Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Mentre la produzione didattica in versi non è riconducibile a un modello letterario unitario ma si applica indifferentemente ai molteplici campi dello scibile, la poesia allegorica dei secoli XIII e XIV si basa su particolari stilemi (come la personificazione e la psicomachia) ereditati dai poemi latini platonizzanti della Scuola di Chartres. Inizialmente di natura ancora religiosa, i poemi allegorici vanno progressivamente secolarizzandosi, aprendosi soprattutto alla tematica amorosa.
Gervaise
La prima natura del leone
Bestiaire
Il leone ha tre nature
E tre significati,
ci racconta lo scritto.
Ascoltate la prima natura.
Quando un cacciatore gli dà la caccia
E comincia a seguirne le tracce,
sia nel bosco o in aperta campagna,
egli ne sente il fiato.
Ascoltate cosa fa il leone:
si mette a trascinare dietro di sé
la coda, cha ha lunga e grande,
e copre man mano le sue tracce;
quando il cacciatore non trova
le tracce, si riconosce stolto,
e si ritiene molto disgraziato
per aver fallito in questo modo.
Se ne ritorna indietro, e lo lascia perdere,
e il leone se ne va contento.
Così il leone spirituale,
Gesù cristo, in cui confidiamo,
per lavare i nostri peccati,
di cui tutti eravamo macchiati
per il peccato del primo uomo
che, contravvenendo al divieto, mangiò la mela,
si mise nella santa Vergine,
prese carne e forma umana.
[…]
Egli non perse per questo la sua divinità
Né lei la sua verginità.
Vergine fu all’inizio
E vergine dopo il parto;
fu sempre vergine casta e pura,
sarà per sempre immune da putrefazione.
Questo mistero è analogo al comportamento
Del leone che copre le sue orme
affinché nessuno possa seguirne le tracce:
nessuno deve indagare
sulla santa incarnazione,
perché colui che quando noi non esistevamo
ci creò, estraendoci dal fango,
può fare tutto ciò che desidera.
Testo originale:
Trois natures ha li lions
Et .iii. signification,
ce nos reconte l’escriture.
Oëz sa premiere nature.
Quant veneres lo va chacier
Et il lo comance a tracier,
soit en bois ou en terre plaine,
sent il dou veneour l’alaine
Oëz dou lion que il fait:
aprés son dos traïnant vait
sa coue que il ha longue et grant,
si en vait sa trace cuvrant;
et quant li veneres ne trueve
la trace, por musart se prueve,
et mult se tient a mal balli
de ce que il ha ensi falli.
Retorne s’en, atant le lait,
et li lions joans s’en vait.
Ausi l’espiritaus lions,
Jhesu Crist, ou nos nos fions,
Por eslaver nostres pechiez,
Dont tuit estiens entechié
Por le mesfait dou premier home
Qui sor desfans menja la pome,
en la sainte Virge se mist,
char et humaine forme prist.
[…]
Il n’en perdi sa deïté
Ne ele sa virginité.
Virge fu au comancement
Et virge aprés l’anfantement;
toz jors fu virge et caste et pure,
toz jors sera seinz porriture.
Tit autresi va de ceste oevre
Cum dou lion qui ses pas cuevre
por ce c’un nel puisse tracier.
Ne nuns homs ne doit escerchier
De la seinte incarnation,
car cil qui quant nos n’estion
dou limon nos fit et estraist
puet tot faire quant que lui plait.
in Bestiari Medievali, a cura di L. Morini, Torino, Einaudi, 1996
Cecco d’Ascoli (Francesco Stabili)
Cecco d’Ascoli contrappone esplicitamente la propria opera alla Commedia di Dante
L’Acerba
Qui non se canta al modo de le rane,
qui non se canta al modo del poeta,
chi finge, imaginando, cose vane:
ma qui resplende e luce onne natura
che a chi intende fa la mente lieta;
qui non se sogna per la selva obscura.
Qui non vego Paulo né Francescha,
de li Manfredi non vego Alberigho,
e de li amari fructi [ne] la dolce escha:
del Mastin vechio e novo da Veruchio,
che fece de Montagna, qui non dico,
né di Franceschi lo sanguigno muchio.
Non vegio el Conte che, per ira et asto,
ten forte l’arciveschovo Rugiero,
prendendo del so çeffo fiero pasto;
non vegio qui squadrare a Dio le fiche.
