Politica
di Harold D. Lasswell
Politica
sommario: 1. Introduzione. 2. La delimitazione del quadro concettuale. a) La ricerca di un quadro concettuale. b) Il diritto come categoria del potere. 3. Il processo politico. a) Gli attori. b) Le prospettive. c) Le arene; d) I valori di base. e) Le strategie. f) I risultati. g) I sistemi politici: strutture e funzioni decisionali. h) I sistemi politici: risultati ed effetti. i) II passato e il futuro in politica. 4. I rapporti tra lo studio del potere e altri campi di ricerca, e tra lo studio del potere e l'azione politica. a) La ricettività della scienza politica. b) L'influenza della scienza politica in altri campi di ricerca. c) I rapporti tra la teoria e il potere. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il campo specifico di cui si occupano gli studiosi di politica si definisce concettualmente come la presa di decisioni assistite da sanzioni nell'ambito di una comunità politica. ‟La materia, la forma e il potere" di uno Stato, secondo la formula usata da Hobbes nel Leviatano. Nella letteratura politica tradizionale l'attenzione si è concentrata soprattutto sulla politica internazionale: sulle decisioni, prese dalle città-Stato, dagli Stati nazionali o dagli imperi, di fare la guerra o la pace, di unirsi o di separarsi tra loro. Ma le ‛decisioni', nel senso indicato, riguardano anche importanti settori della politica interna, in special modo l'applicazione di norme prescrittive per la risoluzione dei conflitti. Il tratto caratteristico che contraddistingue in uno Stato le ‛decisioni', differenziandole da ogni altro tipo di scelte, è che possono essere imposte con la forza nei confronti degli oppositori; cioè l'esistenza al loro riguardo di un'aspettativa, confermata e confermabile nei fatti, che contro i trasgressori saranno regolarmente irrogate privazioni relativamente gravi dell'integrità o della libertà personale, della ricchezza, della reputazione e di altri valori. Le decisioni, così intese, sono tra i fatti più importanti del processo sociale. In questa prospettiva teorica, il potere politico si definisce come il grado della partecipazione alla presa e all'esecuzione di decisioni importanti in una comunità politicamente organizzata.
La definizione della politica come potere politico è stata ora accettata ora rifiutata, con ogni possibile sfumatura, nella vasta letteratura sullo Stato, il diritto e la politica (Friedrich, Fung, Varma, Ibn Khaldūn). Il concetto può essere definito in modo ampio come nella seguente proposizione di G. E. G. Catlin: ‟Vi è tra gli uomini una volontà generalizzata di attuare la propria volontà, la quale è il tramite per la realizzazione di desideri o fini particolari, e insieme il tramite della libertà di realizzarli. La condizione di tale attuazione della volontà è il potere" (v. Catlin, 1962, prop. 6). Quali che siano le restrizioni che si introducono nella definizione, certo ben pochi autori intendono il potere politico come un concetto che si identifica necessariamente con ‛quel che fanno i governi' o ‛gli Stati'. Nè, d'altra parte, gli autori politici accettano automaticamente come governative o statali tutte le istituzioni che vengono chiamate in questo modo nell'uso linguistico prevalente in una data società. Uno degli scopi principali degli studiosi politici è di analizzare le istituzioni politiche ‛convenzionali' alla luce di una definizione della politica di tipo ‛funzionale', la quale permetta di effettuare comparazioni attraverso il tempo e attraverso lo spazio. Uno studio siffatto delle istituzioni politiche convenzionali di una società può mostrare che il numero delle leggi, dei trattati e dei regolamenti effettivamente assistiti da sanzioni va declinando, mentre si sta imponendo come ‛governo invisibile' una coalizione di organizzazioni economiche e religiose e di altri gruppi privati. Oppure può verificarsi la tendenza opposta, nel senso che le decisioni prese dalle istituzioni politiche convenzionali vadano permeando settori della società che nel passato erano rimasti nelle mani dei privati. In tal caso potrà accadere che funzionari dello Stato, del partito dominante o dell'esercito penetrino nelle banche, nelle industrie, nei sindacati, nelle cooperative, nelle università e nei mezzi di comunicazione di massa, e ne influenzino in modo rilevante i programmi e le scelte.
È evidente che una definizione funzionale del potere politico perde ogni utilità come strumento di analisi, se si allarga fino al punto di includere ogni tipo di influenza attuale o potenziale di A su B e di B su A. Si tratta perciò di delimitare il significato di ciò che è ‛politico', collocandolo sullo sfondo di una visione generale del processo sociale preso nel suo insieme. Pur senza dilungarci in dettagli, possiamo descrivere brevemente, nel modo che segue, le componenti principali di una mappa generale del contesto sociale: gli ‛attori' umani cercano di massimizzare i propri ‛valori' (intesi come risultati desiderati) per mezzo di ‛istituzioni' che agiscono sull'‛ambiente'. I risultati politici si possono distinguere dagli altri risultati una volta che li definiamo come decisioni, e una volta che per decisioni intendiamo le scelte che, di fronte a un'opposizione, sono assistite da privazioni ‛gravi' anziché da privazioni ‛lievi'. Il contesto sociale, che risulta rilevante per determinati fini scientifici o di intervento, può essere universale, come l'intero globo terrestre, oppure particolare, come una comunità di quartiere o una famiglia nucleare. Gli scienziati politici si sono concentrati di regola nello studio delle comunità territoriali, identificando le istituzioni del potere ora nelle strutture convenzionali, ora nelle strutture funzionali, deputate alla presa e alla esecuzione di decisioni delimitate territorialmente. Oggigiorno si diffonde sempre più la tendenza a riconoscere una dimensione politica in ogni contesto sociale, anche al di fuori delle comunità territoriali, e nell'ambito dei settori istituzionali specializzati nella formazione e nell'allocazione di valori diversi dal potere.
Anche in questi differenti contesti, al pari che nelle comunità territorialmente definite, importanti risultati del processo sociale possono trovar forma in votazioni, accordi o conflitti aperti. Di solito le decisioni chiave di un'associazione religiosa, scientifica o economica non sono assistite da sanzioni che raggiungono lo stesso grado di severità che è tipico invece delle sanzioni di cui si avvale lo Stato. Per esempio, le decisioni delle associazioni private non vengono fatte rispettare con la minaccia o l'irrogazione della pena di morte. È tuttavia possibile misurare le privazioni potenziali di cui un gruppo privato dispone, e definire decisioni politiche nell'ambito di quel gruppo i risultati sanzionati con le privazioni che sono comparativamente le più gravi.
La letteratura sul potere politico si è in parte differenziata in cinque tipi di orientamenti, corrispondenti ai cinque compiti intellettuali che sono connaturati con ogni attività dell'uomo mirante a identificare e a risolvere problemi. Si tratta dei compiti filosofico, storico, scientifico, profetico e pratico. Il compito filosofico consiste nella chiarificazione dei valori-fini con i quali i detentori del potere, quelli che vi aspirano o gli osservatori cercano solitamente di giustificare la propria posizione di fronte a se stessi e di fronte agli altri. Il compito ‛storico' consiste nel descrivere le linee di tendenza relative all'evoluzione e alla distribuzione del potere, comprese quelle riguardanti il grado di successo o di insuccesso nella realizzazione dei valori-fini.
Il compito ‛scientifico' consiste nella spiegazione della direzione e della grandezza delle linee di tendenza. Il compito ‛profetico', una volta spogliato della sua componente esortativa, consiste nella proiezione della sequenza probabile degli eventi futuri. Il compito ‛pratico' consiste nell'inventare, valutare e compiere le scelte politiche ed è naturalmente quello che definisce la funzione principale dei consiglieri politici e degli uomini d'azione. Nel XX secolo il modo di studiare il potere politico è andato incontro a notevoli trasformazioni, soprattutto a causa del persistente tentativo di costruire una scienza empirica della politica, la quale corrisponde al terzo dei compiti intellettuali sopra enumerati. In questa direzione, per mettere le teorie in un rapporto corretto con le situazioni di fatto, si è imposta la necessità di individuare degli indicatori sociali ai quali ricondurre i concetti astratti (v. Gross, 1966).
2. La delimitazione del quadro concettuale
a) La ricerca di un quadro concettuale
È ragionevole pensare che trattazioni sistematiche intorno al potere politico compaiano dovunque prende forma una civiltà urbana, la quale subordina i legami tribali o di clan alle decisioni degli amministratori del nuovo Stato. La civiltà urbana dipende dall'arte della scrittura per la conservazione dei documenti pubblici, per la formulazione delle leggi e dei contratti, e per lo sviluppo crescente dell'insegnamento e della scienza. Sappiamo che vere civiltà urbane - che sono cosa diversa da un semplice conglomerato di villaggi sorsero piuttosto all'improvviso circa cinquemila anni prima di Cristo nella valle del Nilo, nella valle del Tigri e dell'Eufrate e in quella dell'Indo (v. Childe, 1954). Le opere letterarie superstiti delle prime dinastie sumere, caldee ed egizie non contengono dei trattati sistematici; ma è tuttavia impossibile leggere i frammenti che ci rimangono senza provare un'alta stima per la perspicacia dei governanti e dei consiglieri che emanarono o prepararono i codici di Hammurabi e dei suoi predecessori. Dalle disposizioni dei codici e dalle opere dei sapienti dell'antichità possiamo desumere come i fondatori degli ordinamenti degli Stati conoscessero bene i problemi permanenti che sono strettamente connessi con la programmazione e la valutazione di imprese umane su vasta scala (v. Frankfort e altri, 1949). In questo campo il patrimonio della civiltà europea occidentale è derivato essenzialmente dalle opere politiche dei Greci e dei Romani, mentre dei trattati politici cinesi, indiani o islamici si è avuta una conoscenza soltanto marginale.
I pensatori che formularono per primi una concezione secolare del potere politico lo fecero reagendo contro una visione del mondo nella quale i rapporti tra gli uomini venivano subordinati all'azione di attori o forze soprannaturali. Questa svolta, nonostante diverse oscillazioni, ebbe luogo durante la storia iniziale di almeno tre centri di civiltà urbane e precisamente nel Mediterraneo, in Cina e in India. Nelle società preurbane non esistevano nette linee di separazione tra ciò che appartiene alla soggettività della mente e ciò che è materiale, tra ciò che è ‛vivo' e ciò che è ‛morto', tra l'‛organico' e l'‛inorganico'. Un senso di partecipazione cosmica faceva sì che sassi e bastoni, alberi e animali, acque e stelle del cielo fossero parte di una sola totalità interdipendente. L'azione complessiva di questa interdipendenza si disponeva quasi interamente in una sola direzione, in modo che l'uomo vi figurava unicamente come oggetto o bersaglio. Tuttavia, di solito, si ammetteva che le domande e le suppliche umane, se fatte secondo i riti e le cerimonie prescritte, potessero indurre, persuadere o talora costringere gli esseri soprannaturali a intervenire nel modo desiderato nella vita degli uomini, e ciò nell'interesse di uno o di pochi uomini, oppure in quello della maggioranza.
Durante la genesi di una concezione autonoma della politica, divenne indispensabile separare le definizioni dei fenomeni da spiegare dai fattori causali utilizzati per spiegarli. Da principio le distinzioni non furono nette, poiché negli orientamenti fondamentali della civiltà urbana permaneva, con adattamenti e modificazioni, la vecchia visione del mondo delle società preurbane. In Egitto il re-dio manifestava la propria volontà in tutti i suoi atti ufficiali, e anche negli atti di quelli che eseguivano la sua volontà divina. Di conseguenza, da principio non ebbe senso distinguere tra il flusso delle decisioni (che erano volontà del dio) e i fattori ambientali che causavano le decisioni (i quali erano pure considerati come retti dalla volontà del dio). In Mesopotamia le cose andarono un po' diversamente: il re non era un dio, anche se era scelto dagli dei; e si pensava che egli dovesse legiferare guidato dallo spirito religioso, e formulare in modo esplicito e rendere nota a tutti la volontà del dio. Vi erano perciò le premesse perché particolari decisioni politiche potessero essere contestate, in base all'argomento che erano state determinate da una volontà diversa da quella del dio (v. Levi, 1963).
Un nuovo elemento, che rese più complessa la situazione, comparve con le aristocrazie guerriere indoeuropee, il cui primo esempio fu l'aristocrazia che dominò gli Ittiti. Si continuava a credere che il re fosse il protetto degli dei, ma, secondo la dottrina prevalente, gli dei non parlavano con la bocca del re, né lo ispiravano direttamente, quando prendeva decisioni in questo o quel campo. Soltanto i preti e gli interpreti riconosciuti dei ‛segni del cielo' erano in grado di consultare gli dei. In questo modo cominciava a profilarsi la possibilità di esaminare se le prescrizioni o le sentenze particolari del re fossero state determinate dalla volontà del dio o da altri fattori.
Anche i Greci, da principio, non si distaccarono dalla visione del mondo comune all'area del Mediterraneo e incentrata sull'intervento degli dei negli affari degli uomini. Sebbene l'immagine tradizionale che abbiamo dei Greci ce li dipinga come organizzati in città-stato tra loro indipendenti, é stato sostenuto che sarebbe più esatto considerarli come membri di un'unica comunità politica, caratterizzata dalla presenza degli oracoli quali principali istituzioni di governo. Consultando e interpretando gli oracoli, si svelava la volontà degli dei onnipotenti. È facile capire come l'istituzione oracolare indebolisse alquanto la posizione di chiunque volesse presentarsi come rappresentante o come strumento degli dei. Non solo l'ambiguità e la molteplicità dei responsi oracolari aprirono la strada a una pluralità e diversità di interpretazioni; ma divenne anche palese l'inclinazione degli oracoli di certe città a parlare in favore dei programmi politici dei governanti locali. Si moltiplicarono così le occasioni e le spinte verso un' interpretazione secolare del potere politico.
Quali che fossero i fattori che causarono la nascita della metafisica e poi della scienza empirica, è certo che essi operarono in Grecia quando comparvero le opere di autori come Anassagora, Democrito o Antifonte. Si concepì l'uomo come appartenente a un'unica specie dotata di impulsi fondamentalmente simili e si interpretò l'evoluzione delle culture come l'espressione di quegli impulsi in situazioni ambientali diverse. Per ‛cultura' si intende una configurazione relativamente stabile delle regolarità emergenti nelle interazioni sociali. La ricerca di una conoscenza del potere politico, visto come fattore causale delle decisioni emanate da uno Stato, si trasferì a poco a poco dalla dimensione metaempirica a quella empirica (v. Havelock, 1957). All'incirca nello stesso periodo di tempo, un'analoga capacità di riflettere in modo libero sulla società fu chiaramente raggiunta nel pensiero cinese. Sembra che Confucio abbia evitato ogni occasione di dogmatizzare o di speculare su argomenti soprannaturali, come mostra l'aneddoto secondo il quale, richiesto da un discepolo di trattare della morte, il grande maestro avrebbe risposto: ‟Se non si conosce ancora la vita, come si può conoscere la morte?" (Dialoghi, XI, 11).
L'elaborazione di un orientamento empirico e scientifico comportò il superamento tanto della metafisica che delle concezioni teologiche o animistiche. Per i nostri fini, possiamo definire un concetto teologico o animistico quando si riferisce in modo aperto a un'entità personificata quale un essere, una volontà o uno spirito soprannaturali. Un linguaggio metafisico lascia cadere i riferimenti a entità personificate, e le sue parole designano entità di carattere impersonale, come una ‛forza', una ‛luce' o un' ‛energia'. I significati sono spesso ambigui o indefiniti, come nel caso di ‛essere' o di ‛esistenza'. Si è però osservato che l'impiego di un linguaggio teologico o metafisico non basta per concludere che un autore adotta un orientamento metaempirico. Occorre esaminare il modo in cui chi formula le proposizioni considera le sue asserzioni; e ciò indipendentemente dal contenuto apparente delle parole. Se le asserzioni sono trattate come oggetto di fede, e non come un'ipotesi per produrre ulteriore conoscenza, allora l'orientamento può dirsi teologico e metafisico. Per contro, se le proposizioni sono formulate in via di tentativo, e sono riconosciute come correggibili sulla base di procedimenti di indagine controllati, allora l'orientamento può dirsi scientifico. L'orientamento scientifico implica anche che non si possa mai affermare che una teoria, che è attualmente accettata come scientifica, debba essere accolta come la parola conclusiva in un dato campo: un atteggiamento, quest'ultimo che è particolarmente pericoloso quando chi formula la teoria nutre la convinzione che essa fornisca la chiave definitiva per prevedere l'evoluzione politica futura.
Certe strutture del potere politico traggono sostegno da sistemi di credenze che vengono presentati in termini teologici alla massa e in termini metafisici alle élites (v. Nivison e Wright, 1959).
b) Il diritto come categoria del potere
Una volta che il potere politico sia concepito come un processo empirico di presa di decisioni, nascono diverse interpretazioni su quale sia il ruolo del diritto come componente, se non come requisito necessario, del potere politico stesso. Di solito i trattati politici tracciano una linea di distinzione tra il ‛potere nudo' e altre relazioni di potere tra gli uomini, definite volta a volta come legali, autoritative, legittime, istituite o tradizionali (v. Passerin d'Entrèves, 1951). Di regola si considera il potere nudo come un fenomeno temporaneo, basato su calcoli di breve periodo, che sfrutta la paura collettiva di una perdita immediata. Man mano che le relazioni di potere si stabilizzano, anche le aspettative prevalenti tra i membri della comunità acquistano continuità. In presenza di un potere ‛legale', nell'ambito della comunità si riconosce diffusamente come giusto che determinati uomini, i governanti, agiscano in un dato modo di fronte a importanti problemi interni ed esterni. Dunque il potere legale è l'unione di ‛dominio' (inteso come potere effettivamente operante) e di ‛autorità' nella presa delle decisioni; e non va confuso né con il dominio disgiunto dall'autorità (il potere nudo), da un lato, nè con una ‛pretesa autorità' disgiunta dal dominio, dall'altro lato (v. Lasswell e Kaplan, 1950). Per accertare se nella comunità siano presenti o meno le aspettative appropriate bisogna ricorrere alla ricerca empirica. E alla ricerca empirica bisogna ricorrere anche quando non si tratti più di sapere se vi sia o non vi sia autorità, ma si affronti invece l'ulteriore e più dinamico problema di spiegare in quale modo l'autorità sorga e in quale modo venga meno. Un tema ricorrente, a questo proposito, riguarda l'intensità dei fattori etici, religiosi o metafisici, che rafforzano o indeboliscono il sostegno dei membri della comunità verso un determinato sistema politico. È opinione generale che una reputazione di giustizia rafforzi un ordine stabilito, mentre un crescente sentimento di ingiustizia lo indebolisca.
La spinta a concepire il diritto come l'unione di dominio e di autorità, e a collocare nei fatti concreti del processo sociale i fattori che lo determinano, si evidenziò pienamente nell'Atene del V secolo, quando i tiranni si impadronirono del potere. Il mondo mediterraneo non aveva mai concepito una forma di potere politico sganciato dalla pretesa di possedere l'autorità religiosa. Per gli Egizi, ad esempio, il Ma'at era l'ordine delle cose voluto dal dio. Esso era obbligatorio perfino per gli dei, una limitazione che gli dei imponevano a se stessi; e da ciò derivava la conseguenza che un faraone poteva essere reso responsabile delle sue decisioni dopo la morte. Né gli Egizi né i popoli della Mesopotamia pensarono che un tiranno, anche se sostenuto dal consenso della maggior parte della popolazione, potesse emanare comandi dotati di autorità.
