CREPUSCOLARE, POESIA
. La fortuna italiana dell'immagine è dovuta a G.A. Borgese, il quale in un articolo intitolato Poesia crepuscolare (cfr. La vita e il libro, s. 2a, Torino 1911, p. 149 segg.) dopo aver affermato che la poesia italiana - finita la grande giornata lirica da Parini a D'Annunzio - si andava allora spegnendo "in un mite e lunghissimo crepuscolo" studiava tre poeti, M. Moretti, F. M. Martini, C. Chiaves, la cui voce, secondo il critico, era "una voce crepuscolare, la voce di una gloriosa poesia che si spegne". Ma l'immagine si prestava mirabilmente (e a ciò si deve la sua fortuna) anche a indicare l'essenza stessa di quella poesia di transizione: non solo la "torpida e limacciosa malinconia di non aver nulla da dire", ma la predilezione per i mezzi toni, per l'indecisione crepuscolare dei colori; la mediocrità ostentata ma in fondo subita dell'ispirazione; la voluta prosaicità dell'espressione: tutto un mondo poetico che sembra compiacersi di rasentare la banalità, eppure con un suo fascino segreto. E la definizione fu allora e in seguito estesa a molti altri poeti: per citare i maggiori, al primo Govoni e al primo Palazzeschi, al Corazzini e al Gozzano, il maggiore di tutti; ma non a tutti essa conveniva e conviene.
Le parentele dei crepuscolari furono subito indicate: i decadenti francesi e belgi; i momenti crepuscolari del D'Annunzio, massime del D'Annunzio del Poema paradisiaco, a loro volta direttamente dipendenti dai Francesi; il "fanciullino" del Pascoli, che avrebbe particolarmente consigliato di cantare le umili cose. Falsa quest'ultima parentela, se anche un generico influsso del Pascoli non sia negabile, giacché mentre questi canta la sua felicità di ritrovarsi nelle cose piccine, i crepuscolari cantano invece il loro cruccio di doversi rifugiare nelle cose piccine perché non si sentono in grado di vedere e godere le grandi.
Certo, il crepuscolarismo rappresenta una reazione al dannunzianesimo; ma si tratta di una reazione non conscia delle sue premesse e delle sue mete, e che in ogni modo viene dall'interno dello stesso dannunzianesimo. Quei poeti non avevano la fantasia né si sentivano il coraggio coi quali il D'Annunzio era riuscito a trascendere, nella poesia e nella vita, il mondo provinciale: ond'è che essi finiscono col vagheggiarlo, ironizzandolo nello stesso tempo, Il crepuscolarismo, nettamente intellettualistico, è insomma una perpetua polemica, anche e soprattutto contro sé stesso. Una nuova Arcadia, sia pure; ma assai più ristretta nello spazio e nel tempo, e assai più raffinata e letteraria della vecchia. Ma anche più poetica, giacché la fonte della sua ispirazione è livresque, ma in quanto tale sincera e genuina.
Ma l'essenza vera del crepuscolarismo sta nel romantico conflitto tra il desiderio dell'azione e la coscienza dell'impotenza all'azione: la coscienza dell'impotenza si risolve, in quegli spiriti stanchi, nella coscienza dell'inutilità dell'azione e di ogni cosa. Essi avvertono la retorica del patriottismo del Carducci, del dionisiaco fervore dannunziano, dell'idillio del Pascoli; ma avvertono anche la retorica del loro proprio mondo poetico, della loro propria rinuncia; e nello stesso tempo sanno che senza retorica, senza cioè qualche cosa in cui credere senza vergognarsi di credere, non è possibile la vita.