POLVERI piriche
Polvere nera. - È il più antico degli esplosivi conosciuti, il cui primo impiego si fa risalire ai Cinesi, ma è probabile che le prime composizioni, a base di carbone, salnitro e zolfo, fossero impiegate per scopo pirotecnico. L'uso della polvere nera, come esplosivo, si diffuse a partire dal 1300 in Europa e si attribuisce al monaco tedesco Berthold Schwarz il primo impiego della polvere nera nelle bocche da fuoco.
La polvere nera è stata fino oltre la metà del secolo XIX l'unico esplosivo conosciuto per le armi propellenti e per scopi industriali. Essa è stata quasi soppiantata dai molteplici esplosivi scoperti in seguito, quantunque larghissimo sia rimasto il suo uso per molte applicazioni tecniche, dove è richiesto un esplosivo non troppo dirompente, come nelle cave di pietre da taglio, quali i marmi (almeno prima dell'introduzione dell'uso del filo elicoidale).
La polvere nera ha ancora, nel campo militare, notevoli applicazioni. Serve al caricamento degli shrapnel; se ne impiega ancora per tiri a salve (di saluto); entra nella costituzione di molti artifizî (spolette, razzi, ecc.). Con polvere nera si confezionano le micce a lenta combustione ordinarie e speciali (subacquee). Perciò la fabbricazione della polvere nera è ancora molto diffusa in Italia ed effettuata in numerosi stabilimenti, taluni dei quali assai piccoli (v. appresso).
La composizione classica della polvere nera è circa del 75% di nitrato potassico, 15% di carbone e 10% di zolfo. Queste proporzioni sono state però largamente variate a seconda che interessa aumentare o diminuire la potenza o la velocità di combustione dell'esplosivo. Secondo M. Berthelot il vero rapporto teorico fra le sostanze contenute nella polvere dovrebbe essere dell'84% di nitrato potassico, 8% di zolfo e 8% di carbone. Questi rapporti però non sono mai stati praticamente usati e corrispondono solo alla formula a combustione teorica completa, secondo la quale si dovrebbe avere, a combustione ultimata, solfato e carbonato potassico, anidride carbonica e azoto.
Nella polvere da mina vi è tendenza a far formare anche ossido di carbonio a spese del solfato potassico, in luogo del quale si formano parzialmente solfuro e polisolfuri. La polvere nera, se incendiata sotto pressione, lascia comunemente come prodotti di combustione, circa il 60% di prodotti solidi e il 40% di gas; da questi dati emerge la sua bassa potenza.
Le proporzioni dei tre componenti nelle polveri da caccia, da guerra e da mina, sono differenti. Nelle polveri da mina si aumenta lo zolfo e il carbone a scapito del nitrato potassico. Nelle polveri da caccia si tende ad aumentare la percentuale del nitrato potassico e si adoperano carboni di legna particolarmente buoni. Per regolare la vivacità di combustione, oltre che variando i componenti, si può modificare l'esplosivo secondo la granitura e la densità.
In luogo del nitrato potassico è stato anche, nel secolo XIX, introdotto il nitrato sodico. Con questa modificazione si sono ottenute polveri più progressive e leggermente più potenti di quelle a base di nitrato potassico, ma anche più igroscopiche. Le polveri a nitrato di soda hanno avuto un largo commercio in America.
Le materie prime devono essere preparate con cura speciale; lo zolfo dev'essere purissimo, esente da tracce di acidità; il nitrato potassico dev'essere esente da cloruri e da clorati e perclorati. Si sono attribuite alla presenza di piccole tracce di clorati nel nitrato alcune gravi esplosioni avvenute in fabbriche di polveri nere.
Il carbone di legna dev'essere molto poroso e contenere la minor quantità possibile di ceneri. Si è usato anche il carbone di zucchero e largamente il carbone di pioppo, di tiglio, quello di salice e d'ontano. In Italia viene generalmente usato il carbone proveniente dagli steli di canapa. La carbonizzazione del carbone per polvere nera si fa con un procedimento a distillazione in cilindri fissi verticali, avendo cura di non sorpassare i 4000.
La fabbricazione della polvere nera passa attraverso gli stadî seguenti. La prima fase consiste nella macinazione dei componenti: in luogo di polverizzarli separatamente o tutti e tre insieme, il che sarebbe pericoloso, si polverizzano insieme, generalmente abbinandoli a due a due, rispettivamente zolfo e carbone e carbone e nitrato. Queste miscele "binarie" si ottengono mettendo le sostanze, già però polverizzate preventivamente, in botti speciali, formate di lamiera di ferro con costole interne formanti rialzi trasversali, che ruotano su un asse perpendicolare alle due facce laterali. Insieme con le sostanze da mescolare s'introducono nel recipiente anche palle di bronzo duro fosforoso. La botte ruota di circa 15 giri al minuto. Essa può contenere, ad es., 200 kg. di miscela contro 150 kg. di palle. Polverizzazione e miscuglio durano circa dieci ore.
A operazione terminata si scarica il contenuto da una larga bocca praticata sul fianco della botte, munita di una robusta rete destinata a trattenere le palle. La botte scarica in una tramoggia sottostante munita di un'imboccatura a cui, con collegamento in cuoio o tela, si può adattare un recipiente mobile in modo da accogliere la miscela binaria senza spandimento di polverino nei locali di fabbricazione.
Le miscele binarie vanno poi conservate in recipienti ermeticamente chiusi. Le miscele ternarie si preparano mescolando le due miscele binarie nei rapporti voluti in peso e si possono usare, a questo scopo, botti simili a quelle impiegate per le miscele binarie.
