CAIMO, Pompeo
Nato a Udine, il 13 sett. 1568, dai nobili Giacomo e Chiara del Merlo, quivi iniziò gli studi che ultimò a Padova, ove, avendo seguito in particolare le lezioni di Francesco Piccolomini e di Girolamo Mercuriale, si laureò in medicina e filosofia il 14 ott. 1592. Rientrato nella città natale, fu medico del Comune; e approfondì, nel contempo, la conoscenza del greco, indispensabile per lo studio diretto di Aristotile e della medicina antica in genere. Declinati i lusinghieri inviti del cardinale Radziwill, vescovo di Cracovia, e del re di Polonia che lo avrebbero voluto loro "archiatro", giunse il 15 maggio 1602 a Roma; aveva accettato infatti di divenire medico personale del card. Montalto, Alessandro Peretti, al quale il segretario, l'abate udinese Ruggero Tritoni, aveva vantato la sua abilità.
Morto Clemente VIII, poté da vicino seguire le vicende che portarono all'elezione di Leone XI e, quindi, di Paolo V, nelle quali il suo protettore ebbe una parte di primo piano. Dalla gratitudine di papa Borghese per il Montalto qualche beneficio derivò pure al C., ché il nuovo pontefice lo chiamò alla Sapienza, ove insegnò "partim naturalem philosophiam e prima sede declarans, partim Medicinam tum theoricam, tum practicam auditoribus meis explicans"; ed entrò in amichevoli rapporti col matematico Luca Valerio e il filologo Giovanni Demisiani, mentre a motivi piuttosto banali sembrano da attribuirsi i contrasti col medico Cesare Lagalla. Ricusò invece dessere medico di Paolo V, perché, pare, l'offerta gli era stata fatta "infausto nimium adversoque sidere"; certo era cultore di astrologia sino alla superstizione, del che ebbe occasione di prendersi gioco il Montalto. "Optimus habebatur Astrologus" attesta comunque un contemporaneo; particolare scalpore suscitò la predizione della morte imminente di Gregorio XV, che s'era affidato alle sue cure.
Solida la reputazione professionale del C.: ai suoi consulti scritti ricorse il re di Polonia, e suoi pazienti furono il conte Luigi della Torre, il card. del Monte, il conte di Benavente, viceré di Napoli, e i granduchi di Toscana Ferdinando I e Cosimo II. Ed egli vanterà in seguito le virtù dell'acqua di "scorzanera" per averla usata "contro le petecchie del Gran Duca, e fortunatamente".
Dietro segnalazione dell'ambasciatore veneziano a Roma Pietro Contarini e su proposta di Antonio Barbaro e Giovanni Comer, tutti e tre filocuriali, il 4 giugno dell'anno 1624 la Repubblica veneta gli offrì la cattedra principale tra le discipline mediche dell'ateneo patavino, quella di medicina teorica; il C. accettò e, onorato il 23 sett. 1624 dal titolo di cavaliere e conte palatino, nell'ottobre lasciò Roma per Padova. Qui l'indole focosa, intollerante di critiche ed obiezioni, ed una indisponente presunzione lo misero ben presto in urto con allievi, specie tedeschi, e colleghi, in particolare col Cremonini (di cui il Patin lo disse "ennemi mortel"), il quale apertamente si adoperò per estrometterlo dalle promozioni della nazione germanica artista. Il favore dei riformatori allo Studio andava comunque al C. tanto che, nell'ottobre del 1625, gli affidarono, sia pure temporaneamente e "per modum provisionis", la lettura di anatomia rimasta vacante e, nel marzo del 1626, per un triennio, la presidenza del Collegio del Bo.
Grave smacco quest'ultimo pei suoi avversari ché il presidente Colle si vedeva deposto con un anno di anticipo e il Cremonini, che ambiva a succedergli, vedeva svanire ogni sua speranza. "Tutta Padova - scriveva esultante il C. al fratello Eusebio il 31 marzo 1626 - è rimasta stordita di tal caso… tutti aspirano a favor mio, e mi attrovo alle stelle per haver liberato lo Studio da una brutta tirannide e rimessa e sollevata la parte de i buoni e de i migliori lettori, li quali tutti sono meco uniti, né solo de gli artisti, ma de' leggisti ancora". Ma il consenso si rivelò tutt'altro che generale.
