Politica commerciale comune dell'UE e guerre commerciali
L’Unione europea si trova ad affrontare, per conto degli Stati membri, un conflitto commerciale intrapreso dall’Amministrazione statunitense all’inizio del 2018, che coinvolge anche e soprattutto la Cina. Il sistema di soluzione delle controversie tra Stati, appositamente previsto nella cornice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio per consentire di evitare o contenere le guerre commerciali, è messo a dura prova. Più in generale l’insieme del quadro giuridico multilaterale degli scambi di merci e servizi tra gli Stati è sotto attacco, in particolare da parte degli Stati Uniti, in modo sistematico e preoccupante. L’Unione europea, modello giuridico di organizzazione funzionale al libero scambio e all’integrazione dei mercati particolarmente progredito, può giocare un ruolo decisivo per evitare che siano compromessi i capisaldi del sistema neoliberista in una fase di forte turbolenza e in assenza di valide alternative.
La politica commerciale comune rientra, ai sensi dell’art. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), tra le competenze esclusive dell’Unione, così come l’unione doganale che ne costituisce il presupposto. La scelta originaria degli Stati membri di abdicare alle proprie prerogative, per quanto riguarda i rapporti commerciali con gli Stati terzi, a favore dell’Unione si è dimostrata strategica rispetto a una pluralità di aspetti, sia economici sia giuridici, sopravvenuti nel tempo. In termini generali, è, del resto, agevole comprendere come tale scelta sia la diretta e coerente conseguenza della volontà di realizzare un mercato unico e consentire, con l’abolizione dei dazi intracomunitari e delle tasse di effetto equivalente, la libertà di circolazione delle merci al suo interno. L’istituzione di un sistema doganale integrato attraverso l’adozione di una tariffa doganale comune (TDC), su ogni prodotto in ingresso nel o in uscita dal mercato comune (ovunque ciò avvenga), è, dunque, l’architrave su cui poggia l’intero sistema e, come vedremo meglio infra, attribuisce all’Unione europea, per conto degli Stati membri, la conduzione delle ordinarie relazioni commerciali, così come delle cd. guerre commerciali. L’ispirazione che sorregge la conduzione della politica commerciale comune dell’Unione europea è dichiaratamente neoliberista1. L’Unione, come espressamente stabilisce l’art. 206 del TFUE, è impegnata a contribuire, nell’interesse comune, allo sviluppo armonioso del commercio mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali e agli investimenti esteri diretti, nonché alla riduzione delle barriere doganali e di altro tipo. Questa impostazione garantisce la proiezione esterna, nei confronti degli Stati terzi, dell’originario pactum fiduciae intercorso tra gli Stati membri. La politica commerciale comune è, del resto, condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell’azione esterna dell’Unione, di cui è parte integrante, e avviene sulla base di un concorso di competenze delle sue istituzioni. La Commissione europea conduce i negoziati con gli Stati terzi, mentre al Parlamento europeo e al Consiglio spettano l’approvazione degli accordi internazionali nonché l’adozione di regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio, nell’ambito del quale siedono i rappresentanti dei Governi degli Stati membri, è chiamato a deliberare, secondo quanto disciplinato dall’art. 207 TFUE, a maggioranza ovvero all’unanimità a seconda del contenuto dell’accordo. Nell’eventualità, infine, che l’accordo internazionale tratti aspetti che non rientrino in tutto o in parte nella competenza esclusiva dell’Unione, gli Stati membri sono, a loro volta, coinvolti nel negoziato e debbono individualmente sottoscrivere e ratificare l’accordo in conformità con le rispettive procedure interne (cd. accordi misti)2. La sede istituzionale nel cui ambito si esprime, almeno su base multilaterale, la politica commerciale comune è l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). L’Unione europea è parte contraente dell’accordo istitutivo dell’OMC dal 1° gennaio 1995, accanto e non in sostituzione dei suoi Stati membri, proprio in