La fase susseguente è la compressione della miscela, ormai completa, in schiacciate, da cui si ottengono poi i grani dell'esplosivo finito. Attualmente s'impiegano per questo scopo molazze accoppiate, ruotanti sopra piatti di ghisa durissima; appositi coltelli raschiano sul piatto la polvere miscelata dalle macine e la riportano dalla periferia al centro sotto le mole. A intervalli si bagna la massa con un po' d'acqua, non solo per impedire l'eccessiva produzione di polverino, quanto per sciogliere meglio il nitrato, che va così a distribuirsi finemente e omogeneamente in tutta la massa. La velocità di rotazione delle molazze diminuisce progressivamente da 10 giri al minuto a un giro ogni 10 minuti, onde ottenere, in fine, focacce molto compresse. La compressione della farina ternaria si può anche ottenere più facilmente con torchi idraulici, impiegando piastre di rame o di ebanite per isolare fra di loro le singole focacce che raggiungono alte densità, fino a 1,8. Dopo la compressione, le focacce contengono ancora umidità (circa 8%); si lasciano giacenti in appositi magazzini debitamente arieggiati, si passano poscia agli essiccatoi per un parziale essiccamento e finalmente alle macchine granulatrici.
L'operazione della granulazione ha per scopo d'impedire la separazione meccanica dei componenti e di permettere di graduare la vivacità di combustione dell'esplosivo. I granitori possono essere piani ottagonali di legno, sospesi con corde al soffitto e mossi con ondulazione e rotazione a mezzo di un meccanismo a eccentrico, contenenti setacci attraverso i quali la polvere viene granulandosi e dividendosi secondo le dimensioni. Le schiacciate vengono preventivamente rotte in grossi pezzi e distribuite con imbuti sopra i piani superiori dei setacci su cui è posto un disco in legno che ha la funzione di frantumare in pezzi più minuti la polvere nera e farla passare al piano inferiore del setaccio. Più generalmente si usano però laminatoi a cilindri accoppiati scanellati, messi a cascata, attraverso i quali la polvere contemporaneamente si granula e si separa su setacci oscillanti sottoposti. Infine, viene essiccata e messa in imballaggi il più possibile a tenuta di umidità.
La località ove si vuole impiantare un polverificio per polvere nera deve essere asciutta e ventilata; sono poco favorevoli le spiagge marine e sono da evitare le zone soggette a nebbie persistenti. I singoli reparti debbono essere convenientemente distanziati fra loro, tenendo conto del quantitativo di esplosivo in essi esistente e degli effetti che produrrebbe un'eventuale esplosione. Per il calcolo della distanza si può applicare la nota formula d = K √c ove d è la distanza in metri, c la quantità di polvere, in chilogrammi, e K un coefficiente sperimentale che, per la polvere nera, può prendersi uguale a 6. Ciò porta alla costituzione di numerosi piccoli locali in materiale assai leggiero, distanziati gli uni dagli altri. Tale sistema è però usato solo in piccoli stabilimenti. Più comunemente si costruiscono i locali con tre robusti muri di cemento armato, calcolati in modo da resistere in caso di esplosione (spessore da o,80 a 1 m.); il tetto è leggiero e la quarta parete, rivolta verso una zona non percorsa da alcuno (campagna, spesso con filari d'alberi d'alto fusto) è leggerissima (lastre di eternit). In tal modo, in caso di scoppio, la polvere fa cannone, cioè sfonda la sottile parete senza recare altri danni. L'accesso al locale è dato da un passaggio a baionetta e gli operai entrano soltanto quando la loro presenza è necessaria. Questo, soprattutto per i reparti più pericolosi (botti rotanti). Il movimento è dato o con lunghe trasmissioni a corda (antiquato) o con motori elettrici perfettamente chiusi e situati in locali separati. Speciali cure bisogna predisporre per la pulizia, che è coefficiente primo di sicurezza, poiché il maggior pericolo è dato dal sottilissimo polverino che si solleva e si deposita ovunque (lavaggi abbondanti e frequenti; abiti di lavoro e sandali per gli operai; mezzi preventivi e protettivi contro gl'incendî, esclusione di quanto possa generare scintille per urti casuali, ecc.).
Per i cannoni s'impiegò negli ultimi tempi polvere prismatica, il cui primo uso è da attribuirsi al generale americano Rodmann. Le polveri prismatiche erano generalmente compresse in forma esagonale con varî fori cilindrici che attraversavano il grano nel senso della maggiore altezza per dare una superficie di combustione costante. La polvere bruna prismatica per i cannoni non conteneva che il 3% di zolfo, contro il 18% di carbone e il 79% di nitrato potassico. La densità di queste polveri poteva salire fino a 1,86; i grani o prismi avevano un peso di oltre 40 grammi; questo tipo di polvere brucia lentamente, dà poco fumo e si conserva inalterato per lungo tempo. Polvere di questo tipo fu anche fabbricata in Italia dal polverificio di Fossano per i primi cannoni di grosso calibro, per difese costiere, ed era chiamata polvere cioccolato.
La polvere nera usuale ha un colore bigio lavagna, meno quella preparata con carboni di legna speciali per polveri da mina, che ha colore rossastro.
La buona polvere non è naturalmente molto igroscopica, assorbendo solo in condizioni medie fino al 3% di umidità, mentre la polvere non bene granulata ne assorbe fino al 15%, rendendosi così inservibile, anche dopo essere stata riessiccata.
