti che fuggono verso la città per poi ritornare in processione con il vescovo, il quale, giunto sulla spiaggia, pronuncia una formula di esorcismo contro l’essere che si trova all’interno della balena. Risponde Within, che spiega la sua situazione e chiede di nuovo aiuto. Ora i suoi concittadini capiscono, lo liberano e lo accompagnano in città in trionfo. Qui il pescatore può finalmente riabbracciare la moglie e vivere una vita lunga e felice. L’opera viene interpretata in modo controverso: come un canto eroico, come un semplice gioco intellettuale, come un testo che fonde tradizioni etniche e religiosità cristiana, come un poemetto scherzoso, come uno scritto agiografico, tuttavia studi recenti hanno indicato una possibile interpretazione autobiografica, che risolverebbe alcune delle questioni non chiarite dalla precedente letteratura scientifica.
Modellati certamente sull’epica, in particolare sul VI libro dell’Eneide che descrive la discesa di Enea agli inferi, sono invece i poemi che hanno per argomento le visioni infernali, come, per esempio, la Visio Wettini messa in versi da Walafrido Strabone. La visione racconta il viaggio nell’aldilà di Wettino, monaco e maestro a Reichenau che, accompagnato da un angelo, attraversa tutto il mondo ultraterreno e incontra dannati e beati celebri. Talvolta anche la materia del romanzo antico viene rielaborata in versi eroici e secondo gli stilemi e la struttura dell’epica. Testi del genere, come i Gesta Apollonii, appartengono solo formalmente al genere epico, mentre rientrano a tutti gli effetti nella categoria del romanzo, genere molto raramente praticato nell’alto Medioevo latino.