PASTORALE, POESIA
. Antichità. - Comunque s'intendano le origini remote della poesia pastorale, siano esse folkloristiche o connesse al culto religioso, essa ci si presenta nella letteratura greca in forme già colte e artisticamente evolute. Lo studioso, per quanto risalga indietro nel tempo, la ritrova con una sua tradizione già costituita.
Questa tradizione ha già temi e motivi fissi, e supera le peculiarità regionali in tipi e situazioni di buon'ora assai uniformi. Principali motivi sono l'amore, felice o contrastato, la semplicità e ingenuità della vita rustica, lo spontaneo contatto con la natura.
L'influsso della poesia pastorale si fece sentire ben presto nella poesia ellenica. In Omero si hanno spunti di canti pastorali: la leggenda dafnica assume carattere letterario con Stesicoro. Non fa meraviglia che in Sicilia particolarmente si sviluppi anche letterariamente la forma bucolica. Figure di pastori e di contadini in contrapposto ai tipi cittadini entrano nella commedia per opera di Epicarmo e di qui nella commedia attica e poi in particolare nella commedia nuova. Elementi bucolici s'infiltrano nel ditirambo di Licofronide. Ma la bucolica si sviluppa soprattutto nell'età ellenistica favorita anche dalla tendenza alla vita campestre propria di quel periodo. È tutto un movimento verso Ia vita dei campi che viene idealizzata come la meta della felicità umana. La scuola epigrammatica peloponnesiaca con Anite, Nicia, Mnasalca canta la bellezza della natura e l'amore degli animali; Filita è rappresentato sotto un platano mentre inneggia alla sua Bittide; Ermesianatte mette in relazione la leggenda euboica con la siciliana e forse la peloponnesia; Dosiada e Callimaco trasportano la leggenda in Creta; Alessandro Etolo e Dosiada la congiungono con quella orientale. Ma chi veramente rappresenta nella sua realtà artistica la vita bucolica è Teocrito, vissuto sotto i due primi Tolomei. Con Teocrito la poesia bucolica raggiunge la sua perfezione: l'arte teocritea divenne il modello ed esercitò largo influsso fino ai tempi nostri. Trovò subito imitatori, ai quali vanno attribuiti alcuni degli idillî che sono raccolti nella Silloge che va sotto il suo nome (ad es. XX, XXI, XXVII), ma nessuno pareggiò l'arte del maestro. I più ne imitarono colorito e forme trattando altre forme d'arte, specialmente l'epigramma fino ai più tardi tempi (da Meleagro a Diodoro Zena): due soli, nel sec. II a. C., hanno tentato di riprodurre l'idillio dialogato, Mosco e Bione, riuscendo piuttosto nell'epillio bucolico. Influsso bucolico si nota presso i sofisti (Dione Crisostomo, VII; Alcifrone) o nel romanzo pastorale (Longo); e, nel periodo bizantino, in Teofilatto Simocatta, in Niceta Eugeniano fino a Massimo Planude (sec. XV d. C.).
Ma sviluppo maggiore e più artistico ebbe la bucolica in Roma, dove nell'ultimo secolo a. C. si manifestarono le stesse ccndizioni spirituali dell'ellenismo teocriteo. L'amore, l'aspirazione alla campagna perfonde i poeti dell'ultimo periodo repubblicano e dell'etâ d'Augusto, dall'autore dell'elegia a Messala a Tibullo: la bucolica trova un nuovo maestro in Virgilio che imita Teocrito ma con nuovo senso d'arte riuscendo a diventare quasi un creatore originale. La bucolica romana ha con Virgilio un carattere storico più definito: l'opera d'arte ha anche un valore pratico; i pastori sono figure poetiche ma offrono solo un pretesto, un motivo all'artista. Né soltanto l'egloga ma tutta la poesia campestre nei suoi varî toni e colori è imitata e riprodotta sul modello della letteratura ellenistica (Moretum, Copa, ecc.). L'eccellenza dell'arte virgiliana non spaventò gl'imitatori. Al tempo di Nerone appartengono i due bucolici anonimi del cod. Einsiedlensis 266 e di tale età è pure quel Calpurnio cui sono attribuite sette egloghe d'imitazione virgiliana più che teocritea. Al periodo adrianeo si fanno risalire gli Opuscula ruralia di Settimio Sereno in cui la poesia bucolica fa sentire ancora un diretto influsso; del terzo secolo è Marco Aurelio Olimpio Nemesiano, autore di quattro egloghe. Ultimi riflessi si notano nei carmi di Publio Optaziano Porfirio (sotto Costantino), negli Idillî di Ausonio (fine del secolo IV), e nelle poesie di Sidonio Apollinare, nel Carmen bucolicum che la tradizione afferma composto da Boezio (sec. VI), e infine nell'egloga di Teodulo (secoli VII-VIII).