La temperatura d'accensione è di 270°-300° ed è uguale a quella di esplosione. Questo spiega perché l'accensione della polvere nera abbia carattere di esplosione e come quindi delicata ne sia la fabbricazione, benché in sé l'esplosivo presenti minori pericoli di altri, come la nitroglicerina, che sono assai più sensibili agli urti.
Polveri senza fumo. - Questi propellenti, che hanno detronizzato completamente la polvere nera nelle bocche da fuoco di qualunque calibro, hanno tratto origine dalla messa a punto del processo di nitrazione delle cellulose, non meno che dalla scoperta della nitroglicerina e dalla sua introduzione nel campo degli esplosivi. In ordine di tempo i primi esplosivi infumi, cosiddetti per la piccola quantità di fumo che producevano all'atto della loro combustione, a differenza della polvere nera, sono derivati dalle nitrocellulose e uno dei primi usi industriali fu nelle polveri da caccia (polvere bianca Schultze).
L'impiego della nitroglicerina s'introdusse solo con la scoperta, fatta da Alfredo Nobel, della sua capacità di gelatinizzare la nitrocellulosa, dopo il 1880. Quasi contemporaneamente veniva reso pratico l'impiego nelle armi da fuoco della nitrocellulosa pura, in seguito alle ricerche di Vieille sulla gelatinizzazione della nitrocellulosa stessa mediante solventi o miscele di solventi, quali l'alcool, l'etere e l'acetone, con che la combustione era resa graduabile e così le pressioni sviluppate.
Le ricerche di Vieille condussero all'adozione, in Francia, della polvere B, esplosivo a base di miscela di nitrocellulosa a medio titolo azotometrico, o pirocollodio, e nitrocellulosa ad alto titolo azotometrico (fulmicotone), solo la prima solubile in alcooletere.
L'adozione di questa polvere diede vantaggi sensibilissimi di aumento di velocità iniziale e di gittata delle armi da fuoco, ma i tragici sinistri che funestarono la Francia, specialmente su importanti navi da battaglia, gettarono il discredito sopra queste qualità di polveri infumi.
La fabbricazione più accurata e con materie prime pure, specie il cotone, la stabilizzazione della nitrocellulosa spinta fino ai limiti consentiti da una tecnica più progredita, l'introduzione, nella composizione delle polveri, di sostanze additive, quali la difenilamina, aventi una funzione chimica ben definita di captazione degli ossidi di azoto che si liberano sempre in progresso di tempo da una nitrocellulosa, eliminarono ogni pericolo nella fabbricazione e conservazione di queste polveri. Oggi i più importanti stati del mondo, la Germania, la Francia, gli Stati Uniti, la Russia impiegano quasi esclusivamente, per il loro armamento bellico e per polveri da caccia, come mezzi propellenti, le polveri a nitrocellulosa pura. Esse però presentano in confronto delle polveri concorrenti, contenenti nitroglicerina, una tendenza a maggiori pressioni mentre, su queste, hanno il vantaggio di un'erosività sensibilmente minore, almeno nei riguardi delle vecchie polveri del tipo classico della balistite Nobel al 50% di nitroglicerina.
Un importantissimo vantaggio che si è ottenuto nella fabbricazione delle polveri a nitrocellulosa è stato quello della progressivazione del grano nelle munizioni destinate ad armi di piccolo calibro; questa operazione consiste nell'addizionare, in corso di fabbricazione, alla superficie del grano già costituito e gelatinizzato una piccola proporzione di sostanze gelatinizzanti e raffreddanti, quali ad esempio alcuni derivati dall'urea o dall'uretano o dell'acido ftalico. Con questo, la struttura del grano assume una composizione discontinua, più lenta, perché più gelatinizzata e più fredda di composizione, all'esterno; più viva e leggermente più porosa all'interno. Si ottiene con questo espediente felicissimo una diminuzione delle pressioni iniziali, potendosi contemporaneamente impiegare una polvere a granitura più viva sfruttando integralmente la forza viva dell'esplosivo nella durata di combustione lungo la canna. Polveri così fabbricate costituirono per molti anni un geloso segreto di fabbricazione della Germania e, unite alla fabbricazione di armi da fuoco di alto valore come i fucili Mauser, assicurarono all'industria di questo paese un monopolio di fornitura a tutti i piccoli stati non aventi un'industria propria e perfezionata di esplosivi.
Oggi queste polveri si fabbricano in molti altri paesi e segnatamente in Italia. Loro caratteristiche sono le alte velocità che impartiscono ai proiettili, ad esempio 900 metri al secondo per un fucile da guerra con proietto a forma appuntita e rastremato posteriomente (palla tipo S). L'alta densità apparente di questi esplosivi, che raggiunge anche l'unità, permette di mantenere il peso di carica in volume minimo, dal che deriva un ulteriore vantaggio.
L'altra grande categoria di polveri infumi moderne è costituita da quelle contenenti nitroglicerina, il cui capostipite è la classica balistite di Alfredo Nobel, da lui ottenuta per la prima volta nel 1888 ad Avigliana, presso Torino.
L'esplosivo consiste in nitroglicerina e nitrocellulosa (cotone collodio) in parti uguali. La massa della polvere gelatinizzata dalla nitroglicerina costituisce un colloide elastico. La facilità di fabbricazione di questo esplosivo gli assicurò in un primo tempo un vero primato, ma il difetto gravissimo dell'alta erosione, dovuta alla sua composizione, fece presto ricercare altri tipi di polveri, pure contenenti nitroglicerina, ma in unione a sostanze raffreddanti correttive, quali gli olî minerali e specialmente la vaselina.
