POLIOMIELITE (XXVII p. 665; App. II, 11, p. 567)
Le condizioni tecniche di accertamento eziologico enormemente migliorate, le approfondite indagini epidemiologiche condotte con larghezza di mezzi in più paesi ed in varî continenti e le conseguenti possibilità di identificazione clinico-diagnostica dei casi latenti, frusti o atipici di. malattia hanno dato alla p. una fisionomia clinica ed epidemiologica profondamente diversa da quella che la caratterizzava fino a pochi anni or sono.
Si aggiunga che, oltre alle suddette aumentate possibilità di riconoscimento, la malattia poliomielitica ha subìto nell'ultimo decennio una profonda trasformazione (patomorfosi) legata, secondo l'opinione della maggior parte degli studiosi, al progresso e quindi al miglioramento delle condizioni igienico-sociali raggiunti in ogni paese del mondo. Queste modificate condizioni di vita sottopongono l'individuo alla spontanea immunizzazione che viene acquisita durante i primi anni di vita a mezzo del contatto quotidiano con portatori sani, con malati aparalitici o direttamente con il virus libero nell'ambiente. Le possibilità sempre più larghe di spostamenti di singoli individui o di gruppi di individui sulla superficie terrestre ha consentito la comparsa della p. in paesi prima esenti e probabilmente anche favorito l'affioramento di nuovi ceppi virali.
Da queste constatazioni derivano l'aumento in continuo progresso dei casi di malattia, le modificazioni delle caratteristiche epidemiologiche di essa (da endemica in endemo-epidemica) e l'interessamento di sempre più larghi strati della popolazione, per cui la p. si è andata sempre più estendendo in questi ultimi anni all'età adulta; quest'ultimo aspetto riguarda in particolare l'Italia, essendo questo tipo di comportamento già presente negli Stati Uniti, nel Canada e nelle nazioni dell'Europa settentrionale.
Eziologia. - Il sottocomitato per i virus della Commissione permanente internazionale sulla nomenclatura batteriologica ha raggruppato i virus poliomielitici patogeni per l'uomo sotto la denominazione di Poliovirus hominis; ne sono noti tre tipi fondamentali: tipo I (Brunhilde), tipo 2 (Lansing), tipo 3 (Leon). La scoperta delle culture virali su cellule di tessuto animale, per merito di I. F. Enders, F. C. Robbins e T. H. Weller, dando la possibilità di coltivare e quindi di isolare e di studiare su vasta scala i Poliovirus, ha ampliato le nostre conoscenze sulla p. in senso clinico ed epidemiologico aprendo, nel contempo, la via a quella che rappresenta una vera conquista della moderna profilassi: la vaccinazione antipoliomielitica. Le cellule più largamente usate per la coltura dei Poliovirus sono quelle di rene di scimmia Rhesus ed alcuni stipiti di cellule neoplastiche, tra cui il ceppo He-La proveniente da un carcinoma del collo dell'utero di una donna negra (la sigla rappresenta le iniziali del nome e cognome della paziente), ed il ceppo KB proveniente da un carcinoma del pavimento della bocca, isolato da H. Eagle nel 1955. La tecnica delle colture di tessuto ha permesso di isolare molti ceppi di virus poliomielitici, circa un migliaio (ceppi Hof, Mahoney, Riley, MEF I, WW, Yale SK, Saukett, ecc.), che però dal punto di vista sieroimmunologico sono correlati ai tre tipi fondamentali sopra indicati. Sul piano statistico si ha netta prevalenza del tipo 1: 85% per il tipo 1; 12% per il tipo 2; 3% per il tipo 3.
Nelle ricerche sperimentali il tipo Lansing è stato quello più largamente utilizzato. Isolato da C. A. Armstrong attraverso l'inoculazione nella scimmia di sospensioni di cervello e di midollo spinale di un giovane morto di poliomielite bulbare in Lansing nello stato del Michigan (S.U.A.), questo virus è stato successivamente adattato al ratto del cotone ed al topo ed utilizzato ampiamente in ricerche dedicate particolarmente allo studio degli aspetti immunitarî della malattia; la risposta consecutiva all'iniezione del virus può essere determinata agevolmente attraverso una prova di neutralizzazione del virus nel topo.
Patogenesi. - Le nuove acquisizioni hanno permesso di accertare che porta d'entrata e via di eliminazione del virus sono a livello del tubo gastroenterico, da cui il virus passerebbe nel circolo sanguigno, direttamente o attraverso le vie linfatiche, e successivamente raggiungerebbe il sistema nervoso centrale diffondendosi per via neurale a tutto il nevrasse. Il virus potrebbe anche raggiungere il sistema nervoso direttamente dal tubo gastroenterico tramite le vie neurovegetative, i ganglî spinali e le radici posteriori midollari.
