Politica e canoni letterari nell’Europa centro-orientale
Cambiamenti politici, produzione libraria e critica letteraria
I Paesi dell’Europa centro-orientale (fra cui annoveriamo quelli che separano il mondo germanico dalla Russia, ma anche la Russia stessa) hanno affrontato tali radicali mutamenti sociali, politici ed economici alla fine del 20° sec. che sarebbe impossibile non rilevarne gli effetti sull’idea di letteratura e sulla critica letteraria sviluppatesi in questi Paesi nel primo scorcio del secolo attuale. In realtà la produzione letteraria non ha semplicemente subito questi profondi cambiamenti, ma li ha preparati e accompagnati, prima ancora che, attraverso la letteratura, divenissero a loro volta oggetto della riflessione critica. Non si spiegherebbe altrimenti la presenza nel recente passato sullo scenario politico di intellettuali e scrittori, già impegnati nella società civile durante la crisi dei regimi socialisti. Il più famoso tra questi è stato Václav Havel (n. 1936), che ha saldamente guidato la trasformazione della Cecoslovacchia nell’odierna Repubblica Ceca, ormai integrata nell’Unione Europea, passando attraverso il doloroso distacco dalla Slovacchia.
La destabilizzante crisi economica ha segnato una forte crisi delle istituzioni accademiche e del mercato librario statalizzato, che si reggeva sulle generose sovvenzioni pubbliche. La critica tradizionale ha continuato, pur in mezzo a enormi difficoltà, la riflessione sulla letteratura nazionale, ma ha subito profonde trasformazioni e solo lentamente si va adeguando alle mutate situazioni sociali. Allo stesso tempo è comparsa una nuova produzione libraria, anche in ambito critico, spesso sostenuta da piccole case editrici, ma circolante soprattutto attraverso Internet, che appare se non opposta, almeno lontana dal mondo accademico, esprimendo la diversa sensibilità delle nuove generazioni. Rimangono in generale gravi problemi per quel che riguarda la distribuzione libraria di tipo tradizionale, mentre guadagna sempre più terreno la diffusione via web, che appare ancora ben lontana però dall’aver raggiunto una chiara regolamentazione.
A queste difficoltà, provocate, come già sottolineato, dalle mutate condizioni economiche, si aggiungono i radicali cambiamenti politici. Pur partendo dalla comune caduta dei regimi socialisti, alcuni Paesi sono confluiti nell’Unione Europea, che ne ha promosso e ne sta promuovendo anche in ambito culturale e letterario l’integrazione nel mondo occidentale. Ne sono esclusi tuttora alcuni Paesi balcanici e rimane fuori l’intera area dell’Oriente slavo, a cominciare dalla Russia, che è ancora in attesa di profonde riforme culturali.
Nell’Europa centro-orientale le diverse letterature, slave e baltiche, danubiane e balcaniche, più o meno blasonate, rischiano, come del resto molte letterature occidentali, di entrare nel novero delle minori, alla periferia del grande bacino di utenza anglofono. Non di rado, ormai, se ne viene a conoscenza in Occidente per la mediazione del mercato librario di lingua inglese. La critica letteraria, pur mostrando profonde analogie nei diversi Paesi, offre un panorama assai variegato, difficile da ricostruire per le necessarie competenze culturali e linguistiche, che vanno ben al di là delle competenze di un singolo studioso. Lo dimostra lo sforzo del gruppo di ricercatori che sta elaborando, sotto la direzione di Marcel Cornis-Pope e John Neubauer, una storia comparativa delle letterature dell’Europa centro-orientale. I tre volumi sin qui usciti si esauriscono, spesso, nella giustapposizione di interventi sulle singole letterature nazionali (History of the literary cultures of East-Central Europe, 2004-2007).
Ricomporre il passato
Nella critica letteraria di questi Paesi si è realizzato in primo luogo un processo complesso e ancora in fieri di riunificazione della letteratura novecentesca: i ‘lemmari’ di autori e opere, censurati e politicamente ordinati, delle letterature contemporanee dei Paesi socialisti, che stabilivano il canone delle letterature nazionali, hanno subito uno sconvolgimento profondo. La letteratura dell’emigrazione, o meglio delle diverse migrazioni, succedutesi nel corso del 20° sec., è ritornata in patria, soprattutto attraverso le nuove edizioni (o traduzioni) delle opere. In qualche caso hanno fatto ritorno gli stessi autori che, dopo un esilio più o meno lungo, hanno deciso di rientrare nel proprio Paese, con il proposito di rivestire nuovamente un ruolo attivo nel dibattito culturale. Si pensi ad Aleksandr I. Solženicyn (1918-2008), che ha affrontato uno dei nodi della storia culturale russa con i suoi scritti sulla storia della comunità ebraica in Russia, suscitando vivaci polemiche in patria e all’estero (Dvesti let vmeste, 1795-1995, Duecento anni insieme, 1795-1995, Moskva 2001-02). Difficilmente si potrà negare il ruolo nella letteratura ungherese di Sándor Márai (1900-1989), che rappresenta una delle sue voci più alte. In Romania si è recuperata la produzione di Mircea Eliade (1907-1986), sia quella scientifica in francese e in inglese, sia quella narrativa, scritta fra le due guerre mondiali, in romeno.
