bilancio, politiche di
bilàncio, polìtiche di locuz. sost. f. pl. – Insieme di strumenti di politica economica che utilizzano il b., entrate e spese dello Stato, al fine di perseguire obiettivi di stabilità e di sviluppo economici. Le teorie considerano modalità differenti per la manovra sulle entrate e sulle spese: questa può generare fra esse uno squilibrio (eccesso di spesa rispetto alla copertura delle entrate, disavanzo pubblico) o garantirne il pareggio. In base alle teorie della finanza neutrale (economisti classici) le manovre di bilancio devono assicurare l’equilibrio tra spese ed entrate (teoria del pareggio), che può anche essere raggiunto annualmente per la parte corrente (funzionamento degli organi pubblici e fornitura dei servizi istituzionali) e, nel lungo periodo, per la parte in conto capitale (investimenti), oppure ciclicamente (compensazione fra avanzi e disavanzi congiunturali, teoria del b. ciclico). Invece, per la teoria del bilancio funzionale, di ispirazione keynesiana, e la teoria del bilancio di piena occupazione, il deficit di bilancio è un mezzo per favorire la piena occupazione (con fattori produttivi disponibili non pienamente utilizzati e produzione complessiva inferiore a quella di pieno impiego). Una distorta applicazione di quest’ultimo approccio è all’origine, anche in Italia, delle politiche di disavanzo seguite soprattutto a partire dagli anni Settanta del 20° secolo e del crescente ricorso all’indebitamento pubblico. Una spinta alla pur lenta politica di risanamento finanziario italiana è venuta dalla partecipazione all’Unione Europea e successivamente all’area dell’euro. Il Trattato di Maastricht sull'Unione Europea (1992) stabiliva, fra l’altro, i parametri economici necessari (rapporto deficit pubblico su PIL non superiore al 3% e rapporto debito pubblico su PIL non superiore al 60%) per l'ingresso dei vari stati nell’Unione Europea prima e, poi, nell’area monetaria dell’euro (entrato in vigore il 1° gennaio 1999 e circolante dal 1° gennaio 2002). Il rispetto dei parametri economici in assenza di una politica fiscale unitaria (v. ), ha rivelato vari aspetti di debolezza in particolare dopo la crisi economico finanziaria esplosa nel 2008. L’Italia ha sofferto di una crisi di (v.), debito alto e crescita debole, che ha spinto i mercati a chiedere tassi d’interesse alti per acquistare titoli di debito pubblici (lo spread rispetto ai tassi dei titoli di paesi più solidi nelle finanze statali si è notevolmente ampliato). Ma la necessità di raggiungere un avanzo primario per compensare gli elevati livelli di indebitamento sottrae risorse utili all’impulso per la crescita, spingendo l’economia in uno stato di recessione.