Convinto che "il buon medico" dovesse essere "filosofo", che la medicina consistesse nella fedeltà esclusiva a Galeno (il quale, coi suoi "maravigliosi volumi… puntellò… i fondamenti lasciati da Hippocrate, e diede compimento alli principii orditi, spiegando le cose ristrette, illustrando l'oscure, dichiaiando l'ambigue, e fornendo le manchevoli"), la sua attività didattica risentì di un'impostazione così rigida. Le sue lezioni d'anatomia soprattutto, iniziate il 20 genn. 1626, scontentarono ben presto gli studenti: poco preoccupato d'illustrare gli organi sensori, d'esaminare ossa, nervi, vene, muscoli, pago che il sezionatore, a un suo cenno, si limitasse a mostrare, senza far parola, tessuti superficiali, il C. si abbandonava a compiaciuti discorsi filosofici che irritavano, per la loro scarsa pertinenza, gli uditori al punto da suscitarne, talvolta, il clamoroso dissenso e da indurre parecchi a cercare in altre sedi un più costruttivo insegnamento. Ulteriore tensione provocò con la sua prima opera a stampa, i De calido innato libri tres in quibus non solum eius natura explicatur, sed solida etiam Medicorum in hoc argumento doctrina ostenditur, et Galenica praecipue a Neotericorum obiectionibus vindicatur (Venetiis 1626), trasparente attacco all'Apologiadictorum Aristotelis de calido innato del Cremonini, che il C. giudicava "in Galenum invectiva".
La divergenza d'opinioni si trasformò in astiosa polemica personale, di cui un'eco, rimane nelle successive opere d'entrambi: "Galenum postea secuti sunt qui adhuc petulantius dixerunt" scrive il Cremonini, accennando sprezzante al C., nell'Apologia…de origine et principatu membrorum;e il C., di rimando, lamentava in un suo scritto attinente alla medicina pratica, i Defebrium putridarum indicationibus iuxta Galeni methodum colligendis, et adimplendis libri duo (Patavii 1627), l'esistenza di "a Galeni scriptis abhorrentia ingenia".
Nel 1627 comparvero a Padova due edizioni - la seconda accresciuta di "varie considerazioni" - dell'opera più nota del C., accortamente dedicata al doge e all'"Eccelso Consiglio Veneto", cui l'aveva già presentata "con parole honorificentissime" il Savio grande Domenico Molin: trattasi del Parallelo politico delle Republiche antiche, e moderne, in cui coll'essame de' veri fondamenti de' governi civili si antepongono li moderni a gli antichi e la forma della Republica Veneta, a qualunque altra forma delle Repubbliche antiche."Breve discorso", che il C. attribuisce al suo antico maestro Francesco Piccolomini, in cui Venezia, "mista di Aristocratia, e di Regno", è accostata alla agostiniana città di Dio. Il suo regime, in grado di impedire le emergenze individuali, è il più atto a facilitare quel progresso costante insito per C. nelle vicende umane. Di semplice compilazione il successivo trattatello Dell'ingegno humano, de' sui segni della sua differenza ne gli Huomini, e nelle Donne, e del suo buon Indirizzo (Venetia 1629), dedicato a Cristina de' Medici.
Imperversando la peste a Padova, i rettori della città avevano ingiunto al C. di fermarsi per provvedere "con tutti gli altri medici a suffragar di visita la città"; ma il C, nella primavera del 1631, aveva preferito fuggire precipitosamente, rifugiandosi a Udine, estranea al dilagare della pestilenza, ove il Comune lo aveva incaricato precedentemente di sovrintendere alle operazioni volte a circoscrivere e debellare i postumi di una grave epidemia manifestatasi ancora nel 1629. Nel rapporto sul Modo di curare la febre maligna il C., illustrati i sintomi, distingueva i "tre ordinari fonti medicinali", ai quali s'era attenuto: gli interventi chirurgici, la somministrazione di medicinali (quali il "sero caprino", il "corno di cervo preparato", l'"elettuario di giacinti", la "pietra benzoar con l'acqua di scorzanera") e la "razione dei vivere", cioè la dieta.
