Vedi POLICLETO dell'anno: 1965 - 1996
POLICLETO (v. vol. VI, p. 266)
Nell'ultimo trentennio P. e la sua produzione artistica sono stati al centro di vivaci discussioni. Il nuovo interesse per la scultura idealizzata romana ha condotto a un riesame di copie e varianti anche delle statue policletee; allo stesso modo le numerose creazioni eclettiche imitanti lo stile policleteo sono state studiate con maggiore attenzione. Le fasi di più intensa ricezione di P. in ambito romano si ebbero nella prima età imperiale e nell'epoca adrianeo-antonina, tuttavia l'influenza esercitata dallo scultore ebbe inizio già ai suoi tempi, come mostrano, p.es., la statua Β di Riace e una testa maschile a Samo. Nel IV sec. a.C. fiorì la «scuola» di P., e da questo periodo le opere policletee entrarono nel repertorio dell'arte greca; p.es. alcune statue del Donario di Daochos a Delfi richiamano il c.d. Efebo Westmacott e forse anche il Diadumeno (v. vol. Ill, p. 89).
Lo studio delle influenze policletee ha reso nuovamente attuale la questione degli originali e della loro ricostruzione; l'evidente risorgere della Meisterforschung è culminata nelle mostre su P. (Francoforte, 1990) e su disegno e canone (Basilea, 1992).
Una replica del Discoforo ritrovata nel 1967 a Efeso mostra punti di attacco e puntelli, dai quali si può dedurre che nella mano sinistra, distesa lungo il corpo, la figura tenesse una lunga asta, probabilmente una lancia, che poggiava anche sulla spalla sinistra. Tale ricostruzione troverebbe conferma in un torso già nella Collezione Somzée e in una statuetta di bronzo a Basilea. Quindi anche il c.d. Discoforo, l'opera più antica di P. a noi nota, era forse un doriforo. Rimane ancora ignoto se raffigurasse o meno un personaggio del mito, questione irrisolta, all'infuori de'Eracle, anche per le altre figure maschili realizzate dallo scultore.
Il Doriforo è il punto di riferimento per tutti gli studi su Policleto. Un'ottima replica quasi integra risalente alla prima età imperiale è giunta tramite il commercio antiquario all'Art Museum di Minneapolis. Un'altra replica proveniente da Lādhakīya, che conserva la testa, è stata riconosciuta nel Museo Nazionale di Damasco; eseguita forse in età flavia, non è comunque da contare tra le copie più fedeli.
L'Hermes è tramandato con notevoli incertezze e le sue repliche si possono distinguere a stento da quelle del Doriforo. La statuetta di bronzo di un Hermes a Parigi, risalente alla prima età imperiale e proveniente da Annecy, non può più essere considerata come riproduzione fedele di un originale policleteo.
L’Eracle stringeva con la destra la clava poggiata al suolo. La mano sinistra era portata dietro la schiena: questo motivo fu ripreso, in forme diverse, dalle figure di Eracle realizzate da Lisippo (ν.) o dalla sua cerchia (Eracle Farnese, Eracle di Copenaghen). Il tipo «Barracco» tramandato in alcune statuette è stato riconosciuto come una rielaborazione, forse di età imperiale, dell 'Eracle policleteo.
Non è affatto certa l'identificazione dell'Efebo Westmacott con la statua del Kyniskos, realizzata secondo Pausania (VI, 4, II) da P., e la cui base fu trovata a Olimpia. L'iscrizione su quest'ultima è probabilmente più antica di una ventina di anni rispetto all'Efebo, che non venne eseguito prima del 430 a.C. Nonostante certi dubbi sull'attribuzione della statua resta possibile la paternità di Policleto. Poiché nessuna replica ci ha conservato la mano destra col suo attributo, rimangono ancora controverse la ricostruzione, e quindi la denominazione della figura. A dispetto di varie nuove proposte la ricostruzione più convincente rimane quella sostenuta da H. Winnefeld, secondo la quale l'Efebo nella mano destra avrebbe retto una corona. Ciò è confermato soprattutto dalla tradizione iconografica a partire dal V sec. a.C.; un parallelo appartenente alla scultura monumentale del IV sec. è offerto dal c.d. Bronzo Getty. Comunque non si può dire con certezza se il giovane fosse raffigurato con la corona già posta sul capo, oppure se la tenesse sollevata davanti al capo, nell'atto di incoronarsi. Frammenti di un antico calco in gesso dell'Efebo Westmacott sono stati ritrovati a Baia, ma rimane ancora il dubbio se vi appartenga anche il frammento di una mano destra. Si è pensato volentieri all'Efebo Westmacott allorché si è tentato di identificare il «nudum talo incessentem» tramandatoci dalle fonti letterarie tra le opere di P., nonché i «duosque pueros item nudos talis ludentes, qui vocantur astragalizontes» (Plin., Nat. hist., XXXIV, 55), menzionati nello stesso brano. Vi sono tuttavia molte ragioni per credere che il testo di Plinio sia corrotto e che le opere menzionate siano state realizzate da P. il giovane.
L'Efebo Westmacott appare meno massiccio, più leggero e svettante del Doriforo e dell 'Eracle. Questa tendenza si manifesta ancora più chiaramente nel Diadumeno, la più recente tra le figure maschili realizzate da P. che ci sono note, in quanto eseguita attorno al 420 a.C. Il Fanciullo di Dresda, scolpito quasi contemporaneamente, unisce diversi elementi dell'arte policletea in maniera piuttosto esteriore, e dev'essere perciò attribuito alla «scuola» del maestro. Lo stesso vale in modo ancora più evidente per il Narciso, riprodotto anch'esso negli antichi calchi in gesso di Baia, che inaugura la serie delle figure appoggiate, così diffuse nel IV sec. a.C. Dalle opere sorte nell'ambito della vitale tradizione di una scuola fondata dal maestro stesso, si distacca l'Idolino, in quanto creazione eclettica dell'ellenismo tardo o della prima età imperiale. La sua datazione esatta rimane controversa, come pure la questione se almeno la testa sia copia di un'opera di Policleto.
Soltanto una figura femminile di P. sembra esserci giunta in diverse copie e pressoché completa: l'Amazzone, che fu posta con statue analoghe di Fidia, Kresilas e forse altri due scultori nell’Artemisión di Efeso (Plin., Nat. hist. XXXIV, 53). Nonostante il riesame delle copie e della ricca serie di altre testimonianze non si è ancora riusciti a identificare in maniera convincente l'Amazzone di P. tra i tre tipi noti nella scultura greca dell'età classica. L'alternativa resta soprattutto fra l'Amazzone Capitolina (Amazzone di Sosikles) e quella Sciarra, mentre l'Amazzone Mattet viene solitamente attribuita a un altro autore (perlopiù a Fidia). Sebbene negli studi prevalesse una volta l'attribuzione dell'Amazzone Capitolina a P., molti studiosi sono recentemente tornati a riconoscere nell'Amazzone Sciarra un'opera del maestro argivo.
P. viene considerato come un caratteristico esponente non soltanto dell'arte, ma anche della cultura della Grecia dell'età classica matura; vanno messi in rilievo il suo interesse ai problemi formali della creazione artistica, la sua tensione verso un'espressione sopraindividuale e il suo sforzo per l'esattezza e la capacità di trasmettere l'arte. Un fatto nuovo è anche la consapevolezza dell'artista figurativo, che affronta per iscritto questioni teoriche. I vari tentativi di ricostruire il suo «canone» (v.) rimangono tuttavia ancora insoddisfacenti.
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