POLINOMIO
. Termine in uso nell'algebra per indicare la somma di due o più monomî (v. monomio), che non siano tutti simili tra loro. Se dopo aver fatto la riduzione degli eventuali termini simili, il polinomio comprende due o tre termini, esso si chiama rispettivamente binomio o trinomio. L'attributo "quadrinomio" per un polinomio di quattro termini non è molto usato e quando il numero dei termini è maggiore di quattro, non si usa per il polinomio alcuna qualifica particolare.
Di un polinomio, in cui siano stati ridotti gli eventuali termini simili, si dice grado rispetto a una sua lettera il massimo grado dei termini rispetto a quella lettera; dicesi grado totale o, semplicemente, grado del polinomio il massimo grado totale dei suoi termini. Così, ad es., il polinomio
è di 3° grado rispetto ad a, di 4° grado rispetto a b; ed è di grado (totale) 5.
Quando tutti i termini di un polinomio hanno lo stesso grado, il polinomio si dice omogeneo. Si consideri, ad es., un polinomio omogeneo di 3° grado che implichi due lettere a e b. Allora esso comprende al più quattro termini e si potrà scrivere
pensando di attribuire ai coefficienti letterali k0, k1, k2, k3 altrettanti valori numerici. Orbene, se si sostituiscono al posto di a, b rispettivamente ρa, ρb, essendo ρ un numero qualunque, il polinomio resta moltiplicato per ρ3. In generale, sia A (a, b, c, ...) un polinomio omogeneo di grado n che implichi quante si vogliano lettere. Allora, qualunque sia il valore di ρ, si ha l'identità (v. omogeneo).
La somma di due o più polinomî è data dal polinomio di cui i termini siano tutti i termini dei polinomî addendi; il prodotto di due polinomî è dato dalla somma dei prodotti parziali, che si ottengono moltiplicando successivamente ciascun termine di uno qualunque dei polinomî per ciascun termine dell'altro. Il quoziente di due polinomî va, in generale, indicato con una frazione algebrica avente per termini (numeratore e denominatore) i due polinomî. Naturalmente caso per caso si cercherà, se è possibile, di semplificare la frazione. Una facile semplificazione si ha quando numeratore e denominatore risultino divisibili per uno stesso monomio o polinomio. Per le frazioni algebriche a termini polinomiali valgono le solite regole di calcolo. Così esse non cambiano valore se si moltiplicano i suoi termini per uno stesso monomio o polinomio, a condizione che per le lettere che compaiono in questo moltiplicatore si escludano quei valori per cui esso si annulla. Sulla base di questa proprietà si possono ridurre due o più frazioni algebriche allo stesso denominatore e quindi sommarle algebricamente.
Speciale interesse hanno quei polinomî che sono ordinati o si possono ordinare secondo le potenze di una stessa indeterminata. Se si denota questa con x e si suppone che il grado del polinomio rispetto ad x sia n, il polinomio, nella sua forma ridotta, apparirà come una combinazione lineare delle successive potenze della x, da quella di esponente zero (unità) a quella di esponente n, talché esso assume la forma
dove a0, a1, a2, ..., an-1, an denotano n + 1 numeri dati o espressioni letterali date che non debbono contenere la x, ma che possono essere di natura qualsiasi rispetto alle lettere che vi figurano (monomî, polinomî, frazioni algebriche, ecc.).
Spesso per denotare un polinomio si usa una lettera A o B, ecc., e quando si vuol mettere in evidenza l'indeterminata da cui esso dipende si scrive A (x) o B (x), ecc. Se poi si sostituisce alla x un particolare valore c, il valore o l'espressione corrispondentemente assunta dal polinomio si indica con A (c). Così, considerato, ad es., il polinomio a coefficienti numerici A (x) = x3 − 3 x2 + 2 x − 1, il simbolo A (2) rappresenta il valore che assume il polinomio quando ad x si attribuisce il valore 2. Si ha cioè A (2) = − 1.