considerazione della circostanza che esso è considerato un accordo misto3. È facile comprende come sia necessaria una stretta cooperazione tra la Commissione europea e le delegazioni degli Stati membri per garantire, il più possibile, un’unità di rappresentanza internazionale all’interno dell’OMC, specialmente in caso di contenzioso commerciale con Stati terzi (ovviamente, solo con riferimento a fattispecie che non rientrino per intero nella competenza esclusiva dell’Unione europea, altrimenti il problema non si pone). Le situazioni di contenzioso commerciale tra Stati rientrano, entro una certa misura, nell’ordinaria amministrazione. Proprio al fine di consentire di dirimere, in modo ordinato e disciplinato, le dispute insorte è stato istituito, nell’ambito dell’OMC, un sistema di soluzione delle controversie commerciali che prevede un doppio grado di giudizio e che pur avendo indiscutibilmente natura giudiziale favorisce e incentiva la conciliazione tra le parti in lite4. Qualora si assista non a singole e autonome controversie, contraddistinte da profili eminentemente tecnici, bensì a un contenzioso di più ampia portata e ispirato da motivazioni macroeconomiche, se non addirittura politiche, ci si trova in presenza di una vera e propria guerra commerciale (trade war) che può assumere carattere bilaterale e, più raramente, multilaterale. Quella condotta nel corso del 2018 è per l’appunto una guerra commerciale che merita di essere analizzata e compresa per le rilevanti implicazioni che comporta non solo rispetto alle parti direttamente coinvolte ma per l’intera Comunità internazionale.
Nel corso degli ultimi due secoli sono periodicamente insorte guerre commerciali di portata e durata più o meno estese e con conseguenze diverse. È appena il caso di evidenziare come l’insorgere della contrapposizione sia, per lo più, da ricondurre a una visione protezionistica dei rispettivi mercati nazionali e sia sorretta dalla volontà di salvaguardare o accrescere unilateralmente i livelli di occupazione e di benessere economico dei cittadini di un determinato Stato, anche a costo di compromettere le relazioni con gli altri Stati della Comunità internazionale. Nel XIX secolo lo strumento maggiormente utilizzato per perseguire l’obiettivo di riequilibrare la bilancia commerciale e, quindi, diminuire le importazioni è stato l’innalzamento dei dazi doganali; poi, nel corso degli anni, sono state adottate misure più sofisticate sebbene con lo stesso obiettivo5. L’apice del protezionismo è stato raggiunto, come è ampiamente noto, nel corso degli anni trenta del secolo scorso con la compartimentazione dei mercati nazionali fino al manifestarsi del fenomeno dell’autarchia. Il protezionismo, che ha caratterizzato quegli anni, è pacificamente riconosciuto come uno delle cause della degenerazione dei rapporti tra gli Stati che ne seguì e che culminò nel secondo conflitto mondiale.
Sebbene ciascuna guerra commerciale assuma tratti abbastanza caratteristici, anche in relazione alle specificità degli Stati che vi prendono parte, è possibile individuare alcuni elementi ricorrenti. In primo luogo, come già anticipato, la contrapposizione tra Stati è tipicamente bilaterale e molto più raramente multilaterale. Ciò non impedisce affatto che uno Stato conduca, contemporaneamente, una guerra commerciale nei confronti di più Stati anche se questi ultimi sono, per lo più, indifferenti gli uni rispetto alla posizione degli altri. Un secondo tratto caratteristico ricorrente è la cd. ritorsione, in inglese retaliation, attuata dallo Stato che subisce la misura ostile iniziale e che innesca, a sua volta, una contro ritorsione, dando vita a una progressiva, e più o meno rapida, intensificazione del conflitto commerciale, cd. escalation, che può arrivare teoricamente al blocco totale dei rapporti commerciali tra gli Stati coinvolti. Questa modalità di reazione costituisce, d’altra parte, anche la ragione principale di freno alla degenerazione (e, talvolta, persino allo scoppio) delle ostilità tra i contendenti. Infatti, all’iniziale azione avversa dello Stato A, che interesserà un determinato settore merceologico nel presupposto di salvaguardare la produzione nazionale