Ad Atene, invece, alcuni studiosi e scienziati erano arrivati a pensare che le prassi politiche, prevalenti in un determinato periodo di tempo, erano influenzate dalle predisposizioni formatesi durante la storia precedente della società e dai fattori ambientali. Nella Repubblica di Platone, Archelao afferma che ‟sia il giusto sia il disonorevole esistono non per natura, ma per consuetudine e per legge". Ora, a queste predisposizioni venne ricondotta, come l'effetto alla causa, l'accettazione delle norme sociali da parte dei membri della comunità. Da qui a riconoscere che quelli che avevano ‛fatto' le norme sociali in passato, potevano ora cambiarle appoggiando dei governanti di loro scelta, il passo era breve. Divenne perciò concepibile che un commentatore chiamasse ‛legale' un sistema politico stabilito in quanto tale, senza pretendere di riservare la parola diritto ai soli sistemi ‛giusti'. Quando i sistemi politici ‛legali' venivano considerati anche ‛giusti', allora si poteva chiamarli ‛legittimi'.
3. Il processo politico
Tanto la ricerca di regole di intervento efficaci, quanto quella di una teoria esplicativa adeguata, hanno fatto sorgere molti modelli generali di interpretazione del potere politico. Dal canto nostro, consideriamo il potere come uno dei valori che l'uomo cerca di massimizzare per mezzo di istituzioni e servendosi delle risorse dell'ambiente. I risultati in termini di potere sono il dare o l'avere sostegno, oppure il rifiutare o il non ottenere sostegno in materie importanti. Le molte variabili che interagiscono, dentro e fuori del processo politico, si possono riassumere in poche categorie: gli ‛attori', che sono guidati da diverse ‛prospettive', interagiscono tra loro nell'ambito di ‛arene', e impiegano dei ‛valori di base' secondo determinate ‛strategie', per influenzare i ‛risultati' e gli ‛effetti' del processo politico.
a) Gli attori
Gli individui prendono parte al processo politico singolarmente o uniti in gruppi (v. Bentley, 1908; v. Truman, 1951). Una distinzione importante è quella tra i produttori di potere e quelli che si limitano a parteciparvi. Una élite di potere è composta da coloro che esercitano il maggior peso sulle decisioni, sia come produttori sia come partecipanti. L'élite media e la massa hanno invece scarsa influenza, e restano oggetti relativamente passivi del processo politico.
L'origine, la composizione e il succedersi delle élites sono stati studiati in modo dettagliato da un'importante corrente del pensiero politico moderno. Un innovatore decisivo in questo campo fu Marx, secondo il quale la base della classe dominante va rintracciata nelle disuguaglianze relative al possesso degli strumenti di produzione e nello sfruttamento sociale che ne consegue. Gli autori che teorizzarono poi nel modo più efficace, e in termini più generali, il concetto di élite furono O. Mosca e V. Pareto. Mosca era nel vero quando, nel 1933, scriveva: ‟Oggi un nuovo metodo di studi politici tende [...] a concentrare l'attenzione dei pensatori sulla formazione e l'organizzazione della classe dirigente che ormai generalmente in Italia appellasi 'classe politica'. L'espressione si comincia a trovare anche presso scrittori stranieri insieme con quella di élite usata dal Pareto".
Via via che entravano nel linguaggio tecnico della scienza sistematica della politica, numerose parole del linguaggio comune furono sottoposte ad analisi, in modo da introdurre le opportune distinzioni di significato. Così le teorie scientifiche delle élites sono state distinte dai miti ‛elitari' di superiorità, che giustificano il potere di una minoranza che cerca in tal modo di perpetuare il suo dominio. Impiegando il concetto di élite in senso descrittivo, si può parlare di una élite democratica intesa come il gruppo dei maggiori detentori del potere in una comunità politica, la cui ideologia prevede una distruzione ampia anziché ristretta del potere. Una tale élite può essere o non essere una minoranza che si autoperpetua.
La concezione della classe politica di Mosca è stata applicata senza problemi alle società politiche caratterizzate da grandi differenze sociali, o dove i governi si affidano alla forza per conservare il predominio. Sono state sollevate numerose perplessità, invece, quando si è cercato di identificare un'élite in una nazione moderna altamente differenziata e caratterizzata da una solida tradizione di governo democratico (v. Dahl, 1963; v. Agger e altri, 1964). Per esempio, la tesi che esista una classe politica negli Stati Uniti è stata contestata con diversi argomenti, fondati sul carattere di accentuata differenziazione della società americana (la maggior parte delle critiche si è concentrata sulle posizioni sostenute da C. W. Mills).
Per poter identificare gli attori politici in società con diversa struttura, l'osservatore scientifico deve disporre di un modello teorico generale, capace di descrivere qualsivoglia contesto sociale. Benché le categorie di un modello possano differire da quelle di un altro, è tuttavia possibile stabilire delle equivalenze tra di esse, a condizione che le categorie considerate di ciascun modello siano tali da coprire l'intero campo di osservazione. Per fini espositivi, utilizzeremo un modello concettuale che comprende otto termini per designare i valori e le istituzioni di un contesto sociale. I ‛valori' sono risultati relativamente distinti, che gli attori desiderano e che cercano di conseguire; le ‛istituzioni' sono prassi relativamente specializzate nella produzione e nella distribuzione dell'uno e dell'altro valore.
I valori del nostro elenco sono il potere (P), il sapere (S), la ricchezza (R), il benessere fisico (B), l'abilità (A), l'affetto (E), il rispetto (T) e la rettitudine (D). Ciascun settore della società che riguarda uno di questi valori, e comprende le istituzioni specializzate al suo riguardo, è oggetto dell'analisi di studiosi specialisti. Il valore del potere e le istituzioni di governo (P) costituiscono il campo di studio degli scienziati della politica, dei cultori delle relazioni internazionali e dei giuristi. Il valore del sapere e le istituzioni delle comunicazioni e della ricerca scientifica (S) sono oggetto delle ricerche degli studiosi che si occupano di giornalismo e degli altri mezzi di comunicazione, nonché dei sociologi della scienza. Il valore della ricchezza e le istituzioni economiche (R) sono il dominio degli economisti. Il valore del benessere e le istituzioni della sicurezza, della sanità e del comfort (R) sono analizzati dai biologi sociali e dagli specialisti dei problemi della sanità pubblica. Il valore dell'abilità e le istituzioni educative e della pratica professionale (A) sono il campo di ricerca dei pedagogisti e dei sociologi delle professioni. Il valore dell'affetto e le istituzioni della famiglia, dell'amicizia e della lealtà (E) rientrano nel campo di indagine degli antropologi e dei sociologi della famiglia e delle strutture parentali. Il valore del rispetto e le istituzioni delle classi e delle caste (T) sono studiati dagli antropologi e dai sociologi che si occupano della struttura sociale. Il valore e le istituzioni della rettitudine (D) costituiscono il campo di indagine degli studiosi della religione e dell'etica.
Ogni individuo svolge dei ruoli sociali, in grado maggiore o minore, in ciascuno dei settori istituzionali (e di valore) della società. Ognuno è tanto un produttore quanto un partecipante in relazione a ciascuno degli otto valori; e questo comporta per lui sia dei vantaggi sia delle privazioni. Naturalmente vi sono anche dei casi di specializzazione più o meno marcata. Quello che segue è un elenco dei ruoli di formazione o produzione dei valori e di partecipazione a essi, relativi in modo specifico a ognuno dei nostri otto valori (con alcuni esempi).
Produttori di potere (P): governanti, capi. Partecipanti al potere: attori che sono parte, in modo attivo o passivo, di un campo (un'arena) di potere. Produttori di sapere (S): cronisti, ricercatori, specialisti in previsioni, conservatori (bibliotecari, ecc.). Partecipanti al sapere: discenti (che apprendono la conoscenza accumulata), spettatori, lettori o ascoltatori di notizie. Produttori di ricchezza (R): produttori (quelli che controllano i fattori della produzione). Partecipanti alla ricchezza: percettori di reddito, consumatori. Produttori di benessere (B): addetti alla sicurezza, all'assistenza, ecc. Partecipanti al benessere: quelli che godono (o soffrono per la mancanza) di sicurezza, salute. comfort. Produttori di abilità (A): professionisti (che curano i livelli di addestramento e la qualità dell'esecuzione delle mansioni), apprendisti, allievi, maestri, insegnanti. Partecipanti all'abilità: valutatori (critici, intenditori). Produttori di affetto (F): generatori di affetto (amici, genitori, modelli di lealtà). Partecipanti all'affetto: quelli che esperimentano l'amore e la lealtà (o l'indifferenza e l'avversione). Produttori di rispetto (T): quelli che stabiliscono o applicano i canoni del rispetto (modelli di stile, di etichetta). Partecipanti al rispetto: quelli che sono oggetto di riconoscimento (o di discriminazione). Produttori di rettitudine (D): quelli che formulano o applicano i canoni della condotta religiosa o etica. Partecipanti alla rettitudine: quelli che sono oggetto di valutazione religiosa o etica.
Quando si descrive la distribuzione dei valori in una società in un determinato periodo di tempo, si possono distinguere gli individui e i gruppi che partecipano al processo sociale, in élite, élite media e massa, in rapporto a ognuno dei valori presi singolarmente, o in rapporto a tutti i valori considerati nel loro insieme.
b) Le prospettive
Domande, aspettative e identificazioni politiche. - Un ovvio fattore determinante delle attività concernenti il potere politico è la ricerca, cioè la domanda, di potere; sia che esso venga ricercato come fine a se stesso, sia che venga ricercato come mezzo per l'acquisizione di altri valori. Un punto importante riguarda il grado in cui le attività umane possono dirsi espressione della brama per il potere politico. Dobbiamo dire, con Hobbes, che tutti gli uomini tendono a ‟una ricerca perpetua e incessante di un potere sempre maggiore, ricerca che ha termine soltanto con la morte"? Si tratta di una predisposizione di tipo biologico, che caratterizza tutta la specie? O la si deve attribuire in massima parte all'influenza dell'ambiente sociale?
Sebbene le prime trattazioni autorevoli di questo problema mettessero l'accento sopra le interazioni con l'ambiente sociale, il dibattito prese forma per lo più in rapporto a teorie della natura umana, che mescolavano insieme concetti descrittivi e concetti normativi in modo tale che risulta difficile ricavarne delle proposizioni chiare. In Cina, Mencio sostenne che la natura dell'uomo è buona, una concezione che egli ebbe cura di distinguere da quelle secondo cui le inclinazioni degli uomini non sono nè buone né cattive, o secondo cui esse sono sia buone sia cattive, o secondo cui alcuni uomini sono buoni e altri cattivi. Presumibilmente, tutti i maestri più famosi hanno dato per scontato che l'insegnamento morale e la dimestichezza con modelli di condotta retta, nonché il conferimento di premi per i comportamenti ‛buoni' e l'irrogazione di castighi per quelli ‛cattivi', avessero la capacità di modificare, almeno in qualche grado, le predisposizioni di cui è dotata la natura dell'uomo. Anche per i teorici, secondo i quali le tendenze innate degli uomini erano contraddistinte da avidità e da distruttività, la condotta umana poteva tuttavia essere corretta da governanti che fossero sufficientemente saggi per prendere le misure opportune (per es., dei castighi molto severi, come consigliavano Han Fei-tzu, Wei Yang signore di Shang e altri legisti cinesi). D'altro canto, la giustificazione della schiavitù data da Aristotele poggiava in parte sulla tesi che, per natura, alcuni uomini non sono inclini a dominare gli altri ma, al contrario, a farsi dominare dagli altri. È evidente che, in questa concezione, la volontà di dominare, di imporre agli altri la propria volontà, è il segno che distingue un uomo di natura superiore.
Non di rado i pensatori politici e sociali hanno trovato difficoltà ad armonizzare la loro visione delle caratteristiche biologiche dell'uomo con il fatto stesso della civiltà, o con tipi diversi di civiltà. Se gli uomini sono buoni per natura, come avviene che si corrompano l'un l'altro? Se l'uomo è cattivo per natura, come può accadere che realizzi una qualche dose di bene ? E ovvio che occorre postulare che certe predisposizioni, per quanto vaghe, siano compatibili con ogni tipo di esito storico, incluse la pace e la cooperazione tra gli uomini.
Le ipotesi avanzate per spiegare l'origine della società politica organizzata sono state spesso caratterizzate da una spiccata componente fantastica. Si pensi, per esempio, al mito di Crono e dell'età dell'oro di Platone, o alla famosa definizione hobbesiana della vita nello stato di natura, come ‟solitaria, misera, sporca, brutale e breve". Gli autori, che partivano dall'assunto che l'uomo è buono per natura, seguirono in genere l'impostazione platonica, e ipotizzarono che l'invenzione di determinate prassi sociali (come, per esempio, la tecnologia) fosse all'origine di una serie di conseguenze cattive. Evidentemente essi ritenevano che gli uomini buoni non fossero stati abbastanza accorti da prevedere le conseguenze delle loro azioni finché l'ambiente risultante da tali azioni non introdusse nelle cose umane degli elementi di corruzione (gli interessi particolaristici, la coercizione e così via). Dall'altra parte, gli autori che partivano dall'assunto che l'uomo è per natura quasi esclusivamente cattivo, ammisero tuttavia che almeno alcuni uomini fossero sufficientemente accorti e capaci per porre in essere un certo grado di bene nell'ordine della società. I legisti cinesi e Hobbes concordano su questo punto. Una soluzione ricorrente del problema è stata quella di postulare l'intervento di Dio o degli dei, i quali di solito venivano scagionati dalle conseguenze ‛malvage' o ‛cattive', col concedere all'uomo, entro ampi limiti, il libero arbitrio. Di questo tipo è l'orientamento fondamentale della tradizione ebraica e cristiana. E il filosofo islamico Ibn Khaldun sostenne nel Muqaddima che l'influsso della divinità negli affari umani deve ritenersi limitato a eventi straordinari, come nel caso di interventi eccezionali che decidono le vittorie in guerra e consolidano gli imperi.
L'ipotesi più drastica, sulla natura dell'uomo e la civiltà, afferma che lo stesso atto di acquisizione della cultura comporta una subordinazione con un costo interiore così alto, che a lungo termine la civiltà stessa viene rifiutata (v. Freud, 1930). L'infante (o il bambino) sarebbe essenzialmente coercito ad abbandonare il perseguimento o l'espressione spontanea delle sue aspirazioni istintuali. Ma questi impulsi di autoaffermazione, per quanto repressi, non scompaiono; essi producono nell'individuo, sempre secondo questa interpretazione, uno stato interiore di conflitto e di tensione, che può erompere in un rifiuto esplosivo della subordinazione imposta dall'ambiente sociale. Le tendenze e le energie che si esprimono nelle manifestazioni più violente e più sfrenate della vita politica giacciono minacciose come bombe a orologeria collocate nell'intimo della natura dell'uomo e rivolte ‛contro' la civiltà.
Questa concezione moderna non ha mancato di suscitare critiche e contestazioni da parte dei sostenitori di altre dottrine, vecchie o nuove. La principale linea di attacco punta sul fatto che la concezione ricordata sottovaluta il ruolo dell'eros, dell'amore, nel processo attraverso il quale l'Ego primario si identifica con altri Ego per costituire un Sé. Fu Mo Tzu a formulare una delle prime esaltazioni delle potenzialità umane in questa direzione. Egli riteneva che fosse possibile seguire la regola ‟sostituisci le discriminazioni e le distinzioni con il sentimento della comunanza universale". ‟Quando ognuno considererà le posizioni degli altri alla stessa stregua di come considera le proprie, chi attaccherà queste posizioni? Gli altri saranno riguardati come si riguarda se stessi" (Mo Tzu, cap. 16). Egli sottolineava l'importanza della percezione della reciprocità degli interessi e mostrava come - per usare dei concetti di oggi - l'Ego primario possa incorporare i simboli di altri Ego e formare un Sé del quale cerca di massimizzare i vantaggi.
Il rapido sviluppo dello studio empirico dell'intero itinerario della vita umana, dalla nascita alla morte, ha accresciuto di molto la nostra conoscenza delle interrelazioni che corrono tra le predisposizioni originarie e l'ambiente. La conseguenza è che le teorie sopra la cultura, la personalità e la politica sono oggi fondate e controllate in base ai fatti in un grado che non ha precedenti nelle epoche passate. Se tali teorie non hanno ‛risolto' i problemi posti dai filosofi antichi, esse hanno almeno dato origine alla nuova tendenza di riconsiderare in modo critico quelle interrelazioni (tra predisposizioni e ambiente) alla luce di uno sforzo permanente di autosservazione. Perciò le enunciazioni di Platone e di Aristotele, sulla costituzione della comunità politica e sull'intensità e sulla direzione della domanda di potere politico, sono state rivedute e ammodernate dal punto di vista di diversi indirizzi di ricerca (per es., la psichiatria dinamica, la teoria dell'apprendimento, lo studio dei piccoli gruppi).
È noto che la domanda di potere, nelle sue manifestazioni generali o particolari, influenza le aspettative concernenti la natura e gli svolgimenti futuri del potere, e ne è a sua volta influenzata. È abbastanza comune, per esempio, scoprire che una ricerca intensa del potere rafforza l'aspettativa che quel che si cerca possa effettivamente essere conseguito; o scoprire che una posizione persistente di debolezza inficia o impedisce il formarsi di un forte impegno a ricercare attivamente il potere.
Un complesso gioco di interrelazioni è riscontrabile anche tra le domande e le aspettative, da una parte, e questo o quel tipo di sentimento di identità, dall'altra. L'Ego primario si può designare con i simboli Io e Me; un sistema del Sé è composto dei simboli che si riferiscono all'Ego primario e di tutti gli altri Ego che vengono associati a esso. Il Sé politico comprende partiti, Stati nazionali e altri attori di primo piano nei processi decisionali. Di solito, le ricerche empiriche mostrano che le ‛identità politiche', cioè le entità collettive con le quali gli individui si identificano, acquistano maggiore importanza quando nel loro nome si ottengono dei successi nella ricerca del potere e degli altri valori, e perdono di importanza nel caso opposto. Nei periodi di tempo intermedi tra due momenti di decisioni politiche cruciali, l'intensità con la quale si resta attaccati a una data identità politica dipende in grado significativo dalle aspettative concernenti i successi e gli insuccessi futuri.
I miti politici. - Fin dalle prime opere di teoria politica, fu comunemente riconosciuta l'importanza nella vita politica dei sistemi di credenze, di fedi e di lealtà, in particolar modo in rapporto con la direzione e l'intensità dei comportamenti politici e delle domande di potere. Una trattazione ampia e sistematica di questo tema, tuttavia, si ebbe soltanto con Marx (1' ‟ideologia"), Sorel (il ‟mito"), Mosca (la ‟formola politica"), Pareto (le ‟derivazioni"), Mannheim (‟ideologia" e ‟utopia") e altri. Dell'azione modellatrice dell'indottrinamento politico ci si serve, da parte di una élite, come di uno strumento meno dispendioso dell'uso della forza per conservare nel tempo un ordine politico; a essa possono anche ricorrere gli elementi dell'opposizione, come all'unico mezzo di cui dispongono, per mobilitare una forza sufficiente a realizzare una trasformazione significativa del potere.