Medioevo ed età moderna. - Sul limitare del Medioevo Endelechio introduce ancora un Egone e un Bucolo (De mortibus boum) a piangere la loro sventura e un Titiro, al solito immune da sventura, a consolarli; ma quanto trasformata è l'egloga virgiliana! Il metro è di asclepiadei; il "deus" non è un Cesare romano, e il rimedio alla mortalità è il "signum quod perhibent esse crucis Dei". Il poeta però crede d'essere in regola con la retorica adottando la forma dialogica, accogliendo allusioni a fatti presenti, usando nomi di caprari e boari. Egloga, spiegò Servio, vuol dire discorrere di capre. Dialogo, allegoria, nomi pastorali, ecco gli elementi ritenuti essenziali nella poesia bucolica. E poiché le epistole sono un dialogare tra lontani, accadde che facilmente l'epistola assumesse forma d'egloga presso i poeti carolingi aggruppati intorno ad Alcuino; alcuni dei quali adottarono infatti i nomi significativi di Dameta, Tirsi, Coridone, Menalca. Il De Cuculo d'Alcuino è un canto amebeo; una poesia d'Angilberto è detta "ad modum Virgilii contexta": di Virgilio bucolico, s'intende.
Per questo carattere dialogico confluisce nella forma bucolica anche il contrasto (Certamen Veris et Hiemis); mentre l'antica abitudine cortigiana suggerisce a Nasone due egloghe con le quali intende ingraziarsi Carlomagno. Radberto Pascasio credeva di avere curato i "bucolici favi" poetando i lamenti di due monache per un morto abate; e così via sino a quel candido Metello, monaco a Tegernsee (sec. XI), che ammonisce i fedeli a portare vitelli e buoi al suo convento, riecheggiando da vicino le egloghe di Virgilio e rifacendone qualche verso così: "Incipe, taure tener, mugitu cognoscere matrem". Profanazione artistica, senza dubbio; ma è interessante notare che il tenue filo della tradizione bucolica, da Endelechio a lui, non si sia spezzato. Lo riannodò in Italia, tre secoli dopo, il genio di Dante.