La presenza di olî impediva però l'ottenimento della gelatinizzazione col semplice e rapido procedimento della laminazione a caldo, come invece si può fare con la balistite. Per queste nuove formule così modificate fu quindi necessario l'impiego di solventi, quali l'acetone, ottenendo poi la polvere generalmente in tubi pieni o forati ma dovendo così avvicinarsi alle caratteristiche della complessa fabbricazione delle polveri alla nitrocellulosa pura.
I primi tipi di queste polveri furono la cordite inglese, marca I, contenente fino al 57% di nitroglicerina, e fino a 5% di vaselina, il rimanente essendo fulmicotone. La formula venne rapidamente modificata diminuendo il titolo in nitroglicerina fino al 30% e successivamente fino al 25%, per le polveri C2 e C.06, impiegate rispettivamente dalla marina italiana e dalla marina tedesca fino dal 1908. Queste polveri diedero e dànno ottimi risultati, ma hanno il difetto di esigere nella fabbricazione un tempo assai lungo per il loro essiccamento, tempo che può salire fino a molti mesi per le polveri di grosso calibro. Inoltre la percentuale di materie volatili residue, dovute all'implego dei solventi, costituisce, per queste polveri, come per le similari a nitrocellulosa pura, una causa di variazione di stabilità balistica nel tempo, nel senso di un aumento della vivacità della polvere e delle pressioni, che può presentare inconvenienti sensibili.
Per ovviare a questi difetti intrinseci particolare sviluppo è stato dato negli ultimi anni alle polveri così dette a "solvente solido", in cui la gelatinizzazione della polvere viene ottenuta con laminazione o con trafilazione, ma impiegando come sostanze additive speciali gelatinizzanti e plastificanti sul tipo dei derivati dell'urea, sostanze le quali permettono di ottenere in forma acconcia polveri a tenore anche molto basso di nitroglicerina, le quali per la loro speciale composizione presentano la caratteristica della bassa erosività, senza dover ricorrere all'impiego contemporaneo di solventi volatili quali l'alcool-etere e acetone. Queste polveri cumulano quindi i vantaggi delle due categorie di esplosivi, con e senza nitroglicerina, e sono destinate di certo a sostituirli, meno che per i fucili, per i quali sino ad oggi non si è trovato miglior esplosivo della polvere a nitrocellulosa pura "progressivata".
Con l'espressione di "solvente solido" s'intende un solvente, o meglio un gelatinizzante della nitrocellulosa che rimane fisso, nella polvere finita. In questo senso anche la nitroglicerina potrebbe chiamarsi un solvente solido e il primo impiegato. I solventi solidi sono generalmente anche stabilizzanti, quando sono derivati dall'urea e affini, e contengono anelli benzenici. Così, ad esempio, le dietildifeniluree simmetriche o asimmetriche, i derivati fenilici dell'uretano; sono invece semplicemente gelatinizzanti-raffreddanti, senza funzione stabilizzatrice, sostanze come i ftalati, la ftalide, ecc. La precisa funzione degli stabilizzanti sollevò molte discussioni, molte critiche e molte paure, derivanti soprattutto dalla completa ignoranza dell'esatta composizione chimica dei prodotti che queste sostanze formavano con i prodotti nitrosi di lenta decomposizione, dei prodotti base delle polveri infumi, nitrocellulose e nitroglicerina. Oggi la questione è risolta in favore degli stabilizzanti, che non sono "mascheratori", come furono chiamati da critici incompetenti, ma sostanze fondamentali nella composizione dei più perfetti esplosivi moderni. Anche altre sostanze come la vaselina, se contenente doppî legami, hanno attive proprietà stabilizzatrici.
La durata della conservazione degli esplosivi moderni per le armi da fuoco è al minimo di alcuni decennî in condizioni normali: tale quindi da dare ogni affidamento per il loro sicuro impiego.
L'addizione di piccole quantità di sali alcalini, quali il cloruro o l'ossalato potassico, il tartrato o l'ossalato ammonico, dànno alle polveri la caratteristica di diminuire fortemente la loro fiamma in volata. Soprattutto nei cannoni di medio calibro, e fino ai 150 mm., è possibile spegnere quasi completamente la fiamma alla bocca, lasciando solo un tenue bagliore violaceo, con l'impiego di queste sostanze che, in conseguenza di questa loro caratteristica, sono largamente impiegate. La ragione del fenomeno è ancora molto oscura e ha avuto differenti interpretazioni contrastanti fra di loro.
Polvere alla nitrocellulosa pura. - Salvo piccole applicazioni per polveri da caccia, le nitrocellulose, e segnatamente il fulmicotone, non erano state oggetto di sfruttamento industriale prima degli studî del Vieille. Questi, con l'impiego di opportune miscele di solventi, determinò le condizioni pratiche per ottenerne un esplosivo, utilizzabile soprattutto nelle armi belliche: la cosiddetta polvere B, la cui fabbricazione in seguito si estese moltissimo.
La sua fabbricazione, nelle grandi linee, procede nel modo seguente. Le nitrocellulose vengono ottenute coi consueti modi, curando in esse al più alto grado la stabilità del prodotto; s'impiegano con circa il 30% di acqua. Esse devono però venire poi disidratate, ciò che attualmente si fa impiegando un processo di spostamento con alcool in gradazioni progressive, fino a lasciare la massa di nitrocellulosa imbevuta di alcool puro. L'alcool diluito in eccesso viene riconcentrato e reimpiegato in ciclo. Lo spostamento dell'acqua con l'alcool viene effettuato sotto pressione in appositi autoclavi, oppure in centrifughe chiuse. Alle nitrocellulose così impregnate del 50% di alcool viene aggiunta la proporzione dovuta di etere etilico (ad esempio, per 100 kg. di nitrocellulosa secca, 100 kg. di etere). Questa aggiunta avviene in appositi mescolatori perfettamente chiusi.