Dopo lunghi anni di censura è stato possibile non soltanto attingere alla produzione degli autori più significativi, ma progressivamente conoscere anche le opere di autori secondari, che spesso hanno avuto un ruolo solamente nella storia sociale e culturale dell’emigrazione ed erano del tutto ignoti in patria. La critica si è preoccupata non solo di recuperare le loro opere letterarie, ma anche di ricostruire l’ambiente e le diverse vicende esistenziali, mettendo in luce la difficile esperienza umana degli emigranti nell’alveo della cultura dei Paesi che li ospitavano. Grande apprezzamento ricevono, in generale, la memorialistica e la pubblicazione degli epistolari.
Per la Slovenia si deve aggiungere una vera e propria letteratura all’estero, che si concentra nelle limitrofe aree della Carinzia austriaca e di Trieste, il cui esponente più famoso è peraltro il decano della letteratura slovena, Boris Pahor (n. 1913). Lo stesso vale per le minoranze ungheresi in Romania, ma anche in Serbia e Slovacchia, che hanno proprie case editrici e riviste letterarie. Alla minoranza ungherese in Transilvania apparteneva Albert Wass (1908-1998), uno dei maggiori autori ungheresi, che poté essere conosciuto soltanto dopo il crollo del regime di Nicolae Ceauşescu. Un caso particolare è rappresentato dalla letteratura albanese che, nell’isolamento del Paese, era stata separata per decenni non solo dalla sua emigrazione storica in Italia, ma anche dal Kosovo e dalle minoranze albanesi in Montenegro e Macedonia.
Allo stesso tempo la letteratura prodotta nei singoli Paesi ha subito e subisce un riordinamento, aprendosi in maniera istintiva a una serie di autori, censurati o negletti, mentre finiscono in secondo piano o del tutto nel dimenticatoio molti nomi nell’ambito sia della letteratura sia della critica che, occupando posizioni nella nomenclatura, giocavano almeno apparentemente un ruolo importante nei rispettivi Paesi. Se si considera che spesso alcuni protagonisti della scena culturale dei regimi socialisti sono ancora attivi, si comprende come questo processo di ‘riordinamento’ non sempre sia avvenuto in modo sereno, come dimostrano alcune vivaci polemiche con pesanti scambi di accuse apparse nelle riviste letterarie.
Ricostruire la storia della produzione letteraria dei decenni passati non è semplice. A volte della stessa opera sono circolate versioni censurate e non censurate, con il consenso o meno dell’autore, tant’è che in Polonia al fine di orientarsi si deve usare il volume, curato da Jerzy Kandziora, Zyta Szymańska e Krystyna Tokarzówna, Bez cenzury: 1976-1989. Literatura, ruch wydawniczy, teatr (Senza censura: 1976-1989. Letteratura, case editrici, teatro, Warszawa 1999), con l’elenco delle opere non sottoposte a censura uscite negli ultimi anni del regime socialista; mentre in Cechia è stato pubblicato, a cura di Jiří Brabec, Jiří Gruša, Igor Hájeklo et al., lo Slovník zakázaných autorů: 1948-1980 (Dizionario degli autori proibiti: 1948-1980, Praha 1991). In Romania è uscita l’Enciclopedia exilului literar românesc 1945-1989 (Enciclopedia della letteratura romena in esilio 1945-1989, Bucureşti 2003), di Florin Manolescu.
I cambiamenti degli equilibri internazionali e la nascita dei nuovi Stati nazionali stanno producendo, inoltre, nuove e inedite situazioni. Nei Paesi baltici, soprattutto in Estonia, sono presenti importanti minoranze, che continuano, pur con difficoltà, a sviluppare la loro vita intellettuale. Nei Balcani occidentali i profondi mutamenti politici stanno ridisegnando le mappe della letteratura, con la fine della letteratura iugoslava e lo sviluppo sempre più separato delle differenti letterature slave meridionali: bosniaca, croata, montenegrina e serba.
Il canone letterario novecentesco
Questo processo di ricomposizione del passato non si è limitato, dunque, all’inserimento di una serie di opere e di autori nel canone della letteratura nazionale, ma ha sconvolto radicalmente l’intero canone novecentesco di queste letterature, e peraltro ancora non è giunto al suo compimento. Siamo in una fase talmente magmatica, soprattutto per alcune nazioni, per cui difficilmente si può ricostruire una visione unitaria e coerente. Molto, poi, dipende dalla prospettiva da cui osserva il critico.
Se, per es., si privilegia una lettura formale del canone letterario, ci si indirizzerà soprattutto alla rivalutazione di taluni esperimenti estetici che hanno caratterizzato le avanguardie e che oggi vengono riscoperti all’interno del caotico mondo del postmodernismo. Si pensi, per es., all’importanza di Mosca-Petuški (1970; tradotto in Italia per la prima volta nel 1977 con l’improbabile titolo Mosca sulla vodka) di Venedikt V. Erofeev (1938-1990) alla luce degli sviluppi del postmodernismo russo. Se, invece, si sceglie la prospettiva filosofica e religiosa, che nella storia di questi Paesi ha sempre giocato un ruolo rilevante, si tenderà alla riabilitazione o al recupero degli scrittori che furono emarginati proprio per le loro idee in questi ambiti. Questo recupero si sta già realizzando per quel che riguarda il gruppo degli scrittori cattolici cechi, a partire da Jan Zahradníček (1905-1960) e Jaroslav Durych (1886-1962), ma sta avvenendo lo stesso anche per gli scrittori della rinascita religiosa russa di inizio secolo, o per gli scrittori di ispirazione francescana in Polonia e Croazia.