Secondo molti studiosi il passaggio del virus dal circolo al sistema nervoso centrale sarebbe favorito dagli insulti traumatici. Questi ultimi agirebbero o provocando soluzioni di continuo nella struttura muscolare e quindi aprendo all'ingresso del virus le vie motorie dirette alle cellule delle corna anteriori del midollo spinale, oppure, determinando la rottura dell'equilibrio biologico preesistente tra il virus e l'organismo o permettendo l'inizio e l'affioramento della malattia nei casi in cui questa si trova allo stato latente. Non si può infatti contestare l'insorgenza di paralisi poliomielitiche in seguito a semplici iniezioni intramuscolari o ad interventi chirurgici (tonsillectomia, appendicectomia) oppure dopo vaccinazioni. Per queste ultime è opportuno sottolineare che l'insorgenza della p. in forma paralitica è indipendente dal semplice trauma legato alla iniezione intramuscolare, per cui è consigliabile che dette pratiche profilattiche vengano effettuate in un periodo che non coincide con quello epidemico della p. e particolarmente nei mesi estivi.
Evoluzione clinica. - Gli studî recenti hanno potuto documentare che la malattia si può manifestare in forma abortiva, o inapparente, con sintomatologia cioè assente o attenuata al punto da sfuggire ad ogni possibilità diagnostica: ciò assume enorme importanza sul piano epidemiologico ove si consideri che questi casi costituiscono altrettanti portatori che diffondono inconsapevolmente la malattia. I casi attenuati o subclinici, per i quali, come si è detto, le possibilità diagnostiche sul piano puramente clinico sono molto aleatorie, costituiscono altrettanti focolai di propagazione della malattia: J. L. Melnick valuta ad 1 a 1000 il rapporto tra casi conclamati e casi di infezioni inapparenti, mentre H. Collins calcola questo rapporto ad 1 a 200.
Attualmente la p. - concetto di "dualità clinica" secondo P. Lépine - non è più ritenuta una malattia legata ad un virus strettamente neurotropo, bensì una malattia a localizzazione intestinale che dà solo occasionalmente manifestazioni nervose. La successione dei fatti che portano dalla "p. infezione" alla "p. malattia" può essere così schematicamente rappresentata: fase intestinale puramente latente o subclinica (raramente caratterizzata da episodî diarroici con febbre), fase viremica accompagnata talora da reazione meningea, fase nervosa con o senza espressione paralitica.
Terapia e profilassi. - Una terapia "eziologica" della p., rivolta cioè alla distruzione o neutralizzazione dell'agente della malattia, ancora oggi non esiste; nel campo dei presidî terapeutici sussidiarî registriamo invece qualche progresso: l'impiego dei farmaci di tipo cortisonico e quello del respiratore artificiale - noto con il nome di "polmone di acciaio" - nelle forme a localizzazione bulbare con paralisi dei muscoli della respirazione.
Sul piano della profilassi, invece, mentre l'immunizzazione passiva a mezzo delle gamma-globuline non ha dato risultati soddisfacenti, una conquista fondamentale sembra essere costituita dalla immunizzazione attiva mediante l'uso dei vaccini antipoliomielitici. I vaccini oggi esistenti sono di due tipi; quello di J. E. Salk e quello di A. B. Sabin, H. R. Cox e H. Koprowsky. Il primo viene preparato da culture di virus di ciascuno dei tre tipi fondamentali su cellule renali di scimmia Rhesus uccise e inattivate; l'altro, più largamente conosciuto col nome di vaccino per via orale, è costituito da virus viventi, attenuati. Più largamente sperimentato fino ad oggi è il vaccino di Salk, che, secondo un'inchiesta successiva al primo esperimento eseguito negli S.U.A. nel 1954, provoca formazione di anticorpi nel siero di soggetti che ne erano sprovvisti oppure un aumento di essi quando già esistevano, determinando una significativa protezione contro la malattia. La vaccinazione viene eseguita attraverso tre iniezioni (la seconda e la terza praticate rispettivamente 1 e 7 mesi dopo la prima) e, secondo P. Lépine e A. Giovanardi, deve essere effettuata dopo i 6 mesi di vita, quando il bambino ha perduto gli anticorpi trasmessigli dalla madre, e prima dei 12 mesi, in quanto i bambini in età da 1 a 3 anni presentano la più alta incidenza di malattia.
In Italia la profilassi vaccinica antipolio è stata iniziata nel 1957 ed è tuttora in pieno sviluppo e pertanto nulla si può dire circa i risultati della vaccinazione stessa dato il breve periodo d'esperienza e le caratteristiche epidemiologiche che la malattia presenta nel nostro paese.
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