Lasso le çançe e torno su nel vero:
le fabulle mi fôn sempre inimiche.
El nostro fine è de veder Osanna:
per nostra santa fede a Lui se salle,
e sanza fede l’opera se dampnna.
Al santo regno dell’eterna pace
convençe de salir per le tre scale,
ove l’umana salute non tace:
a çò ch’eo vega, con l’alme divine,
el sommo bene de l’eterno fine.
Cecco d’Ascoli, Acerba Etas, a cura di M. Albertazzi, Lavis, La Finestra, 2002
La più antica produzione didascalica in versi è quella di tipo morale-religioso, diffusa in Francia già dal XII secolo. Essa include un filone omiletico, che sviluppa la tradizione medievale dell’exemplum, e un corpus di traduzioni di scritti teologici e morali latini. Dalla metà del XIII secolo fioriscono i manuali di dottrina religiosa – come La lumière as lais di Pierre de Peckham, del 1267, compendio teologico in versi che impiega lo schema a domanda e risposta, o il Manuel des péchés, del 1270, ispirato dalle disposizioni di papa Innocenzo III per una nuova educazione del basso-clero –, mentre il sermone in versi si evolve fino ad assumere i toni di una vera e propria satira sociale – così nella Bible di Guoit de Provins, all’inizio del XIII secolo –. Tra le raccolte di sentenze moralizzanti grande successo avranno i volgarizzamenti dei Disticha Catonis.
Alla didattica religiosa e filosofica sono dedicati anche alcuni testi in versi del filosofo e padre della letteratura catalana Raimondo Lullo, come la Lògica d’Algatzell (1271-1274).
Centro di produzione e consumo di poesia didattica è stata, nel Duecento, anche l’Italia settentrionale e centrale. Accanto a testi minori, emerge la figura del milanese Bonvesin de la Riva, autore di poemetti in quartine di alessandrini dedicati a racconti esemplari, descrizioni escatologiche (Libro delle Tre Scritture) e contrasti (ovvero dispute drammatizzate tra concetti opposti, come anima e corpo, Dio e Satana ecc.).
Tra i testi di didattica profana, rivolti ai vari campi dello scibile, raggiungono esiti artistici degni di nota alcune opere a vocazione enciclopedica, tra cui le varie traduzioni dell’Elucidarium e dell’Imago Mundi di Onorio di Autun – come quella in ligua d’oïl di Gossuin de Metz –, e alcuni poemetti in lingua d’oc , come il vastissimo (34597 octosyllabes) Breviari d’amor (1288-1293 ca.), enciclopedia a sfondo teologico del francescano Matfre Ermengau.
La didattica mondana contempla un’abbondante produzione finalizzata a fornire principi di condotta a determinate classi sociali; i primi esempi di questo tipo risalgono all’ensenhamen, genere della lirica trobadorica nel quale destinatarie delle norme di comportamento sono le varie figure che popolano la vita di corte. In ambito francese si contano le opere in versi di Robert de Blois, come il Chastoiement des dames e l’Enseignement des princes (metà del XIII secolo); in Italia i testi di Francesco di Neri da Barberino: il Reggimento e costumi di donna e, rivolto agli uomini, i Documenti di amore.
È invece prevalentemente affidata alla prosa la trattatistica di argomento amoroso, fiorente in Francia dall’inizio del XIII secolo, nella quale il modello ovidiano (Ars Amandi e Remedia amoris) e quello del De Amore di Andrea Cappellano sono ripresi per dare sistemazione ai dibattiti sul tema che avevano contraddistinto i romanzi e la lirica del XII secolo.
Un genere di transizione tra didattica e poema allegorico è costituito dal bestiario. Ispirati dalle traduzioni latine del Fisiologo greco (II o III secolo d.C.), i bestiari interpretano le varie nature di piante e animali in direzione morale o spirituale, mettendo a frutto le possibilità di una lettura simbolica della natura insite nella concezione paolina dell’universo come manifestazione visibile di Dio. I primi bestiari in versi sono quelli in lingua d’oïl di Philippe de Thaon, del 1121-1135, di Gervaise, del 1215, e di Guillaume le Clerc – nel cui Bestiaire divin (1210-1211) –, nel quale le interpretazioni allegoriche si ampliano fino a diventare veri e propri sermoni morali. Redatto in prosa è invece il Bestiaire d’amour di Richard de Fournival, in cui lo schema abituale è piegato a illustrare i comportamenti dell’amante cortese. Si ricollegano a questo modello gli endecasillabi sciolti del Mare Amoroso (1270-1280 ca.), poemetto anonimo realizzato in Toscana in cui l’amore infelice del poeta è svolto attraverso una serie di comparazioni con elementi del mondo animale e vegetale o con personaggi storici, mitologici e letterari. Al secolo successivo risale invece il Bestiario moralizzato (detto anche “di Gubbio”, dall’area del ritrovamento), composto da 64 sonetti nei quali le nature animali sono interpretate nella chiave di una religiosità edificante.
