Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Settecento è senz’altro un secolo decisivo tanto nello sviluppo delle poetiche e della critica quanto in quello dell’erudizione: si giunge a conclusioni teoriche, estetiche e storiografiche fondamentali, ma si discutono anche temi e problemi ancor oggi aperti e attuali.
Riflessioni sulla letteratura e sulla poesia
Fra le questioni più dibattute dai teorici e dai critici del Settecento europeo – inizialmente neoclassico e successivamente sempre più incline al soggettivismo naturalistico e al sentimentalismo – vi sono senz’altro l’oggettività delle regole che stanno alla base dell’opera d’arte, l’imitazione della natura, l’essenza dei processi creativi e il rapporto con la classicità greco-latina, ma anche i fini della letteratura (morali, edonistici, morali ed edonistici insieme ecc.), il ruolo dei generi letterari e le reazioni emotive del pubblico, cui sono particolarmente sensibili gli studiosi di fine secolo, ormai lontani dai rigori di certo classicismo dogmatico.
Durante il secolo dei Lumi vengono altresì realizzate importanti imprese erudite che, almeno in certi casi, rappresentano approdi imprescindibili. Ed ecco, allora, il profilo di alcune tra le individualità più significative del Settecento europeo, operanti nell’ambito della poetica, della critica letteraria e dell’erudizione; bisogna inoltre precisare che molte di esse esprimono i loro orientamenti non solo in composizioni storico-critiche e dotte, ma anche nelle loro opere d’arte.
Francia
In una Francia ove l’estetica letteraria dominante è quel classicismo rigoroso e impeccabile che – canonizzato nel secolo precedente soprattutto da Chapelain, D’Aubignac, Rapin e Boileau – incontra ancora notevole fortuna in tutta l’Europa della prima metà del Settecento, Voltaire introduce numerose e rilevanti novità. Senza discostarsi, di fatto, dai capisaldi dell’equilibrata razionalità classicistica, egli contribuisce notevolmente all’aggiornamento di generi letterari classici, cimentandosi in prima persona nella tragedia e nel poema epico; per quel che riguarda la tragedia, ad esempio, egli apporta modifiche nella scelta dei soggetti – tratti non solo dalla remota classicità, ma anche dalla storia nazionale e mondiale –, nella struttura (complessità dell’intreccio) e nella scenografia. Ma l’elemento più originale della poetica volterriana è l’inserimento nei testi teatrali di idee che sono in armonia con il pensiero “filosofico” settecentesco.
Non sono pochi i fermenti innovativi che Voltaire mutua dai drammi shakespeariani: conosciuti durante il soggiorno in Inghilterra, egli li divulga ampiamente nel suo Paese criticandoli con crescente asprezza. Con il suo gusto raffinato ed elegante, in molte sue opere (dalle Lettere filosofiche al Dizionario filosofico) Voltaire offre giudizi critici che, se pur mordaci e a volte iniqui, rivelano sempre uno straordinario acume.Con Il secolo di Luigi XIV (1751) e il Saggio sui costumi (1756), inoltre, dimostra una capacità di sintesi e un’erudizione davvero rimarchevoli.
Tra le considerazioni contenute nelle Riflessioni critiche sulla poesia e la pittura (1719) dell’abate Jean-Baptiste Dubos – che influiscono in misura notevole sul pensiero dei philosophes – quelle più incisive riguardano la relatività del bello, che varia secondo i gusti, i Paesi e i climi, il fine edonistico della poesia e le perspicaci questioni di psicologia e fisiologia dell’arte.
L’evoluzione poetico-critica di Denis Diderot, sulla base di un giovanile sentimentalismo – che lo porta a considerare la letteratura come un nobile mezzo con cui uno scrittore commosso ed entusiasta stimola l’emotività altrui, inducendo alla virtù – perviene a un’originale rimeditazione dei paradigmi più squisitamente neoclassici, in virtù della quale egli giunge a elaborare giudizi critici assai lucidi sulle civiltà letterarie antiche e moderne. Certo che l’arte possa contribuire notevolmente all’educazione del pubblico, Diderot elogia, teorizza e pratica felicemente il dramma borghese, quale nuovo genere letterario in grado di diffondere e far amare i valori borghesi più genuini e costruttivi.