a scapito di quella estera, si contrapporrà la reazione dello Stato B che andrà a colpire un settore in cui, viceversa, le esportazioni dallo Stato A verso il suo mercato sono ragguardevoli, in modo da penalizzarle. Ciò significa che, a meno di ipotizzare un apocalittico scenario finale di tabula rasa dei rapporti commerciali bilaterali6, le stesse imprese (e, in definitiva, i cittadini) dello Stato A non saranno favorevoli a insistere a lungo, fino alle sue estreme conseguenze, nella conduzione della guerra commerciale. Infine, soprattutto in epoca contemporanea e ancora di più quando le parti in disputa siano Stati con mercati considerevoli, per ricchezza ed estensione, si assiste, nel medio periodo, a un effetto boomerang nei confronti delle imprese e dei cittadini dello Stato che ha iniziato le ostilità. L’innalzamento dei dazi produce, come immediata conseguenza, la crescita dei prezzi dei prodotti finiti e, quindi, una caduta della capacità di acquisto dei consumatori e, successivamente, delle imprese, specialmente di quelle che si collocano alla fine della catena produttiva e della grande distribuzione7. In sostanza, a maggior ragione nell’epoca contemporanea segnata da intensissimi scambi commerciali, è pressoché impossibile circoscrivere l’ostilità a un determinato settore merceologico conseguendo concreti e, soprattutto, durevoli effetti di riequilibrio complessivo della bilancia dei pagamenti nelle relazioni commerciali tra due Stati. Il riequilibrio può essere più efficacemente perseguito e durevolmente mantenuto attraverso l’incentivazione di investimenti nelle infrastrutture e nella ricerca o l’alleggerimento degli oneri fiscali o ancora, e soprattutto, con l’adozione di una legislazione al passo con i tempi. In altre parole, attraverso il perseguimento dell’alta qualità dei prodotti destinati al mercato interno come a quello globale.
La guerra commerciale attualmente in atto ha preso avvio nel marzo del 2018 ed è considerata, per volume degli affari coinvolti e per i suoi protagonisti, una tra le più ragguardevoli della storia recente. Gli Stati Uniti la conducono, contemporaneamente, nei confronti della Cina, dell’Unione europea e, in misura minore, di ulteriori Stati (Canada, Messico, India) con l’evidente obiettivo di riequilibrare la loro bilancia commerciale che presenta, specialmente rispetto alla Cina, un saldo pesantemente negativo8. La motivazione economica sottostante trova, a sua volta, il presupposto nelle promesse elettorali che hanno portato all’elezione del Presidente Donald Trump9. Infatti, le misure in questione sono state precedute e/o accompagnate dalla decisione statunitense di avviare consultazioni con il Messico e il Canada per rinegoziare il NAFTA10 e l’accordo di libero scambio del 2012 con la Corea del Sud e, infine, di porre all’ordine del giorno una radicale riforma dell’OMC e del suo sistema di soluzione delle controversie11. Come era facilmente prevedibile, la reazione, in particolare ma non solo della Cina, alle misure adottate dall’amministrazione Trump non si è fatta attendere, così da dare avvio a una classica escalation di misure e contromisure. Lo scenario che si è rapidamente realizzato, in meno di sei mesi dall’inizio delle ostilità, è così quello tipico di un intenso conflitto commerciale per quanto riguarda sia l’aumento dei volumi commerciali colpiti sia l’estensione della tipologia delle merci coinvolte. Si è, infatti, passati dall’imposizione di dazi aggiuntivi riferiti a volumi relativamente contenuti e limitati al settore dell’acciaio e all’alluminio, a imposizioni, sulle reciproche importazioni, che hanno a oggetto prodotti quanto mai differenziati per valori di decine di miliardi di dollari12. Ciò che colpisce maggiormente nei resoconti di questa escalation è proprio la varietà delle merci destinatarie del progressivo aumento dei dazi in provenienza dalla Cina (dai veicoli elettrici ai torni industriali, dalle lavatrici ai pneumatici per gli aerei, in tutto più di 800 diversi tipi di merci) e, per contro, destinati alla Cina (semi di soia, whisky, blue jeans, cibo in scatola, in tutto quasi 700 diversi tipi di merci). È appena il caso di sottolineare come l’estensione