POLITI, Lancillotto in religione Ambrogio Catarino
– Nacque a Siena nel 1484 da Bartolomeo. Fu battezzato il 28 novembre di quell’anno.
Avviato agli studi di philosophia civilis, conseguì a diciassette anni il titolo di dottore in diritto nello Studio di Siena, iniziando l’attività di giureconsulto. Insegnò nelle università di Siena e di Roma ed esercitò le sue arti retoriche in molti studi italiani e francesi. Dopo una breve narrazione storica dedicata alla battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), pubblicata a Siena nel 1502 (da Simone Nardi) con il titolo La sconficta di Monte Aperto, scrisse quattro opere giuridiche tra il 1513 e il 1516, l’ultima delle quali, il De officio advocati (Roma, M. Silber), venne redatta in occasione della sua nomina ad avvocato concistoriale.
Avviato a una carriera in campo giuridico, durante un breve soggiorno fiorentino, sosta di un viaggio al seguito della corte papale diretta a Bologna a firmare il concordato con Francesco I, Politi fece l’incontro che mutò le sorti della sua vita. La lettura di testi savonaroliani trovati negli scaffali della biblioteca privata del suo ospite fiorentino, il ‘piagnone’ Girolamo Benivieni, lo colpì a tal punto da determinare, nel giro di pochi mesi, la decisione di lasciare le glorie della vita terrena per dedicarsi alla ricerca di quelle celesti. Il 5 aprile 1517, quindici mesi dopo quella sosta fiorentina, Politi prese l’abito nel convento domenicano di S. Marco dalle mani di frate Filippo Strozzi, vicario generale della Congregazione, scegliendo il nome di Ambrogio Catarino, in onore del beato senese Ambrogio Sansedoni e di s. Caterina da Siena.
La scelta di Politi fu dunque nei confronti di un uomo, il profeta Girolamo Savonarola, molto prima che nei confronti di una tradizione dottrinale e religiosa; di conseguenza, il suo rapporto con l’Ordine domenicano fu segnato da continui contrasti, anche in ragione del fatto che egli fu spesso più sensibile a tradizioni assimilate nella giovinezza (come il culto dell’Immacolata Concezione) che non alle regole apprese nel breve noviziato domenicano.
Gli anni Venti furono caratterizzati dallo scontro che oppose il convento senese di S. Spirito, di cui Politi era priore, ai vertici dell’Ordine, che gli intimarono ripetutamente di cessare ogni celebrazione di stampo mariano. Al termine di un braccio di ferro durato fino alla fine del decennio, Politi fu destituito dal priorato. Fu l’avvio di una polemica durante la quale Politi indirizzò le sue invettive soprattutto contro l’autorevole cardinale Tommaso De Vio. All’indomani di una ristampa (1530) degli Ientacula Novi Testamenti del cardinal Gaetano (Tommaso De Vio), Politi dedicò le sue energie a confutare un’interpretazione scritturale che avvertiva come pericolosamente vicina all’esegesi letterale promossa da Erasmo. Nel 1532 pubblicò la Disputatio pro veritate Immaculatae Conceptionis beatae Virginis (Roma, A. Blado), un testo in cui chiese ai vertici del suo Ordine di rivedere il divieto di celebrare Maria Immacolata. I rapporti di forza erano evidentemente sproporzionati e Politi fu costretto a capitolare. Soltanto un volontario esilio in Francia, nel 1534, lo allontanò da un clima insostenibile e soprattutto solamente a Parigi, forte dell’appoggio dei teologi della Sorbonne, riuscì a ottenere il permesso di pubblicare le Annotationes anticaietanesche.
Appena due anni dopo la sua entrata nell’Ordine, nel 1519 ricevette l’importante incarico di replicare per iscritto al giovane Martin Lutero, pubblicando un’Apologia pro veritate cattolica (Er. F. Giunti, 1520). La sua attività di controversista riprese però solamente all’indomani del suo rientro in Italia, nel 1537. A quel periodo risalgono l’amicizia con Vittoria Colonna, il legame con Iacopo Sadoleto, lo stretto rapporto con Gasparo Contarini e la pubblicazione di uno Speculum haereticorum, dedicato alla Colonna, nella sua prima edizione del 1540 (Cracovia, J. Haeliz), e al pontefice Paolo III nell’edizione dell’anno seguente (Lione, A. Vincenzo e T. Pagano, 1541). Nel De perfecta iustificatione del 1543 iniziò a circoscrivere la sua polemica.
Bernardino Ochino, allora generale dell’Ordine cappuccino, e l’anonimo autore di una prima versione manoscritta del Beneficio di Cristo furono l’oggetto appena velato di un’invettiva che nel 1543, con il Trattato de la giustificatione (stampato probabilmente a Roma, per Girolama Cartolari, nel 1544) si fece sempre più esplicita, ferma restando però la decisione di non nominare apertamente i suoi avversari. La decisione del gruppo viterbese degli spirituali di mandare in stampa il Beneficio di Cristo nel 1543 tolse a Politi ogni remora e lo indusse a redigere una puntuale risposta al testo, pubblicandola nei primi mesi del 1544 insieme con altre due sue opere di controversia. Così il Compendio d’errori et inganni luterani fu mandato in stampa a Roma, per i tipi di Girolama Cartolari, insieme con la Reprobatione de la dottrina di frate Bernardino Ochino e la Resolutione sommaria contra… il Sommario de la Sacra Scrittura. Con questa triplice operazione editoriale egli non solo accomunò l’autore del Beneficio di Cristo all’apostata Ochino, ma presentò quel testo come il tassello più importante di un disegno propagandistico che, attraverso la diffusione di testi anonimi in lingua volgare dal titolo accattivante e ingannevole, mirava a diffondere la peste ereticale tra il «vulgo ignorante» sfruttando il dolce messaggio del sacrificio di Cristo.