La miscela alcoolico-eterea scioglie e gelatinizza le nitrocellulose a basso e medio titolo azotometrico, che sono sempre contenute in proporzione più o meno alta nella miscela delle nitrocellulose impiegate. Con questo tutta la massa assume una struttura plastica. Questa massa, dopo opportuna stagionatura in bidoni chiusi, viene portata alle presse idrauliche a doppia campana, di cui alternativamente una è in carico e l'altra in lavoro. Sotto la pressione del pistone, la pasta viene forzata a passare attraverso acconce filiere da cui esce generalmente in forma di strisce più o meno sottili o di tubicini forati.
La polvere viene poi rapidamente portata in armadî chiusi ove è tenuta sospesa mediante staffe, in forma di mazzi di strisce appese. Ivi perde la quasi totalità dell'etere residuo e una larga parte dell'alcool contenuto; poscia viene passata alle tagliatrici dove viene ridotta o in forma di piccole piastrelle, se si tratta di polvere per fucili, o in forma di strisce più o meno corte se si tratta di polvere per cannoni.
Per estrarre l'alcool restante, la polvere viene poi sottoposta a bagni, in acqua fredda, tiepida o bollente, secondo la tecnica impiegata; viene poi passata agli essiccatoi definitivi, dove viene quasi completamente privata dalle tracce di solventi residui.
In tutte le fasi di questa fabbricazione si devono ricuperare al massimo i vapori di alcool-etere che si producono e i solventi che rimangono nella polvere stessa. Dall'efficienza di questi ricuperi dipende l'economia della fabbricazione e l'igiene del lavoro. Nei primi tempi s'impiegava un sistema di ricupero mediante il freddo: si preferisce ora il captaggio dei vapori o con carboni attivi, o con cresolo oppure con gel di silice.
In una buona fabbricazione si deve ricuperare oltre la metà dei solventi impiegati e fino al 75% dell'etere.
La polvere per fucili viene poi sempre grafitata e generalmente anche progressivata. Questa operazione consiste in un trattamento di superficie del grano della polvere, mediante apposite sostanze, quali i derivati dall'urea, che devono distribuirsi sulla superficie del grano e renderlo di composizione più densa, più lenta e più fredda. Questa operazione si compie in tamburi di rame chiusi in cui si mette la polvere già secca e si aggiunge la quantità opportuna di sostanze additive sciolte in alcool. L'aggiunta si fa in due o tre riprese; la progressivazione può durare alcune ore e può essere fatta a più riprese, a seconda dell'intensità del trattamento da ottenere.
Le polveri a nitrocellulosa pura presentano eminenti qualità nei riguardi dell'erosione. Per la maggiore regolarità di forma degli elementi costituenti la carica dei cannoni, strisce e tubi, per la rapidità di fabbricazione come per la costanza balistica, a esse vengono attualmente preferite quelle con basso tenore di nitroglicerina, anche poco erosive, che costituiscono le cosiddette polveri a solvente solido.
Polverifici per polveri senza fumo. - Come si è visto le polveri senza fumo si distinguono secondo che sono costituite da sola nitrocellulosa o contengono anche nitroglicerina. Queste ultime, poi, si dividono in laminate (senza solvente volatile) e trafilate. Un polverificio moderno, attrezzato a produrre ognuno dei tre tipi di polveri indicate, deve avere nettamente distinte e separate le officine destinate alla fabbricazione di ciascuno di essi. Distaccato è pure il reparto nitrazioni (preparazione della nitroglicerina e delle nitrocellulose) che in taluni stabilimenti costituisce sezione staccata, lontana qualche chilometro.
I reparti che costituiscono un polverificio sono:
a) Reparto acidi. - Comprende un impianto fabbricazione acido solforico (oleum) e uno per la fabbricazione acido nitrico. Però dopo lo sviluppo assunto dall'industria dell'acido nitrico sintetico, i polverifici impiegano tale acido quale viene loro spedito (concentrato) in cisterne d'alluminio, sicché le officine di produzione di acido nitrico da nitrato sodico sono inattive. Inattivi sono pure gl'impianti a camere di piombo per la produzione di acido solforico, perché i polverifici che non posseggono un proprio impianto per oleum hanno maggior convenienza ad acquistare tale acido (facilmente trasportabile in cisterne di ferro) anziché nitrare con acido solforico a 96° Bé (molto maggior rendimento in nitroglicerina, volume minore di acidi riguadagnati da denitrare). Fa parte, in genere, del reparto acidi anche l'officina denitrazione, dove, a mezzo di torri in materiale antiacido (lava volvic o ghise speciali ad alto titolo di silicio) ripiene di materiale divisorio, si procede alla separazione dell'acido nitrico dal solforico nei miscugli riguadagnati dalla nitrazione della glicerina e della cellulosa. La miscela di acidi giunge all'alto della torre e cade a pioggia sul materiale divisorio (anelli Raschig o sferette) mentre dal basso sale un getto di vapore: l'acido nitrico distilla e si ricupera condensandolo in apposito refrigerante; l'acido solforico (diluito) si raccoglie al basso della torre e, di solito, viene poi concentrato con uno degli ordinarî apparecchi di concentrazione.
Alcuni polverifici hanno anche un proprio impianto di distillazione della glicerina, ciò che permette loro di mandare alla nitrazione glicerina molto pura perché da poco tempo distillata. È noto, infatti, che la glicerina, se lungamente conservata in cisterne, si altera per formazione di prodotti aldeidici che segnano la loro presenza col nitrato d'argento e, di conseguenza, non risponde più alle severe norme prescritte per la glicerina da nitrazione (saggio Nobel).