del conflitto produca via via effetti, diretti e indiretti, su un numero sempre più considerevole di lavoratori e consumatori di entrambi gli Stati13. Sebbene il fronte più rilevante del conflitto riguardi le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina14, anche quello tra Stati Uniti e Unione europea preoccupa, per più di un profilo, gli osservatori di tutto il mondo. Le tariffe aggiuntive riferite ad acciaio (+ 25%) e alluminio (+10%) sono entrate in vigore nei confronti delle importazioni dall’Unione europea due mesi dopo quelle adottate nei confronti delle importazioni dalla Cina. L’Unione europea ha reagito aumentando le proprie tariffe doganali su prodotti importati dagli Stati Uniti (motociclette, alcolici e succo di arancia) per un valore commerciale di poco più di $3 miliardi. Una reazione decisamente contenuta e, comunque, assunta creando i consueti malumori nei Governi degli Stati membri dell’Unione europea che sono interpreti di interessi commerciali tra loro molto diversi, se non, addirittura, opposti15. Dopo che si è manifestata la possibilità di estendere reciprocamente i provvedimenti di innalzamento delle tariffe alle autovetture (+ 25%), l’amministrazione Trump e la Commissione europea hanno deciso di addivenire a una tregua che “congeli”, per il momento, il conflitto allo stadio attuale. È stato altresì concordato di elaborare proposte congiunte di riforma delle regole dell’OMC in relazione alle pratiche commerciali sleali, ai cd. trasferimenti tecnologici forzati, ai sussidi industriali, e alle distorsioni create dalle imprese di stato e l’eccesso di produzione. Tutti temi che, evidentemente, riguardano le relazioni commerciali con la Cina sia degli USA che dell’Unione europea.
Come abbiamo appena visto, l’attuale scenario presenta tratti assimilabili a quelli di una tipica guerra commerciale. Si tratta di aspetti di natura prevalentemente economica e politica e solo in misura sussidiaria di carattere giuridico16. Questi ultimi assumono particolare rilievo in relazione alla circostanza che gli Stati, le cui merci sono state oggetto di un repentino e significativo innalzamento delle tariffe doganali, hanno deciso di aprire un contenzioso con gli Stati Uniti davanti all’OMC, onde fare accertare l’illegalità delle misure prese e ottenerne la rimozione ex nunc. Gli Stati Uniti, a loro volta, hanno chiesto l’avvio di consultazione rispetto alle contromisure assunte dalla Cina e dall’Unione europea.
Il procedimento davanti al sistema di soluzione delle controversie dell’OMC è relativamente complesso e strutturato17. Alla prima fase di consultazione, qualora non venga raggiunta una composizione della lite, segue l’apertura del contenzioso vero e proprio, che si svolge davanti a un’istanza arbitrale ad hoc (nota come panel) e si conclude con un report destinato ad assumere la veste giuridica della decisione una volta che abbia avuto il via libera dall’insieme delle Parti contraenti18. La decisione del panel è suscettibile di impugnazione davanti all’Organo di appello che è, invece, un organo giudiziario permanente, formato da sette componenti, ed è chiamato a pronunciarsi solo su questioni di diritto sollevate nel giudizio svoltosi dinanzi al panel. Proprio al fine di scongiurare l’insorgere di guerre commerciali, lo Stato B, che ritenga illegittimo l’ordine istitutivo di dazi (o di maggiori dazi), non può assumere contromisure se non dopo che si sia svolto un giudizio di accertamento dell’illegittimità del comportamento dello Stato A e sia stato autorizzato per quanto riguarda l’an e il quantum della ritorsione. Diversamente l’adozione di contromisure è suscettibile, a sua volta, di essere oggetto dell’avvio di una procedura di accertamento della sua illegittimità davanti al medesimo sistema di soluzione delle controversie dell’OMC. Alla luce di queste premesse, appare scontato rinvenire un alto numero di procedimenti avviati dalla Cina e dall’Unione europea, ma anche dagli Stati Uniti, davanti all’OMC a seguito dell’apertura delle ostilità commerciali nel marzo del 2018 e, a seguire, delle contromisure e delle contro contromisure decretate via via dagli Stati interessati e a tutt’oggi vigenti.
