Negri, Pola
Nome d'arte di Barbara Apollonia Chałupiec, attrice cinematografica polacca, nata a Janowa il 31 dicembre 1894 e morta a San Antonio (Texas) il 1° agosto 1987. Bellezza esotica, raffinata e sensuale, avvenente e istintiva ma anche dotata di una personalità volitiva e di vero talento, come dimostrò nei primi film di Ernst Lubitsch, è stata nel corso degli anni Venti una diva del cinema muto americano, rivale di Theda Bara e Gloria Swanson nella parte della vamp sofisticata e bizzarra. La sua infanzia è avvolta nella leggenda, tanto che restano incerti il luogo e la data di nascita; né possono dirsi risolutive l'autobiografia dell'attrice (Wie ich zum Film Kam, 1926) o le molte biografie di altri autori. La N. raccontò anche di essere figlia di una nobildonna decaduta e di un immigrato slovacco, e che nel 1905, quando il padre, accusato di aver svolto attività rivoluzionaria, fu deportato in Siberia, si trasferì con la madre a Varsavia. Secondo altri, invece, suo padre era un violinista gitano che, semplicemente, abbandonò le due donne e scomparve. In ogni caso, crebbe nell'assoluta miseria. Interrotta per una malattia ai polmoni una promettente carriera con il Balletto imperiale, studiò recitazione alla Dramatyczna Szkoła per esordire, già nel 1912, al Teatr Mały di Varsavia, dove scelse, in omaggio alla poetessa italiana Ada Negri di cui era ammiratrice, il nome d'arte che avrebbe adottato da allora in poi. Dopo una stagione come attrice di prosa, debuttò nel cinema nel 1914 in Niewolnica zmysłów (Schiava d'amore) di Jan Pawlowski, storia, modellata sulla sua, della povera figlia di un fabbro che diventa una stella. Dopo alcuni film di Aleksander Hertz ‒ Bestia, Czarna książka (Il libro nero, noto anche come Żólty paszport, Passaporto giallo), Pokój nr. 13 (La stanza n. 13), tutti del 1915; Arabella, Jego ostatni czyn (La sua ultima azione) e Żona (La moglie), entrambi del 1916 ‒ che fecero di lei una diva del cinema polacco, l''Asta Nielsen slava' si trasferì a Berlino per recitare in teatro con Max Reinhardt. Poco dopo fu scritturata dall'UFA, a cui riuscì a imporre Lubitsch, allora giovane regista sconosciuto, che la diresse in Komtesse Doddy (1916) e, divenuto il suo regista di fiducia, in Die Augen der Mumie Mâ (1918), Carmen (1918; Carmen, noto anche con il titolo Sangue gitano), Madame Dubarry (1919), Sumurun (1920), Die Flamme (1922). Questi film, nei quali appariva come danzatrice, selvaggia zingara, appassionata cortigiana, comunque erotica ammaliatrice, fecero della giovane straniera una diva. Madame Dubarry, distribuito negli Stati Uniti con il titolo Passion, fu un tale successo che la società di produzione americana Paramount scritturò attrice e regista e i due si trasferirono a Hollywood. Nei suoi film americani (Bella donna, 1923, Triste presagio, di George Fitzmaurice; The Spanish dancer, 1923, La gitana, e Shadows of Paris, 1924, Ombre di Montmartre, entrambi di Herbert Brenon; The charmer, 1925, La danzatrice spagnola, di Sidney Olcott; Loves of an actress, 1928, Gli amori di un'attrice, di Rowland V. Lee) apparve meno spregiudicata e maliziosa rispetto ai precedenti realizzati con Lubitsch, ma non faticò a imporsi nell'immaginario del pubblico come vamp capricciosa e dominatrice, interamente dedita all'amore, anche perché suscitarono molto clamore le sue relazioni con Charlie Chaplin e Rodolfo Valentino, ampiamente pubblicizzate. I ruoli migliori le vennero offerti, tuttavia, da due registi europei in trasferta a Hollywood, ancora Lubitsch (che la diresse nel brillante Forbidden Paradise, 1924, La zarina) e Mauritz Stiller (Hotel Imperial, 1927, L'ultimo addio). La sua fastosa e turbolenta vita privata (sposò un barone, un conte e un principe, per divorziare ogni volta poco dopo) affascinava il pubblico e avvolgeva la diva di un'aura di trasgressivo glamour, anche se suscitò grave scandalo al funerale di Valentino quando si gettò sulla bara, gesto che venne considerato un'istrionica e cinica esibizione.
Con l'avvento del sonoro (aveva mantenuto un forte accento straniero) e l'imporsi di nuovi codici morali puritani, la N. imboccò il viale del tramonto. Trasferitasi in Europa, apparve ancora nel ruolo di una madre in Mazurka (1935; Mazurka tragica) di Willi Forst, film che fece di lei l'attrice preferita di A. Hitler. Tale predilezione le permise di continuare a lavorare nel cinema tedesco nonostante fosse in parte ebrea (Madame Bovary, 1937, di Gerhardt Lamprecht; Moskau-Shanghai, 1937, Mosca-Shangai, di Paul Wegener; Die fromme Lüge, 1938, e Die Nacht der Entscheidung, 1938, Tormento, entrambi diretti da Nunzio Malasomma). Tornata negli Stati Uniti all'inizio della Seconda guerra mondiale, ebbe un ruolo minore nel 1943 in Hi diddle diddle di Andrew L. Stone, quindi, nel 1959, tentò ancora di riprendere a lavorare in Germania, per ritirarsi definitivamente nel 1964 (dopo un ultimo film, The Moon spinners, 1964, Giallo a Creta, di James Neilson, in cui è la maligna Madame Habib) e rinchiudersi in sdegnosa solitudine, coltivando e rielaborando per i posteri la sua leggenda ormai sfiorita. Nel 1970 scrisse l'autobiografia Memoirs of a star.
R. Florey, Pola Negri, Leipzig 1924.
D.P. Howard, Pola Negri von Bromberg bis Hollywood, Wien 1928.
M. Mida, Pola Negri, in "Sipario", 1950, 50.
M. Rosen, Popcorn Venus, New York 1973 (trad. it. La donna e il cinema: miti e falsi miti a Hollywood, Milano 1979).
A. van Cossart, Pola Negri, Lebens eines Stars, Köln 1988.
W. Czapińska, Polita, Warszawa 1989.
W. Czapińska, Pola Negri, polska królowa Hollywood (Pola Negri, la regina polacca di Hollywood), Warszawa 1996.