I primi esempi di poesia allegorica romanza sorgono in Francia alla fine del XII secolo: si tratta di testi religiosi riconducibili alla tradizione omiletica ed esegetica latina, tra cui i volgarizzamenti biblici, nei quali il commento alle Sacre Scritture si sviluppa fino a divenire racconto allegorico autonomo. Si collocano in questo quadro i Vers de la Mort (1193-1197) del cistercense Hélinant de Froidmont, reiterata litania sulla potenza inattaccabile della Morte.
La produzione principale è però legata al genere del poema allegorico, rinvigorito nel XII secolo grazie alle opere latine dei poeti-filosofi della Scuola di Chartres, come la Cosmographia di Bernardo Silvestre o come il De planctu naturae o Anticlaudianus di Alano di Lilla), che operarono una sintesi tra allegorismo filosofico ed esegesi cristiana della Bibbia. Questi testi riprendono gli stilemi delle grandi opere allegoriche tardoantiche: la psicomachia, ovvero il conflitto tra Virtù e Vizi personificati; la presentazione di contenuti didattici in forma allegorica; la formulazione di ammaestramenti da parte di astrazioni personificate.
Tali caratteristiche si ritrovano nei poemi allegorici prodotti in lingua d’oïl del XIII secolo: l’Armeüre du chevalier (fl. XII-XIII sec.) di Guiot de Provins, che offre un’interpretazione morale dell’armatura del cavaliere; il Besant de Dieu (1226-1227) di Guillaume le Clerc, poema satirico che utilizza ampiamente motivi allegorici; i Roman de Carité (1224 ca.) e De Miserere (1230 ca.) del Recluso di Molliens (Barthélemy de Molliens-Vidane), dedicati, rispettivamente, alla ricerca vana di una Carità introvabile e all’illustrazione allegorica di precetti morali; il Château d’Amour (1215-1235) di Roberto Grossatesta, che interpreta il castello come simbolo della Vergine.
Più inclinato verso la satira e l’autobiografia è l’impianto allegorico delle opere di Raoul de Houdenc e Huon de Méry. Raoul è autore di due poemi, il Roman des eles (inizio XIII sec.) e il Songe d’enfer (1210 ca.); il primo offre un’interpretazione simbolica di uno schema figurato tradizionale, quello delle ali, in cui ogni ala simboleggia una delle virtù del perfetto cavaliere (Prodezza, Liberalità, Cortesia); il secondo testo amplia il topos del viaggio ultraterreno didattico-allegorico, qui impiegato in chiave satirica: l’incontro infernale con le personificazioni dei Vizi è pretesto per un attacco alla società contemporanea. Parrebbe inoltre il primo testo narrativo francese a utilizzare la finzione del sogno come vera e propria cornice narrativa. Quest’ultima si ritrova anche nel Tournoiement Antéchrist (1234-1240) di Huon de Méry, che narra la storia della conversione del narratore; il torneo cui si fa riferimento nel titolo è quello che vede scontrarsi l’armata di Dio e quella dell’Anticristo.