È troppo presto per conoscere in dettaglio le ragioni giuridiche che i contendenti intendano fare valere e, soprattutto, occorreranno ancora diversi mesi perché i procedimenti avviati giungano a conclusione attraverso l’eventuale adozione dei reports deliberati dai panels via via istituiti19.
possibile, nondimeno, svolgere alcune sintetiche considerazioni in merito, in particolare, alle giustificazioni giuridiche addotte dagli Stati Uniti per l’assunzione dei primi provvedimenti di innalzamento dei dazi sull’acciaio e l’alluminio e gli argomenti contrapposti dagli Stati colpiti dall’aumento repentino delle imposizioni alle frontiere. Gli Stati Uniti hanno giustificato l’adozione di dazi su acciaio e alluminio per motivi di sicurezza nazionale facendo ricorso alla Section 232 del Trade Expansion Act del 1962 e basandosi su quanto stabilito dall’art. XXI del GATT 199420. I precedenti utili in proposito sono pochi e di scarso aiuto. In passato e ancora in vigenza del GATT 1947, l’eccezione in questione fu sollevata nella controversia commerciale tra Stati Uniti e Nicaragua nel 1985 senza, però, che il panel incaricato arrivasse a pronunciarsi nel merito della controversia e, quindi, dell’ammissibilità dell’eccezione. Molto più recenti e ancor pendenti sono i casi di Russia contro Ucraina e Quatar contro Arabia Saudita, Bahrein e Emirati Arabi Uniti nel corso dei quali l’eccezione è stata effettivamente sollevata. Nel primo caso, il panel ha sostanzialmente accolto, dopo un’attenta analisi dei fatti, la scriminante. Nel secondo caso l’eccezione non è stata ancora discussa21. Non ci sembra, comunque, che si possa legittimamente sostenere che lo Stato disponga di una discrezionalità piena e insindacabile nell’invocare la suddetta motivazione a scriminante assoluta delle sue scelte commerciali. Le Parti contraenti sono, del resto, tenute al rispetto del principio di buona fede e debbono evitare di incorrere nell’abuso del diritto in un sistema pur sempre basato sulla legalità. Ciò significa che i panels, investiti delle controversie tra Stati Uniti e Cina e tra Stati Uniti e Unione europea, potranno legittimamente pronunciarsi nel merito della questione e soppesare la fondatezza, nel caso di specie, della predetta eccezione. Con riferimenti alle contromisure assunte, a seguito dell’adozione del primo provvedimento del marzo del 2018, dalla Cina e dall’Unione europea nei confronti delle merci provenienti dagli Stati Uniti e, successivamente, da questi ultimi in funzione di contro contromisure l’eccezione di cui all’art. XXI del GATT 1994 (per motivi di sicurezza nazionale) non è stata più riproposta. Per completezza di analisi, occorre precisare che il sistema OMC consente alle Parti contraenti l’adozione di specifiche e legittime misure, se ne ricorrano i presupposti, per reagire a un abnorme aumento di importazioni di determinate merci provenienti dall’estero. Sono le cd. misure di salvaguardia, che trovano giustificazione ai sensi dell’art. XIX del GATT 1994, al fine di «prevenire o rimediare a un grave pregiudizio sofferto dai produttori nazionali di un determinato bene, sorto in seguito a un considerevole incremento delle importazioni». Gli Stati Uniti non hanno, però, invocato tale disposizione, a ragione delle misure adottate, perché la sua applicazione richiede una verifica preliminare e dettagliata dei presupposti economici che la giustifichino e che, in passato, ha comportato indagini laboriose e onerose senza portare a risultati, per le imprese degli Stati Uniti, davvero apprezzabili e, soprattutto, immediati.