Frattanto erano sorte le nuove civiltà nazionali e con esse le lingue e le letterature nuove. Pare che nell'ingenuità delle infanzie l'ingenua finzione pastorale sarebbe dovuta riapparire; ma ingenue non sono né questa né quelle: e se il rifiorire della primavera, se la campagna circondante i castelli, se la vita agreste ebbero qualche riflesso letterario e se nelle pastorelle provenzali e nelle serranillas castigliane entrano pastori e pastorelle, vera poesia bucolica non ci fu. Bucolicismo è idealizzazione dello stato pastorale; e in questo senso la poesia bucolica è puramente di tradizione letteraria. Dante, a Giovanni del Virgilio che gli aveva inviato un'epistola nei modi oraziani per invitarlo a poetare in latino, rispose atteggiando bucolicamente i discorsi fatti a questo proposito con un amico: donde nacque una corrispondenza bucolica, che in seguito ebbe altri imitatori. Ma dai silenzî valchiusani il Petrarca veniva studiosamente rinnovando la bucolica classica, almeno per ciò che riguarda i precetti retorici; in realtà però con tutt'altro spirito, perché l'abitudine di sviluppare i significati allegorici, che si credevano celati nei testi bucolici, lo spinse a rappresentare in quei suoi pastori cose alienissime dal loro mondo; cioè ì suoi sentimenti sull'arte, sulla gloria, sulla politica, sul sapere, sulla fortuna. Ma se così a noi paiono mal camuffati, eccitarono allora ammirazione profonda. Anzitutto nel Boccaccio, che, imitando il Petrarca, ne appesantì l'allegoria; poi in altri oscuri; e ancora in Coluccio Salutati, il quale però finì con lo stancarsi di quegl'indovinelli. Il Medioevo era ben finito. Le egloghe umanistiche, isolate o unite nel corpus che era detto "bucolica", saranno meno varie e interessanti, ma sono più limpide e snelle. La moda se ne riprese primamente dopo la metà del sec. XV, a Ferrara, dove i poeti bucolici erano più numerosi (come fu detto) delle rane di quegli stagni: corifei T. V. Strozzi, rinnovante la genialita fiorentina, e il nobile M. M. Boiardo, che in dieci egloghe esaltò le sorti dei suoi Estensi. Alla vicina Mantova appartiene un bucolico, che fu poi pregiato in tutta Europa: G. B. Spagnoli (Il Mantovano): ma egli era frate e popolano, e nella sua Bucolica (Adolescentia) recò altri interessi: psicologici, religiosi, frateschi, con un misto di crudo realismo, che fa spesso pensare al suo conterraneo T. Folengo, autore d'una silloge (Zanitonella), che è anch'essa, alla sua maniera, bucolica. Anche il latino dello Spagnoli, senza essere maccheronico, rivela a ogni mossa le forme del volgare: ma doveva Firenze compiere il necessario trapasso da quello a questo con i poeti medicei. Qui infatti lo stesso Lorenzo de' Medici, che nel Corinto aduna tanti spunti dei lamenti amorosi bucolici, anche accolse nelle stanze per la Nencia l'eco di quei "rispetti" rusticali dei quali egli e i suoi erano così curiosi. Ma quando la rappresentazione pastorale si fa veristica, fatalmente diventa la parodia della bucolica, che, è come si disse, idealizzazione. Perciò la "poesia rusticana" che poi ne seguì, riesce alla parodia della pastorale; anche se taluni, come Lorenzo e il Ruzzante, non fossero punto animati da intento satirico. È così che il villano diventa l'elemento comico d'ogni rappresentazione della vita delle selve, mentre ai nobili pastori è riserbata la parte eroica. A segnare il passaggio dalla bucolica latina alla volgare può essere assunta la data della stampa delle Bucoliche elegantissime (Firenze 1482), che muovono dal volgarizzamento di Virgilio e si avviano a indirizzi nuovi, accogliendo imitazioni delle egloghe del Petrarca e contemporaneamente frottole, rispetti, cacce, di tradizione neolatina. Insegneranno esse al Boiardo a riprendere la zampogna per bucoleggiare, ora, in italiano; e forse al Sannazzaro a usare l'italiano nel suo romanzo.
In quest'epoca di maturità umanistica, il gusto per il bucolico e l'idillico costituisce uno degli atteggiamenti fondamentali dell'estetica classicheggiante, l'elemento più palese del raffinamento formale a cui essa aspirava: forse la sua maggiore diffusione va seguita in Spagna, dove l'ispirazione idillico-pastorale pervade quasi l'intero dominio della lirica, a opera della scuola italianizzante, del marchese di Santillana, di Boscán e Garcilaso in particolar modo, per i quali il mondo bucolico si sviluppa in forma dispiegata, non più come episodio erudito, ma come traduzione di una diffusa condizione spirituale. Anche nel Portogallo la poesia pastorale trovava un'espressione assai scaltrita nell'opera di Sá de Miranda, di Bernardim Ribeiro, di Cristobal Falcão, ecc. Ma il genere, fattosi sempre più convenzionale, decadeva nel manierismo accademico; e soltanto qualche grande lirico, come Luis de León, riusciva a trasferire nell'ispirazione virgiliana un senso profondo della natura e dell'intimità morale. Anche in Francia la poesia pastorale segue una storia analoga: dalla Pléiade e dalla poetica classicista invade la produzione lirica dei secoli XVI-XVII, senza tuttavia creare opere di sicura originalità: forse il senso più schietto della natura e della campagna si esprime nel mondo favolistico di La Fontaine. In Inghilterra la prima opera importante del genere è lo Shepherd's Calendar di E. Spenser (pubblicato nel 1579), che rimane il migliore esempio della poesia pastorale inglese; ad esso si riconnette Idea: the Shepherd's Garland di M. Drayton (pubblicato nel 1593, ma composto qualche anno prima), ecc.