I miti consolidati di una comunità politica costituiscono una sorta di guida per la soluzione dei problemi politici. Una delle loro funzioni più importanti è di ordinare i valori-fini in una scala di priorità, per esempio attribuendo il primato al perseguimento del potere politico, o all'opposto riducendo questo valore a un rango inferiore. Un'altra funzione consiste nel rappresentare la storia passata come un susseguirsi di successi e di insuccessi, e nell'inculcare un certo insieme di convincimenti circa le cause di quei successi e di quegli insuccessi. Può accadere, per esempio, che si accentui l'importanza degli aspetti soggettivi della politica, e dunque quella dei miti; oppure, al contrario, che si accentui l'importanza del possesso delle risorse materiali. Il mito politico comprende pure un'immagine del futuro, tanto di ciò che è probabile che si verificherà, quanto di ciò che si vorrebbe che si verificasse; e questa immagine contribuisce a determinare la scelta della strategia per influenzare la produzione e la distribuzione futura dei valori.
Uniformando il modo di percepire i fatti, il mito prepara grandi quantità di persone a interpretare le situazioni in maniera eguale e ad agire di concerto. In senso negativo, è possibile che lo stile della percezione si irrigidisca al punto da impedire che si tenga conto di una parte notevole dei fatti più rilevanti.
Difficilmente gli studiosi hanno analizzato i miti politici senza valutarli come se fossero teorie scientifiche. Mosca rileva che, sebbene ‟esse [...) non rispondano a verità scientifiche [...], ciò però non vuol dire che le varie formule politiche siano volgari ciarlatanerie inventate appositamente per scroccare l'obbedienza delle masse, e sbaglierebbe di molto colui che in questo modo le considerasse. La verità è dunque che esse corrispondono ad un vero bisogno della natura sociale dell'uomo; e questo bisogno, così universalmente sentito, di governare e sentirsi governato non sulla sola base della forza materiale ed intellettuale, ma anche su quella di un principio morale, ha indiscutibilmente la sua pratica e reale importanza".
E. Gibbon (Decline and fall of the Roman Empire, vol. II) distinse con sagacia tra le diverse opinioni che si avevano a Roma nei riguardi del mito politico-religioso ‟I diversi tipi di culto professati nel mondo romano erano considerati tutti egualmente veri dal popolo; tutti egualmente falsi dai filosofi; e tutti egualmente utili dai governanti".
L'insieme complesso di proposizioni che esprime un mito politico comprende sia elevate astrazioni di tipo teologico o filosofico (la ‛dottrina politica'), sia l'ordinamento dei ruoli deputati alla presa delle decisioni (la ‛formula politica'). Si può anche parlare dei 'miranda', cioè delle insegne, degli inni e dei simboli esteriori del potere politico, e della volgarizzazione della dottrina e della formula politica nelle canzoni e nelle narrazioni popolari (v. Merriam, 1934, p. 113). È poi materia di indagine empirica stabilire il grado dell'intensità con cui le domande, le aspettative e le identificazioni politiche incluse nel mito siano di fatto condivise nell'ambito della comunità politica.
Di solito si ritiene che la visione politica delle masse dipenda abbastanza direttamente dalla loro socializzazione nel seno di una determinata cultura, e dalle modificazioni che vi hanno apportato le gratificazioni e le privazioni sperimentate in rapporto con l'ambiente sociale e con quello fisico. Per contro, si pensa spesso che gli ntellettuali siano capaci di emanciparsi, almeno in grado significativo, dall'azione plasmatrice e uniformatrice della socializzazione. Se adottano metodi di pensiero corretti, possono dar vita a una avanguardia per il cambiamento sociale.
Il mito diventa particolarmente rilevante se adottiamo un modello sistemico dei processi politici che metta in rapporto le tendenze psicodinamiche degli individui e dei gruppi con le componenti simboliche della politica. Il modello afferma che gli impulsi privati (moventi) sono proiettati sopra simboli pubblici. L'inferenza è che sempre, dalla nascita alla morte o dalla formazione alla dissoluzione, individui e gruppi si orientano di continuo, in qualche modo, e sia pure con atteggiamenti diversi, verso le prospettive politiche e i miti politici. Dottrine, formule e miranda vengono accettate, rifiutate, inventate o messe da parte da ognuno degli attori in gioco.
Al pari di tutte le altre specie viventi, gli esseri umani ricercano un grado ottimale di attuazione dei valori (postulato della ‛massimizzazione dei valori'). Ne segue che gli attori politici si orientano in rapporto ai diversi miti in conformità con i vantaggi che se ne aspettano. L'accesso ai miti e la percezione dei vantaggi dipendono in parte dall'esposizione ai mezzi di comunicazione; anche i camdiamenti dell'ambiente esterno (i movimenti della popolazione ecc.) influenzano le aspettative di vantaggi o di privazioni; e la struttura dell'arena politica, almeno nel breve periodo, influisce direttamente sull'attenzione degli individui e dei gruppi.
c) Le arene
Densità, dispersione e organizzazione della popolazione. - Le ‛arene' politicamente importanti sono aree nelle quali le strutture e le funzioni politiche interagiscono tra loro e con il contesto sociale globale. Le più vaste e comprensive hanno una ‛configurazione' propria anche se sono ‛non organizzate'; mentre, d'altra parte, la loro configurazione è profondamente alterata quando le strutture sono ‛organizzate'.
La distribuzione non uniforme della popolazione sulla superficie della terra, e più ancora le cause di questa distribuzione irregolare, costituiscono uno dei problemi fondamentali concernenti l'uomo nei suoi rapporti con la natura e con la società. La popolazione è concentrata in villaggi, paesi, città e regioni con diversi gradi di densità demografica. Gli studiosi del potere politico si occupano in modo particolare della dialettica tra potere formale e potere informale, che si instaura in rapporto con questi fenomeni demografici e con la loro evoluzione nel tempo.
Un modo di accostare i problemi che sorgono in questo campo è quello di prendere le mosse dai centri di maggiore densità demografica e di studiare perché i centri emergenti non si espandano in modo uniforme in tutte le direzioni. Lungo certi assi la gente è attratta dai giacimenti di minerali utili (come, per es., il ferro o lo stagno) o dalla presenza di fonti di energia (come, per es., il carbone o il petrolio). Poiché le risorse naturali, sfruttabili con l'impiego di una determinata tecnologia, sono disperse in modo irregolare, anche i centri di maggiore densità demografica sono, per conseguenza, dispersi. In certe direzioni, l'azione espansiva dei centri di addensamento della popolazione è bloccata dal frapporsi di barriere naturali che non possono essere superate se non a costi troppo elevati. Oltre alle barriere naturali delle montagne, dei deserti, delle foreste tropicali o dei ghiacciai, esistono anche delle barriere sociali e politiche, imposte da tribù, città-stato, imperi e altre comunità politicamente organizzate. Va da sé che l'ambiente politico non è necessariamente restrittivo; può accadere, al contrario, che favorisca il commercio, gli investimenti o altri tipi di cooperazione. Diversi centri possono riconoscere di avere interessi comuni per costituire un mercato comune, o per rafforzare arene aventi scopi particolari o generali. Il ravvicinamento e gli impegni reciproci possono raggiungere diversi gradi di intensità, che sono designati da parole come alleanza, confederazione, federazione, Stato unitario.
Le arene possono contrarsi o espandersi. Nel XIX secolo i processi di formazione degli Stati nazionali comportarono di solito l'aggregazione e l'unione di unità più piccole in unità più grandi (come nel caso dell'Italia e della Germania). Questi processi ebbero rapporti significativi, da un lato, con la dissoluzione di taluni imperi (le colonie spagnole d'America) e, dall'altro, con l'ingrandimento di altri imperi (l'espansione delle potenze europee in Africa e in Asia). Nel XX secolo l'effetto iniziale del processo di decolonizzazione è stato nel senso della divisione e della creazione di unità politiche più piccole.
Il sistema politico mondiale continua a essere diviso, armato e pieno di diffidenza. L'Organizzazione delle Nazioni Unite non è un sistema universale di ordine pubblico, che detenga un monopolio effettivo della violenza coercitiva. Ne segue che, a tutt'oggi, l'arena della politica mondiale deve essere definita come un'arena ‛militare' anziché come un'arena ‛civile'. Piaccia o non piaccia loro, le élites, le élites medie e le masse degli Stati nazionali continuano a giudicare probabile lo scoppio della violenza unilaterale, e in questo modo tengono in vita le condizioni soggettive che fanno della guerra un fenomeno ancora attuale. É chiaro che finora le élites del potere hanno trovato che il mantenimento della divisione del mondo garantisce loro una posizione migliore e più sicura di quella che avrebbero pagando i costi e assumendosi i rischi inerenti all'unificazione pacifica dell'umanità.
Talune ricerche hanno investigato certe zone speciali di interazione sociale. Vi sono zone di ‛attenzione', di ‛opinione', di ‛azione', di ‛organizzazione' e di ‛sentimento'. Le ‛zone di attenzione' delle grandi potenze si estendono molto al di là dei loro confini. Così certe forme di stanziamenti umani lungo i fiumi dell'Asia meridionale e orientale costituirono le basi dell'attività svolta in quegli imperi dai popoli nomadi dell'Asia centrale. Prima della rivoluzione delle comunicazioni, che si è prodotta in epoca abbastanza recente, le ‛zone di opinione' erano relativamente ristrette. Avere delle opinioni significa, in questo contesto, avere delle preferenze e impegnarsi, nell'ambito di una zona di attenzione, per esercitare un'influenza sulla politica in conformità con tali preferenze. Nella politica contemporanea si ritiene che l'‛opinione mondiale' stia acquistando un'importanza crescente. Le ‛zone di azione' comprendono le aree di commercio, di investimento, di migrazione, di viaggio e di studio, che sorgono in rapporto con il perseguimento dei diversi valori. Non sempre le ‛zone di organizzazione', come le arene politiche, precedono le ‛aree di azione'; ma, una volta che siano costituite, esse esercitano un'influenza decisiva sul futuro di queste. Le ‛zone di sentimento' sono composte da tutti coloro che si identificano con una stessa entità collettiva. Nei processi di formazione degli Stati nazionali ebbero, per esempio, un ruolo cruciale coloro che riuscirono a mobilitare il sentimento del popolo verso i simboli di identità nazionali.
Nella storia del pensiero politico è stata sottolineata spesso la rilevanza degli ambienti - geografici e sociali - per la formazione e la distribuzione del potere. Proprio mentre stava nascendo un impero mondiale, Aristotele insisteva sulla pretesa eccellenza della città-stato, occupandosi di temi come quelli dell'assemblea dei cittadini e della portata della voce di un oratore.
Il Muqaddima di Ibn Khaldlin contrappose lo stile di vita nomade del deserto e delle montagne a quello sedentario della pianura e delle città. Alla disciplina del primo tipo di vita si attribuivano virtù personali positive come il coraggio, la fiducia in se stessi e altre. Un tema analogo percorre tutt'intera la storia del pensiero politico. Depositario della virtù diventa di solito, anziché il nomade, il campagnolo, identificato ora nel contadino, ora nell'abitante del villaggio o del piccolo paese. Pochi scrittori politici hanno abbandonato questa tradizione, celebrando l'ambiente urbano come la culla della libertà civile e intellettuale. E anche questi autori hanno avuto poco da dire in favore dei grandi agglomerati metropolitani.
La permanenza dei vecchi sistemi di autorità e di controllo, in una società che si industrializza e si urbanizza, esclude vasti strati della popolazione dalla piena partecipazione ai processi relativi al potere e agli altri valori. Nella terminologia di A. Toynbee comincia a formarsi un ‟proletariato interno". Le società industriali, si dice, generano un sentimento di alienazione, di non identificazione, in larghi settori della popolazione. Marx espresse in modo vigoroso questo tema, combinando insieme teoria e programma politico per mobilitare il proletariato. Più tardi si studiò il fenomeno in gruppi di individui appartenenti a diverse classi sociali e in rapporto a parecchie circostanze particolari. Molti teorici, tra i quali K. Mannheim, sottolinearono la rilevanza, per le strutture politiche delle grandi società contemporanee, della mancata identificazione dei giovani con le strutture politiche delle grandi società.
Tipi speciali di arene. - Una ‛gerarchia' è un'arena strutturata in subarene dotate di diverse quantità di potere. Una ‛co-archia' è invece strutturata con rapporti di potere uguali. Una gerarchia è così un aggregato coordinato di persone tra le quali le relazioni di potere stabiliscono un ordine di superiori e di subordinati. Chiamiamo una sezione di questo ordine uno ‛scaglione verticale' della gerarchia, distinguendolo da uno ‛scaglione orizzontale', che è invece composto dai detentori di potere di eguale rango nella gerarchia. Spesso può essere utile dare anche altre definizioni come, per es.: ‛centro del potere', ‛periferia del potere', ‛centri minori', ‛raggio del potere' e così via.
La differenziazione interna delle gerarchie può riguardare il ‛peso del potere' (cioè il grado di influenza sulle decisioni), la ‛sfera del potere' (cioè la gamma dei valori che ne sono oggetto), oppure il ‛campo del potere' (cioè il numero delle persone sopra le quali si esercita). Su questa base le gerarchie si distinguono, rispettivamente, in gerarchie ‛egemoniche', ‛funzionali' e ‛territoriali'. La gerarchia dell'esercito è principalmente egemonica; la gerarchia amministrativa di un qualsiasi governo è principalmente funzionale; la gerarchia dei partiti politici è spesso differenziata in senso territoriale. Inoltre, si possono classificare le gerarchie a seconda dei loro valori di base. In questo senso si distingue tra gerarchie ‛ascrittive' e gerarchie ‛contrattuali'. Una ‛burocrazia' è una gerarchia altamente differenziata, dotata di considerevole potere e caratterizzata da un basso grado di circolazione (cioè di avvicendamento tra i membri del gruppo). È dunque una gerarchia relativamente complessa e impermeabile.
La ‛concentrazione' e la ‛divisione' del potere sono il grado in cui le diverse funzioni politiche sono esercitate dalla stessa struttura o da strutture politiche diverse. La 'dittatura' è il governo caratterizzato dalla concentrazione del potere; in quello che si può chiamare un ‛governo equilibrato', invece, le funzioni di potere sono divise. In questo secondo caso il governo è contraddistinto dalla ‛divisione dei poteri'. Le arene possono essere anche ‛accentrate' oppure ‛decentrate', tanto in senso territoriale quanto in senso funzionale. Per esempio, un ordine ‛corporativo' o ‛sindacalista' costituisce un'arena decentrata funzionalmente.
In relazione a un dato contesto sociale, un'arena può dirsi ‛statizzata' per il grado in cui le istituzioni e gli uffici di governo incorporano o controllano tutte le attività sociali. Al contrario, un'arena può dirsi ‛liberista' quando le attività sociali sono lasciate agli individui e alle organizzazioni private. A loro volta, i settori sociali lasciati ai privati sono ‛monopolistici' o ‛concorrenziali', e i ruoli, che gli individui possono occupare tanto nei settori privati quanto in quelli pubblici, sono ‛volontari' oppure ‛irreggimentati'.
Un'arena è ‛egualitaria' o ‛discriminatoria', a seconda che l'accesso al potere sia distribuito, di diritto e di fatto, in modo eguale oppure in modo diseguale. Il governo che prevale in un'arena è ‛imparziale' nella misura in cui v'è applicazione effettiva di una formula politica, che stabilisce una distribuzione dei valori su basi ugualmente accessibili a tutti. Un governo imparziale potremmo chiamarlo commonwealth, in quanto effettivamente fondato sul bene comune; mentre un governo parziale è basato sullo ‛sfruttamento'. Chiameremo poi ‛giuridico' un governo nella misura in cui la formula politica consente la contestazione effettiva delle decisioni politiche; in caso contrario, il governo può dirsi ‛tirannico'.
Secondo un'ulteriore distinzione, le strutture decisionali delle arene possono essere ‛libere' oppure ‛autoritarie'. La libertà viene qui definita non come licenza (o assenza di responsabilità), ma come un tipo di condotta nella quale il soggetto dell'azione è tanto agente quanto mandante egli giudica la conformità dei suoi atti con il codice di responsabilità, e si aspetta e domanda le sanzioni per le sue violazioni. In altre parole, il codice di responsabilità non è imposto coercitivamente, ma incorporato nelle prospettive proprie del soggetto (del Sé). Pertanto, un sistema è libero nella misura in cui sono diffuse l'iniziativa, le espressioni individuali e la scelta, ed è autoritario, se sono invece caratteristiche l'obbedienza, il conformismo e la coercizione. Il punto centrale non è che il potere sia rivestito di autorità - ciò è consentito -, ma che il consenso sia derivato da una comunicazione sociale liberamente concorrenziale (Spinoza, Tractatus politicus, cap. XX).
d) I valori di base
Risorse positive e negative. - Va da sé che ricercare il potere non basta; occorre controllare le basi del potere. Perciò gli studi politici hanno concentrato l'attenzione sulla portata potenziale delle risorse di cui possono disporre gli attori che sono inseriti nel meccanismo del potere. Tali risorse (positive o negative) sono le basi del potere, cioè gli strumenti attraverso i quali può ottenere (o al contrario non ottenere) gratificazione la domanda di potere, sia questo perseguito come un fine importante e valido di per se stesso, oppure come un mezzo per il conseguimento di altri valori.
Riconoscendo il carattere interattivo del potere, gli scienziati politici hanno messo in luce che ‛avere potere' significa ‛essere investiti di potere'. I detentori del potere sono potenti perché e finché coloro che formano l'ambiente sociale predominante conservano la possibilità e la volontà di seguire la loro guida. Pertanto, stimare il potere di A significa valutare le prospettive di A e dei suoi sostenitori, e le risorse che sono a loro disposizione.
È noto che il potere stesso può costituire una base per ottenere altro potere, o per perseguire dei valori diversi. Si dà per scontato, per esempio, che le istituzioni, una volta consolidate, tendano a perpetuarsi a meno che si verifichino delle circostanze eccezionali, perché, in forza della posizione di vantaggio di cui godono, possono plasmare in proprio favore le predisposizioni dei membri della comunità. Una volta che l'autorità di un sistema politico sia stata accettata, le condotte di obbedienza e di adesione sono prontamente rafforzate nel seno della società, mentre i comportamenti devianti diventano oggetto di sanzioni negative.
Abbiamo già richiamato il fatto che il potere legale (cioè l'unione di autorità e di dominio) si rafforza quando l'obbedienza diventa oggetto di approvazione etica o religiosa. In tal caso il potere politico diventa legittimo, in quanto viene valutato positivamente in termini di rettitudine e di giustizia.
Nessuno mette seriamente in dubbio l'importanza della ricchezza per il potere, specialmente se si pensa alle tecniche di impiego dei fattori della produzione disponibili in un determinato ambito spazio-temporale.
In grado maggiore o minore, il potere dipende sempre dalla conoscenza (dal sapere) come valore di base. Innumerevoli ‛specialisti dei simboli' sono potuti arrivare a un'alta posizione di potere utilizzando le loro risorse specifiche, cioè le teorie e le concezioni generali relative alla natura, alla vita o alla società. Secondo un'ipotesi stimolante, in una società come la nostra, fondata sulla tecnologia scientifica, starebbe aumentando il potere degli intellettuali, cioè degli uomini il cui capitale è costituito dalla conoscenza. (Sulla teoria orientata in questa direzione, di Maclaw Machajski, v. Nomad, 1932). Il marcato accento che le società contemporanee pongono sullo sviluppo, inteso in senso economico o anche in relazione a tutti gli altri valori, favorisce quindi l'ascesa di quei gruppi di intellettuali innovatori che si impegnino in una rivoluzione permanente, volta a instaurare una civiltà universale a tecnologia scientifica (v. Lasswell e Lerner, 1965).