In questi anni si stanno recuperando in particolare gli autori della letteratura novecentesca, che avevano difeso le tradizioni e i valori della propria nazione e che, all’indomani del conflitto mondiale, accusati di sostenere posizioni reazionarie, erano stati repressi e in seguito esclusi dal canone nazionale ufficiale. Talvolta si tratta di scrittori che si erano mossi nel difficile contesto storico del secondo conflitto mondiale, quando alcune nazioni, come la Croazia e la Slovacchia, proprio all’epoca del dominio nazista in Europa, sperimentarono almeno formalmente la prima breve esperienza moderna di indipendenza nazionale. In questa prospettiva una certa corrente critica, assolutizzando le tradizioni e i valori nazionali, ha prodotto una lettura del passato totalmente nuova in chiave rigidamente nazionale, secondo una visione ideologica che si oppone in modo speculare alla critica del periodo socialista. Si veda, a titolo di esempio, la storia della letteratura croata di Dubravko Jelčić (Povijest hrvatske knijževnosti, Zagreb 1997; trad. it. Storia della letteratura croata, 2005).
Solo ora si comincia, e con una certa fatica, a riesaminare in alcuni Paesi l’eredità dell’epoca socialista, grazie soprattutto all’apertura degli archivi, che offrono ai critici nuovi interessanti materiali. Non è tuttavia semplice ricostruire un periodo a noi ancora così vicino. I profondi cambiamenti dell’Europa centro-orientale del resto erano stati preparati e accompagnati non solo dall’attività di numerosi scrittori dissidenti, costretti all’emigrazione, ma soprattutto da quanti erano rimasti in patria, come, per es., Bohumil Hrabal (1914-1997) in Cechia o Dominik Tatarka (1913-1989) in Slovacchia, censurati o costretti per lunghi periodi al silenzio. Per alcuni scrittori rimasti nel Paese natale il silenzio veniva talvolta infranto dalla fama che si diffondeva in Occidente grazie alle traduzioni, ma ben raramente smetteva di opprimere la maggioranza dei letterati, che continuava a lavorare e produrre in situazioni spesso assai difficili, anche se molti tra questi personaggi apparivano socialmente ed economicamente tutelati. Si pensi alla straordinaria figura di Dmitrij S. Lichačëv (1906-1999), che ha giocato un ruolo fondamentale nel recupero del retaggio storico in Russia negli anni della cosiddetta stagnazione sovietica. Il compito di un esame critico del recente passato potrà, tuttavia, essere affrontato con maggiore serenità solo dalle nuove generazioni che non hanno vissuto il socialismo reale.
La questione della lingua
Questa rilettura del patrimonio letterario del Novecento è legata in alcune aree alla questione, per certi aspetti irrisolta, della lingua.
In queste letterature non è difficile imbattersi in scrittori che possono usare l’una oppure l’altra lingua a seconda del Paese in cui si trovano. In passato furono i russi Vladimir V. Nabokov (1899-1977) e Iosif A. Brodskij (1940-1996), premio Nobel nel 1987 e rappresentante dell’ultima generazione della grande emigrazione russa del 20° sec., a realizzare opere in russo e in inglese. Altri hanno finito per preferire la lingua del Paese ospitante. L’ungherese Agota Kristof (n. 1935) scrive in francese, proprio come ha fatto Milan Kundera (n. 1929), di fatto abbandonando il ceco. Dumitru Ţepeneag (n. 1937), emigrato in Francia, ha affiancato al romeno il francese, sperimentando una sorta di autoriscrittura di originali scritti in francese o in romeno nell’una e nell’altra lingua.
All’emigrazione per motivi politici e ideologici si è aggiunta oggi un’emigrazione di carattere economico. Pur non perdendo del tutto i legami con la letteratura in patria, molti scrittori si inseriscono nella letteratura del Paese ospitante. Lo testimoniano gli scrittori di origine russa che lavorano a Parigi e a Berlino, fra cui si può citare l’ormai famoso Wladimir Kaminer (n. 1967), o scrittori albanesi che scrivono in italiano come Ornela Vorpsi (n. 1968). Alcuni scrittori continuano a produrre in entrambe le lingue. La slovena Brina Svit (n. 1954) scrive, per es., sia nella madrelingua, sia in francese.