Del resto, poi, la lezione letterariamente più stimolante di Jean-Jacques Rousseau non deve essere ricercata nella perentoria condanna degli spettacoli teatrali, ma nel richiamo a una natura dolce, benefica e purificatrice, come anche nelle riflessioni sulle origini di un genere umano, decaduto nella barbarie prodotta dalla civiltà.
Nonostante queste innovative aperture, le numerose versioni (più o meno convincenti e aggiornate) della poetica classicista restano gli orientamenti preponderanti: si devono qui ricordare gli articoli letterari dell’ Encyclopédie di Jean-François Marmontel, il Discorso sullo stile (1753) di Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon – autore anche di quel capolavoro di erudizione naturalistica che è la Storia naturale (1749-1804) – e l’opera storico-critica di Jean-François de La Harpe, fra i primi a considerare la letteratura francese nella sua globalità e individualità.
Verso il tramonto del secolo, infine, alcuni eruditi riabilitano la lirica trobadorica e altri famosi testi medievali che, oltre a riscuotere larghi consensi, spingono molti giovani talenti poetici a cimentarsi in generi letterari quali la romanza e il romanzo storico.
Spagna
In Spagna, Benito Jerónimo Feijóo – aristocratico intellettuale che sa conciliare Illuminismo e ortodossia cattolica – come pure Ignacio de Luzán, autore di una paradigmatica Poetica (1737), si oppongono con vigore alle stravaganze e alle sottigliezze concettose tipiche del barocco nazionale, diffondendo idee estetiche tratte dalle più impeccabili “codificazioni” classiciste di Francia (D’Aubignac, Boileau) e d’Italia (Arcadia). Anche altri scrittori (de Hervás, de Isla) non perdono occasione per fustigare e mettere in burla le gonfie ampollosità e i fasti sgargianti di un concettismo sentito ormai lontano e dannoso sul piano etico e sociale.
Fra le imprese erudite più notevoli del Settecento spagnolo, occorre menzionare la Storia critica di Spagna e della cultura spagnola di ogni genere di Juan Francisco Masdeu, in 20 volumi, e la riscoperta del medievale Cantare del mio Cid, a opera di Sánchez che lo pubblica nella memorabile collezione di poeti castigliani anteriori al XV secolo (1779-1790).
Germania
La lezione neoclassica francese condiziona sensibilmente buona parte del Settecento tedesco: in realtà, tutti i teorici dell’arte di quest’epoca devono confrontarsi – ora aderendovi, ora rifiutandolo – con quel razionalismo tendenzialmente marmoreo e impassibile che ha imperato durante il regno di Luigi XIV.
Johann Christoph Gottsched – illustre professore dell’università di Lipsia e fervente illuminista – indica e quasi impone il tedesco della Sassonia come lingua modello; egli inoltre espone con energia, soprattutto nella Poetica critica (1730), le istanze del razionalismo francese, convinto che la letteratura sia un mezzo di straordinaria efficacia per diffondere i benefici fermenti dell’Illuminismo. A siffatte posizioni teoriche si oppone Johann Jakob Bodmer: egli sostiene la vitalità dinamica della lingua e, confutando la tesi classicistica secondo cui il poeta è un mero imitatore della natura, propugna un messaggio estetico carico di motivi platonici, cristiani, rinascimentali e leibniziani.
Sebbene ancora vincolato a un didattismo edificante, l’opera di Bodmer pone l’accento sulle risorse dell’immaginazione e sulle ricchezze del meraviglioso, incoraggiando la rimeditazione di John Milton e contribuendo sensibilmente a contenere gli abusi del neoclassicismo più miope.
Gli scritti di Johann Winckelmann, il geniale storico dell’arte classica, costituiscono poi un forte stimolo per molti giovani scrittori, incoraggiati a ricercare nella grecità – più che nella cultura romana – modelli etici, estetici e perfino politici, abbracciando una poetica squisitamente classicistica.
Antilluminista e incline al misticismo platonico-cristiano, Johann Georg Hamann studia con passione le letterature europee e, pur non volendo essere considerato un critico, ha ammirevoli intuizioni.