Ma, ritornando all'Italia, in Napoli, dove viveva il Sannazzaro, c'era la resistenza dell'umanesimo pontaniano: il Pontano, con quel suo latin0 così caldo, colorito e sciolto, non sentiva il bisogno di altro mezzo espressivo: perciò le sette "pompe" della Lepidina e le vere e proprie sue egloghe hanno così caldo senso di vita, come nessuna di quelle che i suoi vicini G. Anisio, Pomponio Gaurico, Girolamo Angeriano scrissero in volgare. Il suo esempio trattenne il Sannazzaro delle Piscatoriae nella tradizione latina, benché il poeta si vantasse d'avere creato con essa un'intentata varietà bucolica, sostituendo al consueto mondo pastorale nuove scene, nuovi costumi, nuovo linguaggio tratti dalla vita dei pescatori. E veramente talora tremola la marina in quegl'idillî pescherecci; ma la gloria del poeta riposa sull'Arcadia.
Il valore retorico dell'Arcadia, punto sminuito dal vecchio Ameto del Boccaccio dove lo sfondo bucolico era celato dalla frondosa allegoria morale, sta nell'avere egli colto e fermato uno stadio ormai perfetto della maturazione secolare della finzione pastorale; sta nell'avere creato finalmente per quei pastori che erravano da un'egloga all'altra senza aria di viso in un paesaggio senza colori e contorni, un mondo loro condecente, un'immagine individuale espressiva, e una forma d'esistenza dilettosa e decorosa, quale a quei nobili personaggi venuti dai canti di Teocrito e di Virgilio si conveniva; sta nell'avere conquistato alla bucolica nuova gli spiriti e le forme dell'antica: nel che l'arte del Rinascimento riconobbe il suo fine supremo. Ma l'Arcadia maturava nel grembo delle sue prose un più fecondo avvenire: il romanzo moderno, cominciato pastorale in Francia, in Spagna e in Inghilterra, nasce da lei, e anche ciò ne spiega la straordinaria fortuna europea. Ché, appunto sulla traccia dell'Arcadia, la prosa pastorale si diffuse nelle altre letterature europee, in Spagna soprattutto, dove raggiunse una grande maturità rispetto alla tecnica narrativa, specie con la Diana enamorada di Jorge Montemayor e con il suo miglior continuatore Gil Polo. E in Francia del resto è il romanzo a rivestire la maggiore importanza in seno alla tradizione pastorale, anch'esso svoltosi per influsso italiano, come rappresentazione sentimentale e psicologica del mondo individuale: ebbe singolare fortuna e valore di modello l'Astrée di H. d'Urfé. Si pensi anche all'azione esercitata da queste opere in Germania, dove allo stesso anno, al 1619, appartengono le traduzioni del Pastor Fido, dell'Astrée e della Diana enamorada mentre in Inghilterra l'opera del Sannazzaro si era già diffusa qualche decennio prima: si ricordi l'Arcadia di Ph. Sidney (composta nel 1580 e pubblicata nel 1590), Rosalynde di Th. Lodge (1590), ecc.