La guerra commerciale in atto esprime una contrapposizione che va oltre il caso specifico dei rapporti commerciali tra i principali protagonisti dell’economia mondiale (Stati Uniti, Cina e Unione europea)22. Essa cela una contrapposizione ideologica tra una visione neoliberista e una sovranista che si combatte, con esiti ancora incerti, prima di tutto all’interno dei singoli Stati. I dati economici, messi a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), dalla Banca Mondiale e dalla stessa OMC23, ci dicono chiaramente che è in atto, a livello mondiale, una ridistribuzione della ricchezza prodotta a favore delle popolazioni dell’Asia in un quadro complessivo di crescita nel quale le economie di alcuni Stati (appunto quelli asiatici) corrono più velocemente degli altri. Questo processo potrebbe, in futuro, coinvolgere anche l’Africa, ma è ancora troppo prematuro per avere certezze al riguardo. Molto dipenderà da come si svilupperà l’aumento demografico, ampiamente previsto e decisamente più consistente in quest’ultimo continente rispetto a quanto accadrà, nei prossimi anni, negli altri. In un contesto globale in così rapida evoluzione, le regole giuridiche multilaterali, che hanno fin qui garantito il dipanarsi sostanzialmente ordinato e in costante crescita degli scambi commerciali mondiali, subiranno pressioni fortissime che potrebbero farle saltare. Già si è fatto cenno della sostanziale impasse nei negoziati multilaterali nella cornice dell’OMC (Doha Development Round) e della volontà dell’amministrazione statunitense di rinegoziare gli accordi commerciali multilaterali e bilaterali in essere che si sommano al sostanziale abbandono del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) e allo stallo del Trans-Pacific Partnership (TTP). Si potrebbe così assistere a un paradosso. Il neoliberismo potrebbe cadere vittima del suo successo proprio nel momento in cui la realizzazione di un mercato globale è ormai completata e il supporto tecnologico consente una libertà di movimento di persone, merci, servizi, capitali e dati senza precedenti nella storia dell’umanità. In un contesto di questo tipo, in cui gli Stati non intendono abdicare al loro ruolo di paladini delle legittime, sebbene egoistiche, aspettative dei rispettivi cittadini a costo di mettere in crisi l’intero sistema di relazioni commerciali multilaterali, l’Unione europea può giocare un ruolo fondamentale. L’Unione europea costituisce, infatti, un modello giuridico anticipatorio rispetto agli assetti economici e politici che potrebbero verificarsi, a livello globale, nei prossimi anni. Le regole di convivenza e di superamento delle contrapposizioni tra Stati membri nell’ambito dell’Unione (tra tutte le regole che disciplinano il procedimento di infrazione ex artt. 258 e ss. del TFUE) potrebbero forse essere riprodotte, con gli opportuni adattamenti, nel contesto dell’OMC, così come potrebbero essere replicate le regole che disciplinano la concorrenza tra imprese e, persino, progressivamente intraprese, a livello globale, una politica agricola comune e una di coesione economica, sociale e territoriale che costituirebbero congiuntamente il migliore presupposto per realizzare l’obiettivo di contenere gli attuali e futuri flussi migratori di massa verso l’Europa e gli Stati Uniti24. Per altro verso, le gravi difficoltà che il Regno Unito si trova oggi ad affrontare, dopo la decisione di recedere dall’Unione europea, sono le stesse che attendono gli Stati in caso di abbandono del sistema multilaterale che disciplina il commercio mondiale. Una scelta che, nell’uno come nell’altro caso, appare oggettivamente irrazionale25. I prossimi anni ci faranno capire se le forti turbolenze attraversate nel corso del 2018 siano occasionali e in fase di superamento e se l’assetto giuridico multilaterale, a livello globale come a livello continentale, resterà, nondimeno, saldo anche in futuro.