Molti sostengono che nelle società industriali complesse il primato delle strutture organizzate è tale che le élites del potere sono formate dagli ‛uomini dell'organizzazione', la cui risorsa fondamentale risiede nella particolare abilità nel dirigere le grandi organizzazioni (v. Blau, 1955; v. Crozier, 1963). Lo specialista della violenza - per es. il militare - perde le virtù eroiche che lo installarono al potere in epoche passate, e prende a coltivare le abilità di negoziazione e di direzione che sono proprie di tutti i dirigenti di vertice e di quelli che scelgono le strategie nelle organizzazioni su vasta scala del mondo contemporaneo (v. Janowitz, 1960). Si pensa anche, nella stessa chiave interpretativa, che nelle società avanzate perdano di efficacia le abilità connesse con l'agitazione politica, la violenza sovversiva e l'organizzazione della protesta di massa.
Quale che sia la fonte dell'onore o del disonore, è certo che il rispetto ha un'importanza enorme per il potere, sia come valore di base, sia come valore di sfera del potere (cioè come oggetto del potere stesso). Esiste in proposito un'ampia documentazione. Quando un ordine stabilito è fatto oggetto di rispetto e di deferenza da parte di tutte le diverse classi o caste sociali, allora la fonte dell'onore e del disonore è di tipo tradizionale e ascrittivo. Nelle società moderne esistono disposizioni giuridiche volte a garantire un minimo di rispetto per tutti i cittadini in quanto esseri umani. Inoltre, la maggior parte delle società conferiscono speciali riconoscimenti per determinate prestazioni o raggiungimenti, messi in atto secondo i canoni socialmente accettati. Anche la personalità in quanto tale può ingenerare rispetto (è l'effetto carismatico di Weber), e il rispetto così creato può diventare una base del potere.
La vitalità personale (benessere) è una componente presente in tutti i tipi di interazione tra gli uomini, e perciò anche nelle interazioni politiche.
Ogni qualvolta si analizza una situazione in modo approfondito, ci si rende conto dell'importanza dell'affetto (o dell'indifferenza) nella politica e nella società. Al pari degli altri organismi viventi, gli uomini hanno la tendenza innata ad allacciare rapporti tra loro e a investire di sentimenti positivi le altre persone e le istituzioni sociali. Di qui il ruolo che diversi scrittori politici hanno attribuito all'eros o all'amore, e la conseguente immagine dell'uomo come un essere naturalmente socievole (un animale ‛che si accoppia' o un animale ‛sociale'). Fu Democrito a individuare la propensione dell'uomo, in presenza di certe condizioni, all'altruismo e alla compassione, e a questa tendenza istintiva egli attribuì il fatto che i programmi politici diretti a migliorare le condizioni dei poveri, e promossi dai membri delle classi agiate di Atene, trovarono il sostegno necessario per avere successo. In modo analogo Catlin (v., 1962) sottolinea l'importanza della ‛fiducia', e de Jouvenel (v., 1945) quella dell'amitié.
Ibn Khaldun teorizzò in modo esauriente l'importanza dei ‛sentimenti di gruppo' come base del potere politico. Al pari di altri autori, egli non trascurava certo l'importanza delle risorse materiali, come ad esempio l'estensione dei territori, l'entità della popolazione, e così via. Ma ciò che lo distinse da tutti gli altri scrittori consiste nel fatto che egli mise in evidenza che l'accesso alle risorse materiali dipende dalla capacità di ottenere il sostegno attivo o passivo da parte dell'ambiente sociale; e questo, naturalmente, riportò in primo piano, con piena legittimità, certe prospettive politiche fondamentali e specialmente i sentimenti comuni.
Fattori psicoculturall nei rapporti tra capi e seguaci. - Per sottolineare il carattere di reciprocità delle relazioni tra capi e seguaci in politica, possiamo definirle come il dare e il ricevere orientamenti nell'ambito del processo decisionale. Questa definizione riguarda tutte le relazioni di potere: quelle in cui il controllo del centro dell'attenzione dei seguaci è instaurato con il consenso, ovvero con la coercizione, e quelle in cui gli scopi perseguiti dai capi si identificano in interessi particolaristici che sono loro propri, oppure in interessi che sono realmente comuni tanto ai capi quanto ai seguaci. Il modello interpretativo più generale delle relazioni tra capi e seguaci punta sull'assunto che tanto i primi quanto i secondi si attendono con continuità che i loro ruoli, rispettivamente di emettitori e di ricevitori di orientamenti, producano dei vantaggi. E, naturalmente, l'effettivo conseguimento di vantaggi, che si sia già verificato in passato, è un fattore cruciale che consolida tali relazioni. Se vogliamo spiegare la stabilità di un certo tipo di rapporto tra capi e seguaci, bisogna essenzialmente che individuiamo ciò che gli attori partecipanti al rapporto si aspettano di ricavare da esso, nei termini di tutti i loro valori. Queste aspettative, a loro volta, sono influenzate dal fatto che alcuni o tutti i valori siano già stati realizzati in grado maggiore o minore.
Nel campo di studio dei rapporti tra capi e seguaci, si sono seguite diverse strade per accostare il tema, strade che possono considerarsi complementari tra loro.
A. Studi dell'itinerario biografico di figure politiche eminenti. Analizzando la carriera di un uomo politico, il primo problema che si pone è quello di impostare la ricerca muovendo da interrogativi fecondi. In una delle prime indagini condotte in questo campo, indagine che aveva per oggetto il presidente degli Stati Uniti W. Wilson, si vide che il problema più interessante sorgeva in rapporto all'ultimissima fase della sua carriera politica (v. George e George, 1956). Quando visitò l'Europa alla fine della prima guerra mondiale, in occasione della conferenza della pace a Versailles, il presidente americano raggiunse un grado elevatissimo di popolarità e di approvazione pubblica, mai raggiunto prima. Tuttavia, quando tornò in America, Wilson valutò in modo sbagliato la situazione politica, rifiutò di scendere a compromessi con i suoi critici nel Senato, e perse la battaglia per l'adesione degli Stati Uniti alla Lega delle Nazioni. Orbene, è possibile spiegare perché Wilson sbagliò i suoi calcoli e si mantenne ostinatamente fermo sulla sua posizione, uscendo poi sconfitto, nonostante molti segni mostrassero che un certo numero di ripiegamenti tattici, di scarso peso effettivo, gli avrebbero consentito di riuscire vincitore? Inoltre: si può rintracciare questo stesso tipo di condotta anche nella vita politica o professionale precedente di Wilson? La risposta a quest'ultima domanda è decisamente positiva. Solo che, in precedenza, questa linea di condotta di ostinazione moralistica era stata premiata col successo politico.
Se si esamina la biografia del presidente prima che entrasse nella vita politica, si possono scoprire degli elementi che aiutano a comprendere le caratteristiche del suo comportamento come uomo politico. Lo studio dell'ambiente familiare e scolastico di quand'era bambino fa pensare che la personalità di Wilson fosse stata profondamente influenzata dal rapporto con il padre, che era nello stesso tempo esigente e indulgente all'estremo. Fu dunque originariamente un profondo conflitto interiore, che si amplificava di fronte all'opposizione, a determinare l'irrealismo e l'ostinatezza di Wilson di fronte a questioni importanti. Il principale meccanismo psicologico in gioco era una difesa inconscia contro un profondo (e altrettanto inconscio) impulso alla sottomissione. La personalità rifiutava di sottomettersi, perché la sottomissione era sentita come una perdita intollerabile di autonomia. Pertanto, furono dei conflitti irrisolti di personalità a forgiare le predisposizioni che presero poi forma nella linea di condotta tipica di Wilson; una linea di condotta, si noti, che lo portò a una serie straordinaria di successi, prima della sconfitta finale.
Numerose altre biografie di uomini politici sono state scritte in seguito da scienziati della politica, che si erano impadroniti dei moderni strumenti di analisi psicoculturali, o che avevano comunque cercato di applicarli.
B. Studi che presentano una teoria generale della personalità politica, o delle personalità che svolgono particolari ruoli nella vita politica. Possiamo citare in proposito, oltre a Greenstein (v., 1969), Psycopathology and politics di Lasswell (1930), che presenta una teoria dell'uomo politico, e propone anche dei modelli supplementari che delineano i tratti salienti degli ‛agitatori', dei ‛burocrati' e dei ‛teorici'. Il libro si basa in gran parte su dati ottenuti mediante i procedimenti creati da Freud, in special modo quello dell'‛associazione libera', e utilizza, con vari adattamenti, modelli di personalità elaborati dalla psicanalisi. La concezione dell'uomo politico che vi è sostenuta poggia su tre elementi: a) l'esistenza di impulsi privati in conflitto; b) il loro trasferimento sopra degli oggetti pubblici; c) la loro giustificazione per mezzo dei simboli dell'interesse pubblico. Di questo modello (o di qualche altro schema alternativo) ci si può servire per orientare lo studio delle persone che svolgono particolari ruoli politici nelle arene ‛convenzionali' (per es., i parlamentari, i capi di governo, i burocrati). D'altra parte, una persona che sia orientata in modo intenso verso il potere, inteso in senso ‛funzionale', può cercare di esercitare un'influenza dominatrice sugli altri, anche se opera in situazioni o istituzioni diverse da quelle che vengono chiamate politiche in senso convenzionale. In effetti, è di grande importanza sapere se e in quale grado in un sistema politico le personalità orientate verso il potere siano di fatto attratte dai ruoli politici convenzionali del sistema stesso. È ragionevole supporre che una tale attrazione sia cospicua nei sistemi caratterizzati da un alto grado di penetrazione e di controllo delle istituzioni statali nella società; al contrario, nei sistemi pluralistici le personalità orientate verso il potere possono indirizzarsi anche verso il mondo economico, verso una chiesa o verso altri settori sociali controllati dai privati.
In questa teoria generale si distinguono tre diversi modelli di personalità politica: un modello ‛nucleare', un modello ‛co-relazionale' e un modello ‛evolutivo'. Quando il potere occupa una posizione elevata (o quella più elevata) tra tutti i valori, abbiamo una personalità politica di tipo nucleare. Può accadere che persone che acquistano un ruolo di governo in modo ascrittivo (per ‛eredità'), si interessino assai poco al potere: in tal caso è chiaro che esse non sono personalità politiche del tipo nucleare, anche se occupano delle posizioni di potere. Un modello co-relazionale di personalità politica si costruisce, invece, mettendo a confronto e in contrapposizione tra loro quelli che svolgono particolari ruoli politici. Così i parlamentari possono venir distinti dai giudici o dai dirigenti economici. Si costruisce un modello evolutivo, infine, quando si dimostra l'esistenza di un rapporto tra il fatto che una persona svolga un ruolo politico nell'età adulta e le condizioni ambientali e di predisposizione che lo stesso ha sperimentato quand'era bambino. Un modello evolutivo di questo genere costituisce un'elaborazione più dettagliata della sequenza che ho già ricordato: ‛conflitti interiori privati' - ‛trasferimento sopra oggetti pubblici' - ‛giustificazione in termini di interesse pubblico'. Esso prevede che: a) l'individuo sente di patire delle privazioni parziali; b) ritiene di potersi liberare di tali privazioni imponendo egli stesso delle privazioni di valore agli altri per mezzo dell'esercizio del potere; c) cerca di ottenere e di esercitare il potere (ed è abbastanza realista nella sua condotta per avere successo in grado maggiore o minore).
Il grande rilievo storico che hanno avuto i capi ‛rivoluzionari' e ‛nazionali' ha dato l'avvio a una serie di analisi e di ricerche, con l'intento di stabilire delle generalizzazioni sulla dinamica evolutiva delle persone che hanno assunto questi ruoli eccezionali. Gli studi che E. Erikson ha condotto su Lutero e su Gandhi hanno cercato appunto di individuare che cosa stia dietro alla capacità di queste figure rivoluzionarie di formulare elaborazioni simboliche che, una volta conosciute, trovano una tanto vasta accettazione da parte dei loro contemporanei da diventare una contro-ideologia nel cui nome l'ordine costituito viene rigettato. Il punto fondamentale sta nel rapporto dinamico tra le esperienze dei primi anni di vita delle figure rivoluzionarie, da una parte, e la confusione e le contraddizioni dell'epoca, dall'altra. Il rivoluzionario sente queste contraddizioni con grande intensità. Alla fine, le sue elaborazioni personali per risolvere il conflitto trovano espressione in simboli e modelli di comportamento che si propagano tra le masse perché sono per esse il mezzo con cui possono liberarsi delle loro angosce interiori.
C. Studi di meccanismi o stili particolari degli uomini politici. Molti studiosi adottano dei modelli evolutivi arricchiti con la selezione di meccanismi psicologici particolari, che sottopongono ad analisi approfondita. L'attenzione si è concentrata specialmente sul meccanismo paranoide dell'autoesaltazione, che è così importante tra i capi politici. Si tratta di uno dei molti meccanismi con cui vengono risolti in modo inconscio i conflitti della personalità. Altri meccanismi dello stesso tipo sono la ‛conversione somatica', o la comparsa di disturbi fisici come le emicranie o gli attacchi gastrointestinali, che servono per evitare o differire una decisione. Ci si è spesso chiesto se i capi siano piu o meno ‛instabili' dei seguaci. Da una prima indagine condotta tra i parlamentari degli Stati membri degli Stati Uniti, da una parte, e i loro elettori, dall'altra, risultò una minore instabilità dei capi. È chiaro d'altra parte che molti dei seguaci dei capi politici hanno personalità troppo chiuse (troppo aliene dalle interazioni sociali) per poter assumere il ruolo di capo.
Quanto agli studi sugli ‛stili' politici, essi non si occupano tanto di tratti o meccanismi psicologici di base, quanto piuttosto delle prospettive e delle strategie specificamente politiche che sono proprie degli uomini politici. Una ricerca sui membri delle assemblee legislative ha individuato, tra altri ruoli, quelli dello ‛spettatore', del ‛propagandista', del ‛recalcitrante' e infine del ‛legislatore' (v. Barber, 1965).
D. Studi sopra i seguaci. Al fine di determinare il grado di realismo dei capi rispetto al contesto delle persone da cui ricevono il loro sostegno, molti ricercatori si sono proposti di studiare come si configura la partecipazione politica nei diversi strati sociali della comunità politica (v. Lane, 1972; v. Lipset, 1960; v. Almond e Verba, 1963). Il metodo di studio prevalentemente impiegato è stato una sistematica indagine empirica. Si sono classificati i gruppi secondo la loro posizione (superiore, media o inferiore) in rapporto a diversi parametri sociali, e ci si è sforzati di scoprire come le diverse condizioni ambientali modificano la risposta (in termini di comportamenti o di atteggiamenti politici partecipatori) dei diversi gruppi caratterizzati da determinate predisposizioni.
Sulla potenziale propensione di un gruppo a indirizzare la propria attenzione verso un capo, e ad accettarne la guida, esercitano un influsso significativo diversi fattori peculiari: per esempio, il fatto che il gruppo abbia una predisposizione favorevole alla politica, o ‛antipolitica', oppure ancora ‛apolitica'; o il fatto che abbia un atteggiamento favorevole all'ordine stabilito, o contrario, o anche non definito. È impossibile conoscere in modo completo i valori di base che sono a disposizione di un capo in un determinato momento, poiché essi sono legati al futuro. Potrà quindi accadere che le predisposizioni della comunità cambino in modo tale che la personalità del capo non sia più in grado di adottare i mutamenti di stile necessari per conquistare l'attenzione e il sostegno di una coalizione di gruppi vincente.
e) Le strategie
La letteratura della strategia. - È evidente che sui fenomeni del potere politico esercitano un influsso notevole i metodi particolari mediante i quali gli attori politici utilizzano i valori di base dei quali dispongono allo scopo di influenzare le decisioni. Gli uomini d'azione hanno sempre letto con grande interesse i libri che trattano di questi metodi, cioé delle strategie. Lo dimostano sia l'antichità dei primi titoli che si ricordano in questo campo, sia la celebrità di opere come il Libro della guerra di Sun Tzu, il Principe di Machiavelli, Dell'arte di negoziare con i principi di de Callière e Della guerra di von Clausewitz.
È interessante notare come in questi manuali, che insegnano ‛come si debba agire' in politica, vi sia una grande abbondanza di avvertimenti e di consigli, ma ben poche verifiche empiriche. Il loro stile è pragmatico, e corrisponde appieno all'orientamento mentale caratteristico degli uomini di Stato, degli uomini politici e dei politici pratici di ogni specie. Nonostante i loro limiti, questi libri forniscono una guida per la soluzione dei problemi politici: una guida che tratta in modo ordinato l'esperienza del passato e stimola le capacità creative per il futuro.
Dal punto di vista dello scienziato della politica, questi manuali possono fornire indicazioni utili per identificare le variabili di cui bisogna tener conto in una teoria generale della politica. Difatti in essi si trovano, formulate in modo esplicito o accennate implicitamente, delle ipotesi sopra la configurazione dei fattori che, insieme con l'uso di determinate strategie, determinano i risultati del processo politico.
Si deve anche osservare che i manuali delle strategie politiche esercitano un effetto collaterale sugli stessi fatti politici, cioè sull'azione delle variabili effettivamente presenti nel processo politico. Infatti, essi influenzano le prospettive politiche (cioè gli insiemi strutturati di domande, aspettative e identificazioni) con cui un operatore politico imprende a impiegare i valori di base che ha a disposizione. Può accadere, per esempio, che egli sia stato indottrinato a preferire le strategie di ‛attacco', oppure a giudicare vincenti - alla lunga - le strategie di ‛difesa' (sulle strategie esplicite e implicite, v. Leites, 1959).
È ragionevole pensare che l'effetto di indottrinamento, esercitato dai manuali di strategia, venga rafforzato da uno stile di formulazione che tende a lasciare indistinti avvertimenti e ipotesi, e non invoglia il lettore a riguardare come semplici ipotesi i principi d'azione enunciati. Tuttavia, per quanto presentati sovente in modo dogmatico, i principi sono espliciti; e il carattere esplicito delle proposizioni è un requisito necessario della teoria sistematica ed empirica. È inoltre caratteristico dello stile di formulazione dei manuali di strategia porre l'accento sopra i risultati finali del processo politico, interpretati come scopi dell'azione; e valutare le linee di azione alternative (compresa quella consistente nel non intervento, cioè nell'inazione) alla stregua della loro efficacia, dei costi e dei rischi. Il carattere sistematico dei consigli diventa impressionante quando li si deriva con procedimenti matematici da postulati di elevata astrazione, specialmente se trovano poi conferma in diverse circostanze di fatto. Di recente si è avuto un cambiamento spettacolare nella forma di presentazione delle opere di strategia, proprio nella direzione della chiarezza e della formalizzazione matematica delle proposizioni. Sulle orme di Neumann e Morgenstern, molti studiosi delle strategie sono partiti dal postulato che l'attore abbia piena conoscenza delle sue preferenze in tutte le situazioni possibili, includendo negli elementi costitutivi di tali situazioni anche le preferenze e le aspettative di tutti gli altri attori in gioco. In questo quadro concettuale, per impedire che un avversario conosca in anticipo le sue mosse, si consiglia al giocatore di lasciare al caso la scelta finale della sua condotta, pur nell'ambito di un meccanismo che gli garantisca di evitare delle perdite inaccettabili (v. Schelling, 1963; v. Boulding, 1962; cfr. anche H. A. Simon, J. C. March, M. Shubik).