Compiutosi anche in Italia questo equiparamento del volgare e del latino anche nel campo bucolico, d'ora in poi non saranno più da distinguersi le egloghe latine dalle volgari: A. Navagero, G. Vida, F. Berni si affiancano a L. Alamanni, a B. Varchi, a G. Muzio, al Minturno, salvo qualche innovazione metrica (B. Tasso) o ritorno alla tradizione medievale; i retori distingueranno le egloghe solo quanto alla scena, in boscherecce, venatorie, pescatorie, marinaresche, satiresche (quelle di G. B. Pigna) o didascaliche o miste di elementi varî (B. Baldi), e, quanto al contenuto, in funebri, genetliache, erotiche, encomiastiche, per ognuna delle quali varietà si proponeva il relativo modello di Teocrito, di Bione, di Mosco o dei Latini. Il superstite valore di tutta questa produzione è oggi di servire all'aneddotica della vita dei poeti o dei loro tempi; eppure fu così suggestiva la finzione pastorale, che informò di sé anche la lirica nei lusus pastorales del Navagero e di M. Flaminio, nelle elegie di I. Capilupo; nei sonetti idillici del Varchi, nei pescatorî di L. Tansillo e nei poemetti chiamati "stanze" (F. Molza), fino a salire in dignità di poema con Lo stato rustico di G. V. Imperiale.
Ma un altro elemento essenziale riconoscemmo nel canto bucolico, in quanto dialogo e certamen: e ben lo avvertì G.G. Trissino ponendo le egloghe tra le forme rappresentative. In realtà le egloghe venivano recitate già nel secolo XV in occasione di solenni conviti allestiti nelle corti. Apparivano i recitanti in veste di pastori a dire il loro complimento, che naturalmente assumeva il carattere di egloga. Poi, con ovvio passaggio, le egloghe entrarono come episodî in più vaste rappresentazioni, che erano d'argomento mitologico, quale il gusto dei tempi richiedeva. Passaggio ovvio, perché il mondo mitico vive in unȧ società pastorale: infatti il Poliziano iniziò la sua Favola d'Orfeo (1480) appunto con un'egloga derivata da Calpurnio. L'età che gli seguì fu tutta presa, come è noto, da preoccupazioni retoriche; e la poesia drammatica tenne il primo posto nelle poetiche: così alla poesia bucolica accadde di servire al tentativo di ridestare il dramma satiresco (con l'Egle di G. C. Giraldi), o di conciliare gl'influssi della commedia classica e della fantasticità cavalleresca, presso F. Beccari e il Lollio, o di rinnovare i puri e schietti contorni della tragedia greca, quale S. Speroni l'aveva vagheggiata, se non in quanto la placa un nuovo senso idillico, nell'Aminta di T. Tasso (1573). Anche dal punto di vista retorico (nel quale ci siamo collocati per questa trattazione) l'Aminta "è un portento", soddisfacendo con la levità dei ritmi, la tenuità dell'espressione, la discrezione dello sviluppo, alle intime esigenze di una favola di pastori. Non lo avvertì l'emulo G. B. Guarini, sublimando a destini fatali i suoi eroi, triplicando il numero dei versi, alzando il tono della sua poesia; sicché quei suoi pastorelli usciti dalle rustiche capanne paiono un po' smarriti nelle maagnifiche sale del Pastor Fido. Poi fu un infuriare di pastorali e di polemiche a esse relative, finché nel terzo decennio del sec. XVII la moda si estinse. L'agave, dopo avere prodotto il suo gran fiore, inaridiva; ma già ne era nato un pollone fecondo nel melodramma, il quale aveva bisogno di disimpacciarsi dall'inorganicità degl'"intermedî" e di trovare nell'irrealtà e musicalità della pastorale il suo mondo sognante e canoro.