Più complessa è la situazione nei Paesi in cui la lingua nazionale ha assunto un nuovo ruolo o ha mutato statuto. In Ucraina, per es., con la riaffermazione dell’ucraino dopo l’indipendenza (1991), scrivere in questa lingua o in russo rappresenta una vera e propria scelta ideologica in un contesto che vede sempre di più il Paese dividersi in due aree contrapposte. Ancora più complessa è la questione della lingua nell’area dell’ex Iugoslavia, in cui al posto del ‘serbo-croato’ oggi si distinguono diverse lingue ufficialmente riconosciute dai singoli Stati: bosniaca, croata e serba; nell’attesa che il processo centrifugo finisca per ufficializzare anche la variante montenegrina. E gli scrittori novecenteschi, che in qualche modo non rientrano nel canone nazionale, tendenzialmente croato-cattolico, serbo-ortodosso o bosniaco-musulmano, rischiano di essere contesi, come sta avvenendo per Ivo Andrić (1892-1975), o emarginati sotto il fuoco di una critica altrettanto ideologica, come dimostra, per es., il caso di Miroslav Krleža (1893-1981), oppure sottoposti a un processo di ‘bosnizzazione’ come quello subito da Meša Selimović (1910-1982).
Difficile da interpretare è la presenza di autori appartenenti alle minoranze linguistiche, che scrivono sia nella propria, sia nella lingua della maggioranza. Un caso interessante è rappresentato dalla Macedonia (FYROM, Former Yugoslav Republic Of Macedonia), dove vivono scrittori di origine albanese che tuttavia scrivono in macedone.
La ricostruzione dell’identità
All’epoca dei regimi socialisti, in una situazione di capillare controllo delle istituzioni accademiche e universitarie lo studioso di letteratura, anche se godeva di un certo status sociale, solo con grande difficoltà poteva attingere alla più recente critica letteraria dell’Occidente, e neppure poteva immaginare un contatto diretto con il mondo letterario oltre cortina. In realtà, come oggi si comincia a intravedere, si trattava di un silenzio del tutto apparente, che peraltro non abbracciava omogeneamente l’intera area e l’intero periodo storico del mondo socialista. Determinate realtà, come i circoli letterari di Cracovia o la scuola semiotica di Tartu, riunita intorno a Jurij M. Lotman (1922-1993), godevano di una maggiore libertà rispetto, per es., agli intellettuali di Praga all’indomani del Sessantotto. Certamente, in modo più o meno evidente, si svolgeva un’intensa riflessione critica, che oggi comincia a manifestare alcuni suoi frutti maturi, ma che spesso rimane ignota in Occidente, perché sostanzialmente confinata nell’ambito delle letterature nazionali. Al pubblico occidentale sono giunte, infatti, quasi unicamente le riflessioni strutturaliste e semiotiche, le interpretazioni sociologiche e comparativiste, che spesso in questi Paesi costituivano fenomeni elitari e isolati, nell’ambito di un panorama generale che da decenni vedeva la critica fortemente impegnata nell’elaborazione e nello studio del canone nazionale pur sempre sotto l’egida del socialismo reale.
Pur mutando le condizioni storiche, oggi si continuano a sviluppare vari orientamenti critici che avevano cominciato a manifestarsi già in epoca socialista e che allora apparivano evidenti soprattutto nell’interpretazione della letteratura dei secoli passati. Se attualmente, infatti, si assiste, pressoché in tutti questi Paesi, alla pubblicazione di enciclopedie e dizionari delle singole letterature è perché già in precedenza si era lavorato intensamente al canone nazionale delle singole letterature, formando specialisti che hanno recuperato pagine importanti della letteratura del passato e che oggi possono esprimere liberamente il proprio punto di vista.
I manuali, le enciclopedie e i dizionari delle diverse letterature usciti in questi ultimi anni sono assai importanti per fare il punto della situazione. Tra gli esempi citiamo la ricca produzione nell’ambito della storia della letteratura polacca: lo Słownik literatury staropolskiej. Średniowiecze, renesans, barok (Dizionario della letteratura antico-polacca. Medioevo, Rinascimento, Barocco, 2002), lo Słownik literatury polskiego Oświecenia (Dizionario della letteratura polacca dell’Illuminismo, 2002), lo Słownik literatury polskiej XIX wieku (Dizionario della letteratura polacca del 19° secolo, 2002) e, soprattutto, la grande storia della letteratura polacca curata dall’Istituto di studi letterari dell’Accademia delle scienze polacca, i cui diversi volumi hanno già avuto numerose edizioni. A questi e ad altri strumenti fa riferimento l’agile storia della letteratura polacca, uscita presso Einaudi, a cura di Luigi Marinelli (Storia della letteratura polacca, 2004). Fra i Paesi non slavi si può prendere a esempio la Romania, in cui è stato pubblicato il vasto Dicţion;a-rul scriitorilor români (Dizionario degli scrittori romeni, 1995-2002) e il Dicţionarul general al literaturii române (Dizionario generale della letteratura romena, 2004-2006), sotto l’egida dell’Accademia romena, ancora incompleto. Si deve sottolineare che non sono apparsi strumenti simili per la letteratura russa, la cui critica incontra oggettive difficoltà a sviluppare una visione d’insieme. Vale la pena di menzionare, comunque, che negli Stati Uniti, nella prestigiosa serie Dictionary of literary biography, è apparso il volume Russian writers since 1980 (2004), curato da due studiosi russi, Marina Balina e Mark Lipovetsky. È interessante osservare che la storia della letteratura slovacca, pubblicata nel 1988, appena dieci anni dopo uscì nuovamente in più volumi, sostanzialmente inalterati nella prima parte, ma che proponevano una nuova lettura per il Novecento. Nella ricostruzione del canone della letteratura nazionale appare in generale una rinnovata attenzione alla questione della periodizzazione anche in rapporto ai più o meno consolidati paradigmi delle letterature occidentali, come in passato è stato già evidenziato riguardo alle letterature slave (Le letterature dei paesi slavi. Storia e problemi di periodizzazione, a cura di G. Brogi Bercoff, 1999).