Contro l'applicazione della teoria dei giochi ai problemi di alta politica sono state sollevate molte critiche e, stando a queste critiche, non c'è dubbio che il realismo dei consigli pratici che sono stati derivati da quella teoria sia tutt'altro che certo. Tuttavia, questo non inficia la possibilità di utilizzare la teoria dei giochi come modello esplicativo, anzichè come tecnica per suggerire strategie; quando cioè lo scienziato della politica cerca di spiegare i processi politici reali, e non di intervenire per influenzarli in un senso o nell'altro.
I principi strategici. - I principi strategici riguardano le dimensioni di ‛contenuto' oppure le dimensioni ‛procedurali' della strategia, ovvero le une e le altre insieme. I principi di contenuto raccomandano all'attore dei criteri sostantivi per affrontare il suo problema. I principi procedurali delineano la sequenza strutturata seguendo la quale conviene che l'attore presti la sua attenzione ai diversi aspetti del problema. La maggior parte delle massime politiche più famose si riferiscono chiaramente al contenuto della strategia. Oggigiorno conosciamo tuttavia diversi fatti della storia passata che mostrano come gli attori politici non abbiano ignorato l'importanza delle procedure, e specialmente di quella che consiste nell'alternare ai momenti di riflessione critica sul problema altri momenti nei quali la fantasia viene lasciata libera e senza briglie. Ricordiamo, per esempio, il racconto di Erodoto, secondo il quale i generali persiani abbozzavano i loro piani quando erano in preda ai fumi dell'alcool, e li riprendevano poi in considerazione il mattino seguente, alla fredda luce della riflessione pienamente consapevole.
Di recente l'interesse si è indirizzato in modo esplicito sull'importanza dei fattori inconsci e, in rapporto con questi, si sono anche escogitate particolari tecniche di organizzazione dell'attenzione, dirette a coltivare l'intelligenza, l'intuizione e la creatività. L'ipotesi di fondo è che, identificando fattori inconsci fin qui trascurati e portandoli a piena consapevolezza, gli attori che decidono e attuano i programmi politici siano in grado di evitare o di correggere gli effetti distorcenti che tali fattori esercitano sulle loro capacità intellettuali. Si può per esempio incrementare la creatività con procedure come il brain storming o il sensitivity training, che sono basate sul principio dell'associazione libera di Freud.
L'accento che si pone oggi sulla ‛consapevolezza procedurale' mira a incoraggiare l'impiego di tecniche capaci di assistere l'attore che deve scegliere una strategia, e che senza di esse può venir sopraffatto dai messaggi che lo raggiungono da ogni parte in un'epoca di comunicazione istantanea qual è la nostra (v. Deutsch, 19662). Si tratta di tecniche contestuali, selettive e modellate per la soluzione di determinati problemi. Si pensi, per esempio, a certe sale di controllo, dotate di diagrammi e di mappe, e fornite dell'ausilio degli strumenti audiovisivi e dei calcolatori elettronici.
Alcuni principi strategici trattano delle condizioni nelle quali determinati valori debbono essere impiegati per conseguire certi risultati. Pensiamo alla letteratura che è stata dedicata nel nostro tempo all'economia dello ‛sviluppo' o della ‛modernizzazione'. O ai programmi per elevare il livello di istruzione di una popolazione, e quindi anche le sue capacità (abilità) e la sua conoscenza (sapere) nel campo propriamente politico. E, naturalmente, potremmo fare anche degli altri esempi analoghi, passando in rassegna tutti i valori essenziali che si possono utilizzare per perseguire dei fini politici.
Quanto più i principi strategici vengono organizzati in guide di carattere generale, tanto più queste sono in grado di mostrare i modi in cui tutti i valori possono essere mobilitati e impiegati per conseguire obiettivi rivoluzionari o controrivoluzionari, riformisti o controriformisti. Lo sviluppo di strategie sempre più comprensive si può osservare, per esempio, nella storia degli studi sulla modernizzazione. La discussione era inizialmente limitata al problema di fornire degli aiuti economici adeguati ai paesi nei quali le élites politiche si erano convinte della necessità di sostituire le vecchie tecnologie. A poco a poco, però, le élites nazionali sono giunte a prendere in considerazione più attentamente l'intera gamma dei valori che si possono ricevere dall'esterno o produrre in patria. Sicché oggi lo studio dello sviluppo copre tutti i settori istituzionali (e di valore) della società (v. Almond e Coleman, 1960; v. Apter, 1965; v. Lerner, 1958).
Seguendo l'uso linguistico comune, le strategie politiche sono state spesso classificate in quattro categorie, a seconda che puntino precipuamente sulla dimensione ‛simbolica' oppure sulla dimensione ‛materiale' dell'insieme di valori. Due tipi di strategie - la diplomazia e la propaganda - riguardano in modo specifico la manipolazione dei simboli. La diplomazia è un atto di comunicazione; e un atto di comunicazione è anche la propaganda. Questi due tipi di strategie si possono distinguere tra loro, osservando che la prima si applica ai rapporti intercorrenti tra diverse élites, mentre la seconda si applica ai rapporti intercorrenti tra l'élite e la massa. Due altre categorie di strategie - la strategia economica e quella militare - riguardano in modo specifico la manipolazione delle risorse materiali: la prima si occupa della produzione e del consumo, la seconda dell'attacco e della difesa.
In realtà le componenti simboliche e quelle materiali sono collegate tra loro in modo inestricabile, specialmente quando la strategia è più coercitiva che persuasiva. La ‛propaganda dell'atto compiuto' è soltanto un esempio marginale di questo collegamento tra le due componenti delle strategie. Essa si verifica quando si programma di compiere un atto in modo tale che le sue ripercussioni simboliche siano di gran lunga più rilevanti di quanto avviene di solito. Per esempio, l'atto di uccidere non è normalmente classificabile come un atto di comunicazione. Tuttavia, quando viene assassinata una figura politica di primo piano nell'esercizio delle sue funzioni, o quando si spara a caso ‛nel mucchio' per attirare l'attenzione su un movimento di protesta, la discrepanza tra la grandezza dell'effetto simbolico a cui si mira, da una parte, e l'effetto simbolico di un ‛assassinio normale', dall'altra, è enorme.
Se le tendenze che si sono manifestate negli ultimi anni continueranno a svilupparsi, è probabile che almeno il futuro più immediato possa rivelarsi in misura crescente un'epoca di terrore. Con una strategia del terrore il terrorista cerca di suscitare sentimenti di profonda insicurezza nel seno di determinati gruppi. Nel mondo contemporaneo diventa sempre più difficile per i rivoluzionari mobilitare contro il governo le forze armate o altri gruppi di grandi dimensioni. Le élites costituite impiegano strumenti di sorveglianza sempre più potenti, ed è perciò molto difficile che iniziative su vasta scala, come quelle ricordate qui sopra, possano sfuggire al loro controllo. La strategia alternativa che rimane ai rivoluzionari, è di ricorrere a individui fanatici e a squadre terroristiche per compiere atti che mirano a far esplodere, in loro favore, il sostegno dei settori scontenti della comunità politica.
Un problema fondamentale di strategia politica è quello di stabilire quale sia la combinazione più proficua di vantaggi e di privazioni di valore, che conviene adottare nelle diverse arene politiche. Le strategie che impongono privazioni si attuano in due modi: causando una perdita o interrompendo un guadagno. Le strategie che offrono dei vantaggi di valore si attuano, a loro volta, realizzando un guadagno o evitando una perdita.
Talvolta si consiglia agli attori politici di procedere con un metodo ‛incrementale', cioè di compiere piccoli passi uno dopo l'altro che si accumulano e si rafforzano gradualmente, fino al conseguimento dei risultati desiderati (v. Braybrooke e Lindblom, 1963). La ricerca empirica non ha ancora dimostrato che questo modo di procedere sia applicabile alle situazioni rivoluzionarie.
Le strategie di un attore politico sono influenzate dalle sue attese relative alla natura ‛militare' o ‛civile' dell'arena nella quale opera (Bailey e Feder - v., 1973 - hanno formulato una teoria generale della politica dei conflitti seguendo la tradizione di Kotarbinski). In un'arena militare (che è caratterizzata dal fatto che vi prevale l'aspettativa dell'uso della violenza) gli attori tendono ad agire gli uni verso gli altri, in modo da mantenersi liberi dalle influenze esterne, e nello stesso tempo da aumentare le proprie capacità di influenzare le politiche degli altri. Così la nazione A cerca di sopraffare la nazione B, che è la sua principale rivale, e ricorre a questo fine ad azioni come il ‛confronto diretto', l'‛attacco ai fianchi' e la ‛penetrazione'. Può accadere che A eviti lo scoppio aperto delle ostilità, manipolando le risorse a sua disposizione: per es., organizzando per questa via una coalizione di nazioni tale che B sia indotta a giudicare troppo costosa l'intrapresa della guerra, in rapporto con i guadagni che spera di conseguire.
Via via che aumentano le aspettative che gli schieramenti contrapposti facciano ricorso a mezzi di coercizione estrema (come la violenza), le arene politiche tendono a dividersi in due in senso territoriale. Mano a mano che si avvicina lo scoppio della guerra civile, la comunità politica si divide in modo sempre più accentuato in due poli contrapposti, e ognuno dei due schieramenti cerca di ‛accerchiare' l'altro (con confronti, attacchi ai fianchi, penetrazioni). In queste condizioni, nell'arena nazionale tende a riprodursi la configurazione di schieramento ‛accerchiante' e schieramento ‛accerchiato', che è caratteristica dell'arena mondiale. Nelle arene politiche dove prevalgono le strategie di tipo persuasivo, le coalizioni politiche tendono invece a incrociarsi e a sovrapporsi, e danno così luogo a una distribuzione spaziale irregolare.
La struttura di un'arena è data dall'articolazione relativamente stabile degli schieramenti che ne costituiscono gli attori politici. Nell'epoca contemporanea l'arena politica mondiale ha avuto una struttura prevalentemente bipolare, con gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica come principali protagonisti. In aree più limitate del globo si sono avute altre configurazioni mutevoli, ora di tipo pluripolare ora di tipo multipolare (v. Kaplan, 1957). Nelle arene politiche nazionali con sistemi partitici competitivi si possono determinare diverse combinazioni peraltro ben note (sistemi bipartitici, a tre partiti, pluripartitici, multipartitici: v. Duverger, 19676; v. Sartori, 1970). Talora emergono anche sistemi a un partito, quando per es. una sola organizzazione è in grado di mobilitare in modo efficace l'azione collettiva: è il caso del Partito del Congresso in India.
Gli studi sopra i sistemi bipartitici hanno messo in luce l'importanza delle aspettative concernenti il grado di mobilitazione dell'elettorato che è necessario per cambiare il governo. A questo riguardo, sono rilevanti anche le attese degli attori politici riguardo all'esistenza o meno di altri metodi per cambiare il governo, metodi che risultino meno costosi delle elezioni (per es., degli accordi parlamentari).
f) I risultati
L'analisi dei fattori che determinano le decisioni. - La principale preoccupazione degli studiosi moderni del potere politico è stata di inventare dei procedimenti appropriati per misurare il peso dei fattori causali che determinano le decisioni. L'interesse si è così concentrato nello studio approfondito delle votazioni, dei negoziati e dei conflitti, nella speranza di scoprire delle tecniche empiriche per prevedere i risultati. (Oltre che sui lavori degli autori citati in precedenza, le considerazioni che seguono si basano sulle opere di W. H. Riker, R. C. Snyder, J. M. Buchanan, O. Tullock, H. Eulau, H. Guetzkow, H. Alker, B. Russett, A. Downs, D. Easton).
La tecnica più diretta è quella di contare i voti (o gli equivalenti dei voti) e osservare la frequenza con la quale un dato attore si trova negli schieramenti vincenti, in quelli perdenti o in quelli che non prendono partito. Ma per molti aspetti questo rozzo conteggio dei risultati appare insoddisfacente. Per esempio, chi prende le iniziative che hanno successo, cioè che vengono adottate come decisioni? Se B, C e altri hanno appoggiato le iniziative di A, possiamo ritenere che il ‛peso' di A nei processi decisionali sia stato maggiore di quel che apparirebbe se ci limitassimo a contare le volte nelle quali A è entrato a far parte di uno schieramento vincente. È chiaro che la forza di A consiste in questo caso nella disposizione che hanno altri attori a seguire la sua guida. E questa interpretazione sarà tanto più convincente, se B e C hanno seguito le iniziative di A non solo negli schieramenti vincenti, ma anche in quelli perdenti.
Un'altra possibilità è che A abbia un ruolo decisivo nello schieramento che si forma a sostegno di una decisione vincente. L'analisi di una serie di decisioni può mostrare che A, pur non essendo il promotore delle iniziative, entra a far parte delle coalizioni nel momento giusto per vincere, ed è regolarmente seguito in questo modo di condursi da B e da C.
Dal modo in cui un attore vota si può inferire che egli voglia quello per cui vota a favore, e non voglia quello a cui vota contro. Tuttavia, può accadere che le preferenze di un attore politico, quali si desumono dalle sue scelte di voto e specialmente dai suoi successi nelle votazioni, siano soltanto una parte delle (o un mezzo per realizzare le) preferenze complessive che l'attore espone in una situazione diversa da quella di voto, e nella quale non occorre badare alle convenienze. Diventa allora importante stabilire un rapporto tra le preferenze così espresse dall'attore e i risultati del processo politico, giacché può rivelarsi possibile prevedere il suo comportamento nelle circostanze future anche basandosi soltanto sulle opinioni che l'attore esprime in un'investigazione informale delle preferenze.
Un'altra dimensione dell'analisi delle decisioni riguarda i rapporti tra costi e benefici. Limitandoci per ora soltanto all'analisi dei rapporti tra costi e benefici in termini di potere, possiamo scoprire che per un attore politico il ricevere sostegno in una data occasione comporta il costo di prestare a sua volta sostegno ad altri in un'altra occasione. Se vince nella votazione x1, A conserverà i suoi vecchi sostenitori e conquisterà nuovi aderenti da utilizzare nella votazione x3 (e così via). Ma, per vincere nella votazione x1, A deve ottenere il sostegno di R promettendogli in cambio il proprio sostegno nella votazione x2. E questo comportamento di A in relazione a x2 può avere l'effetto di alienargli il sostegno di C nella votazione x3. Pertanto, A deve decidere se i benefici che ottiene adottando la linea di condotta sopra descritta siano superiori oppure inferiori alla perdita del sostegno di C nella votazione x3.
Anche i costi di opportunità sono rilevanti. Il costo a cui A deve sobbarcarsi nel rapporto con B è maggiore di quel che risulta dall'analisi precedente, se si danno le seguenti condizioni: per vincere nella votazione x1, A avrebbe potuto ricorrere al sostegno di D anziché a quello di B, e il sostegno di D l'avrebbe potuto ottenere promettendogli in cambio il suo sostegno nella votazione x4; inoltre, il costo di questo comportamento in rapporto alla votazione x4 sarebbe stato soltanto leggermente superiore al costo di sostenere A nella votazione x2. Pertanto, i benefici ottenuti con la linea di condotta effettivamente adottata sono soltanto lievemente superiori a quelli che A avrebbe conseguito scegliendo il secondo corso di azioni. Ne segue che la stima originaria dei guadagni netti era esagerata.
Strettamente collegata con l'analisi dei costi e dei benefici è anche la stima dei rischi. Le probabilità per A, di conservare i suoi vecchi sostenitori e di conquistarne di nuovi, vincendo nella votazione x1, non sono mai del tutto certe. Se la votazione x1 riguarda la costruzione di un nuovo aeroporto, bisogna tener conto del fatto che l'opinione pubblica può cambiare rapidamente il suo atteggiamento al riguardo, a causa del rumore degli aeroplani, degli alti costi di costruzione, dei ritardi nella realizzazione dell'opera o di altri fattori. Un'altra proposta (x5), che concernesse per esempio l'ampliamento di un ospedale, avrebbe potuto essere meno rischiosa, pur comportando per A dei benefici inferiori a quelli derivanti dalla vittoria nella votazione x1.
Finora abbiamo esaminato le alternative di azione di A in rapporto alla sua ricerca (domanda) di potere politico. Ma normalmente il potere non è il solo valore che interessa a un attore politico. Consideriamo, per es., la ricchezza. Può darsi che, qualora la proposta x1 venga approvata, A abbia dei vantaggi economici per l'aumento del valore dei terreni; mentre le altre alternative di azione non avrebbero conseguenze rilevanti per la sua posizione economica. Consideriamo il rispetto. Può darsi che, qualora la proposta x1 diventi una legge dello Stato, A e la sua famiglia divengano oggetto dell'ossequio e della deferenza pubblica; mentre nessuna delle altre questioni che sono sul tappeto offrirebbe la stessa opportunità di ottenere attenzione e onore agli occhi dell'élite sociale della comunità. Consideriamo l'affetto. Può darsi che degli amici intimi di A, che di solito sono ben poco attratti dalle vicende politiche, siano invece interessati in modo molto intenso a x1. Consideriamo la rettitudine. Può darsi che alcune delle questioni sul tappeto siano oggetto di interesse da parte dei capi religiosi della comunità, i quali - per es. - si sentono scandalizzati per le conseguenze della negligenza del governo in materia di assistenza ai bambini handicappati. Consideriamo infine i servizi dell'istruzione, della ricerca e della sanità. Può darsi che alcune decisioni politiche appaiano incidere in alto grado sulle possibilità di attuazione di questi valori.
L'analisi dei valori che sono in gioco per un determinato attore politico, può essere condotta dal punto di vista del Sé considerato come un tutto, oppure dal punto di vista di ciascuna delle componenti del Sé: cioè di ciascuna delle entità collettive con le quali l'attore si identifica. In chiave territoriale, le componenti del Sé vanno dalla comunità locale e dalla regione alla nazione, a un insieme di nazioni e all'intero pianeta. In chiave funzionale, le componenti del Sé possono essere classi, gruppi di interesse, tipi di personalità (o anche livelli di crisi politica).
A un certo punto l'analisi degli esiti decisionali richiede che tutti i diversi attori politici vengano collocati in modo appropriato in relazione con tutte le decisioni che sono state prese in un dato periodo di tempo. A sua volta, questo richiede che si adottino dei criteri per classificare le diverse decisioni sulla base della loro importanza per la comunità politica considerata in tutte le sue dimensioni, oppure in rapporto con un particolare valore (il potere, la ricchezza e così via) o, ancora, in rapporto con un particolare compito istituzionale (per es. quello legislativo).
Tra i criteri per decidere dell'importanza di una decisione, vi è quello della stima dei valori che sono in gioco nella decisione: valori, per es., che possono essere elevati in materia di tassazione, e insignificanti in altri campi. Un primo, approssimativo indicatore dell'importanza delle decisioni è dato dal livello di attenzione pubblica che esse suscitano: la durata delle sedute e delle discussioni pubbliche, lo spazio occupato dalle notizie e dai commenti in tutti i mezzi di comunicazione di massa, il quantum delle attività dei partiti politici, dei gruppi di pressione e delle altre associazioni.
