Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I nessi tra scelte politiche (nel campo dell’istruzione, della ricerca di base e delle strutture amministrative e gestionali dei sistemi di ricerca), scienza e sviluppo tecnologico si fanno nel corso del secolo sempre più stretti e vitali per tutti i Paesi sviluppati e in via di sviluppo.
Se per alcune teorie scientifiche o tradizioni disciplinari è possibile tracciare filiazioni e continuità con la scienza del passato, non vi è dubbio che il ruolo delle scienze e delle tecniche nella società contemporanea costituisce una novità assoluta nella storia dell’umanità. A partire dalla fine dell’Ottocento e attraverso tre fasi di accelerazione costituite dalle due guerre mondiali e dalla guerra fredda, il ruolo diretto o indiretto dello Stato e la forte sinergia tra ricerca avanzata e sistema industriale hanno prodotto mutamenti quantitativi e qualitativi di enorme portata nella pratica e nella dimensione sociale delle scienze.
Una prima riflessione sistematica sul ruolo della ricerca scientifica nei destini delle grandi potenze è suscitata dalla travolgente vittoria delle armate prussiane sul ben più numeroso esercito francese intorno al 1870. Si constata allora che la vittoria tedesca è maturata nei laboratori di chimica organica e nel sistema di istruzione tecnica prevalente in molti Stati germanici. Negli stessi anni in Inghilterra una commissione parlamentare diretta da Lord Devonshire (un Cavendish, matematico lui stesso) suona un campanello d’allarme: lo stesso William Cavendish dà per primo il buon esempio, finanziando la costruzione del laboratorio di fisica di Cambridge, a lui intititolato, che nel volgere di alcuni decenni divenne fucina di premi Nobel.
L’Inghilterra, tuttavia, non agisce con la solerzia che alcuni politici illuminati avevano suggerito. Le università tedesche continuano ad attirare talenti da tutto il mondo, soprattutto nelle discipline fisico-chimiche e biomediche. Allo scoppiare della prima guerra mondiale, la Germania vanta 16.000 studenti in ingegneria, l’Inghilterra solo 4.000. E solo nel 1915, a un anno dall’inizio del conflitto, si decide di non pagare più le royalties alle industrie tedesche per i brevetti degli esplosivi utilizzati per bombardare il nemico.
La prima guerra mondiale mette in evidenza l’utilità dell’alleanza tra ingegneri, fisici e chimici, una alleanza che diventa programmatica a partire dalla seconda guerra mondiale e nel corso della guerra fredda. Nel conflitto del 1914-1918, i chimici dei due schieramenti gareggiano per produrre gas letali, i cui orribili effetti suscitano vivaci proteste internazionali; vengono mobilitati anche meteorologi, per studiare il regime dei venti affinché i gas non colpiscano le proprie linee, come pure geologi, per valutare dove scavare trincee, e ingegneri meccanici per adattare il sistema di trasporti alla necessità di muovere rapidamente decine di migliaia di uomini.
La prima guerra mondiale mostra l’efficacia produttiva e distruttiva di ricerche scientifiche concentrate su obiettivi applicativi precisi, supportate da finanziamenti impensabili in tempo di pace. Convince anche alcuni grandi industriali, in Europa come negli Stati Uniti, che gli investimenti in ricerca sono certamente costosi, ma indubbiamente fruttuosi. Inoltre i massicci investimenti in tecnologie meccaniche e chimiche realizzati a spese dell’economia di guerra, contribuiscono alla costituzione di grandi gruppi industriali, o permettono a settori dell’industria di ampiare in modo considerevole i propri mercati.
È tuttavia la seconda guerra mondiale a costituire una vera svolta: sostenere che a vincere sono gli Stati che più avevano investito in ricerca è senza dubbio una semplificazione, ma non un errore. Certamente molte tecnologie che poi caratterizzeranno la seconda metà del XX secolo, sono già in gestazione prima della guerra, ma è il conflitto a permettere una accelerazione negli investimenti e nello sforzo di innovazione tale da rendere concreti progetti ancora a livello di ipotesi da fantascienza. Radar, sonar e sistemi di comunicazione globali, computer e aviazione, medicine e trasporti sono rivoluzionati dagli investimenti bellici.
Particolarmente efficace e foriero di problemi per la comunità scientifica è il Progetto Manhattan, che nel volgere di quattro anni dota gli Stati Uniti dell’arma atomica. Si è trattato senza dubbio del più importante esperimento di ricerca scientifica di punta, condotto da team di scienziati di livello mondiale, che lavorano fianco a fianco con ingegneri e tecnici per risolvere gli immensi problemi realizzativi che il progetto pone a ogni istante. Val la pena sottolineare come alcuni degli scienziati di punta del progetto, come Enrico Fermi o Hans Bethe, provengano dai Paesi nemici, cacciati dalla follia razzista di nazismo e fascismo.
L’esempio americano viene subito seguito da altri Paesi, e ben presto la corsa alle armi atomiche suscita proteste a livello globale. Molti degli scienziati che hanno preso parte al Progetto Manhattan sono tra i primi a mettere in guardia sui pericoli dell’arma atomica. Diventa ben presto comune dire che con le esplosioni su Hiroshima e Nagasaki dell’agosto del 1945 la scienza ha perso la sua innocenza.