Un discorso a parte meriterebbero i siti web, che mirano a costituire veri e propri tesauri della letteratura nazionale, dedicati spesso a singoli autori o movimenti. Si può citare il sito Fundamental'naja elektronnaja biblioteka. Russkaja literatura i Fol'klor (Biblioteca digitale fondamentale. Letteratura russa e folklore, www.feb-web.ru) che contiene le opere complete di molti classici della letteratura russa.
I nodi di un passato complesso
Nella critica letteraria dei singoli Paesi ci si è concentrati soprattutto sugli autori o sulle epoche della letteratura nazionale che in passato erano state neglette o emarginate. Nell’ambito della letteratura polacca si assiste a un forte movimento di recupero della letteratura rinascimentale e barocca, che sottolinea i profondi rapporti della cultura polacca con le altre culture europee e, soprattutto, il suo ruolo di mediazione nell’intera area dell’Europa orientale. Lo testimoniano, oltre a prestigiosi saggi, la pubblicazione della serie Biblioteka pisarzy staropolskich (Biblioteca degli scrittori antico-polacchi) dell’Accademia delle scienze polacca, che dal 1995 ha edito oltre una ventina di volumi con lo scopo di offrire la produzione letteraria vernacola della Polonia fino al 17° secolo. In Cechia si riscopre nuovamente la letteratura barocca, che rappresenta una delle tappe fondamentali della cultura nazionale. Un classico della letteratura ceca ed europea, ossia il Labyrint světa a ráj srdce (scritto nel 1623 e pubblicato nel 1631) di Jan Amos Komenský, noto come Comenio, è stato riproposto dalle istituzioni ceche in diverse lingue occidentali, fra cui l’italiano (Il labirinto del mondo e il paradiso del cuore, Praha 2007). Complessi e travagliati appaiono gli studi sulla presenza del Barocco nella letteratura russa, che la critica precedente aveva misconosciuto e che, riportata alla luce, richiama il profondo debito della Russia nei confronti della cultura ucraina e polacca nell’assimilazione del Rinascimento e del Barocco stesso. La critica letteraria italiana ha seguito sin dagli inizi del dibattito queste riflessioni (Il barocco letterario nei paesi slavi, a cura di G. Brogi Bercoff, 1996).
Si sta assistendo a un significativo ripensamento dell’epoca romantica, che nei diversi Paesi slavi esprime il processo di maturazione della coscienza nazionale, con i suoi poeti vati che hanno profetizzato sul destino delle loro nazioni. Non solo si studiano le complessità del fenomeno, talvolta da punti di vista più attuali, ma ci si concentra anche sulle singole personalità, come è avvenuto soprattutto in occasione di alcuni importanti giubilei. Si pensi alle celebrazioni in onore di Aleksandr S. Puškin (1799-1837) in Russia, di France Prešeren (1800-1849) in Slovenia, di Adam Mickiewicz (1798-1855) e di Juliusz Słowacki (1809-1849) in Polonia, solo per menzionare alcuni Paesi. A questo proposito può essere interessante osservare il nuovo orientamento dei festeggiamenti giubilari, che trascurano autori assai apprezzati in epoca socialista ma che ora non vanno più per la maggiore. In Russia, per es., sono quasi passati sotto silenzio i duecentocinquant’anni dalla nascita di Aleksandr N. Radiščev (1749-1802) e i centocinquant’anni dalla morte di Vissarion G. Belinskij (1811-1848).
Anche l’epoca illuminista, soprattutto per il suo ruolo nella formazione della cultura nazionale, ha suscitato l’attenzione della critica letteraria. Dal 2000 l’Accademia delle scienze polacca pubblica la Biblioteka pisarzy polskiego Oświecenia (Biblioteca degli scrittori dell’Illuminismo polacco). In Russia si studia con rinnovato interesse Fëdor M. Dostoevskij, nel contesto della discussione sulla specificità nazionale della cultura russa che rischia di mettere in ombra le radici romantiche e liberali della cultura ottocentesca di questo grande Paese europeo (cfr. G. Carpi, Umanità universale. Le radici ideologiche di Dostoevskij, 2001). Nell’ambito della letteratura polacca hanno acquistato ampio spazio le considerazioni sulla Młoda Polska (Giovane Polonia), che raggruppa gli scrittori e i poeti del periodo precedente il primo conflitto mondiale e la nascita della Repubblica polacca.
Nei nuovi orientamenti della critica acquistano un particolare significato anche le riedizioni dei classici della critica letteraria ottocentesca e novecentesca, soprattutto se le loro indagini erano state censurate o emarginate dalla cultura di regime.