Le ricerche empiriche mostrano che, a tutti i livelli di governo, gli individui e i gruppi che partecipano in modo attivo al processo politico tendono a mutare quando si passa dall'uno all'altro problema, o dall'uno all'altro settore di problemi. Pertanto, a uno stesso grado di partecipazione attiva al processo politico in due momenti diversi può corrispondere, nei due momenti, la presenza di coalizioni del tutto diverse che sono di volta in volta attratte nell'arena politica per sostenere o per contrastare questa o quella decisione politica.
Il flusso degli esiti decisionali in un determinato periodo di tempo può essere concepito come ‛conflittuale' o come ‛cooperativo' dal punto di vista dei diversi attori politici. Spesso il modo di concepire il potere politico si ancora a un insieme di decisioni che, per il loro carattere drammatico e per la loro importanza storica, assumono un grande rilievo nella coscienza degli uomini. Per esempio, una concezione del potere politico come quella implicita nell'asserzione che in politica si può soltanto vincere o perdere, acquista senso se pensiamo a un'orda di Mongoli che annienta il nemico, o che distrugge le sue risorse o la sua volontà di resistere. Si narra che Genghiz Khān abbia affermato che ‟la gioia più grande che un uomo possa conoscere è soggiogare i nemici e farseli trascinare davanti; montare i loro cavalli e prendere tutte le loro cose; vedere le lacrime di quelli che li amavano, e stringere tra le braccia le loro mogli e le loro figlie". La concezione del potere politico che è qui implicita, è a somma zero; un attore politico ottiene dei vantaggi soltanto se l'altro attore subisce delle perdite.
Questo modo di intendere il potere politico viene solitamente respinto, perché è troppo limitato. In particolare, esso trascura quelle decisioni politiche con le quali non si distrugge nè si soggioga un nemico, e che sono tuttavia di enorme importanza per la comunità politica. Prendiamo, per es., delle comunità soggette a disastri naturali, come le eruzioni vulcaniche, le inondazioni, i cicloni e così via. In queste circostanze, può accadere che governanti e leaders sociali agiscano di concerto, prontamente e secondo le linee tradizionali, per mobilitare insieme la popolazione e ridurre al minimo le perdite. Leggi e regolamenti sono proposti e approvati senza dissenso alcuno, e agevolmente applicati. Le direttive provenienti dal governo sono seguite in modo spontaneo e unanime; e ognuno si aspetta che, in questo modo, la sua posizione, rispetto all'intera gamma dei suoi valori, sarà migliore di quel che sarebbe altrimenti (cioè se i detentori del potere politico non emanassero quelle direttive, o se esse non venissero eseguite). Come scrive Catlin, ‟il desiderio di dominazione è una specie particolare del desiderio di potere, ed è determinato da una paura consolidata di incontrare delle frustrazioni. Un'altra specie è l'inclinazione verso il potere cooperativo" (v. Catlin, 1962, proposizione 10). Nei momenti culminanti dell'emergenza, l'adesione alle misure dirette a farvi fronte è unanime, e ognuno porta aiuto a tutti quelli che appaiono agire nell'interesse della collettività. Esiste una comunanza di aspettative sulla natura della minaccia incombente e sulle linee di condotta più adatte per ridurre al minimo le perdite. In molti sensi il potere politico è condiviso: gli attori danno il loro sostegno (i loro voti) alle misure adottate; ciascuno fa propria l'immagine comune dell'insieme complesso e molteplice degli eventi passati, presenti e futuri, in cui si trova coinvolto; ciascuno sente di agire libero da coercizioni altrui e riconosce che debbano essere irrogate sanzioni gravi solo nel caso improbabile che qualcuno si metta contro la comunità.
Tra le decisioni che vengono percepite a somma zero dalle coalizioni contrapposte e quelle che hanno invece carattere cooperativo esiste un continuum con tutti i gradi possibili di conflittualità o di cooperazione. Da principio, quando si apre una determinata controversia, gli attori sono portati a porre sul tappeto le loro richieste contrastanti. Spesso, tuttavia, il risultato finale finisce per essere un compromesso, nel senso che da entrambe le parti gli attori registrano sia dei ‛guadagni' sia delle ‛perdite': per esempio, in una contrattazione con i sindacati, può avvenire che il governo ceda sui salari, ma rimanga fermo sull'orario di lavoro. Ma il risultato finale può anche essere differente. Gli attori si accordano per una soluzione del conflitto, dalla quale tutti si attendono dei guadagni netti, e per la quale nessuno di loro è in grado di stabilire in modo univoco che una parte ha vinto e che un'altra ha perso. Può accadere che, nel corso della contrattazione, emerga una nuova alternativa politica - per es., un piano pensionistico - che apra la strada a una soluzione del conflitto genuinamente cooperativa. E in questo caso può pure darsi che, mentre i capi percepiscono la natura cooperativa del risultato, la base sia invece di parere opposto, e almeno da principio si mostri recalcitrante.
L'analisi dei modi in cui gli attori politici interpretano un risultato decisionale deve essere tenuta distinta dall'analisi con la quale un osservatore scientifico cerca di stabilire in maniera oggettiva il significato di quell'esito decisionale per tutti gli interessi in gioco. L'osservatore scientifico distingue tra gli interessi ‛proclamati' dai diversi attori in gioco, da una parte, e i loro interessi ‛reali', dall'altra. Egli distingue tra gli interessi ‛comuni', che comportano dei vantaggi di valore per tutti o per la maggioranza dei membri della comunità, e gli interessi ‛particolaristici', che comportano dei vantaggi di valore per alcuni e delle privazioni di valore per molti. E, naturalmente, gli interessi comuni veri non vanno confusi con quelli che sono semplicemente proclamati come tali. Ancora, conviene distinguere tra gli interessi ‛inclusivi', che coinvolgono tutti o la maggior parte dei membri della comunità politica, e gli interessi ‛esclusivi', che coinvolgono un numero di persone molto limitato.
Gli studiosi del potere politico non sono mai stati del tutto soddisfatti delle analisi del potere che non fanno altro che riassumere gli eventi del passato. Si riconosce generalmente, per esempio, che una proposizione come ‟A ha potere politico" resta imprecisa, e richiede ulteriori specificazioni. In rapporto a quali circostanze ambientali A ha potere politico? Poiché i dati disponibili non consentono di trarre delle inferenze per tutte le possibili circostanze ambientali, le asserzioni che possiamo fare sopra il potere politico di A rimangono in qualche modo ipotetiche. Per esempio, in un dato momento può risultare difficile comparare tra loro il potere di A e il potere di B, perché i dati che abbiamo a disposizione non ce li presentano mai in contrapposizione l'uno con l'altro in una controversia che sia per entrambi di eguale importanza.
Questa insoddisfazione, che si prova quando ci si basa esclusivamente sui dati relativi ai processi decisionali del passato, è uno dei fattori che hanno fatto nascere di recente la tendenza a escogitare metodi per studiare in modo approfondito gli eventi futuri (v. de Jouvenel, 1965). Certe situazioni sono osservate come situazioni di ‛controllo', mentre altre vengono programmate come prototipi o come esperimenti. Un prototipo differisce da un esperimento principalmente perché implica una comparazione tra prassi istituzionali. Un esperimento, al contrario, non riguarda di regola le prassi istituzionali, come per esempio le votazioni: esso scompone il modello di condotta in diverse variabili particolari (come l'attenzione, la motivazione, i costi e i benefici), che possono essere parte integrante di parecchie prassi istituzionali.
Tra gli specialisti persistono delle differenze di opinione in merito ad alcune dimensioni che si riscontrano in rapporti di potere. Un gruppo di controversie ha la sua radice nel mancato riconoscimento del fatto che un rapporto di potere fra A e B è un rapporto tra chi ‛attribuisce potere' (B) e chi ‛è investito di potere' (A). Nelle parole di Locke, ‟i poteri sono rapporti, non agenti" (An essay concerning human understanding, libro II, cap. 21). Come si è mostrato analizzando i valori di base, il potere di A risiede nella risposta di B, attuale o potenziale, che conferisce potere ad A. A tiene conto di B, e così facendo cerca di prevederne le risposte. Di conseguenza, A potrà trattenersi dal superare i limiti di tolleranza di B, così come A li percepisce (Friedrich - v., 1963, cap. II - ha messo in evidenza ‟la regola delle reazioni previste").
Per molti fini, si può percorrere la catena causale fino ad arrivare ai fattori che contribuiscono a determinare le predisposizioni di A in riferimento a B, o viceversa. Naturalmente lo studio analitico dei processi del potere ha cercato di accrescere il numero, e di raffinare il trattamento, dei fattori ambientali che possono condizionare il peso, la sfera e il campo del potere.
g) I sistemi politici: strutture e funzioni decisionali
Un modello sistemico del processo politico nel suo insieme, o delle parti che lo costituiscono, fornisce una guida per studiare le relazioni che vi sono implicate, o per cercare di influire su di esse. Un sistema è un modello di fattori o di prassi, i cui rapporti reciproci sono relativamente stabili. Per fini pragmatici o di intervento, il punto di partenza è dato dalla scelta dei fini e dalla formulazione delle strategie per conseguirli. Per fini di conoscenza scientifica, si può prendere le mosse dalle linee di tendenza, dalle condizioni o dalle proiezioni. Per studiare particolari decisioni o insiemi di decisioni, è conveniente fare uso di un modello teorico che distingue sette tipi o fasi di esiti decisionali: informazione promozione prescrizione invocazione applicazione terminazione valutazione. Le frecce si potrebbero moltiplicare, in modo da collegare ciascun tipo o fase di esito decisionale con tutti gli altri. Infatti, queste componenti del processo globale di decisione sono tra loro interattive.
L'‛informazione' comprende la raccolta, l'elaborazione e la diffusione delle notizie per tutti gli attori che partecipano al processo decisionale. Tra le strutture statali specializzate nello svolgimento di questa funzione vi sono gli enti che raccolgono informazioni in modo palese o segreto (per es., gli istituti di statistica e i servizi di spionaggio), gli istituti di previsione, gli uffici di programmazione, gli uffici di censura. La ‛promozione' consiste nel diffondere, sollecitare e coadiuvare una determinata domanda politica (cioè la richiesta di una prescrizione) concernente delle persone, dei gruppi, delle organizzazioni o dei problemi. I partiti politici e i gruppi di interesse sono le strutture più importanti che si occupano di attività promozionali. La ‛prescrizione', cioè l'emanazione di regole prescrittive, stabilizza le aspettative concernenti le norme, che sono assistite da sanzioni gravi in caso di mancata osservanza. Le strutture specializzate nello svolgimento di questa funzione comprendono le assemblee costituenti, i parlamenti e gli organi esecutivi che emettono regolamenti. L'‛invocazione' è l'atto di qualificare, in via provvisoria, una situazione di fatto come conforme o non conforme alle norme prescritte. La polizia, i pubblici accusatori e i tribunali di primo grado assolvono questo compito in modo altamente specializzato. Svolgono, del pari, questa funzione tutti gli uffici amministrativi chiamati a intervenire in determinate situazioni concrete in conformità con i regolamenti. L'‛applicazione' è l'atto di qualificare, in via definitiva, una situazione di fatto come conforme o non conforme alle norme prescritte. È questa la funzione, per esempio, delle corti di appello e della maggior parte delle strutture burocratiche impegnate nell'amministrazione civile e militare. La ‛terminazione' consiste nell'estinguere una determinata prescrizione e nel rispondere alle pretese di coloro che agirono in buona fede allorché la prescrizione era ancora vigente e si trovano a patire delle privazioni di valore a causa della sua estinzione. Nelle società caratterizzate da un ritmo di innovazione molto intenso, sorge spesso la necessità di dar vita a particolari strutture chiamate a far fronte alle pretese degli individui o dei gruppi espropriati: per esempio, dando loro degli indennizzi o cercando loro dei nuovi alloggi. La ‛valutazione' consiste nello stimare il flusso delle decisioni, considerate nel loro insieme, alla stregua degli obiettivi politici che si vogliono perseguire, e nell'identificare le persone che, di fatto o di diritto, sono responsabili dei successi o dei fallimenti nell'attuazione dei valori-fini. Si possono creare, per esempio, delle commissioni di inchiesta per cercare di individuare le persone responsabili nei confronti della comunità per un disastro nazionale, o anche per fatti meno gravi e di portata minore.
Un modello astratto di processo decisionale come quello che abbiamo esposto qui sopra, può servire per esplorare le relazioni sistemiche tra le strutture pubbliche e le strutture private specializzate nello svolgimento di questa o quella funzione. Oppure può servire allo scopo più generale di studiare tutte le funzioni nel processo decisionale di una determinata arena, nazionale, internazionale o regionale. Oppure allo scopo più limitato di studiare una data struttura e le sue funzioni interne o esterne. Il modello può essere corretto a piacere, per tener conto di variabili di qualsivoglia grandezza o di qualsivoglia grado di complessità.
Consideriamo l'impiego del modello per stabilire i rapporti di interazione che intercorrono tra gli organi e gli enti pubblici in un sistema politico fortemente statizzato. Supponiamo di cominciare dalla constatazione di un atto di informazione: per es., la decisione di mettere in opera un determinato piano. Supponiamo che il piano preveda un dato aumento percentuale delle fattorie collettive e dei trattori in un periodo di cinque anni. Subito si mettono in moto il ministero dell'informazione pubblica e il partito unico, per appoggiare la proposta con le loro attività promozionali. A questo punto il piano diventa oggetto di prescrizione da parte degli organi legislativi ed esecutivi appropriati. Tutti i funzionari pubblici implicati nel settore emanano le direttive conseguenti entro i limiti della loro autorità. Le direttive vengono applicate e portate a esecuzione dalle organizzazioni e dagli individui che ne sono i destinatari. Via via che i trattori si moltiplicano e le fattorie collettive si espandono, vengono abbandonati modi di produzione adottati in precedenza (per es., vengono estinte le fattorie private). Commissioni d'inchiesta indagano sul grado di successo o di insuccesso del programma, e stabiliscono i tipi di condotta che vanno rafforzati con il conferimento di premi e quelli che vanno scoraggiati con l'irrogazione di punizioni.
L'impiego del modello in un sistema meno statizzato mostrerà che vi è un numero molto maggiore di attività che vengono svolte dal settore privato. Possiamo cominciare con il prendere in considerazione il ruolo svolto dai mezzi di comunicazione di massa nel campo dell'informazione. L'informazione può riguardare, per es., il crollo di diversi ponti e l'inondazione delle autostrade. Attività promozionali sono prontamente intraprese dai commentatori e dagli editorialisti dei mezzi di comunicazione di massa, da gruppi economici e da altri gruppi di interesse privati, dai leaders e dai candidati dei diversi partiti politici in concorrenza tra loro. Il parlamento si occupa subito del problema, e prescrive alla fine un nuovo programma di lavori pubblici nel settore. Gli amministratori pubblici e i gruppi privati interessati cominciano a dare applicazione alle nuove norme prescrittive (invocazione), e preparano particolari progetti di intervento. I progetti vengono pienamente eseguiti dai funzionari pubblici e dai gruppi privati che ne sono responsabili. I regolamenti per la costruzione dei ponti e delle autostrade, che erano prima in vigore, sono portati a terminazione. Prima o poi commissioni pubbliche e gruppi di ricerca privati indagano sul grado di successo o di insuccesso del nuovo programma di lavori pubblici, e propongono sistemi di incentivi e di sanzioni per migliorare il rendimento del programma.
Il modello può essere utilizzato per studiare il peso variabile di tutte le diverse strutture che assolvono una determinata funzione. E, come risulta dall'analisi precedente, applicando il modello al processo decisionale di una determinata struttura, si possono prendere in considerazione sia le relazioni interne alla struttura, sia le sue relazioni esterne.
Considerata nel più ampio contesto del processo decisionale complessivo dell'arena politica, una determinata struttura, per quanto formalmente specializzata per l'esercizio di una o due funzioni, contribuisce in realtà, in grado maggiore o minore, anche all'esercizio di tutte le altre. Per esempio, le assemblee legislative non si occupano soltanto delle funzioni della prescrizione e della terminazione. Possono prendere in seria considerazione particolari lamentele (invocazioni), o emanare norme che si riferiscono alle pretese di un solo individuo (il che costituisce un atto di applicazione). Inoltre, le assemblee legislative si impegnano in modo peculiare a stimare l'efficacia dell'azione del governo e della pubblica amministrazione, giudicandola complessivamente soddisfacente oppure insoddisfacente (valutazione); e le sedute delle assemblee sono, naturalmente, sede di attività informative e promozionali.
Analizzando i diversi tipi o fasi di esiti decisionali, si può scoprire che certi attori politici hanno diverse posizioni di potere in rapporto a differenti funzioni. Dalle rivoluzioni europee del XIX secolo le vecchie formazioni sociali uscirono spesso conservando il controllo di particolari organi di governo: un controllo che consentì loro di impedire delle innovazioni di tipo radicale. La Camera dei Lords della Gran Bretagna ha avuto i suoi corrispettivi sul continente europeo. L'aristocrazia terriera si rifugiò di regola nei servizi diplomatici, nel corpo degli ufficiali superiori e nei ranghi elevati della burocrazia. Le rivoluzioni comuniste del XX secolo, pur utilizzando all'inizio le competenze di elementi del vecchio regime, hanno poi cercato di eliminare le formazioni sociali del passato e di dar vita a un nuovo ordine omogeneo. A loro volta, le rivoluzioni anticoloniali dell'Africa e dell'Asia meridionale, se vengono sottoposte ad analisi sistematica in periodi di tempo successivi, palesano di solito delle combinazioni di attori molto complesse. In India, per es., i funzionari pubblici indigeni, che si erano formati negli ultimi anni dell'era coloniale, si risentirono molto per l'azione dei capi politici che utilizzarono le assemblee legislative, i partiti politici e i mezzi di comunicazione di massa per limitare il loro ruolo nell'ambito del processo decisionale. Nei nuovi Stati africani, si possono scoprire importanti fattori di differenziazione analizzando l'origine tribale delle forze dell'esercito e della polizia.
È fuor di dubbio che l'analisi sistemica è essenziale per comprendere e spiegare scientificamente il funzionamento dei sistemi politici. Un problema di fondo è stabilire quali siano le condizioni in presenza delle quali si verificano dei cambiamenti nella posizione di potere delle strutture di governo e di quelle partitiche. Un'ipotesi fondamentale è che certi attori, che fanno parte del sistema, vedano crescere il loro potere, quando gli elementi politicamente e socialmente influenti giudicano che essi assecondano, più degli altri attori del sistema, la propria posizione di valore (cioe' la propria posizione in rapporto con tutti i valori). Per es., nei sistemi bipartitici e multipartitici può accadere che ciascun partito riceva un sostegno in qualche modo delimitato da parte di determinati gruppi regionali o funzionali, i quali si aspettano che quel partito difenda e favorisca i loro interessi. In questo senso, una divisione territoriale tra nord e sud è caratteristica degli Stati Uniti, dell'Italia e di diversi altri paesi.