Prima che il Cinquecento si chiudesse, G. B. Marino aveva scritto le egloghe che utilizzò nella Sampogna (1602). Ma anche in lui il fasto del suo tempo soffoca l'esil voce della fistola. La beffa di T. Stigliani dissipò il fatuo miraggio, e per un secolo la zampogna pastorale tace. Ma quando la reazione a quel lusso di cattivo gusto raccoglie in nome della purezza classica i fondatori dell'Arcadia, null'altra finzione meglio della pastorale poteva apparire atta ad accogliere il nuovo desiderio di semplicità e d'ingenuità. L'aveva ben spiegato il Rapin derivando dai retori italiani del sec. XVI, e l'aveva mostrato con l'esempio il signore di Fontenelle, da lui derivando, e da quest'ultimo l'aveva appreso a sua volta L. A. Muratori. Ma nella produzione dell'Arcadia, il bucolicismo è piuttosto uno sfondo di scena convenzionale, che non rinnovata ispirazione. Certo nei tredici volumi delle Rime degli Arcadi, e nei tre dei Carmina, di egloghe se ne trovano a iosa; ma dove non sono stanche ripetizioni di antichi esempî, appaiono come stampi irrigiditi e perciò ritenuti adatti ad accogliere ogni sorta di contenuto filosofico, scientifico, sociale, fino alla buffa incongruenza di certe egloghe militari. Se ci fu una nota nuova, essa fu l'eco della nuova sensibilità europea: o fosse la manierosa soavità del Teocrito svizzero S. Gessner; o il funebre paesaggio e il lugubre lamento dei "tenebrosi" d'Inghilterra. Nulla d'italiano insomma: A. Bertola, G. Pompei, I. Pindemonte, L. Savioli (che cominciò con un'imitaziorie dell'Arcadia, Il Monte Liceo, e finì promettendo a Fillide "il teschio d'un inimico re"), I. Vittorelli, esprimono tutt'al più uno stato d'animo preromantico, che i romantici però non riconobbero per proprio; infatti la Lettera semiseria di Grisostomo si chiudeva proprio con una frecciata ai vecchi Menalca e Melibeo. Tuttavia non si dimentichi che il ritorno più diretto alla poesia di Teocrito e al mondo più propriamente idillico è un elemento indispensabile della "sensiblerie" settecentesca e preromantica, anche se le origini culturali di questa vadano ricercate nel rinnovato classicismo francese; forse il rappresentante più schietto di questa posizione sentimentale e intellettualistica è lo spagnolo Meléndez Valdés. S. intende che con l'epoca romantica, quando l'elemento idillico si tramuta in vero e proprio sentimento della natura, al di fuori degli schemi tradizionali, il genere della poesia pastorale si dissolve.
Un'ampia raccolta di egloghe latine è nella Farrago eclogarum intitolata anche Bucolicorum auctores XXXV II quotquot a Virgilii aetate ad nostra usque tempora eo poematis genere usi sunt (Basilea 1546), e sparsamente in Carmina illustrium poetarum italorum (Firenze 1729).
Bibl.: S. M. Milcovic, Studio sopra la poesia pastorale degli antichi, Spalato 1880; G. Schneider, Über dans Wesen und d. Entwickl. des Idylls, Amburgo 1890; R. Reitzenstein, Epigramm u. Skolion, Giessen 1893; A. Ferrari, Saggio di uno studio sul genere pastorale applicato princ. a Teocr. ed a Virgilio, Palermo 1896; R. Helm, Theocr. u. die buk. Dicht., in N. Jahrb., 1896, p. 457 segg.; A. Lang, Theocr. and his age, Londra 1892; R. Gosche, Idyll und Dorfgesch. im Altert., ecc., in Arch. f. Litteraturg., I, pp. 169-227; Ph. Legrand, L'Arcadie et l'idylle, in Rev. d. ét. anc., 1900, p. 101 seg.; C. Hunger, De poesi romanorum bucolica, Halle 1841; Paten, Carmina cod. einsiedl., in Anth. Lat., I, ii (1896), pp. 725-754; G. Kaibel, Theocritum Calpurnius et Nemesianus imitantur, 1892; G. Knaack, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 998-1012; C. Cessi, Poesia ellenistica, Bari 1912, pp. 401-415. La più sistematica e recente trattazione della poesia pastorale nel Medioevo e nell'età moderna, in E. Carrara, La poesia pastorale, Milano 1909. Ricco d'indicazioni sui riflessi dell'imitazione di Virgilio nella bucolica italiana in lingua latina è lo studio di V. Zabughin, Virgilio nel Rinascimento italiano, Bologna 1921. Cfr. poi le bibliografie delle voci dedicate ai principali autori di egloghe.