Nel corso degli anni Quaranta Politi si rese protagonista di una serie di tentativi di risoluzione non inquisitoriale di casi di eresia, perseguendo strategie di persuasione radicalmente alternative a quelle degli inquisitori. Non è del tutto chiaro ancora quale fosse, e se vi fosse, un ruolo istituzionale; se, per esempio, egli godesse di poteri concessigli dalla Penitenzieria apostolica in qualità di confessore o di predicatore apostolico; se egli disponesse di facoltà apostoliche o episcopali di assoluzione dai casi riservati, estese anche all’eresia. La documentazione superstite è tuttavia sufficiente per delimitare i contorni di questa azione e per individuare il ruolo tutt’altro che marginale che Alfonso Salmerón, e la Compagnia di Gesù con lui, vi dovette avere.
Il primo caso di ‘conversione’ operata da Politi fu quello di Federico Orlandini, nobile senese, strettissimo amico di Aonio Paleario, «sedutto» da Reginald Pole, processato nel 1542 dall’arcivescovo di Siena Francesco Bandini, infine «dissuaso» da Politi e scagionato – in circostanze ancor non ben definite – dalle accuse di eresia che gli erano state rivolte. Tre anni dopo, nel dicembre 1545, Politi fu con ogni probabilità protagonista di un clamoroso tentativo di conversione dell’ex generale dei cappuccini, Bernardino Ochino, fuggito apostata dall’Italia nell’agosto 1542. La vicenda, nella quale fu coinvolto il generale dei gesuiti Ignazio di Loyola, non ebbe alcun seguito, ma poco più di un anno dopo, nel marzo 1547, a Bologna, dove il concilio era stato momentaneamente trasferito, Politi «persuase» l’eretico bolognese Giovan Battista Scotti (già processato nel 1543 e liberato dopo l’abiura per intercessione di Pole) a tornare all’ovile. Lo poté fare con la collaborazione di Salmerón, il quale, dietro incarico dei cardinali legati, fece abiurare Scotti e gli diede l’assoluzione.
Mentre combatteva la sua battaglia controversistica Politi fu costretto a sua volta a difendersi da accuse di eresia che gli furono rivolte da membri autorevoli dell’Ordine. Il maestro del Sacro Palazzo, Bartolomeo Spina, che già nel 1542 aveva presentato al capitolo generale una lista di quindici errori estrapolati dalle principali opere di Politi, responsabile a suo dire di avere tradito l’ortodossia tomista, tornò alla carica nel 1546 nel momento in cui si profilò per Politi la promozione vescovile. L’anno precedente questi era stato chiamato da Paolo III a partecipare all’imminente concilio in qualità di teologo pontificio, e i due legati pontifici Marcello Cervini e Giovanni Maria Del Monte si erano presto adoperati per promuoverlo alla dignità vescovile. Le accuse di Spina non impedirono la nomina, che avvenne nell’agosto di quell’anno. Politi ebbe la diocesi di Minori, ottenendo il diritto di partecipare con il voto a tutte le congregazioni generali.
Il contributo di Politi fu rilevante in molte delle questioni affrontate nella prima fase dell’assise, dal nodo della giustificazione a quello delle traduzioni vernacolari della Bibbia, a quello del diritto divino di residenza vescovile. Non sempre tuttavia le sue capacità di mediatore riuscirono a contemperare le asperità del suo carattere e la forza delle sue convinzioni. Intorno alla questione della certezza della grazia fu protagonista di uno scontro con il teologo domenicano spagnolo Domingo de Soto che continuò ben oltre i banchi tridentini. Nelle accuse di eresia rivoltegli da Soto si rifletteva, ancora una volta, l’ostilità del suo Ordine di appartenenza, ma anche l’originalità di un pensiero difficilmente riducibile alle ragioni di scuola.
Nel 1548 Politi pubblicò un Discorso contra la dottrina et le profetie di fra Girolamo Savonarola (Venezia, G. Giolito). Si trattò del punto di arrivo di un lungo e tormentato percorso di ripensamento della sua scelta savonaroliana, ma anche di uno dei più organici attacchi alla dottrina e al profetismo savonaroliani mai sferrati fino a quel momento. Forte fu l’influenza dell’opera sugli estensori del primo Indice romano dei libri proibiti del 1559. Nel 1551, infine, Catarino pubblicò alcune pagine di condanna di Niccolò Machiavelli (Quam esecrandi Macchiavelli discursus et institutio principis), inserendole al termine di un paragrafo delle sue Enarrationes (Roma, A. Blado, 1552) dedicato ai libri nocivi e pericolosi. Machiavelli ne emergeva come colui che aveva insegnato agli eretici italiani le arti della simulazione. Per quanto non si trattasse della prima censura dell’opera del segretario fiorentino, quella di Politi può essere considerata la prima riflessione sull’influenza delle dottrine machiavelliane nella realtà italiana della prima metà del XVI secolo.
Il forte legame con Del Monte, ormai papa Giulio III, suo antico maestro presso lo Studio di Siena, gli valse comunque la nomina all’arcivescovato di Conza (1551) e la proposta di una porpora cardinalizia che Politi non fece tuttavia in tempo a indossare.
Morì infatti a Napoli nel novembre 1553, proprio mentre si recava a Roma per ricevere la più alta dignità ecclesiastica.
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