Anche Gottfried von Herder, del resto, propone idee critiche ed estetiche originali e in parte inedite. Tra queste, la necessità che il critico entri in sintonia e “simpatizzi” con l’autore che affronta, l’importanza di una storia letteraria mai dimentica dell’elemento sociale e della storicizzazione delle opere, ma anche la concezione della poesia intesa soprattutto come energia che si rivolge alla fantasia e richiamo divino del sentimento che non necessita di un eccessivo sforzo formale. Nei suoi volumi disordinati e frammentari, caratterizzati da uno stile concitato, lirico, immaginoso e personalissimo, Herder propugna ancora una generale rivalutazione della letteratura medievale e della poesia popolare – nelle quali si può avvertire, a suo avviso, una “nobiltà del cuore” ingenua e autentica – che influirà notevolmente sul romanticismo europeo.
Mentre per il pensiero critico di Gotthold Ephrain Lessing, di Immanuel Kant e di Johann Wolfgang Goethe rimandiamo ai libri a essi dedicati, non possiamo tralasciare la riflessione estetica di Friedrich von Schiller che, nell’opera Della poesia ingenua e sentimentale (1795-1796), definisce la prima un’arte realista e impersonale, la seconda un canto meditato, personale e piacevole all’ascolto. Se la “poesia ingenua”, infatti, è propria dell’antichità, età in cui l’uomo viveva in armonia con la natura, quella “sentimentale” si riscontra nell’età moderna, nella quale il poeta, combattuto nella sua interiorità, è in lotta perenne con quello che lo circonda e ricerca inquieto una serenità ormai perduta. Alieno dalle strettoie del neoclassicismopiù angusto e dogmatico, Schiller elabora e difende una poetica idealista fortemente impegnata dal punto di vista morale ed educativo: benché nemico di ogni opprimente moralismo, egli pensa che fine principale dell’arte sia elevare gli animi del pubblico ai valori di una bellezza che, a suo avviso, coincide con la verità.
Gran Bretagna
Il classicismo in Gran Bretagna non rappresenta quasi mai un credo dogmatico e vincolante; la rielaborazione datane da Alexander Pope nel Saggio sulla critica (1711) in versi, ad esempio, pur sostenendo la necessità di ripensare i “classici”, sembra effettivamente lontana da impostazioni rigide ed eccessive.
Quanto a Samuel Johnson vogliamo ricordarne l’impegno civile, morale e umano ravvisabile nelle interpretazioni dei poeti inglesi, nonché la sua encomiabile edizione del teatro shakespeariano, di cui illustra mirabilmente la vita e lo stile.
Intorno alla produzione del più noto fra gli autori britannici, del resto, scrivono pressoché tutti i critici settecenteschi: le osservazioni più lucide e convincenti sembrano essere quelle espresse da Morgann, che approfondisce con particolare acume la psicologia dei personaggi shakespeariani.
E, ancora in Gran Bretagna, si giunge a significative conclusioni in merito alle principali questioni estetiche discusse nel continente. Così il pittore Joshua Reynolds sostiene che il poeta, invece di limitarsi a imitare passivamente la realtà naturale, debba arrivare a ritrarre la bellezza ideale, e David Hume – i cui fondamentali scritti filosofici non devono far dimenticare l’erudita e vivace Storia d’Inghilterra – ritiene che, nonostante la varietà dei gusti e la relatività della bellezza, il sentimento del bello si fondi in realtà su regole (o principi) universali, le cui radici sono da ricercarsi nella comune natura umana. In molti saggi di questo brillante prosatore sono poi presenti giudizi critici raffinati e persuasivi sulle letterature classiche e moderne, dai tragici greci agli scrittori suoi contemporanei.
Inoltre, se l’opera sistematica di Kames cerca di dare alla critica uno statuto scientifico, le ampie ricerche filologiche di Thomas Percy e di Thomas Gray rivalutano l’antica poesia classica, celtica e scandinava, contribuendo così ad alimentare quel gusto per il primitivo e il selvaggio che si affermerà in epoca romantica.
Infine, la Storia della poesia inglese (1774-1781) di Thomas Warton costituisce il primo panorama informato e completo dello sviluppo dei generi poetici nelle isole britanniche.
