Polimnia (latino Polyhymnia)
Una delle nove Muse, figlie di Zeus e di Mnemosine, come narra Esiodo (Theog. 52 ss.), il quale ci fornisce per la prima volta anche i loro nomi, che solo in età ellenistica furono messi in rapporto con i vari campi dell'attività artistica, per ognuno dei quali una di esse era ritenuta protettrice e fonte d'ispirazione.
La distribuzione della loro sfera d'influenza non fu però sempre ben determinata e univoca, giacché solo nel Medioevo le sfere assegnate alla loro protezione divennero fisse. P. fu quasi sempre considerata ispiratrice del canto lirico e della danza. Quando la protezione delle Muse fu estesa anche nel campo della prosa e delle scienze, P. divenne anche protettrice della prosa. Presso i Latini è invocata, per esempio, da Orazio (Carm. I I 33) come protettrice e ispiratrice della poesia lirica monodica; da Ovidio (Fasti V 9), pseudo-Virgilio (Ciris 55), Marziale (IV 31). In un carme attribuito ad Ausonio (367, p. 412 dell'ediz. Peiper) si dice di lei: " signat cuncta manu loquiturque Polymnia gestu ").
D. ricorda P. in Pd XXIII 56, dove il poeta dichiara l'impossibilità di tradurre adeguatamente in termini umani la sublimità del santo riso di Beatrice, che trascende i limiti imposti a lui mortale: Se mo sonasser tutte quelle lingue / che Polimnïa con le suore fero / del latte lor dolcissimo più pingue, / per aiutarmi, al millesmo del vero / non si verria, cantando il santo riso / e quanto il santo aspetto facea mero. La sfolgorante bellezza di quel sorriso è un esempio di poesia dell'ineffabile; esso trascende l'arte e la fantasia di tutti i poeti più abbondantemente nutriti da P. e dalle altre Muse messe insieme, il cui intervento non consentirebbe di esprimere nemmeno la millesima parte del vero per l'inadeguatezza della parola umana dinanzi a tale visione.
Alcuni commentatori hanno creduto di poter indicare in questi versi un riecheggiamento di un analogo concetto d'ineffabilità espresso da scrittori latini, come Virgilio (Aen. VI 625 " non, mihi si linguae centum sint oraque centum "), Ovidio (Met. VIII 533-534 " Non, mihi si centum deus ora sonantia linguis / ingeniumque capax totumque Helicona dedisset "), Persio (Sat. V 1-2 " Vatibus hic mos est, centum sibi poscere voces, / centum ora et linguas optare in carmina centum "), s. Agostino (Medit. XV " Etiam si angelorum scientia mihi foret et omnia membra mea verterentur in linguas ") e già topico se si considera che ricorre in Omero (Il. II 489 ss.). D. vorrebbe, come ha notato) il Torraca, tutte le lingue dei poeti più famosi. Comunque ogni volta che egli invoca una Musa isolatamente, lo fa tenendo presente le caratteristiche fornitegli dalla mitologia (cfr. P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954, 216). A intendere bene il passo giova inoltre tener presente che il poeta si serve anche altrove di quest'ardita metafora, quando indica Omero come il poeta che le Muse lattar più ch'altri mai (Pg XXII 102), volendo con ciò significare la sovrana altezza del suo canto.