POLMONE (XXVII, p. 711)
Chirurgia (p. 715). - L'adozione sistematica dell'anestesia endotracheale a circuito chiuso, preconizzata in Italia fin da 90 anni or sono da D. Uffreduzzi (v. in questa App.), che ha permesso di ovviare alle ripercussioni degli squilibrî pressorî del pneumotorace aperto nelle toracotomie a pleura libera, il superamento delle difficoltà relative al raggiungimento dell'ilo polmonare, alla chiusura del moncone bronchiale, al trattamento e al destino del cavo residuo alla resezione polmonare, la possibilità, infine, di valutare adeguatamente la capacità del cuore destro a sopportare l'enorme sforzo dovuto alla riduzione di sì larga parte del letto del piccolo circolo, hanno permesso alla chirurgia polmonare di compiere notevoli progressi ed anche di modificare alcune concezioni fisiologiche e persino anatomiche. Infatti, sotto quest'ultimo punto di vista, per quello che riguarda la circolazione, le recenti e interessantissime ricerche di von Hayek hanno messo in evidenza accanto alla nota rete vascolare, l'esistenza di un largo complesso di anastomosi artero-venose - veri corti circuiti vascolari - capaci di deviare notevolmente in determinate condizioni il normale circolo polmonare. Il significato funzionale e fisiopatologico di tale sistema non è ancora ben chiarito, ma è molto probabile che ad esso vada attribuita una notevolissima importanza, analogamente a quanto si sta riconoscendo in altri organi.
Si è visto inoltre che, anche al di fuori di questi meccanismi, la irrorazione del parenchima polmonare è tutt'altro che uniforme, le regioni apicali, per es., specie la destra, pur avendo un letto vascolare ricco come nel restante territorio, non ricevono spesso sangue in modo sufficiente. E questo sembra dovuto al fatto che il peso della colonna ematica che deve raggiungere detta zona, supera talora, nei soggetti in posizione verticale, specie se longilinei, la pressione endoventricolare destra; ciò spiegherebbe la particolare frequenza delle localizzazioni tubercolari a tale livello, la loro evoluzione e l'influenza favorevole che su esse ha la semplice clinoterapia.
Lo studio dell'albero bronchiale ha permesso, pur attraverso le frequenti ed innegabili anomalie strutturali, di accertare una spiccata tendenza alla formazione di territorî bronco-parenchimali costanti e ben precisati. Questi segmenti polmonari costituiscono delle entità morfologiche e funzionali definite: sono chiaramente separati da setti, talora molto evidenti, e rappresentano il territorio di distribuzione di un bronco segmentario, ramo di un bronco lobare, e dell'arteria polmonare che lo accompagna: nel loro spessore è possibile intravvedere delle unità elementari, i distretti. Mentre non è ancora possibile precisare il significato di questi ultimi, il concetto di una patologia segmentaria si sta praticamente imponendo.
Si è visto, ad esempio, che la malattia bronchiectasica (dilatazione patologica del lume bronchiale che diviene spesso suppurante) è solo raramente diffusa, mentre più frequentemente ha un carattere segmentario (una delle distribuzioni più comuni è al lobo inferiore S ed al segmento lingulare). Il trattamento di tali forme - l'unico efficiente è quello chirurgico, demolitivo - ha dovuto adattarsi a queste nozioni ed all'operatore spetta il compito, non sempre facile, di farsi strada nello spessore del parenchima sano ed isolare e resecare il segmento interessato. Queste "resezioni segmentarie", la cui diffusione è strettamente legata ai nomi di Churchill e Blades costituiscono evidentemente un notevole passo avanti nella terapia delle bronchiectasie, specie in quei casi in cui sia indispensabile risparmiare il massimo di parenchima residuo. Anche alla malattia cistica del polmone si è riconosciuta spesso una distribuzione segmentaria, e per essa valgono le considerazioni già fatte per le bronchiectasie; ma è soprattutto nei riguardi dell'ascesso polmonare che si è dimostrato di valore il concetto di territorio broncoparenchimale, pur affermandosi contemporaneamente l'importanza prevalente dell'elemento bronchiale nella genesi, estensione ed evoluzione del focolaio suppurativo.
