politica monetaria non convenzionale
Espressione coniata per indicare l’insieme di politiche urgenti e fuori dal comune attuate dalle autorità monetarie a seguito della crisi finanziaria del 2007. Fino a quella data, infatti, in molti Paesi le p. m. venivano condotte in base ad alcuni criteri, noti come regole di Taylor (➔ Taylor, regola di).
Le regole di Taylor stabiliscono che il tasso d’interesse nominale deve variare in modo endogeno (➔ endogeno/esogeno), in risposta ai movimenti del tasso d’inflazione e del prodotto interno lordo rispetto ai loro target. Più specificamente, il tasso d’interesse deve salire più di un punto percentuale per ogni aumento di un punto della differenza tra l’inflazione effettiva e quella programmata e deve scendere dello 0,5% per ogni movimento di un punto della differenza tra il prodotto interno lordo effettivo e quello previsto. Queste regole erano il risultato di un consenso, maturato sia in ambiente accademico sia tra i responsabili delle politiche economiche, sul fatto che il compito principale dell’autorità monetaria dovesse consistere principalmente nel mantenere la stabilità dei prezzi e dell’inflazione, alzando i tassi d’interesse più che proporzionalmente rispetto alla crescita dell’inflazione, occupandosi marginalmente di sostenere lo sviluppo economico. Tale consenso era a sua volta il frutto dei dibattiti di politica monetaria svoltisi a seguito della ‘grande inflazione degli anni 1970’: si riteneva, infatti, che una regola fissa consentisse alle autorità monetarie di mantenere meglio gli impegni di stabilità dei prezzi e limitasse le manovre discrezionali. Negli anni 1990 e fino all’inizio degli anni 2000 questo approccio ha dato buona prova di sé, tanto che molti economisti hanno adottato l’espressione ‘grande moderazione’, per riferirsi appunto a una situazione d’inflazione e crescita stabile imputabile alla credibilità delle regole di politica monetaria. L’avvento della crisi finanziaria del 2007, la più grave dopo quella del 1929, ha indotto molti economisti a ritenere che quel modo di condurre la p. m. non potesse premunire del tutto dall’insorgere di forti instabilità.
La prima reazione delle autorità monetarie alla crisi finanziaria del 2007 è stata quella di fornire ampia liquidità al mercato. In diversi Paesi sono state adottate misure straordinarie, note per l’appunto come p. m. n. c., per frenare le crisi di liquidità delle banche, che stavano lentamente cadendo verso situazioni d’insolvenza. Più in particolare, le misure adottate dalla Federal Reserve (➔), note come Quantitative Easing 1 e 2, hanno immesso nel mercato massicce dosi di liquidità tramite operazioni di acquisto sul mercato aperto di titoli di Stato. Oltre a supportare il mercato interbancario, queste operazioni hanno avuto l’effetto di abbassare i tassi d’interesse. Un’altra azione intrapresa dalla Federal Reserve è stata quella di allargare la piattaforma dei possibili beni presi in garanzia a fronte dei prestiti richiesti dalle banche private alla banca centrale, operazione che ha ulteriormente facilitato il flusso diretto di liquidità alle banche. Anche la Banca Centrale Europea ha adottato misure straordinarie a seguito della crisi del 2007, ma di natura diversa; lo sforzo è stato piuttosto quello di facilitare, anche dilazionandole nel tempo le operazioni di rifinanziamento delle banche, accompagnando tale azione con una serie di altre misure volte a tamponare nell’immediato le crisi di liquidità e i fallimenti bancari. Molte di queste misure sono rimaste in vigore per tutto il 2011.