Si supporrà nel seguito che si tratti di polinomî a coefficienti numerici, ma saranno evidenti le lievi modificazioni da apportare alla terminologia qualora i coefficienti fossero espressioni letterali. Un teorema fondamentale nella teoria dei polinomî in una indeterminata è il cosiddetto principio d'identità. Due polinomî A e B in una stessa indeterminata, che assumano valori eguali per qualsiasi valore attribuito alla x, sono necessariamente dello stesso grado ed hanno eguali ordinatamente i coefficienti dei termini di egual grado nella x. Ciò vuol dire, in altre parole, che l'identità A = B implica che A e B siano uno stesso polinomio.
Si dimostra, a complemento del principio d'identità, che l'identità A = B è assicurata quando si sappia che i due polinomî A e B, supposti di grado n, assumano lo stesso valore in corrispondenza ad n + 1 valori distinti dell'indeterminata x.
Così, in virtù di questo teorema, si può affermare che un polinomio di 3° grado nell'indeterminata x che assuma il valore zero in corrispondenza di quattro valori distinti della x è identicamente nullo, cioè assume il valore zero in corrispondenza di qualsiasi valore della x, ciò che implica l'annullarsi di tutti i coefficienti.
Si considerino due polinomî A (x), B (x), di cui il primo abbia un grado n non minore del grado m di B; allora la frazione algebrica A B può denotare in casi speciali un polinomio Q di grado n − m in x, che si chiama il quoziente di A per B. Si dice allora che A è divisibile per B o che B è un divisore di A. In ogni altro caso è sempre possibile, in un solo modo, determinare due polinomî Q e R tali che Q sia di grado n − m, R di grado minore del grado m di B e sussista l'identità
Il polinomio Q si dice quoziente di A per B, mentre R si chiama il resto; l'operazione con cui si trovano i polinomî Q ed R si designa col nome di divisione dei polinomî in una stessa indeterminata. Per la corrispondente regola rimandiamo ai trattati di algebra elementare. Qui converrà soffermarsi sul caso particolare che si presenta in varie questioni, cui si è condotti quando si voglia dividere un polinomio A(x) per un binomio di 1° grado nella x che si può sempre supporre ridotto alla forma x − c. Allora si dovrà avere
essendo r il valore A (c) assunto da A (x) per x = c.
Ne segue che un polinomio A (x) è divisibile per x − c solo quando si annulla per x = c.
P. Ruffini (v.) ha assegnato una regola, che va sotto il suo nome e che consente di calcolare, più rapidamente che non nel caso generale, il quoziente Q e il resto r della divisione di A (x) per x − c.
Eccone l'enunciato. Quando un polinomio, ordinato secondo le potenze decrescenti di una indeterminata x, si divide per un binomio x − c, il quoziente, ordinato anch'esso nel medesimo modo, ha lo stesso primo coefficiente del dividendo, e ciascuno degli altri suoi coefficienti si ottiene moltiplicando quello immediatamente precedente per c e aggiungendo il coefficiente di egual posto del dividendo. Il termine noto si ottiene quando si arriva a utilizzare il penultimo coefficiente del dividendo; e se si applica ancora una volta la stessa regola, si ottiene il resto della divisione.
Si voglia dividere, ad es., il polinomio
Si osserva che il polinomio è privo del termine di 1° grado, talché il coefficiente corrispondente è lo zero; e si dispone l'operazione secondo il quadro seguente:
Il quoziente è il polinomio 2 x4 + x3 + 4 x2 + 5 x + 10 e il resto è 21.
In questioni importanti che interessano le applicazioni dell'algebra alla geometria si è condotti a considerare polinomî in due o più indeterminate. Così, ad es., un polinomio in due indeterminate x, y si potrà ordinare decomponendolo nella somma dei varî gruppi di termini di ugual grado (polinomî parziali omogenei), e scrivendo questi polinomî parziali l'uno dopo l'altro nell'ordine decrescente dei loro gradi. Il più generale polinomio di 2° grado nelle indeterminate x, y si scriverà, seguendo il precedente criterio, sotto la forma
Si potrà invece ordinare il polinomio secondo le potenze decrescenti di una indeterminata; e allora i coefficienti risulteranno polinomî nell'altra. Così, ordinando secondo le potenze della y il polinomio dianzi considerato, si otterrà
dove gl'indici dei coefficienti α0, α1, α2 denotano il grado che essi possono al massimo raggiungere nella indeterminata x.