Queste varie officine, insieme con quelle dei servizî generali (meccanica per piccole riparazioni, falegnameria, centrale termica e centrale elettrica, magazzini varî, ecc.) costituiscono la parte non pericolosa dello stabilimento, e sono perciò separate dagli altri reparti, ai quali non si accede che per porte sorvegliate da guardiani incaricati di farsi consegnare, da chiunque entri, fiammiferi, accenditori e pistole.
b) Apparecchio. - Così, comunemente, si chiama l'impianto produzione nitroglicerina. Esso è, di solito, del tipo Nathan-Thompson, ma comincia a introdursi, in Italia, anche il metodo di nitrazione continua, il cui principale vantaggio è quello di avere, in ogni tempo, una minor quantità di nitroglicerina in corso di lavorazione e, quindi, in condizione da poter esplodere. L'apparecchio è collocato in una baracca di materiale leggiero, robustamente terrapienata o posta in pozzo rivestito di muratura, in modo da limitare, per quanto possibile, gli effetti di uno scoppio. La distanza di sicurezza può calcolarsi, in via approssimativa, con la già citata formula d = K √c nella quale (data la robusta protezione) si può prendere K = 5.
Dopo il primo lavaggio eseguito nella stessa officina di nitrazione, in una tina di piombo collocata accanto al nitratore, la nitroglicerina viene trasportata all'officina di stabilizzazione o con secchie di ebanite trasportate a mano o su leggiero carrello con ruote gommate, oppure per mezzo di tubazioni in cui essa scorre emulsionata con acqua.
L'officina di stabilizzazione è pure in materiale leggiero e robustamente terrapienata, e fra le due intercede, in genere, un cammino coperto e sinuoso (per diminuire gli effetti dell'onda esplosiva). La distanza fra le due officine deve essere tale da impedire una simultanea esplosione per influenza. Tale distanza dipende molto dalle circostanze locali, perché il passaggio coperto, per quanto sinuoso, può favorire la trasmissione dell'onda: comunque, nella già citata formula, converrà prendere K = 1 (coefficiente di sicurezza contro le detonazioni per influenza).
Dopo la stabilizzazione, controllata al saggio Abel, la nitroglicerina deve essere subito inviata all'imbibizione (fabbricazione polveri) o all'impasto (fabbricazione dinamiti). Non è prudente conservare la nitroglicerina un giorno per l'altro, specialmente nel periodo invernale, perché, malgrado che i locali di conservazione siano riscaldati, non è sempre possibile (per guasti o altro) evitare un parziale congelamento che può essere causa di scoppio durante l'impasto.
Il trasporto della nitroglicerina è proibito; le ferrovie ammettono soltanto la soluzione al 5% in alcool (per uso farmaceutico). Però l'acetone è un buon flemmatizzante della nitroglicerina; basta aggiungerne in ragione del 20% per rendere la nitroglicerina praticamente insensibile agli urti che può subire in un trasporto a mano (esperienze eseguite da G. Pannoncini). Gli acidi riguadagnati talvolta sono inviati alla separazione lenta (v. nitroglicerina), ma più spesso si aggiunge ad essi un po' d'acqua (4 ÷ 5%) agitando con aria compressa: così la nitroglicerina in sospensione, in parte si scompone, in parte si discioglie nel miscuglio acido meno concentrato e così questo può essere inviato senz'altro alla denitrazione.
c) Nitrazione cotone. - Per le polveri italiane da guerra s'impiega esclusivamente cotone; le cellulose da legno sono usate per talune polveri da caccia, ma nulla vieta, in caso di bisogno, di sostituirle completamente al cotone, dato che la lavorazione delle due materie prime non presenta sensibili differenze. L'officina per la nitrazione del cotone può considerarsi non pericolosa, perché gl'incidenti che possono avvenire (qualche decomposizione in centrifuga, specialmente se si è costretti a lavorare cascami di cattiva qualità che contengano dei ritorti, caso questo che in condizioni ordinarie non avviene) hanno sempre effetti assai localizzati. I locali debbono essere ampî e ben ventilati per l'igiene degli operai.
L'officina comprende un primo reparto (di preparazione) costituito dallo sfioccatore del cotone (lupo), dal ventilatore, che separa il pulviscolo, e dall'essiccatoio. Il pulviscolo, formato da fibre cortissime, può, poi, essere nitrato a parte, o anche aggiunto al cotone (come si usa in qualche polverificio estero), ma ciò soltanto quando non interessi avere un titolo di azoto molto uniforme (fabbricazione di polveri al solvente). Segue il reparto nitrazione, dove si produce collodio e fulmicotone, a seconda della concentrazione della miscela solfonitrica usata e della durata di nitrazione. In Italia il processo più diffuso è quello delle centrifughe Selwig e Lange. Qualche polverificio usa anche le bacinelle Thompson, però soltanto quando si debbano fabbricare polveri al solvente in cui l'uniformità del titolo azotometrico non interessa, dovendosi, per esse, usare un miscuglio di collodio e fulmicotone. Non si è introdotto, invece, il processo Dupont a bacinelle di ghisa munite di agitatori.
I nitrocotoni passano poi alle cottoie, dove subiscono la prima stabilizzazione, indi ai polpaggi, ai tini di stabilizzazione e, dopo accertamento della raggiunta stabilità al saggio Abel, vanno alle vasche di mescolamento. Di qui, attraverso a un purificatore a stacci che serve a eliminare eventuali corpi estranei (schegge di legno o altro), vanno alle centrifughe foderate di flanella dove perdono gran parte dell'acqua (ne resta circa in ragione del 25%) e poi passano ai magazzini di deposito in attesa di essere impiegati.