1 Si rinvia in proposito a Comba, A., a cura di, Neoliberismo e global economic governance, II ed., Torino 2013 e, più recentemente, a Focarelli, C., Economia globale e diritto internazionale, Bologna, 2016.
2 Si rinvia, in proposito al parere 3/15 della Corte di giustizia, Grande Sezione, 14.2.2017 – emesso in forza dell’art. 218, par. 11, TFUE – Trattato di Marrakech. V. www.eurlex.europa.eu.
3 La Comunità europea ha concluso l’Accordo istitutivo dell’OMC con decisione 94/800 (GUCE, L 336/94). In proposito si rinvia a Van den Bossche, P., The Law and Policy of the World Trade Organization, Cambridge, 2013.
4 Dal 1995 a oggi, sono state portate davanti al sistema di soluzione delle controversie dell’OMC oltre 500 controversie commerciali e sono state rese oltre 350 decisioni. Fonte WTO. In argomento v. Marrella, F., Controversie economiche internazionali. Organizzazione mondiale del commercio (WTO), in Il Libro dell’anno del Diritto 2017, Roma, 2017, pp. 779-780. Per conoscerne il funzionamento nei dettagli si rinvia al volume curato dal Servizio legale del WTO: A Handbook on the WTO Dispute Settlement System, Cambridge, 2017.
5 Un caso emblematico di guerra commerciale, nota come “guerra delle tariffe”, scoppiò tra la Francia e l’Italia, tra il 1882 e il 1892, degenerando in una progressiva escalation di crescita dei dazi sulle importazioni di svariati prodotti che produsse una rapida riduzione dell’interscambio commerciale, specialmente nel settore agricolo, tra i due Paesi.
6 Non è un caso che per indicare tale scenario si prenda a prestito un’espressione tipica della guerra fredda, ossia MAD “Mutual Assured Destruction”.
7 In questo senso è emblematico quanto sta accadendo come conseguenza dell’innalzamento dei dazi sull’importazione dell’acciaio e dell’alluminio, materiali che vengono abbondantemente utilizzati per fabbricare autovetture negli Stati Uniti destinate, in gran parte, al mercato interno.
8 Nel 2017 il surplus della Cina nei confronti degli Stati Uniti è stato pari a $375,81 miliardi. Il valore economico delle merci importate dalla Cina negli Stati Uniti è stato, nello stesso anno, complessivamente pari a $505 miliardi (per lo più nel settore elettronico, del vestiario e degli utensili industriali). Fonte ONU COMTRADE.
9 Basti pensare allo slogan «America first and only America first», adottato da Donald Trump nel corso della sua campagna elettorale e ribadito, nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, come presupposto di ogni successiva scelta di politica estera a cominciare dalla conduzione delle relazioni commerciali bilaterali e multilaterali al fine di recuperare, almeno in parte, il deficit strutturale della bilancia commerciale. Nel 2017, il saldo negativo complessivo ha raggiunto la cifra record di $734 miliardi, con un significativo – $28,4 miliardi nei confronti della sola Italia. Fonte ONU COMTRADE.
10 Negoziato che dovrebbe portare alla sottoscrizione di un nuovo Accordo Usa-Messico-Canada (Usmca) in sostituzione dell’attuale (NAFTA).
11 Appare indicativo, da questo punto di vista, l’atteggiamento degli Stati Uniti di non permettere l’elezione dei sostituti dei membri dell’Organo d’appello, così da paralizzarne progressivamente l’operatività. A novembre 2018 sono rimasti in carica solo più tre sui sette previsti dallo Statuto OMC. Vedi Bradley, J.C., Captain America and the Tarnishing of the Crown: The Feud Between the WTO Appellate Body and the USA, in JWT, 2018, pp. 535-556.
12 Le imposizioni aggiuntive di ritorsione, per altro destinate ad aumentare in valore percentuale (la crescita dei dazi passerà da un iniziale + 10% a un +25%), si applicano a un volume di merci in importazione dalla Cina inizialmente di $50 miliardi e successivamente di quasi $200 miliardi. Con l’eventualità di arrivare a coprire l’intero volume dell’import-export USA/Cina.