Orientamenti della critica: fra tradizione e innovazione
In Cechia si studia con rinnovata passione la scuola di Praga e lo strutturalismo ceco, che tanta parte ha giocato nell’evoluzione della critica letteraria moderna, come dimostra la serie Strukturalistická knihovna (Biblioteca dello strutturalismo), con i suoi quindici volumi (Česká literární kritika, La critica letteraria ceca, 2003). Nell’intenzione degli editori si manifesta chiaramente il desiderio di sottolineare il ruolo dello strutturalismo ceco, che non rappresenterebbe soltanto una fase di passaggio del lavoro critico dal formalismo russo alla successiva teorizzazione in Francia (Pospíšil, Zelenka 1999). In Croazia continua, invece, con Viktor Žmegač e Milivoj Solar la ‘scuola stilistica di Zagabria’, nata a metà degli anni Cinquanta come reazione al sociologismo marxista, particolarmente attiva oggi nell’ambito della poetica storica e della teoria della prosa, mentre si rinnovano sotto la direzione di Krešimir Bagić, con temi di grande attualità, i seminari della Scuola slavistica di Zagabria, che si tengono ogni anno a Dubrovnik (Ragusa).
Proprio partendo dalla ricognizione sul canone nazionale si sviluppano le ricerche anche nell’ambito della comparatistica, laddove comunque ci si preoccupa di sottolineare in primo luogo la partecipazione del proprio Paese alla formazione della cultura europea, piuttosto che registrare l’influenza della cultura straniera nel proprio Paese. Si distingue in particolare lo sforzo di Dionýz Ďurišin che, in Slovacchia, ha collaborato anche con i comparatisti italiani, pubblicando una serie di contributi orientati a riflettere sulla specificità dei rapporti fra le diverse letterature nel più ampio contesto della letteratura mondiale. Di particolare rilievo per l’Italia sono le ricerche sulle radici mediterranee di movimenti e autori delle letterature slave e gli studi dedicati ai rapporti con la cultura italiana (Il Mediterraneo, 2000). Nell’ambito della comparatistica svolgono naturalmente un ruolo importante lo studio delle traduzioni e, più in generale, la recezione dei singoli autori o dei movimenti letterari in una determinata letteratura.
In una prospettiva comparatistica andrebbe letta anche l’indagine, che si sta avviando solo ora, in particolare in alcuni Paesi, sul realismo socialista e la sua letteratura, anche se, come abbiamo osservato, non è facile affrontare con serenità critica questo recente periodo delle letterature slave. Ne abbiamo un’eco per la letteratura ceca nella ricerca dello studioso italiano Alessandro Catalano (Sole rosso su Praga. La letteratura ceca tra socialismo e underground, 1945-1959. Un’interpretazione, 2004).
Nell’ambito della comparatistica slava acquista una rilevanza particolare l’intenso lavoro sulla letteratura medievale della Slavia ortodossa, che abbraccia la produzione letteraria di gran parte degli slavi meridionali (bulgari, macedoni e serbi) e degli slavi orientali (bielorussi, russi e ucraini), almeno fino alla fine del 17° sec., ma che ha rappresentato per questo periodo anche la lingua letteraria dell’area romena, prima dell’affermazione del vernacolo romanzo. Esprimendosi nella medesima lingua, lo slavo-ecclesiastico, e circolando nel medesimo ambiente confessionale, il mondo ortodosso, la letteratura slavo-ecclesiastica costringe inevitabilmente a ripensare il canone letterario nazionale in chiave comparatistica, in primo luogo all’interno del mondo slavo ortodosso, ma anche nel confronto con il Medioevo latino, soprattutto di area slava, anche perché la prima letteratura paleoslava si è sviluppata nell’ambiente ormai latinizzato dell’area danubiana. Rimane, tuttavia, molto forte l’esaltazione del ruolo delle diverse aree o dei diversi periodi che contraddistinguono la letteratura slavo-ecclesiastica in funzione della propria letteratura nazionale. Le medesime opere e i medesimi autori finiscono per appartenere contemporaneamente a letterature slave diverse o per essere misconosciuti nell’area romena.
Allo studio della letteratura slavo-ecclesiastica hanno contribuito importanti istituzioni a cominciare dall’Istituto di letteratura (Casa Puškin) a San Pietroburgo, diretta per lunghi anni da D.S. Lichačëv, o dal Centro cirillo-metodiano di Sofia, diretto da Svetlina Nikolova, a cui si debbono aggiungere molti altri centri di ricerca e istituti universitari che hanno promosso convegni e pubblicazioni, intensificando il lavoro di scoperta ed edizione dei testi, svolto fin dagli anni Sessanta. Non possono passare sotto silenzio gli straordinari sviluppi segnati dalla scoperta delle tavolette di betulla nell’area di Novgorod, che ci testimoniano l’evoluzione della cultura scritta della città baltica fin dal Medioevo, o le acquisizioni delle spedizioni archeografiche presso le comunità dei vecchi credenti russi, che per secoli hanno conservato e tramandato antichi manoscritti dell’epoca precedente i Romanov.
