giullaresca, Poesia
Testi attribuibili alla categoria della poesia g. (o ‛ popolare ' e g.) sono citati o ricordati da D. in occasione dell'excursus sui dialetti italiani del De vulg. Elog. (I XI ss.). Comunque s'intendano in concreto caratteri e fisionomia storica della produzione italiana antica che si continua a raggruppare sotto quella etichetta, è pacifico che uno degli aspetti socio-stilistici più vistosi che caratterizzano fin dall'inizio la poesia g. in Italia è la tendenza ai modi della parodia linguistica, e più in genere a un'espressività vernacolare risentita. Ed è chiaro che questo è precisamente il terreno d'incontro fra D. e tale poesia. In VE I XI ss., infatti, gioca un ruolo fondamentale il gusto accentuato per la rappresentazione parodica, o comunque caricatamente mimetica, dei vernacoli: gusto che beninteso D. condivide, oltre che con la poesia g., con vari altri filoni e tendenze della cultura letteraria del suo tempo. Si tenga sempre presente che la rassegna dialettale svolta in quei capitoli, lungi dal consistere in una mera serie di rilievi linguistici oggettivi e neutrali, a scopi di descrizione ‛ scientifica ', si risolve piuttosto continuamente in caratterizzazione fortemente critica e satirica, fino alla deformazione, delle varie parlate regionali e municipali: questo anche perché, al di là di esse, D. mira soprattutto a individuare e colpire i limiti di tutta una letteratura che linguisticamente (ma non solo linguisticamente) non riesce a uscire dall'ambito ristretto della regione e del municipio, in antitesi al suo ideale di lingua e poesia ‛ illustre '. Così si può giustamente affermare che nel De vulg. Eloq. è tra l'altro implicita " la fondazione di una teoria della poesia dialettale riflessa " (Contini). E v., anche per quanto segue, DE VULGARI ELOQUENTIA (Composizione; Titolo; ecc.).
Sono dunque evidenti le motivazioni di massima dell'interesse che il De vulg. Eloq. rivela per la produzione g.; ma, quanto ai modi e alla misura con cui D. l'utilizza per i suoi scopi, occorre la maggiore cautela di giudizio. In particolare, vanno radicalmente riviste posizioni come quella del Marigo: il quale, riprendendo punti di vista di precedenti studiosi (specialmente D'Ovidio), assegnava alla categoria della poesia giullaresca e ‛ popolare ' buona parte delle esemplificazioni dialettali di VE I XI ss.; D. avrebbe senz'altro citato " alcuni esempi di canti plebei che paiono ispirati a crudo realismo o a satira politica: fanno parte certamente di quella vasta produzione di bassi giullari di piazza, per lo più triviale e scurrile, di cui sono giunti fino a noi non pochi documenti ". Tra questi, oltre agli exempla di VE I XI 3-4 (v. oltre), anche quelli utilizzati per i principali dialetti toscani (I XIII 2), per l'Apulia (I XII 7) e per Venezia (I XIV 6). Ma a parte altre considerazioni - ad es. sulla discutibilità della nozione di poesia g. che tesi del genere implicano -, non va mai dimenticata, anche da questo punto di vista, la natura estremamente varia delle esemplificazioni dialettali dantesche: più particolarmente, bisogna evitare di eccedere da una parte nell'assegnarle alla categoria dei ‛ versi ', dall'altra nel ritenerle mere citazioni di materiale preesistente, appartenga o meno a tale categoria. E infatti è del tutto improbabile che almeno tre dei cinque brani addotti per i vernacoli toscani siano versi (v. le voci dedicate alle rispettive città); mentre è escluso che l'endecasillabo Per le plaghe de Dio... possa appartenere a " un canto di Veneziani " (Marigo), e nulla ci dice che l'altro endecasillabo di VE I XII 7 sia citazione da " un canto di Apuli " (sempre Marigo). L'uno sicuramente (v. VENEZIA), l'altro probabilmente, andranno invece attribuiti appunto al genere della mimesi e parodia poetica dei dialetti (nel primo caso neppure di marca ‛ giullaresca '), e per entrambi si apre il problema della loro genesi: citazione? variazione su un modello preesistente? o addirittura coniazione personale?