Temi e stilemi dei testi fin qui citati vengono trasposti completamente in ambito profano e amoroso nel poema allegorico per eccellenza della letteratura medievale, il Roman de la Rose di Guillaume de Lorris – che ne compone la prima parte, verso il 1230 – e Jean de Meun – autore della seconda parte dal 1269 al 1278. Dal suo successo dipende, a partire dalla metà del Duecento, una vigorosa diffusione del modello allegorico. Si possono qui ricordare: le varie voies de Paradis (come quelle di Baudouin de Condé e Rutebeuf), che impiegano lo schema del viaggio nell’aldilà; la Bataille de sept arts (1236-1250) di Henri d’Andeli, che dipinge lo scontro tra le scuole di Orléans e di Parigi sotto forma di lotta tra Grammatica e Dialettica; le riscritture allegorico-moralistiche del Roman de Renart (Renart le Bestourné di Rutebeuf, 1260-1270; Renart le nouvel di Jacquemart Gielée, 1289); vari testi sull’allegoria amorosa come l’anonima Complainte d’amour e La prison d’amour di Baudouin de Condé. Di argomento amoroso sono anche le principali opere allegoriche in lingua d’ oc del XIII secolo, come la Cort d’Amor, dove varie personificazioni dettano insegnamenti amorosi, o il Chastel d’Amors , allegoria della conquista amorosa. Il modello della psicomachia, già impiegato nella lirica provenzale del secolo precedente, ritorna anche nella seconda parte della Canso de la Crozada (1228-1250 ca.), in cui la guerra dei baroni francesi del nord contro l’eresia catara diffusa nelle città meridionali diviene conflitto tra Virtù (incarnate dai nobili del sud per i quali il secondo autore, anonimo, parteggia) e Vizi.
Nel corso del Trecento la poesia allegorica assume caratteri nuovi, come la satira nei confronti della coeva società di corte (Roman de Fauvel di Gervais du Bus, 1310-1314, rimaneggiato nel 1316 da Chaillou de Pesstain), o la sistemazione enciclopedica dei saperi attraverso lo schema del viaggio allegorico-didattico nel Songe du Vieil Pelerin (1386-1389) di Philippe de Mézières. Per quanto concerne il filone amoroso si segnalano l’Ovide moralisé (1321-1328), lunga interpretazione allegorica del libro V delle Metamorfosi, e alcuni testi di Guillaume de Machaut, come il Dit dou vergier e la Fonteinne amoureuse (1361 ca.), in cui il modello della Rose è ripreso in una prospettiva elitaria e aristocratica che preannuncia già l’umanesimo.
Ma è soprattutto l’Italia a raccogliere l’eredità dei modelli letterari francesi, a partire dai poemetti allegorico-didattici del fiorentino Brunetto Latini, il Tesoretto e il Favolello (fine XIII sec.); il primo, in particolare, rielabora i modelli allegorici latini e francesi, piegandoli a intenti didascalici che si richiamano all’etica comunale, con riferimenti alle personali vicende politiche dell’autore. Espliciti rifacimenti del Roman de la Rose sono due poemetti allegorico-didattici datati tra 1285 e 1290 e considerati da alcuni attribuibili a Dante Alighieri, il Detto d’Amore e il Fiore. Agli stessi anni risale anche l’anonimo Detto del Gatto Lupesco, enigmatico poemetto toscano che narra, in chiave giullaresca e parodica, il viaggio allegorico del poeta, protagonista di avventure a sfondo arturiano che assumono valenze religiose.
Il recupero della tradizione allegorica raggiunge la massima originalità colla Commedia dantesca, la cui autorità si riflette nella produzione allegorica delle altre due Corone delle lettere italiane del XIV secolo, Petrarca e Boccaccio, per i quali l’allegoria si sposa con lo sfoggio erudito e col predominio dell’artificio letterario. Nei primi decenni del Trecento si situano, infine, alcuni testi minori, come l’anonima Intelligenza, l’Acerba del medico e astrologo Francesco Stabili detto Cecco d’Ascoli e il Dittamondo dell’esule ghibellino Fazio degli Uberti, composto tra 1345 e 1367. L’Intelligenza è un poema allegorico-didattico in nona rima in cui l’amore del poeta per una donna che vive in Oriente (l’Intelligenza) è la base per la creazione di varie allegorie della vita intellettuale. Mentre questo testo non sembra risentire dell’influsso dantesco, sono invece strettamente dipendenti dalla Commedia sia l’Acerba sia il Dittamondo. La prima è un bizzarro poema di natura enciclopedica in sestine di endecasillabi (ABACBC): dati astronomici, astrologici, alchimistici e naturalistici sono radunati in una prospettiva totalizzante che si oppone esplicitamente alle cose vane e alla falsa scienza del poema di Dante Alighieri, separando nettamente teologia e natura (di cui qui unicamente ci si occupa). Il Dittamondo impiega il metro delle terzine dantesche per narrare un viaggio immaginario intrapreso per consiglio della Virtù e sotto la guida del geografo Solino.