Bracciolini, Poggio
L'opera e la figura di D. non furono congeniali al B., che, infatti, appena marginalmente partecipò alle vivaci discussioni della cultura fiorentina del primo Quattrocento (tipico l'esempio del Bruni) sul significato e i limiti dell'attività letteraria dantesca. Solo in due luoghi delle opere braccioliniane è possibile rinvenire precisi riferimenti a Dante. Questi è infatti protagonista di tre delle Facetiae, che lo vedono sdegnoso ospite della corte scaligera, ma in cui manca, ovviamente, il pur minimo tentativo di inserire la figura del poeta fiorentino in una dimensione diversa, e comunque più impegnata criticamente, da quella consueta ai moduli di una corrente e facile aneddotica: anche se, per altro verso, si tratta di una precisa testimonianza della fama ormai consolidata del poeta, al di fuori degli stessi ambienti culturali e che lo rende già un personaggio in certo senso ‛ mitico '. Più interessante, invece, è ciò che si fa affermare al Niccoli nel dialogo De Infelicitate principum, dove, sia pure a proposito di un aneddoto che si ritrova nelle Facetiae, vi è il tentativo di un più approfondito giudizio critico; per cui, se da un lato D. " eluxit ingenio singulari ", non è accolta senza riserve la sua opera, che sarebbe del tutto degna di essere affiancata alla grande poesia classica, se, però, " literis latinis constaret ".
La fortuna di D. presso il Bracciolini, quindi, risulta tipica di una certa stagione culturale, mentre è predominante l'istanza posta dal mezzo linguistico, per cui l'uso del volgare nella Commedia si configura come un diaframma che troppo spesso preclude al gusto umanistico un più cordiale e profondo incontro con l'opera dantesca.
Bibl. - Poggii Florentini Opera omnia, Basilea 1538, 346, 421, 437; G. Papanti, D. secondo la tradizione e i novellatori, Livorno 1873, 90-93; La leggenda di D., a c. di G. Papini, Lanciano 1911, 27-34; E. Walser, Poggius Florentinus, Leben und Werke, Lipsia-Berlino 1914, 258-259; V. Rossi, D. nel Trecento e nel Quattrocento, in Saggi e discorsi su D., Firenze 1940, 306.