Nel contesto di una collaborazione sempre più internazionale, si sta imponendo una riflessione sempre più matura sull’evoluzione culturale e letteraria del mondo ortodosso slavo, premessa imprescindibile per lo sviluppo delle civiltà letterarie slave moderne, che potrebbe aiutare a superare le riduttive interpretazioni in chiave nazionale. La recente pubblicazione di dizionari ed enciclopedie dedicate espressamente alla letteratura paleobulgara o alla letteratura antico-russa segna un importante punto di arrivo della ricerca, ma allo stesso tempo apre la strada a nuovi e importanti progressi. Citiamo in particolare la Kirilo-Metodievska enciklopedija (Enciclopedia cirillo-metodiana, 1985-2003) curata dall’Accademia delle scienze bulgara e lo Slovar' knižknikov i knižnosti Drevnej Rusi (Dizionario degli scrittori e della produzione scrittoria dell’antica Rus', 1987-2004), curato dall’Istituto di letteratura di San Pietroburgo, ma la cui pubblicazione era iniziata quando ancora la città portava il nome di Leningrado.
In ambito comparativo si collocano anche le ricerche sulla letteratura glagolitica-croata, così legata alla cultura latina, ma di ascendenze bizantine, che fa dell’odierno territorio della Croazia la terra dei tre alfabeti (glagolitico, latino e cirillico: Glagolijca i Hrvatski glagolizam [Il glagolitico e il glagolismo croato], a cura di M.-A. Dürrigl, M. Mihaljević, F. Velčić, Zagreb-Krk 2004). Del resto molto rimane da fare ancora nell’ambito del Medioevo slavo di cultura latina, premessa imprescindibile delle letterature slave moderne, ceca, polacca, croata e slovena, che attira nuovamente l’attenzione degli studiosi. Le opere in latino provenienti dall’area slava testimoniano il processo di acculturazione, che prepara lo sviluppo delle letterature in vernacolo, cominciando dalla letteratura medievale ceca. La stessa periodizzazione della letteratura volgare ceca e polacca, che segue nelle grandi linee la distinzione Medioevo-Rinascimento-Barocco, subisce nei dettagli ben diversi trattamenti dovuti alle peculiari storie nazionali.
La nuova critica letteraria e il web
Se da una parte la critica letteraria accademica guarda al passato, preoccupata di salvaguardare la letteratura e (la lingua) nazionale dal processo di integrazione e globalizzazione, dall’altra la nuova critica letteraria, riunita intorno a nuove riviste o a siti web, anima il panorama letterario in questi anni, e si mostra strettamente connessa alla più recente produzione letteraria. Si pensi, per es., in Romania alla differenza fra le riviste «Romania literara» (Romania letteraria), che risulta ancora legata a formule tradizionali, e la più dinamica «Dilema veche» (Vecchio problema), con il suo magazine letterario «Dilemateca», pensato sul modello del francese «Lire».
Si tratta di un fenomeno assolutamente nuovo per queste letterature, connesso alla liberalizzazione del mercato e alla nascita di una miriade di case editrici private, come pure alla diffusione della letteratura attraverso la rete informatica, che consente un rapporto più diretto con il mercato librario internazionale. La sua ampia diffusione sul web, rivolta soprattutto alle nuove generazioni, sta coinvolgendo anche la tradizionale critica letteraria. Lo dimostra il progressivo adeguamento delle riviste più tradizionali, di cui è possibile consultare sul web almeno gli indici o materiali selezionati. In Russia si è pensato di organizzare un portale dedicato a questi aspetti (Biblioteca elettronica dei giornali letterari contemporanei della Russia), che rappresenta ormai uno strumento fondamentale di informazione sui più recenti dibattiti (e polemiche) nella critica russa (http://magazines.russ.ru). Nei singoli Paesi sono stati creati dei portali dedicati alla propria letteratura contemporanea, aperti, per lo più, con il sostegno delle istituzioni. Si veda, per es., il portale ceco http:// www.czlit.cz/main.php. Per la letteratura ungherese, proprio per superare le difficoltà della lingua, è stato messo a punto nel 2004 un sito in lingua inglese: http://www.hlo.hu. Lo stesso è stato fatto per l’estone (http://www.estlit.ee). Vi sono, poi, anche editori on-line, che offrono direttamente le opere, a volte in modo del tutto gratuito, come nel caso della Romania (http://editura.liternet.ro).
In questo contesto di trasformazione del mercato librario e della formazione di una critica militante hanno avuto origine nuovi premi letterari, intorno ai quali si creano di volta in volta contrapposti schieramenti, e nuovi festival della letteratura e della poesia, che talvolta assumono un rilievo internazionale, come quello dedicato a Praga per il quarantennale del 1968.
La nuova produzione letteraria, spesso contraddistinta da forme di trasgressione tematiche e formali che nelle letterature occidentali erano per lo più state già sperimentate, viene legittimata dalla critica attraverso i rapporti con la letteratura delle avanguardie di inizio secolo, genericamente definita modernista, da una parte, e con alcuni scrittori della seconda metà del 20° sec., che segnerebbero l’inizio del postmodernismo, dall’altra, mentre appaiono assai più problematiche le relazioni con la precedente letteratura del realismo socialista (cfr. D. Possamai, Che cos’è il postmodernismo russo? Cinque percorsi interpretativi, 2000). Lo testimonia soprattutto la poesia che in tutta l’area continua a essere particolarmente vivace.