Un'analisi del cambiamento delle istituzioni politiche, infine, concentrerà l'attenzione sull'‛innovazione' di una particolare prassi o insieme di prassi, sulla ‛restrizione' delle prassi del passato, e sulla ‛diffusione' di nuovi modelli.
h) I sistemi politici: risultati ed effetti
Nel paragrafo precedente abbiamo esaminato le relazioni che intercorrono tra le diverse componenti istituzionali di un sistema politico. Ora siamo in grado di esaminare il sistema politico dal punto di vista dei suoi risultati e dei suoi effetti di valore. I ‛risultati' sono vantaggi o privazioni di valore che derivano in modo immediato dalle decisioni; gli ‛effetti' sono ulteriori conseguenze che si producono a partire dai risultati.
Il primo problema che si pone in questo campo è di stabilire quali preferenze - cioè le preferenze di quale attore o osservatore - debbano essere considerate come rilevanti. È infatti chiaro che gli stessi eventi possono essere apprezzati in modo diverso dal punto di vista di differenti attori politici o osservatori scientifici (v. Brecht, 1959). Per diversi fini di ricerca, gli scienziati politici possono partire dai propri valori-fini, oppure assumere come punto di partenza le preferenze di altri. Nel mondo contemporaneo i problemi concernenti le preferenze sono di grande interesse, sia per gli scienziati sia per gli uomini politici, specialmente quando si tratta di ‛modernizzare' le tecnologie che vengono impiegate in una data comunità politica (v. Braibanti, 1969).
Per fini espositivi, adotteremo come punto di partenza i valori-fini di un'élite politica che cerca di trasformare una società tradizionale. E delimitiamo ulteriormente il campo, prendendo in considerazione soltanto gli obiettivi interni dell'élite politica, e postulando che essa cerchi di accumulare il potere politico necessario per porre in essere o per conservare un ordine pubblico compatibile con i principi della dignità dell'uomo. Il rispetto della dignità dell'uomo, come qui l'intendiamo, implica un sistema di produzione e di distribuzione dei valori conforme con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Lo scopo è di combinare insieme alti livelli di accumulazione dei valori, da una parte, e il progresso nella direzione dell'uguaglianza tra gli uomini, dall'altra.
'Accumulare' il potere nella forma particolare che corrisponde ai fini di un'élite, significa accrescere il sostegno per il sistema costituzionale preferito. Per sistema costituzionale intendiamo il modello fondamentale della distribuzione dell'autorità e del dominio. Il potere è efficace quando è in grado di proteggere e di migliorare la struttura di base del sistema politico e di tutti gli altri sistemi nell'ambito della società.
Cerchiamo di chiarire, in maniera un po' più particolareggiata, gli scopi che si possono perseguire nella prospettiva indicata. Se il potere (P) non deve appartenere a poche persone, ma essere diffuso in modo ampio, è essenziale che vengano adottate e modellate a questo fine le istituzioni dello Stato democratico. Un altro obiettivo politico è la diffusione del sapere (S), che richiede che l'élite politica presti sostegno ai mezzi di comunicazione di massa, agli istituti di istruzione superiore e alla ricerca scientifica. Gli obiettivi concernenti il valore della ricchezza (R) sono spesso in primo piano: di solito il potere politico mette in moto gli incentivi economici necessari per incoraggiare l'introduzione delle nuove tecnologie a base scientifica nell'agricoltura, nell'industria e negli altri settori produttivi. La sicurezza, la salute e il comfort, cioè le componenti del valore del benessere (B), vengono promossi con programmi politici intesi a diffondere e ad assecondare la pratica dell'igiene personale e a costruire ospedali, cliniche e altri impianti sanitari. Altri programmi politici mirano ad accrescere e diffondere le opportunità di coltivare le abilità (A) adatte per le nuove professioni, mansioni e arti espressive.
L'azione politica è diretta, inoltre, ad accrescere la lealtà verso le istituzioni della nazione in via di sviluppo, e a modificare i rapporti familiari in modo che si armonizzino con i nuovi scopi complessivi del sistema politico (la lealtà e l'amore sono componenti del valore dell'affetto, F). Altri programmi politici sono rivolti a influenzare il valore del rispetto (T), assecondando la liquidazione del sistema delle caste e di altre pratiche di discriminazione sociale. Si cerca, infine, di influenzare il valore della rettitudine (D), attaccando la corruzione e cooperando con le organizzazioni religiose che professano principi morali in favore del rinnovamento.
Naturalmente, non si deve credere che, in un dato periodo di tempo, i risultati e gli effetti del processo decisionale siano tutti positivi, anziché negativi, in rapporto ai diversi valori. Può accadere, per esempio, che le iniziative intraprese per allargare la base del potere nei villaggi e nelle diverse regioni del paese vengano rese vane dall'opposizione dei vecchi signori terrieri e dei vecchi capi razziali; che i primi istituti di studi superiori languiscano per la deficienza di attrezzature, di insegnanti e di studenti; che i ponti di nuova costruzione siano travolti dalle piene dei fiumi; che gli ospedali e le cliniche cadano nel discredito a causa dello scoppio di epidemie dovute alla precarietà delle condizioni igieniche e all'inefficienza dei servizi sanitari; che le scuole vivano stentatamente a causa dell'opposizione dei genitori; che i capi tribali si tengano estranei ai processi di costruzione della nazione, indebolendo così la lealtà verso i simboli nazionali; che i sistemi delle classi o delle caste risultino inattaccabili; che i vecchi codici morali alimentino la corruzione pubblica.
Si ha accumulazione dei valori, in un determinato periodo del funzionamento di un sistema politico, quando il loro ammontare complessivo al momento finale del periodo (T1) è maggiore che al momento iniziale (T0). Può anche verificarsi una dissipazione dei valori, quando si producono mutamenti in senso regressivo anziché in senso progressivo. Nell'analisi dei valori è importante comprendere appieno che in qualsivoglia atto che compaia nell'ambito del processo decisionale, sono sempre implicate tanto delle predisposizioni psicoculturali quanto delle risorse fisiche. Pertanto, l'accumulazione del potere è positiva, quando le predisposizioni in sostegno dell'ordine pubblico e civile desiderato, che erano presenti nel momento T0, sono rimaste costanti o si sono intensificate al momento T1, e quando le risorse materiali, che erano disponibili nel momento T0, sono state ricostituite dopo l'uso o sono state accresciute al momento T1. Ciò vuol dire che i modi e le vie con cui gli attori del processo sociale coltivarono nel momento T0 le prospettive politiche desiderabili (dal punto di vista dei fini o delle preferenze che abbiamo postulato), furono tali da produrre dei guadagni netti di valore, in grado sufficiente per tenere in vita o per rafforzare quelle stesse prospettive nel momento T1. E tali prospettive furono anche efficaci per agire positivamente sulle capacità necessarie per conservare integro o per accrescere l'ammontare totale delle risorse materiali. In tutto ciò è pure implicito che le prospettive politiche negative, che erano presenti nel momento T0, hanno subito delle correzioni o sono state annullate al momento T1. Un modello teorico come questo si basa sul postulato della massimizzazione dei valori, ed è confermato da ricerche empiriche come quelle che abbiamo ricordato.
Gli attori del processo politico che ottengono dei vantaggi in rapporto a un determinato valore possono investire quel che hanno guadagnato per accrescere in futuro questo stesso valore, oppure possono scambiarlo con un altro. Nel primo caso abbiamo un'‛accumulazione del valore'; nel secondo caso un ‛godimento immediato' del valore originario, come accade quando il potere viene speso per avere ricchezza, rispetto a qualsivoglia altro valore diverso dal potere. Un'ulteriore, analoga distinzione deve farsi in rapporto ai godimenti immediati. Dopo aver scambiato il potere con la ricchezza, o con qualsiasi altro valore, A può accumulare (investire) questo secondo valore, oppure disporne nel futuro immediato (consumo). Bisogna inoltre osservare che l'attore che riceve un vantaggio di valore in cambio del valore che ha dato ad A (cioè del ‛godimento' che gli ha fornito) può includere questo introito proveniente da A nel suo reddito lordo complessivo, in qualità di produttore di un dato valore (per es. in qualità di produttore economico); sicché egli deve sottrarre diverse voci passive prima di arrivare al suo reddito netto. I guadagni netti in rapporto a un dato valore, l'attore li può quindi accumulare (cioè: usare per accrescere lo stesso valore in futuro), oppure godere.
Lo scopo principale dell'analisi dei valori è determinare ‛chi ottiene che cosa', cioè ‛chi ottiene quali valori', in un determinato periodo di tempo, in relazione al funzionamento di un dato sistema politico. In chiave dinamica, lo scopo è stabilire le condizioni alle quali gli attori di un'arena politica possono accumulare i valori e determinare i principi strategici in base ai quali si possono conseguire i risultati desiderati.
Molto importante è l'utilità dell'analisi dei valori ai fini dell'analisi delle istituzioni. Ecco alcune delle questioni fondamentali in questo campo: a quali condizioni i sistemi politici chiamati in un certo modo (per scelta propria, o perché così sono chiamati da altri) producono gli stessi risultati oppure risultati diversi? a quali condizioni i sistemi politici chiamati con nomi differenti producono risultati diversi oppure gli stessi risultati? quando le ‛democrazie capitaliste', le ‛democrazie socialiste', le ‛oligarchie capitaliste' o le ‛oligarchie socialiste' accrescono o diminuiscono l'accumulazione o la dissipazione dei valori, oppure il grado di uguaglianza o di disuguaglianza nella distribuzione dei valori?
È un luogo comune delle ricerche comparative che le generalizzazioni empiriche siano condizionate da determinati profili evolutivi o cicli, nei quali si collocano i fenomeni sotto osservazione. In certi momenti, in un determinato processo politico, la direzione e l'intensità dell'azione delle variabili rilevanti possono disporsi entro il ‛ciclo A → B′; mentre in altri momenti la direzione e l'intensità dell'azione delle stesse variabili possono disporsi entro il ‛ciclo B → A′. Si tratta dei ben noti modelli ciclici della politica che sono stati confermati, almeno in parte, dai dati empirici raccolti in diversi periodi di tempo.
Queste fluttuazioni possono riguardare ogni possibile aspetto del processo politico: movimenti verso l'unificazione o la divisione territoriale, verso la rivoluzione o la controriforma, e così via. Se una generalizzazione appare specialmente accettabile, è perché si appoggia su combinazioni di fatti cospicue o ricorrenti. Consideriamo, per esempio, la ‛legge ferrea dell'oligarchia', che fu riportata alla ribalta dagli studi di R. Michels sui partiti socialisti. Ebbene, in certe circostanze esiste una legge ferrea di segno opposto, nel senso che le organizzazioni passano da un stato di alta concentrazione del potere a uno stato di bassa concentrazione. Oppure consideriamo l'asserzione di lord Acton che ‟il potere corrompe; e il potere assoluto corrompe assolutamente". Un'investigazione accurata mostra che anche la ‛mancanza di potere' corrompe; e che, in ogni caso, i cambiamenti nella posizione di potere non sono collegati in modo univoco e necessario con la corruzione o con la rettitudine.
Da tutto ciò deriva un'importante sfida intellettuale: quella di studiare attentamente il modo in cui gli eventi si dispongono nel tempo, e di pensare in modo creativo all'insieme complesso e molteplice degli eventi del passato e del futuro.
i) Il passato e il futuro in politica
Gli attori che prendono le decisioni riflettono il passato e agiscono esclusivamente sul futuro. Se si può avere conoscenza solo di quel che è oggetto di osservazione, allora la parola non può essere applicata alle proposizioni relative al futuro. Sorge così il problema di stabilire se e come possiamo accrescere il realismo delle aspettative circa gli eventi politici a venire, comprendendo tra questi anche le conseguenze delle strategie che adottiamo noi stessi per influenzare gli svolgimenti politici.
Prima di tutto, è opportuno procedere, nelle possibili proiezioni del futuro, a un' estrapolazione ordinata delle linee di tendenza del passato. La quantità dei dati già disponibili, e di quelli che possiamo raccogliere a questo fine, è così imponente che dobbiamo ricorrere a dei procedimenti selettivi. Una tecnica promettente consiste nell'uso critico dei ‛costrutti dinamici' (v. Lasswell, 1935, cap. 1). Un costrutto dinamico colloca il presente, che via via si schiude, nel mezzo dell'evoluzione che da importanti cambiamenti politici, che si sono verificati nel passato, porta ad altri importanti cambiamenti politici, che si immagina debbano verificarsi nel futuro. In questo modo, un costrutto dinamico fornisce un quadro di riferimento selettivo, per orientare tanto la ricerca sul presente quanto la riflessione sul futuro. Possiamo ridefinire in chiave di costrutti dinamici tutte le interpretazioni generali della nostra epoca storica (come, per es., quella che concepisce il nostro tempo come una transizione dal ‛capitalismo' al ‛socialismo', o quella che lo concepisce come una transizione da un ‛mondo diviso in Stati nazionali in conflitto tra loro' a un ‛mondo unificato in una sola comunità politica'). In talune formulazioni, una certa evoluzione storica ‛da... a...' viene presentata come fondata scientificamente, e perciò ‛inevitabile'. Queste pretese sono ovviamente scorrette e interessate; ma, una volta che siano espunte da una data concezione generale della storia contemporanea, quest'ultima acquista la forma di un costrutto dinamico e diventa una guida provvisoria che può risultare utile sia per la scienza sia per l'azione politica.
Affermare che i costrutti dinamici non sono teorie scientifiche non è lo stesso che affermare che la conoscenza scientifica è irrilevante per la loro elaborazione. Al contrario, l'impiego corretto e controllato di un costrutto dinamico richiede che si studino in modo accurato, con il metodo della scienza, tanto le linee di tendenza politiche quanto i fattori che le condizionano. Estrapolando nel futuro immediato le tendenze politiche del passato prossimo, siamo in grado di stimare la probabile collocazione nello spazio e la probabile successione nel tempo di diversi confronti e conflitti tra differenti Stati o movimenti politici in espansione. Per cercare di stimare il risultato dei conflitti nel futuro, bisogna far tesoro della conoscenza scientifica disponibile circa la soluzione dei conflitti nel passato. La considerazione accurata dei modelli esplicativi utilizzati dalla scienza, inoltre, richiama l'attenzione su tutte le variabili rilevanti, alcune delle quali possono essere state trascurate nei primi tentativi di estrapolazione. A ogni stadio del lavoro, si tratta di analizzare come una variabile, o una costellazione di variabili, influenzerà l'identità degli attori che partecipano al processo politico, le loro aspettative relative ai valori, e quali conseguenze deriveranno da questi cambiamenti.
Un altro criterio di selezione è di tipo normativo. Quali sono i fini che i principali attori che partecipano al processo politico coltivano e perseguono? Oppure, quali sono i fini coltivati e sostenuti dagli stessi studiosi e scienziati? Nell'attuale momento storico, ci stiamo muovendo nella direzione dell'attuazione di questi risultati desiderati, ovvero ci stiamo muovendo nella direzione opposta? Supponiamo, per esempio, di prendere sul serio la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (e altre dichiarazioni simili). Il nostro problema sarà allora di stabilire quali siano le strategie più efficaci per passare dallo stato attuale del mondo allo stato che corrisponde ai nostri fini. Come punto di partenza nel passato, possiamo prendere il XVIII secolo, prima della Rivoluzione francese. Il punto di arrivo nel futuro (per es., l'anno 2000) va selezionato, non come il momento per la realizzazione di un'utopia, ma come una data conveniente per la ricerca e per l'azione. Il punto di arrivo lo possiamo anche spostare in avanti, via via che ci inoltriamo nel futuro, e via via che si accrescono i dati a nostra disposizione, poiché l'informazione che avevamo al momento T0 (cioè al momento di inizio della nostra analisi) viene vagliata alla luce degli eventi successivi fino al momento T1 (cioè al momento a cui siamo giunti successivamente, lasciandoci indietro il momento T0).
Non è detto che i costrutti dinamici debbano riguardare per forza il mondo intero e lunghi periodi di tempo. Per esempio, un costrutto dinamico foggiato per la Repubblica del Sudan può concentrare l'attenzione sul Sudan e i paesi vicini (l'Egitto, la Libia, la Repubblica Centroafricana, il Congo, l'Uganda, il Kenya, l'Etiopia), e occuparsi in particolare della posizione futura della popolazione Dunka del sud. I costrutti dinamici possono venir progressivamente ristretti, fino a ridurre ai minimi termini sia l'ambito spaziale sia il periodo di tempo presi in considerazione. Tuttavia, si deve tener presente che, se si perde di vista il contesto più vasto in cui si situano i fenomeni limitati nel tempo e nello spazio, l'utilità di questi costrutti viene meno. È evidente, per esempio, che i rapporti tra la componente islamica e quella cristiana del Sudan saranno condizionati in modo profondo dai cambiamenti nella posizione di potere del blocco ‛islamico' e del blocco ‛cristiano' nella politica mondiale. Questi mutamenti nella politica mondiale aprono infatti nuove possibilità di azione politica per i diversi gruppi nazionali o per quelli che sono portatori di diverse tradizioni culturali.
I costrutti dinamici si possono impiegare in modo deliberato per saggiare la rigidità delle prospettive globali sia degli scienziati politici sia degli uomini politici. A partire da Marx, l'avvicendamento delle classi sociali (e delle caste) è diventato il quadro concettuale di base più comunemente adoperato per orientare le indagini politiche e per correggere gli orientamenti più tradizionali, che puntavano sull'avvicendamento degli ‛imperi', delle ‛civiltà', delle ‛religioni' o delle ‛razze' (v. Dahrendorf, 1959). Quello di ‛razza', se preso alla lettera, è un concetto biologico: o, più esattamente, un concetto pseudobiologico. Se consideriamo gli enormi progressi che sono stati fatti di recente dalle scienze biologiche (specialmente rispetto al codice genetico), dobbiamo guardarci dal trascurare la possibilità che nuove ideologie ‛biologiche' (o pseudobiologiche) prendano vita in futuro e assumano un ruolo significativo nella distribuzione mondiale del potere. Se il razzismo, per es., si diffonde, l'attuale divisione del mondo (l'Africa ‛nera', l'Europa ‛bianca', l'Asia ‛bruna' e ‛gialla') può venire ulteriormente rafforzata. Nell'ambito di queste diverse ‛razze', si possono formare delle concezioni biologiche pronte a fornire una base plausibile per identificare i gruppi razziali ‛superiori', destinati a dedicarsi alla conoscenza scientifica e alla leadership politica. Tendenze come queste porterebbero a restaurare una stratificazione verticale su base ‛biologica', anziché su base ‛economica', e a indebolire le spinte democratiche fondate sull'idea di ‛uomo comune', che tendono verso l'instaurazione di una società che dia a tutti gli uomini uguali opportunità di sviluppare i propri talenti, indipendentemente dal fatto che questi talenti potenziali siano uguali oppure disuguali.
Un altro quadro concettuale di base, le cui possibilità ideologiche sono rimaste scarsamente sviluppate, punta non sulle classi sociali o sulle razze, ma sulle abilità (v. Eulau, 1973; v. Young, 1959). Un gruppo di abilità è composto dalle persone che sono specializzate nella realizzazione di una determinata prassi o insieme di prassi. Per esempio, le abilità di quelli che detengono o ricercano il potere cambiano col tempo il loro contenuto specifico; ma la loro natura resta relativamente costante nei diversi contesti sociali. Si tratta, in particolare, di abilità di comunicazione - come quelle propagandistiche e diplomatiche - e di abilità nella manipolazione delle risorse materiali - come quelle connesse con l'amministrazione dei beni e con l'uso della violenza.