Italia
Gian Vincenzo Gravina, pensatore e giurista di vasta cultura, nell’opera Della ragion poetica (1708), offre una tra le più nitide esposizioni dell’estetica letteraria di impianto neoclassico.Maestro del Metastasio e profondo conoscitore della classicità, riprende molte istanze caratteristiche delle poetiche rinascimentali e attacca a più riprese le esangui esagerazioni intellettualistiche di alcuni cartesiani d’oltralpe.
Ludovico Antonio Muratori, per molti aspetti già prossimo al più autentico spirito illuministico, espone le sue idee sulla poesia nel trattato Della perfetta poesia italiana (1706), nelle Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti (1708), nel Delle forze della fantasia (1745) e nelle Osservazioni sulle “Rime” del Petrarca (1711), che contengono penetranti considerazioni sulla psicologia e sull’arte del poeta del Canzoniere.
Convinto che ogni scrittore debba armonizzare ammaestramenti morali, fantasia e ragionevole buon gusto, Muratori sintetizza l’essenza di tutte le dottrine poetiche precedenti e pratica una forma di critica particolarmente attenta ai valori intrinseci della poesia. Erudito di rara laboriosità e diligenza meticolosa, raccoglie in 28 tomi documenti di autori di storia italiana (Rerum italicarum scriptores, 1723-1751), monumento di rigore critico-filologico cui collaborano intellettuali di tutta Italia; compone, poi, le Antiquitates Italicae Medii Aevi (1738-1742) – che offre un’immagine grandiosa e al contempo precisa di un’età allora pressoché ignota e non di rado svilita – e gli Annali d’Italia (1744-1749), che elaborano un vastissimo materiale documentario in una narrazione chiara ed efficace.
Melchiorre Cesarotti, definito forse un po’ audacemente l’“Herder italiano”, è fautore di una sorta di eclettismo critico: pur stimando Metastasio il maggior poeta d’Italia e senza abbandonare mai un razionalismo schiettamente illuministico, dimostra una non comune apertura al nuovo. Oltre a dare una libera e appassionata versione in versi sciolti dell’ Ossian di James Macpherson, Cesarotti ammira l’Ortis foscoliano e condivide quel rinnovato gusto per il terribile e il sublime, felicemente delineato nel postumo Saggio sul bello (1809).
Giuseppe Baretti, figura bizzarra e battagliera di critico-polemista, ha fra i suoi bersagli – che attacca con caustica arguzia soprattutto sulle pagine della sua rivista, “La frusta letteraria” (1763-1765) – l’immagine di un’Arcadia ormai priva di originalità e di vita, l’erudizione sterile e compiaciuta, gli stilemi di una prosa di rigida osservanza boccacciana e, in generale, l’innegabile decadenza delle lettere italiane. Propugnatore di una poetica fondata sulla chiarezza, sul “buon senso”, sull’entusiasmo e sull’utilità sociale, Baretti formula giudizi sulla letteratura passata e contemporanea che, al di là degli eccessi e di alcune palesi ingiustizie, manifestano una notevole sensibilità. Instancabile viaggiatore e spirito cosmopolita, dobbiamo inoltre ricordare l’attenzione di Baretti per le letterature straniere: oltre a tradurre il teatro di Pierre Corneille e a far conoscere in Inghilterra il patrimonio letterario italiano, egli attacca quel Voltaire che pur stima fra i più illustri hommes de lettres del secolo e apprezza la letteratura spagnola del Siglo de Oro.
Meritano inoltre di essere ricordati il Bettinelli, che sostiene quali ideali estetici basilari di ogni vera poesia la razionalità, la nitidezza, la musicalità e la delicatezza, pronunciando giudizi negativi sulla poesia dantesca, da lui giudicata oscura e rude; Giuseppe Parini, il quale, anche negli scritti di poetica, teorizza quell’impegno morale e civile e il sapiente equilibrio stilistico ravvisabili nei suoi capolavori. Infine Gerolamo Tiraboschi, bibliotecario della Biblioteca Estense a Modena e scrupolosissimo autore della Storia della letteratura italiana (1772-1782), ci ha lasciato in quest’ultima un patrimonio ricchissimo di dati storici e biografici, ancora assai utile per chi voglia ricostruire alcuni percorsi poco illuminati della nostra cultura.