L'officina nitrazione cotoni richiede una grande quantità di acqua e di vapore. Non nuoce una certa durezza dell'acqua dovuta a presenza di bicarbonato di calcio, perché questo, specialmente durante l'ultima stabilizzazione, precipita sulle fibre allo stato di carbonato e agisce da stabilizzante. I polverifici che dispongono di acque di scarsa durezza usano, infatti, correggere tale difetto aggiungendo, nei tini, piccole quantità di carbonato calcico in polvere finissima. Nuoce, invece, moltissimo la presenza di ferro, che, sia come tale sia salificato, è un vero nemico per le polveri. Perciò acque anche leggermente ferruginose sono assolutamente da escludere, specialmente per le ultime bolliture, che avvengono quando ogni traccia di acido è scomparsa e il ferro non può più essere eliminato sotto forma di sali solubili, ma precipita sulla fibra per effetto della alcalinità presente.
d) Imbibizione. - Si esegue come già descritto per le polveri infumi. L'officina è collegata con quella che produce la nitroglicerina, la quale viene inviata a comando, e cioè quando tutto è già predisposto nelle tine d'imbibizione per riceverla. Ciò per evitare soste pericolose di nitroglicerina.
Si è così prodotta la galletta che, a seconda del tipo di polvere, è costituita da solo collodio e nitroglicerina, o da miscela di collodio e fulmicotone con nitroglicerina. La galletta è inviata a stagionare in vasche rivestite di tela e la stagionatura dura, in media, otto giorni. Un periodo più lungo (fino a 250 giorni, secondo esperimenti di G. Pannoncini) non ha, però, nessuna influenza nella successiva lavorazione.
e) Reparto lavorazione meccanica. - Esso costituisce talvolta uno stabilimento a sé: in ogni caso è nettamente distinto dalle officine precedentemente descritte. Ha costituzione diversa secondo il tipo di polvere da allestire e perciò, nei polverifici che producono varî tipi di polveri, si hanno diversi reparti.
1. Polveri alla sola nitrocellulosa. - Si ha, prima la disidratazione, per spostamento con alcool, con presse o, più modernamente, con centrifughe; poi l'impasto, che si esegue con macchine simili a quelle usate per la pasta da pane, ma ermeticamente chiuse; qui al nitrocotone imbevuto di alcool si aggiunge, nelle dovute proporzioni, l'altro solvente (etere o acetone, ecc.) e gli altri ingredienti (difenilamina, talvolta nitrato potassico, ecc.). La pasta, dopo una breve stagionatura in bidoni chiusi, va alle presse o trafile, che possono essere orizzontali o verticali, idrauliche o a vite. Talvolta il taglio è contemporaneo alla trafilazione (e allora occorrono presse orizzontali a vite) e si ottengono dischetti o piastrelline leggermente ingobbate, in modo che non s'intasano nei bossoli. Più spesso le strisce che si hanno alla trafila sono collocate in armadî (dove perdono per evaporazione parte del solvente, che si ricupera) e poi inviate al taglio.
I grani (o strisce) passano all'essiccamento, col quale si elimina la quasi totalità del solvente, indi alla cernita (o schiacciamento), e, infine, per le piccole graniture si procede alla progressivazione e all'ingrafitamento. Annesso a questo reparto è l'impianto ricupero solventi che si ottiene inviando l'aria che proviene dagli armadî essiccatoi, carica di vapori di alcool ed etere o di acetone, su cresolo o su carboni attivi che li fissano (talvolta e per l'acetone, si usa semplicemente acqua). I solventi ricuperati sono poi separati tra loro per mezzo di apparecchi a colonna per distillazione frazionata, identici a quelli usati nelle raffinerie di alcool.
2. Polveri alla nitroglicerina con solvente volatile.- Si hanno prima gli essiccatoi, ove la galletta è disposta su telai ed essiccatoi con circolazione di aria tiepida. L'aria deve essere insufflata e non aspirata, per evitare che vapori di nitroglicerina vadano a condensarsi nel ventilatore ove potrebbero generare scoppî. I varî essiccatoi debbono essere intervallati fra loro e protetti da robusti muri. Lo scarico della galletta secca richiede attenzione da parte degli operai e precauzioni speciali (pavimenti ricoperti di tela, sandali, ecc.). Le operazioni poi procedono come nel caso precedente (impasto, trafilazione, primo essiccamento, taglio, secondo essiccamento, ecc.) con piccole varianti dipendenti dalla granitura. Le polveri di grossa granitura (tubi o bacchette) richiedono un lungo periodo per la completa evaporazione del solvente, sicché in tal caso gli essiccatoi delle polveri finite hanno grande sviluppo ed è ingente il quantitativo di esplosivo che resta in officina. La lavorazione alle trafile, in genere, non presenta pericoli: solo si deve curare molto l'aerazione di tutti i locali per l'igiene ed anche per la sicurezza degli operai, a causa dei vapori dei solventi. È bene ricordare, però, che le polveri di piccola granitura, soprattutto quelle alla nitrocellulosa pura, se non grafitate, si elettrizzano assai facilmente per mutuo strofinio e ciò può causare incendî. Perciò i locali di cernita, mescolamento, ecc., debbono avere uscite ampie e comode, in modo da permettere una rapida fuga agli operai.