Tutta una serie accurata di ricerche è riuscita a dimostrare come nella maggiore parte dei casi l'infezione che porta alla suppurazione polmonare segua la via aerogena. Secreto ricco di germi, materiale inalato o che comunque abbia raggiunto l'albero bronchiale, ecc., possono - specie in individui in cui per una qualsiasi ragione siano depresse le capacità meccaniche di difesa dell'albero stesso - arrestarsi là dove la forza di gravità o una minore ventilazione ne facilitano il ristagno: si stabiliscono a questo livello processi di bronchite e peribronchite che, per la partecipazione della flora piogena, divengono suppurativi. La corrispondente zona atelectasica, consecutiva all'occlusione bronchiale meccanica e flogistica, anche essa si infetta e si costituisce così il focolaio ascessuale parenchimale, che talora interesserà l'intero segmento. Questa concezione patogenetica dà ragione di molte caratteristiche dell'ascesso polmonare, quali il valore di alcuni fattori predisponenti, la prevalenza di determinate localizzazioni, particolarmente frequente nel segmento apicale del lobo superiore destro, la tendenza alla superficializzazione.
Il significato del bronco si mantiene di importanza fondamentale anche nell'evoluzione della malattia: è chiaro, infatti, a parte i casi favorevoli in cui le difese naturali dell'organismo o un appropriato trattamento medico - di grande utilità si sono dimostrati gli antibiotici - riescono ad aver ragione della flora patogena, tutte le possibilità di una guarigione non chirurgica sono legate alla efficienza del drenaggio naturale, bronchiale, del cavo suppurante. Esso potrà essere aiutato da una opportuna terapia posturale che utilizzi la gravità, da broncoaspirazioni ripetute, ecc.; ma ove anche così non sia soddisfacente, dovrà tempestivamente venir praticato un drenaggio chirurgico. È bene insistere sulla tempestività dell'intervento perché dopo due o tre mesi la piofibrosi circostante e le bronchiectasie secondarie compromettono spesso ogni trattamento che non sia demolitore.
Se in molti settori della patologia chirurgica del polmone gli ultimi anni hanno portato evidenti progressi, il capitolo delle neoplasie e del loro trattamento si può considerare addirittura sorto ex-novo. Anzitutto si è visto che le neoplasie maligne primitive del polmone, lungi dall'essere una rarità, sono straordinariamente comuni; esse costituiscono oltre il 10% di tutti i blastomi e si può dire che nel sesso maschile stiano togliendo al cancro dello stomaco il suo triste primato di frequenza. Ciò non sembra legato solo ad un più sicuro riconoscimento della malattia, ma anche ad una sua maggiore incidenza.
Il loro quadro istologico è stato accuratamente studiato e contrariamente a quanto si pensava, è risultato che i tumori maligni del polmone appartengono solo eccezionalmente alla serie connettivale: nella grande maggioranza dei casi essi sono degli epiteliomi a derivazione bronchiale. Non è ancora risolto con sicurezza se l'elemento d'origine sia rappresentato sempre dalle cellule dello strato basale della mucosa bronchiale, le cosiddette cellule di riserva, o se possa essere costituito da elementi differenziati dell'epitelio bronchiale, delle ghiandole mucose e dei dotti. In genere si considerano piuttosto difficili queste ultime possibilità, come pure si accetta con difficoltà una derivazione dalle cellule del rivestimento alveolare. Sta di fatto, in ogni modo, che il cancro del polmone si presenta fondamentalmente sotto tre aspetti differenti: tumore a cellule squamose, adenocarcinoma, e tumore ad elementi ripetenti in maniera più o meno precisa le cellule di riserva dello strato basale della mucosa.
Data la sua genesi il blastoma ha sempre rapporti particolarmente intimi con l'albero bronchiale, rapporti che contribuiscono a definire le varietà cliniche e che possono offrire elementi preziosi per la diagnosi. Per questa, infatti, oltre naturalmente ai criterî di ordine generale, avranno particolarissimo valore tutti i dati offerti dallo studio dell'albero bronchiale, studio endoscopico (broncoscopia) radiologico (broncografia) e citologico (ricerca di cellule neoplastiche nell'escreato o nel liquido di lavaggio bronchiale).
La terapia delle neoplasie polmonari è chirurgica nei casi in cui non si è ancora avuta una diffusione extrapolmonare. È realizzata con le più larghe demolizioni possibili (pneumonectomia e asportazioni delle stazioni linfoghiandolari ilari rappresentano l'intervento minimo indispensabile) e dà risultati incoraggianti, perché la percentuale di cosiddette guarigioni a distanza di 50 più anni sembra elevata. La terapia radiante, alla quale ci si limiterà negli altri casi, dà ovviamente risultati meno notevoli.