Citazioni e menzioni esplicite di testi poetici appartenenti alla tradizione in oggetto si hanno invece in VE I XI 3-4, brano da cui emerge anche una preziosa testimonianza sulla diffusione di simili prodotti all'epoca di Dante. Dopo aver recisamente condannato i volgari di Romani, Marchigiani e Spoletini, D. aggiunge che a scherno (in improperium) di queste tre gentes sono state composte cantiones quamplures, e tra esse ricorda espressamente, allegandone i due versi iniziali, una canzone lavorata con tecnica irreprensibile (recte atque perfecte ligatam) da un fiorentino di nome Castra (§ 3). E nel paragrafo successivo, a proposito di Milanesi e Bergamaschi, cita un altro esempio di poesia di improperium, composta da un tale di cui non dice il nome, Enter l'ora del vesper, / ciò fu del mes d'occhiover (v. MILANO). questo testo non ci è pervenuto (ma nonostante le apparenze, andrà proprio del tutto esclusa l'ipotesi che l'exemplum sia frutto di personale improvvisazione, o manipolazione, di Dante?). Ci è stata invece conservata la canzone del Castra, rappresentante di primaria importanza, e precisamente nell'ambito del repertorio ‛ giullaresco ', della tradizione della parodia dialettale: v. MARCA ANCONITANA.
Un'altra, e anche più celebre, composizione poetica g. viene citata da D. poco più avanti (VE I XII 6), il ‛ contrasto ' di Cielo d'Alcamo, che intanto ci appare subito affine al verso di dileggio dei Lombardi per il metro, e più strettamente alla canzone del Castra per lo schema tematico-formale (entrambi appartengono al genere della pastorella-contrasto sul motivo di un'avventura amorosa), mentre poi i due testi di improperium esibiscono stilemi, messi in rilievo dal Contini, che li collegano puntualmente a modi tipici di tutta una produzione comico-rusticana, anche ma non solo di stampo ‛ giullaresco '. Tuttavia il ‛ contrasto ' di Cielo non può essere totalmente accomunato alla canzone del Castra (e all'incipit milanese-bergamasco), né in sé né per il modo e lo scopo con cui D. l'utilizza nel trattato. Rosa fresca aulentissima è certo un esemplare lampante quanto precoce di ‛ poesia dialettale riflessa ', ma è pur noto che dialettalità riflessa e rusticanità letteraria e convenzionale vi si esplicano in chiave abbastanza differente da quella di Una fermava scopai da Casciòli: qui la caricatura vernacolare, rivolta a un dialetto decisamente estraneo all'uso linguistico normale dell'autore, è più esibita e marcata, secondo le modalità caratteristiche dell'improperium; là è più sfumata e sottilmente articolata, inserita com'è nell'abile contrappunto tra due registri stilistici, aulico e popolareggiante-rusticano, interni allo stesso istituto linguistico (e culturale), il ‛ siciliano ', al quale istituto il poeta-giullare appartiene naturaliter e organicamente. Quanto poi a D., egli cita un verso di Cielo come illustrazione obiettiva di siciliano ‛ medio ', quello dei terrigene mediocres (cioè appunto gl'isolani di ceto e cultura medi), contrapposto alla lingua illustre, disancorata dal dialetto e pienamente degna di lode, dei doctores della ‛ scuola siciliana '. Non che tale impostazione vada presa alla lettera: il giudizio negativo, se non sprezzante come in altri casi, sulla qualità non eccellente di quel siciliano mediocre(praelationis honore minime dignum est) implica come sempre la censura di una poesia regionale dagli orizzonti limitati, compromessa col dialetto natio. E certo (pur volendo escludere che l'aggettivo mediocris alluda, come potrebbe ben darsi, anche al livello stilistico del testo allegato) il ‛ contrasto ' dev'essere apparso a D. giusto " un prodotto di cultura ‛ mediocre ', qualcosa di mezzo fra l'aristocrazia della lirica di corte e le forme più incolte e popolari dell'esprimere ": ciò che è pure congruente, dunque, al genere g. di cui esso fa parte, " che rappresenta un grado intermedio fra la poesia aulica e la poesia popolare " (cfr. A. Pagliaro, Poesia giullaresca e poesia popolare, Bari 1958, 203-204, 207; v. comunque SICILIA). Ma resta che alla diversa presentazione degli esempi del Castra e di Cielo sembra inerire la coscienza, da parte di D., del diverso statuto letterario e socio-linguistico dei due componimenti.
Bibl. - Marigo, De vulg. Eloq. CXIX-CXX, 90-93, 102-106, 112-113, 121-122; Contini, Poeti I 175-176, 913; D.A., De vulg. Eloq., a c. di P.V. Mengaldo, I (Introduzione e testo), Padova 1968, LXXVIII-LXXXII, CXVI-CXVII; G. Contini, La poesia rusticale come caso di bilinguismo, in La poesia rusticale nel Rinascimento, Roma 1969, 50 ss.