I legami tra grande industria, ricerca scientifica e tecnologica e potere politico, che hanno mostrato la loro efficacia nel primo conflitto mondiale, diventano con la seconda guerra mondiale e con il conseguente equilbrio del terrore tra le due grandi superpotenze, America e Russia, un aspetto sostanziale della vita economica delle grandi potenze. Si ritiene che la guerra fredda in effetti sia stata combattuta sul fronte dei colossali investimenti in ricerca e in propaganda: solo economie sempre più solide, sostenute da politiche espansionistiche e neocoloniali, possono reggere il confronto sulla lunga durata. Parte di tali investimenti, come i viaggi spaziali, mirano più all’impatto sull’opinione pubblica, che non a indebolire militarmente l’avversario, anche se le ricadute militari dell’astronautica di esplorazione sono parte integrante dell’investimento.
Con la fine della guerra fredda è cambiato il tipo di investimento, ma non l’importanza dello stesso. In particolare, l’elettronica o la linguistica applicata, essenziali per le operazioni di intelligence a livello globale – come il sistema Echelon che ascolta le conversazioni telefoniche e gli scambi elettronici di tutto il mondo – hanno beneficiato di investimenti massicci nell’ultimo decennio del XX secolo.
Industrie meno direttamente beneficiarie di investimenti bellici, come le industrie farmaceutiche, hanno applicato il modello del finanziamento massiccio in ricerca reperendo risorse sul mercato azionario o procedendo a fusioni che hanno dato vita a giganti industriali che operano a livello globale.
Le vicende belliche che hanno permesso investimenti eccezionali in ricerca e sviluppo non sono fortunatamente eventi quotidiani; d’altra parte la politica globale impedisce il ricorso ad armi di distruzione di massa per risolvere i conflitti regionali innescati ufficialmente proprio per evitare l’uso di armi di distruzione di massa. Il che significa che persino le grandi potenze, o la potenza leader, gli Stati Uniti, non possono né vogliono garantire flussi finanziari a settori della ricerca che non rivestono più importanza strategica di primo piano. La comunità dei fisici americani, per esempio, ha lamentato la chiusura di progetti dell’importanza dell’acceleratore di particelle in costruzione nel Texas, che avebbe dovuto permettere una competizione più agguerrita con l’apparato europeo operativo a Ginevra presso il CERN. Il mutare della situazione geopolitica e dei livelli di tensione costringe molti conglomerati industriali che vivono di tecnoscienze e settori della comunità scientifica a essi legati, a mettere in atto forme di pressione sulla politica, al fine di ottenere un flusso di finanziamenti, anche se ridotti. Il Congresso degli Stati Uniti è periodicamente e notoriamente alle prese con scandali legati alle forniture militari e all’innovazione dei sistemi d’armi.
Il settore industriale e l’economia di molti Paesi occidentali risentono in particolar modo dell’influsso della politica nelle scelte di investimenti in ricerca e sviluppo. Paesi come l’Inghilterra o l’Olanda e la Francia, che non hanno risorse né potere militare paragonabili a quelli degli Stati Uniti, perseguono tuttavia da tempo, non senza difficoltà e contraddizioni, politiche di investimento in ricerca e sviluppo che tengono alto il livelllo di preparazione tecnica e scientifica di quadri amministrativi e industriali, e producono al tempo stesso flussi costanti di innovazione. Così, l’industria farmaceutica inglese e francese beneficiano di costanti immissioni di danaro pubblico nella ricerca biomedica, mentre il CNR francese conduce ricerche di punta nell’aerospaziale, di cui benficia l’industria strategica dell’aviazione civile e militare. Tuttavia anche in questi Paesi le risorse vengono decise dalla politica e mutamenti importanti nella composizione dei governi possono produrre seri danni. In Olanda si assiste con preoccupazione all’arrivo nell’area governativa di forze ispirate a ideologie antiscientifiche, che potrebbero decidere di dirottare altrove fondi destinati alle ricerche pubbliche nei settori dell’elettronica o delle tecnologie laser, di cui beneficiano molte grandi industrie dei Paesi Bassi.
In Paesi come l’Italia l’assoluta impreparazione della classe politica nel suo insieme alla gestione di complessi sistemi di ricerca produce sussulti temporanei, che non scalfiscono in alcun modo il declino scientifico e tecnologico del Paese, mentre favoriscono alti tassi di emigrazione di personale scientifico qualificato. In particolare gli investimenti in ricerca e sviluppo dal dopoguerra alla fine del XX secolo non sono stati in grado di garantire competitività e innovazione, costringendo l’economia nazionale a dipendere in misura sempre crescente da brevetti reperibili a caro prezzo sui mercati. Interi settori dell’industria, come ad esempio la farmaceutica o l’elettronica, sono stati assorbiti da grandi conglomerati mondiali o hanno semplicemente chiuso i battenti. Complessivamente i nessi tra scelte politiche (nel campo dell’istruzione, della ricerca di base e delle strutture amministrative e gestionali dei sistemi di ricerca), scienza e sviluppo tecnologico si fanno sempre più stretti e vitali per tutti i Paesi sviluppati e per quelli in via di sviluppo.