L’assenza di un canone e certi eccessi trasgressivi suscitano, però, soprattutto in Paesi come la Russia, in cui l’idea di sacralità della letteratura conserva radici profonde, reazioni vivaci non solo negli ambienti letterari, ma nella società stessa, come mostrano alcuni recenti scandali letterari. Anche il fenomeno più ampio della letteratura di massa comincia a essere analizzato nel particolare contesto dei profondi cambiamenti di queste società. Le sue manifestazioni (soprattutto nella giallistica e nel thriller che hanno avuta un’eco di successo anche nei mercati occidentali) mostrano una straordinaria capacità di adattamento della produzione letteraria alle nuove condizioni. L’influsso della critica occidentale, soprattutto anglosassone e americana, appare evidente, per es., nella diffusione dei Gender Studies, che tuttavia non hanno finora prodotto risultati degni di nota.
Conclusioni
Questa succinta panoramica ci conferma che la critica letteraria, proprio come la letteratura di questi Paesi, non ha semplicemente subito i radicali cambiamenti sociali, politici ed economici, ma li sta accompagnando, divenendo, quando è possibile, la coscienza critica dei tempi nuovi o, ancora purtroppo soltanto, la coscienza ideologica (pur di segno opposto al passato) della propria appartenenza nazionale. Si avvia sul viale del tramonto un’intera generazione di critici che, da una parte, ha partecipato alla stagione dello strutturalismo e della semiotica, dall’altra, ha contribuito in maniera determinante all’elaborazione del canone delle singole letterature. Lo impongono non solo le ragioni anagrafiche, ma lo determinano anche le difficoltà economiche che hanno disperso nell’emigrazione i migliori studiosi o hanno reso impossibile la continuazione delle scuole all’interno delle istituzioni accademiche, con ineluttabili conseguenze che saranno valutabili soltanto nei prossimi decenni. All’orizzonte compare una nuova generazione che sta gradualmente mutando atteggiamento nei confronti della letteratura e della sua visione critica e che condivide ormai profondamente le tumultuose trasformazioni che si sono manifestate nell’ambito della cultura europea.
Certamente all’occhio del critico occidentale lo strutturalismo e la semiotica, in passato, o la critica postmoderna, in anni più recenti, appaiono fenomeni assai rilevanti. In realtà la costante della critica letteraria contemporanea nell’Europa centro-orientale rimane ancora la ricostruzione del canone delle singole letterature nazionali. In questa prospettiva la critica letteraria appare profondamente coinvolta nei movimenti centrifughi dell’intera area, che continueranno a dare i loro frutti sia nei Balcani, sia nell’Eurasia, mentre solo in modo apparentemente più facile si presenta l’integrazione dell’Europa centrale con l’Occidente, di cui peraltro ha sempre culturalmente fatto parte. In ogni caso il potente processo di integrazione nell’Unione Europea e, più in generale, il processo di globalizzazione renderanno inevitabilmente più vicina la riflessione critica di questi Paesi, che rappresenta, insieme alle letterature stesse, un patrimonio comune della cultura europea.
Bibliografia
Nell’ambito della ricca produzione di enciclopedie e dizionari delle diverse letterature v. in particolare:
Kirilo-Metodievska enciklopedija (Enciclopedia cirillo-metodiana), a cura di P. Dinekov, L. Graševa, S. Nikolova, 4 voll., Sofija 1985-2003.
Slovar' knižknikov i knižnosti Drevnej Rusi (Dizionario degli scrittori e della produzione scrittoria dell’antica Rus'), a cura di D.S. Lichačëv, 7 voll., Leningrad-Sankt-Peterburg 1987-2004.
Dicţionarul scriitorilor români (Dizionario degli scrittori romeni), a cura di M. Zaciu, M. Papahagi, Au. Sasu, 4 voll., Bucureşti 1995-2002.
Słownik literatury polskiego Oświecenia (Dizionario della letteratura polacca dell’Illuminismo), a cura di T. Kostkiewiczowa, Wrocław 2002.
Słownik literatury polskiej XIX wieku (Dizionario della letteratura polacca del 19° secolo), a cura di J. Bachór, A. Kowalczykowa, Wrocław 2002.
Słownik literatury staropolskiej. Średniowiecze, renesans, barok (Dizionario della letteratura antico-polacca: Medioevo, Rinascimento, Barocco), a cura di T. Michałowska, Wrocław 2002.
Česká literární kritika v dotyku se strukturalismem (1880-1940) (La critica letteraria ceca a contatto con lo strutturalismo), a cura di J. Kudrnáč, Brno 2003.
Dicţionarul general al literaturii române (Dizionario generale della letteratura romena), a cura di E. Simion, Bucureşti 2004-2006.
Si veda inoltre:
I. Pospíšil, M. Zelenka, Centrisme interlittéraire des littératures de l’Europe centrale, Brno 1999.
Il Mediterraneo. Una rete interletteraria, a cura di D. Ďurišin, A. Gnisci, Roma 2000.
History of the literary cultures of East-Central Europe. Junctures and disjunctures in the 19th and 20th centuries, ed. M. Cornis-Pope, J. Neubauer, 3 voll., Amsterdam-Philadelphia 2004-2007.
Russian writers since 1980, ed. M. Balina, M. Lipovetsky, Detroit 2004.