poliziese
s. m. (iron.) Il linguaggio tipico dei poliziotti, infarcito di formule giudiziarie e burocratiche.
• Sorride Cristina Villa, vice questore aggiunto e funzionario capo della sezione antiterrorismo della Digos di Milano. Certo non ammetterà nemmeno sotto tortura che ormai la «collaborazione più ampia» da parte delle associazioni islamiche di cui parla significa una buona rete di collaboratori della polizia. Che si serve di loro, ad esempio, quando c’è da «attenzionare», come si dice in poliziese, qualche soggetto sospetto. (Paola Fucilieri, Giornale, 18 settembre 2015, Milano Cronaca, p. 3) • «nei prossimi giorni partirà un corso di “poliziese” per insegnare i principi rudimentali della sicurezza e a riconoscere quello che è reato da quello che non lo è. Non si possono chiamare i vigili se dei ragazzi giocano a pallone. Se stanno consumando droga sì» (Valter Muchetti intervistato da Pietro Gorlani, Corriere della sera, 30 ottobre 2015, Cronaca di Brescia, p. 3) • Eccolo, il day after del ventesimo sgombro del presidio Baobab, una comunità di una cinquantina di migranti assistiti da un gruppo di volontari per garantire un minimo di sopravvivenza e che, periodicamente, vengono sgomberati, caricati sui pullman, portati in questura, muniti (come si dice in poliziese) del foglio di via (almeno i pochi che non ce l’hanno già), rimessi in strada dopo qualche ora e che, puntualmente, ritornano qui a stretto giro di posta. (Massimo Lugli, Repubblica, 21 giugno 2017, Roma, p. V).
- Derivato dal s. f. polizia con l’aggiunta del suffisso -ese.
- Già attestato nella Stampa del 1° agosto 1989, p. 2, Società e Cultura (Sergio Quinzio).