3. Polveri laminate. - La galletta, addizionata, se del caso, delle sostanze aggiuntive (stabilizzanti, gelatinizzanti solidi plastificanti) secondo il tipo di polvere da allestire, subisce, in genere, due laminazioni in apparecchi denominati calandre e costituiti da due cilindri di ghisa paralleli, riscaldati a temperatura non molto elevata. Con la prima laminazione si scaccia l'acqua e si ottiene, per effetto della temperatura e della pressione, la gelatinizzazione dell'esplosivo; con la seconda la placca ottenuta viene portata alle dimensioni richieste. Il pericolo di questa operazione è dato dal possibile incendio di una placca: solo in casi rarissimi si è avuta una detonazione. Comunque, poiché una placca ha il peso massimo di 6 kg., gli effetti sono sempre localizzati; però la prevenzione contro l'incendio deve essere curata al massimo grado per salvaguardare gli operai da pericolosissime ustioni. Perciò ogni calandra è disposta in locale separato dagli altri da tagliafuochi; un filo combustibile disposto sulla calandra comanda una valvola, sicché, in caso di incendio della placca, due getti d'acqua cadono violentemente sulla calandra e altri due piovono sulle porte da cui debbono passare gli operai per fuggire. Questi, inoltre, sono muniti di uno speciale indumento con largo colletto coprinuca e, appena usciti dal locale, trovano vasche piene d'acqua entro cui gettarsi e docce che, a scatto, li investono completamente. L'intera officina calandre è poi separata dalle altre da alti muri tagliafuoco (talvolta da bastioni, ma non sono necessarî, perché la quantità di esplosivo presente in ogni locale è sempre piccola). Le placche ottenute passano alla cernita oculare per l'eliminazione di quelle comunque difettose (mosche d'imperfetta gelatinizzazione, ecc.) e poi al taglio che si esegue o con tagliatrici da carta (per strisce e piastrelle) o con macchine uguali a quelle usate per trinciare il tabacco e dette perciò tabacchiere (per fili e grani). Segue poi la cernita e lo stacciamento (per i grani) e infine l'arieggiamento che dura più o meno a lungo secondo la granitura.
f) Altri reparti di un polverificio. - Un polverificio deve avere una o più linee di tiro per armi portatili e per artiglierie, munite delle varie bocche da fuoco (fucili da caccia e da guerra, mitragliatrici, cannoni) per le quali sono in allestimento le polveri. A mezzo di cronografi e di crusher si determinano così, per ogni partita, la pressione prodotta e la velocità iniziale impressa al proiettile. In tal modo si può procedere al controllo della fabbricazione e alle eventuali correzioni. Vi è anche un laboratorio chimico principale (oltre ai varî laboratori d'officina che eseguono i controlli di lavorazione) per l'esame chimico e fisico delle polveri allestite, per il collaudo delle materie prime acquistate dal commercio e per l'esecuzione di studî e ricerche interessanti gli esplosivi. Infine vi è il reparto imballaggio e spedizione degli esplosivi finiti e i depositi o polveriere (v.).
Difesa antiaerea. - È opportuno considerare che gli effetti di un bombardamento, a meno che non fosse eseguito da numerosi aerei, il che sarebbe forse sproporzionato allo scopo, avrebbe effetti meno catastrofici di quanto a tutta prima si potrebbe credere. Le varie officine di un polverificio sono, per la loro stessa natura, disseminate su ampio spazio, di solito fittamente alberato, e separate da magazzini contenenti materiali inerti; molte di esse hanno, in corso di lavorazione, quantità piccole di esplosivo, oppure esso è in condizioni tali da rendere assai difficile un'esplosione. Soltanto un aereo che scendesse a quota assai bassa potrebbe scegliere i punti più vulnerabili, ma, a impedire ciò provvederà la difesa antiaerea esterna affidata ad enti militari.
Le predisposizioni contro gl'incendî, l'esistenza di posti di rifugio (gallerie, passaggi sotto bastioni, ecc.) servono pure a diminuire gli effetti di un'incursione aerea. Utile può essere anche il mascheramento a mezzo di fumogeni, se creato in tempo. Si noti poi che i polverifici sorgono, di solito, in zone collinose (per sfruttare la pendenza naturale per i trasporti di acidi, di nitrocotoni convogliati in acqua, ecc.) sicché la zona presenta, in genere, buoni osservatorî e buone postazioni difensive.
Polverifici italiani. - In Italia, l'allestimento delle polveri infumi è affidato, per la massima parte, all'industria privata, che le fabbrica sotto sorveglianza dell'amministrazione militare. Si hanno i polverifici di Avigliana e Carmignano (Società Italiana Dinamite Nobel); Pallerone (ditta S. I. E. M.) e Segni (ditta B. P. D.) i quali producono anche esplosivi per il commercio (polveri da caccia e da mina, dinamiti, ecc.). Alcuni fabbricano anche tritolo. È però esclusa, negli stabilimenti, la produzione di polveri nere e di esplosivi al clorato. Vi è, inoltre, il Polverificio Regio Esercito Liri, il quale, oltre al concorrere nella fabbricazione di polveri per l'esercito (specialmente quelle di graniture in esperimento, ecc.), esercita, per mezzo del proprio personale tecnico, la sorveglianza sui polverifici privati, gestisce i contratti con essi stipulati dal ministero, controlla le partite di polveri allestite e, infine, costituisce centro di studî per tutte le questioni riguardanti gli esplosivi propellenti. Tali studî sono, in genere, di carattere riservato. Al polverificio del Liri sono assegnati ufficiali tecnici di artiglieria laureati in chimica e specialisti del personale civile (laureati e capi tecnici chimici).