13 Spesso i prodotti colpiti dall’innalzamento delle tariffe sulle importazioni provenienti dalla Cina sono componenti di merci complesse destinate all’esportazione nella stessa Cina. Ad esempio, diverse parti degli aerei Boeing provengono dalla Cina che è anche uno dei più grandi importatori di aerei per il trasporto passeggeri costruiti dalla grande multinazionale statunitense. Per altro verso, la soia, prodotta dagli agricoltori statunitensi, è per la gran parte destinata al mercato cinese dove viene utilizzata come nutrimento principale dei suini che sono, a loro volta, una componente essenziale della dieta abituale dei cinesi.
14 La Cina è il maggior partner commerciale degli Stati Uniti e il Paese che esporta, per valore, più merci di qualsiasi altro Stato del mondo.
15 Il principale destinatario dell’innalzamento tariffario iniziale, voluto dall’amministrazione Trump, è la Germania che ha un volume di esportazioni verso gli Stati Uniti di 950.000 tonnellate di acciaio esportate nel 2017, pari a quasi un quinto delle esportazioni di settore dall’intera Unione europea agli USA. Fonte ONU COMTRADE.
16 Poiché si tratta di eventi ancora molto recenti, non sono disponibili commenti approfonditi e meditati su tali aspetti giuridici. Un’eccezione è rappresentata dal puntuale contributo di Adinolfi, G., Le misure USA per la protezione dei mercati nazionali dell’acciaio e dell’alluminio: un nuovo capitolo della crisi dell’OMC?, comparso su SIDI Blog il 13.4.2018 e, in precedenza, dell’articolo di Kong, Q., Trade Row Between China and the US: Are They Manageable?, in Global Trade and Customs Journal, 2017, pp. 268-276.
17 Si rinvia al contenuto della nota 4.
18 Tecnicamente, il rapporto si intende approvato e, quindi, deciso qualora manchi il consenso di tutte le Parti contraenti (compresa, dunque, anche di quella che si è vista dare ragione) a respingerlo. Si tratta, dunque, di un’approvazione pressoché automatica.
19 Si può seguire agevolmente l’andamento dei procedimenti pendenti consultando il sito del WTO nelle pagine dedicate alle controversie commerciali, quelle tra Stati Uniti e vari altri Stati, per via dei dazi su acciaio e alluminio, sono le seguenti: DS544, DS547, DS548, DS550, DS551, DS552, DS554 e DS556.
20 Per un commento sulla portata dell’art. XXI del GATT 1994 si rinvia a Picone, P.Ligustro, A., Diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio, Padova, 2002, pp. 335-348.
21 Appare significativo che gli Stati Uniti, che sono intervenuti nella controversia, abbiano contestato la tesi della piena discrezionalità nell’invocazione dell’eccezione in questione da parte della Russia per giustificare misure commerciali restrittive. Il panel, caso WT/DS499/R, ha analizzato e sostanzialmente accolto l’eccezione della Confederazione russa sulla base di un accertamento fattuale approfondito. Il rapporto è stato pubblicato il 30.7.2018 e può essere letto a partire dal sito www.wto.org.
22 Il livello di litigiosità ha, comunque, raggiunto livelli senza precedenti. Si consideri che, in questo momento, sono pendenti ben 23 procedimenti aperti su richiesta degli Stati Uniti nei confronti della Cina e 15 su richiesta della Cina nei confronti degli Stati Uniti.
23 I dati sono accessibili a partire dai siti istituzionali delle tre Organizzazioni internazionali e così, rispettivamente, www.imf.org, www.worldbank.org e www.wto.org.
24 Molti spunti di riflessione su questi temi si possono leggere in Van Vooren, B.Blockmans, S.Wouters, J., eds., The EU’s Role in Global Governance – The Legal Dimension, Oxford, 2013.
25 Qualche considerazione in questo senso si legge in Larik, J., The EU’s Global Strategy, Brexit and “America First”, in European Foreign Affairs Review, 2018, pp. 343-364.