politiche per il lavoro
Interventi pubblici nel mercato del lavoro, che agiscono per promuovere l’occupazione in generale o in modo selettivo per favorire gruppi con particolare difficoltà, quali i disoccupati (➔ disoccupazione p), gli occupati a rischio di perdita involontaria del proprio lavoro o persone inattive (➔ non forze di lavoro) che intendono entrare nel mercato del lavoro e sono in qualche misura svantaggiate. Le p. per il l. si dividono in passive, indirizzate a chi ha perso l’occupazione, volte a ridurre il disagio sociale ed economico connesso allo stato di disoccupazione (➔ sussidio), e attive, finalizzate a inserire o reinserire individui nel mercato del lavoro allo scopo di incrementare i tassi di attività e di occupazione, con particolare attenzione ai giovani, alle donne, ai lavoratori anziani, agli immigrati, alla popolazione delle Regioni in ritardo di sviluppo.
Le p. passive hanno finalità di carattere assicurativo, garantendo al lavoratore che perde l’occupazione un sostegno al reddito, contrastando il deterioramento eccessivo della condizione economica di determinate persone. Tali finalità sono da alcuni ritenute in contrasto con obiettivi di efficienza in quanto, aumentando il potere contrattuale dei lavoratori, le p. passive tendono ad accrescere i salari e, quindi, a ridurre i livelli occupazionali. Tuttavia, anche nelle p. passive sono perseguibili obiettivi di efficienza grazie al miglioramento della qualità dell’occupazione, in quanto esse permettono di destinare maggiore tempo e risorse nella realizzazione di matching (➔) lavorativi a maggiore produttività e favoriscono l’investimento in capitale umano (➔). In tale contesto efficiente, le p. passive di fatto diventano interventi di flexicurity (➔) simili a quelli riscontrabili tra le politiche attive per il lavoro. Le p. passive svolgono inoltre una funzione di ammortizzatore ciclico automatico (➔ stabilizzatore automatico). In molti Paesi, dalla fine del 20° sec., per limitare gli effetti disincentivanti di modelli di stampo assistenziale, si è passati, nella gestione delle p. passive, a un approccio basato sul workfare, secondo il quale i trasferimenti sono condizionati all’obbligo di lavorare.
Le p. attive comprendono un insieme ampio di misure e strumenti molto diversi tra loro, ovverosia provvedimenti per rendere più efficiente il funzionamento del mercato del lavoro, adeguando le caratteristiche dell’offerta alle richieste della domanda, facilitandone l’incontro e migliorando le possibilità di accesso all’occupazione per le categorie più svantaggiate, ottimizzando l’allocazione delle risorse e del capitale umano. Sono incluse anche azioni positive (➔) volte alla rimozione degli ostacoli che contrastano la realizzazione delle pari opportunità.
Per identificare gli specifici interventi si fa generalmente riferimento alla classificazione elaborata da Eurostat con il modulo Labour Market Policies che classifica le p. per il l. in 9 categorie, di cui le prime 7 rappresentano le p. attive e le ultime due le p. passive: supporto e orientamento alla ricerca dell’occupazione (job search theory; ➔ lavoro, teoria della ricerca di); formazione e addestramento (➔); schemi di suddivisione del lavoro; incentivi all’occupazione; politiche di inserimento dei disabili; creazione diretta di lavoro nel settore pubblico; incentivi alle nuove attività d’impresa; p. passive di tutela economica dei disoccupati e schemi di pensionamento anticipato. Nel 2006, la classificazione Eurostat ha sostituito alla distinzione tra p. attive e passive una tripartizione basata sulla distinzione tra servizi (attività legate all’ausilio nella ricerca di lavoro), misure (altri interventi che forniscono supporto temporaneo per gruppi di soggetti svantaggiati nell’accesso al mondo del lavoro, ex p. attive) e supporto (interventi che forniscono assistenza finanziaria, direttamente o indirettamente, a individui per ragioni legate al mercato del lavoro, ex p. passive). In Italia, sempre nel 2006, le spese per le p. erano per il 38,9% destinate alle p. attive (misure) e per il 61,1% a quelle passive (supporto). Le autorità europee hanno intrapreso dalla seconda metà degli anni 1990 una Strategia Europea per l’Occupazione (SEO; ➔ employment strategy) come risposta all’esigenza di cooperazione e coordinamento delle p. tra gli Stati membri. Il d.d.l. 3249/2012 ha inteso rinnovare le p. attive in Italia, adattandole alle mutate condizioni del contesto economico e assegnando loro il ruolo effettivo di accrescimento dell’occupabilità dei soggetti e del tasso di occupazione del sistema, oltre che creare canali di convergenza tra l’offerta di lavoro e la domanda. Gli interventi di attivazione sottendono un patto di mutua responsabilità/obbligazione tra enti che offrono servizi per il lavoro, lavoratori e datori di lavoro. Data la presenza di un regime di sussidi di disoccupazione (➔ ASpI), si rafforza la necessità di aggiungere al generico ‘aiuto’ ai soggetti deboli e a rischio di emarginazione l’esigenza di contrastare abusi e disincentivi connessi con l’operare dei sussidi, arrivando a ‘imporre’ determinati interventi concreti, in una logica tutoria e di prevenzione, rispetto a possibili abusi e derive di emarginazione (attivazione o mutual obligation).