Tra le linee di tendenza che hanno inciso in modo profondo sul processo politico, e che presumibilmente continueranno a incidere nel futuro, vi sono quelle relative allo sviluppo delle tecnologie basate sulla scienza. Fonti di energia come l'acqua e il vento, impiegate tradizionalmente nel passato per sostituire o integrare la fatica dell'uomo e degli animali domestici, sono state rimpiazzate e sopravanzate in grado incommensurabile da nuove fonti, come il vapore, il petrolio, l'elettricità e l'energia nucleare. La chimica ha scoperto o prodotto per via sintetica nuove sostanze, che consentono di accelerare al massimo i tempi di trasporto dell'energia e di conservare gli oggetti che si producono con il suo impiego. Una delle conseguenze sociali più importanti di questo sviluppo straordinario delle tecnologie basate sulla scienza è l'attenuazione del collegamento spaziale tra le operazioni di presa delle decisioni e quelle di elaborazione delle risorse. Va da sé che le operazioni di presa delle decisioni coinvolgono ognuno dei settori istituzionali (e di valore) della società.
Con l'impiego di una forza di lavoro limitata divenne possibile estrarre il carbone, il petrolio e i metalli dai giacimenti naturali, e trasportarli, o trasportare qualsiasi altra sostanza o energia, ai luoghi di destinazione, attraverso una lunga catena di operazioni. Di conseguenza, le industrie di trasformazione si sono moltiplicate e si sono addensate nelle città, dove hanno a portata di mano lavoratori, clienti e agenzie di ogni tipo (v. Hall, 1966).
La particolare tecnologia delle comunicazioni ha accelerato questo processo. Un ‛segno' è qualcosa di materiale che viene adattato alla funzione di portare una referenza simbolica. La quantità di materiale o di energia necessaria per un particolare segno, è di regola, molto piccola. Se si costruiscono infrastrutture per la trasmissione dei messaggi per telegrafo, cablogramma, radio o televisione, i bits di informazione (le unità di un segno) diventano straordinariamente minuscoli.
La sfera militare offre un buon esempio del processo con il quale le operazioni di presa delle decisioni si sono allontanate nello spazio dai luoghi in cui si trovano le risorse o in cui queste vengono elaborate. Via via che la tecnologia della comunicazione è diventata più sofisticata, un comandante in capo non è più obbligato a seguire una battaglia o una esercitazione sulla sella di un cavallo. I comandanti supremi siedono comodamente in lontani quartieri generali, dove possono seguire le azioni con mappe e diagrammi e con le comunicazioni radiofoniche e televisive. Nei periodi di pace i quartieri generali dei capi militari sono situati in luoghi che rendono più agevoli le comunicazioni con gli uomini politici, gli uomini d'affari, i ricercatori e gli altri dirigenti e manipolatori dei simboli.
Nel processo economico si è avuta un'accentuata specializzazione delle funzioni dei dirigenti, che sono collegati tra loro da una fitta rete di comunicazioni: vi sono gli specialisti della progettazione di nuovi impianti, dell'organizzazione e della conduzione della produzione; quelli della finanza, del commercio, della direzione del personale, dei problemi legali, delle relazioni pubbliche, della ricerca, dello sviluppo (e così via).
La proliferazione delle sedi di discussione e di decisione nella politica, nell'economia e in ogni altro settore della società, è sia una conseguenza sia una causa della differenziazione e della specializzazione intellettuale (nella manipolazione dei simboli). Per esempio, la nuova funzione della gestione del personale ha dato vita a nuovi attori, nuove prassi e nuove situazioni nell'ambito della struttura complessiva delle organizzazioni. Di qui la nascita di dottrine e procedure particolari per la direzione del reclutamento, della formazione, della disciplina e così via.
L'attenuazione del collegamento spaziale tra le operazioni di presa delle decisioni e le operazioni di elaborazione delle risorse materiali ha favorito la nascita di una particolare forma architettonica caratteristica delle città dei paesi industrializzati. Si tratta delle costruzioni per uffici a marcato sviluppo verticale. L'importanza sempre maggiore della comunicazione porta con sé la necessità di servirsi di apparati particolari, sia personali sia impersonali, per trasmettere, immagazzinare e rintracciare i messaggi. Ogni attore che prenda parte al processo decisionale, e vi assolva un ruolo discrezionale, porta dietro di sé una schiera di impiegati e un mucchio di schedari per amministrare i messaggi postali, i telefoni, i telegrafi, i colloqui e le riunioni, che ha bisogno di utilizzare per prendere e attuare le decisioni.
Ogni costruzione per uffici può essere considerata come un insieme di scomparti per i ‛comunicatori' (dirigenti, esperti, funzionari) e per il loro apparato di uomini e di mezzi. Via via che gli scomparti si accumulano gli uni sopra gli altri, e via via che si intensifica la concorrenza per occupare una porzione di spazio, si producono delle conseguenze di grande rilievo, che si allargano a macchia d'olio nell'intero ambiente urbano. A New York o a Londra, a Mosca o a Tokyo, le lamentele sono le stesse: congestione del traffico, scarsità delle abitazioni, inquinamento dell'aria e dell'acqua, sgradevolezza della vita urbana.
Se la rivoluzione delle comunicazioni entra in una nuova fase, l'intero quadro può cambiare. La prima conseguenza della rivoluzione fu di accentuare la concentrazione dei processi decisionali e di far nascere città smisurate. Oggigiorno sta prendendo forma una nuova trasformazione di enormi proporzioni, contraddistinta dall'affermazione della tecnologia dei calcolatori elettronici. In linea di principio, si possono utilizzare reti di calcolatori elettronici per strutturare un sistema di presa delle decisioni, le cui diverse componenti possano collegarsi l'una con l'altra senza alcuna concentrazione spaziale delle strutture. La nuova tecnologia rende possibile che due o più attori, non importa quanto lontani tra loro, percepiscano la stessa immagine del contesto globale in cui si colloca una data operazione, ivi incluse le diverse fasi del processo di presa delle decisioni. Il giacimento di carbone che tenne legati gli uomini alla miniera, la mola ad acqua che avvinse il filatore al mulino da filanda, l'altoforno che tenne il puddellatore vicino al calore, o anche i libri, gli schedari e gli impiegati che costrinsero il dirigente o il ricercatore a stabilirsi nelle loro vicinanze, non costituiscono più oggi dei vincoli insuperabili: in linea di principio, essi non determinano più i luoghi dove gli uomini si stabiliscono. Sembra che siamo alla soglia di un'epoca nella quale, con lo sviluppo dei microcalcolatori, reti di mezzi d'informazione universali e complementari saranno in grado di far giungere i messaggi alle parti interessate, dovunque queste possano trovarsi.
Una situazione come questa tende a produrre la contestualità delle prospettive e la possibilità per tutti gli attori, dovunque si trovino, di accedere alle mappe contestuali. La tecnologia dei calcolatori elettronici fornisce uno strumento per dar vita a un sistema di presa delle decisioni che sia aperto in ogni sua fase all'influenza di tutti gli attori, poiché in esso tutti gli attori avrebbero la possibilità di percepire qualsiasi atto o aspetto particolare nel quadro di una mappa comprensiva dei valori-fini, delle linee di tendenza, delle condizioni, delle proiezioni e delle alternative.
È evidente, tuttavia, che, se le oligarchie della terra si appropriano della tecnologia dei calcolatori elettronici, esse possono servirsene per concentrare e rafforzare il proprio controllo sulle decisioni. Bisogna chiedersi allora se delle forze antioligarchiche siano in grado di utilizzare il malcontento che continuamente si genera nel seno della società, per conseguire e conservare un controllo pluralistico della conoscenza disponibile. Le difficoltà che le forze antioligarchiche di questo tipo debbono fronteggiare sono enormi; e possiamo richiamarle alla mente ricordando le disuguaglianze globali che separano i paesi ‛modernizzati' da quelli ‛sottosviluppati' e che mantengono in vita le disuguaglianze anche all'interno dei singoli Stati oggi esistenti.
4. I rapporti tra lo studio del potere e altri campi di ricerca, e tra lo studio del potere e l'azione politica
a) La ricettività della scienza politica
Se si guarda alla storia del pensiero politico, si rimane colpiti dalla grande apertura che gli scrittori politici hanno sempre dimostrato verso le correnti intellettuali che si sono manifestate nel corso del tempo in tutti gli altri campi del sapere. Da principio, furono l'antropologia e la storia, le due fonti dalle quali proviene la conoscenza comparata delle culture, a influenzare maggiormente le concezioni del potere politico e questo influsso non e' venuto meno neanche in seguito (v. Fortes e Evans-Pritchard, 1940). Confucio osservò attentamente, negli Stati che andava visitando, le analogie e le differenze delle istituzioni politiche. Aristotele, come è noto, raccolse e descrisse tutta una serie di costituzioni, giovandosi in ciò dei rapporti che lo legavano ad Alessandro Magno. Anche gli antichi manuali politici indiani accennarono delle comparazioni tra sistemi, sia pure in via incidentale (v. Varma, 1959).
Nel campo delle scienze sociali, una specializzazione marcata del sapere si è imposta soltanto in epoca relativamente recente. Tra queste discipline, quella che ha esercitato l'influsso più chiaramente riconoscibile sulla scienza politica è l'economia. Gli economisti distinguono tra valori e istituzioni. Il modello analitico del processo economico, inteso come processo relativo al valore della ricchezza, consente all'osservatore scientifico di cercare e di riconoscere le prassi istituzionali con cui vengono assolte le stesse funzioni (economiche), nonostante tali prassi siano spesso differenti da una società all'altra. Perciò, per gli economisti, il baratto non è altro che un equivalente istituzionale dello scambio monetario, nel quadro della produzione e della distribuzione dei beni suscettibili di trasferimento. Seguendo lo stesso procedimento, gli scienziati politici hanno affinato il loro quadro concettuale, concentrando l'attenzione sul potere, cioè sulla formazione e sulla distribuzione del sostegno in favore delle decisioni importanti dal punto di vista territoriale, e considerando il voto come corrispondente alla ‛unità monetaria' di scambio. Gli economisti possono definire il baratto come un equivalente dello scambio monetario e gli scienziati politici possono trattare i conflitti aperti come un equivalente dei voti.
La percezione di questo parallelismo tra concetti economici e concetti politici esercitò un forte stimolo sull'introduzione di tecniche di indagine di tipo quantitativo. La svolta fondamentale si ebbe con l'originale opera del 1927 The science and method of politics di G. E. G. Catlin, nella quale era pienamente riconosciuto il significato del voto come unità di misura delle transazioni tra ‛volontà' cooperanti o in conflitto. Molte importanti conseguenze o applicazioni di questo indirizzo di pensiero restano tuttavia controverse. Per esempio, non abbiamo delle tecniche soddisfacenti per determinare in modo preciso gli equivalenti, in termini di potere politico, di quel che sono, nel mercato, il reddito lordo e il reddito netto di un operatore economico o di una nazione. Del pari, numerosi ostacoli tecnici rendono difficile determinare con precisione i cambiamenti nel tempo della posizione di potere di un attore, di un gruppo o di un'istituzione, in analogia con quel che si fa nel campo economico, quando si calcolano i mutamenti della situazione patrimoniale di un operatore o di una nazione. Se cerchiamo per esempio di descrivere l'ascesa o il declino, in termini di potere politico, delle istituzioni di governo democratiche, abbiamo bisogno di procedure per osservare i cambiamenti di direzione e di intensità delle tendenze, attuali o potenziali, a sostenere tali istituzioni contro quelli che tentano o tentassero di abbatterle. La direzione di queste tendenze potrebbe essere indicata dalle affermazioni esplicite degli attori; e la loro intensità dal carattere irreversibile delle convinzioni e dalla grandezza delle risorse mobilitate nei conflitti aperti o nelle votazioni.
In tutte le civiltà urbane, sulla scienza politica ha esercitato un influsso profondo lo stadio che in esse avevano raggiunto l'astrologia o l'astronomia, l'alchimia o la fisica e la chimica. Nell'Europa occidentale, le nuove correnti di pensiero, che si svilupparono con il rifiorire della cultura nel Rinascimento e con la nascita della scienza sperimentale, furono prontamente recepite dagli scrittori politici. L'esempio classico è dato da Hobbes, al quale la nuova meccanica ispirò il tentativo di risolvere tutte le interazioni politiche in ‛forze' e ‛movimenti'. Gran parte della baldanza con la quale proclamò l'importanza fondamentale della brama di potere si fondava sulla fiducia che proprio qui, in questa inclinazione dell'uomo, si concentrassero le energie e quindi il movimento del corpo politico.
Tuttavia, la definizione dei fenomeni politici in termini di ‛forza' e ‛movimento' è apparsa a molti critici, in ogni tempo, troppo riduttiva. Come accade, in conclusione, che conflitti e accordi vengano qualificati dagli uomini in base alla loro ricerca dell'‛indipendenza' o dell'‛unità', nel nome di simboli collettivi come le ‛nazioni', i ‛partiti', i ‛gruppi di pressione', le ‛classi'? Evidentemente qualcosa rimane fuori del quadro, se interpretiamo i fenomeni del potere politico esclusivamente alla stregua di uno scontro sordo tra carri armati o dell'urto tintinnante delle palle del biliardo.
Nel XX secolo, qualsiasi concezione del potere politico modellata sull'esempio della meccanica classica è stata fortemente indebolita dai nuovi sviluppi della fisica con la teoria dei quanti di Max Planck e con il principio dell'equivalenza massa-energia di Albert Einstein. In precedenza, i fisici si erano trovati a loro agio nel mondo della meccanica newtoniana, poiché essa sembrava liberarli dai ‛fantasmi' della teologia e della magia. Il mondo era concepito in modo deterministico; e le cause degli eventi erano concepite come forze con una traiettoria definita, suscettibile di misurazione empirica in ognuno dei punti della curva. Il principio dei quanti, invece, ha messo in luce l'esistenza di micro e di macrofenomeni che si comportano in modo diverso: di essi non si può tracciare la traiettoria, nè misurarla in tutti i punti, ma se ne può prevedere il comportamento soltanto in chiave statistica.
Nel frattempo, lo sviluppo della biologia e della psicologia mise in evidenza che gli esseri viventi hanno delle caratteristiche specifiche che rendono inapplicabile lo schema della teoria fisica, sia nella versione newtoniana sia in quella postnewtoniana. Abbiamo imparato che quel che contraddistingue in modo peculiare le forme viventi sono degli speciali circuiti, che permettono all'organismo, da solo o in associazione con altri organismi, di trasmettere, immagazzinare e richiamare l'informazione. Il sistema nervoso dell'organismo umano e il sistema dei mezzi di comunicazione della società politica sono sistemi che funzionano con un livello di energia relativamente basso. Perciò è più illuminante analizzarli in base al loro modello, anziché riducendoli alle quantità di massa-energia che vi sono implicate. Quando cominciarono a esplorare i modelli complessi di ‛decisione', gli scienziati politici riuscirono sempre meno ad applicare concetti derivati dalla meccanica, come ‛forza', ‛collisione' ed ‛equilibrio'. Gli studiosi del potere si rivolsero perciò alla teoria dell'informazione o alla cibernetica (v. Wiener, 1948; v. Shannon e Weaver, 1949), per ricavarne dei modelli complessi da sostituire allo schema di tipo meccanicistico che si riferisce in realtà solo al caso particolare del confronto diretto e globale.
D'altra parte, proprio il successo della teoria dell'informazione, come descrizione del funzionamento dei ‛canali' che trasmettono messaggi codificati, metteva in piena evidenza anche i suoi limiti, in quanto teoria generale della comunicazione. La psichiatria e la psicologia sociale hanno incoraggiato la sistematica investigazione empirica di una dimensione della comunicazione che sfugge alla teoria dell'informazione: il ‛contenuto' dei messaggi che vengono trasmessi per mezzo di conduttori di massa-energia (come il suono, la luce o gli impulsi elettromagnetici). Il contenuto del messaggio è un evento ‛soggettivo' e, come tale, differisce da un evento che non lo è almeno per un aspetto: esso ha un ‛significato'. Lo studio dei significati dei messaggi politici richiede l'impiego di speciali categorie classificatorie e di speciali procedimenti di analisi. Per esempio, tra le categorie di significato vi saranno quelle che designano il Sé o altri attori (nazioni, partiti e così via), quelle che designano preferenze o volizioni di valore, o quelle che designano gli assunti di fatto relativi al passato o al futuro.
Sembra dunque che nello studio del potere siano compresenti tre diversi sistemi. In primo luogo, vi è un sistema di ‛massa-energia' (meccanicistico) di mobilitazione delle risorse; in secondo luogo, vi è un sistema ‛informatico' di canali di comunicazione; e, in terzo luogo, vi è un sistema ‛referenziale' (simbolico) del contenuto dei messaggi (notizie, commenti e così via). La tendenza, che si è manifestata abbastanza di recente, a studiare la ‛decisione' o la ‛scelta', si può interpretare come un tentativo di integrare le vecchie teorie di tipo meccanicistico che tanto peso ebbero con Hobbes e con quelli che vennero dopo di lui.
b) L'influenza della scienza politica in altri campi di ricerca
L'apertura dei pensatori politici nei confronti delle diverse correnti che si sono manifestate negli altri campi del sapere non significa che la scienza politica sia stata unicamente reattiva, e non abbia a sua volta esercitato degli influssi negli altri settori della ricerca intellettuale. L'effetto più ovvio e persistente è stato forse di carattere negativo, nel senso che le descrizioni esplicite e realistiche dei fenomeni del potere politico sono risultate così sconvolgenti da giustificare il sorgere di contro-tendenze, intese a spuntare la lama della ricerca politica e dunque la sua capacità di ‛svelamento'. Nasce così l'enorme biblioteca di volumi scritti per stigmatizzare o per confutare Machiavelli.
Lo studio delle decisioni politiche condotto dalla scienza politica esercita oggi un influsso sulle altre scienze sociali, e specialmente sugli studiosi che si occupano dei processi decisionali in settori diversi da quello politico (v. Lerner e Lasswell, 1951). Gli studiosi del potere politico sono stati anche i primi a stimolare la creazione di procedimenti appropriati per l'analisi quantitativa del contenuto delle comunicazioni.
c) I rapporti tra la teoria e il potere
Gli studiosi del potere politico sono ben lungi dall'esagerare la loro influenza sulla direzione effettiva della cosa pubblica (v. Dror, 1968). Essi sono assai più inclini, piuttosto, a lamentarsi per essere trascurati dai capi politici più importanti, o per essere ignorati, quando vi si rivolgono, anche dalla massa dei cittadini che sarebbero vittime dell'incapacità di comprendere i propri interessi.
Tuttavia, in merito all'effetto pratico degli studi sul potere politico si può avanzare almeno un'ipotesi. Questi studi hanno contribuito a tener vivo il riconoscimento imparziale dell'effettiva disuguaglianza del potere, indipendentemente dalla valutazione positiva o negativa che se ne è data o se ne dà. Inoltre, lo studio empirico del potere politico fornisce una stima permanente delle relazioni che intercorrono tra il valore e le istituzioni del potere, da una parte, e i valori e le istituzioni degli altri settori della società, dall'altra. Questi studi mettono continuamente a confronto le immagini convenzionali con le realtà funzionali del potere, e favoriscono la percezione del divario esistente, in un dato periodo di tempo, tra il regno delle aspirazioni dell'uomo e quello della realtà dei comportamenti individuali e collettivi.
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