Morì, il 30 nov. 1631, a Tissano nei pressi di Udine.
Lasciò i suoi libri alla Repubblica che li destinò alla Biblioteca universitaria di Padova, da poco istituita, i quali, variamente collocati, tuttora vi si trovano recando a penna, sul frontespizio, l'indicazione dell'appartenenza al donatore. Tra questi c'è, del prediletto Galeno, il Περὶ χρείας τῶν ἐν ἀνϑρώπου σώματι μορίων (Parisiis 1543), sulle cui pagine finali compare la traduzione dell'ultimo libro di mano del Caimo.
Molti gli inediti del C. reperibili alla Biblioteca comunale di Udine, e di vario genere. Ché ebbe anche interessi letterari: tradusse i primi due libri dell'Eneide e del De rerum natura, fulettore non solo del Tasso e dell'Ariosto. ma anche del Machiavelli. La sua "espositione" di due passi danteschi (il "Padre nostro" dell'XI del Purgatorio, la preghieradi s. Bernardo alla Vergine del XXXIII del Paradiso)appartiene a quella lettura di Dante, frammentaria ed episodica, volta alla chiosa minuta ed estemporanca, tipica del Seicento. L'amore per l'Alighieri èriscontrabile altresì nelle frequenti citazioni che rincalzano, come già nel Parallelo, la sciatta prosa del Dialogo delle tre vite riputate migliori, delitiosa, ambitiosa, studiosa (Padova 1640) che il nipote Giacomo Caimo, dedicava a Girolamo Venier: nella "contesa" tra un "amante", un "politico" e uno "scolare", rispettivamente fautori del "piacere" dell'"honorevolezza" e del "savere", il "giudice", accantonata la vita "fondata sui piaceri sensuali", auspica una sintesi tra attività e studio, riserbando tuttavia a quest'ultimo una posizione privilegiata. In precedenza, sempre per interessamento del nipote, era uscito, con dedica a Domenico Molin, un altro scritto del C., il De nobilitate (Utini 1634), con la stucchevole conclusione che "Venetiis vera floret nobilitas, vera viget generis charitas, verus micat familiarum splendor".
Fonti e Bibl.: Molte notizie sul C. offrono le varie buste dell'ArchivioCaimo, ms. 2407 della Biblioteca comunale V. Ioppi di Udine, attualmente depositato presso quell'Archivio di Stato, di cui si segnalano in particolare: i documenti della busta 79 (c'è, fra l'altro, un'attestazione del 13 giugno 1620 in cui si fà "fede" che il C. ha "licenza" di leggere "alcuni libri prohibiti"), le lettere inviate dal C. al fratello Eusebio negli anni 1591-1631 (con, in più, una alla madre, una al padre, una a Tommaso Minadoi) nelle buste 86-87, gli scritti vari del C. nelle buste 114-115; riguardano il C. le delibere contenute in Arch. di Stato di Venezia, Senato Terra, regg. 94, cc. 78v-79r; 95, c. 264; una lettera del C. del 1º agosto 1626 e la risposta, assai più ampia, sono state edite da F. Liceti, in De tertia-quaesitis per epistolas clarorum virorum… responsa, Utini 1646, pp. 144-150; lettere del C. al fratello Eusebio del 6 marzo, 3 e 30 apr., 14 e 21 maggio 1605, sono state edite a Udine nel 1860, 1863, 1875, rispettivamente per nozze Caimo-Buonamico, Bianchi-P. Du Bois de Davilac, Sofia-Schiavo-Leggio. Altre lettere al C. sono ed. in I. V. Eritreo [G. V. Rossi], Pinacotheca…, I, Coloniae Agrippinae 1645, pp. 48 s.; Id., Epistolae ad diversos, Coloniae 1644, p. 161; S. Boldoni, Epistolarum liber, Mediolani 1651, p. 127; G. Naudé, Epistolae, Genevae 1667, pp. 6476, 120-129; Rotulus et matricula iuristarum et artistarum gynmasii Patavini, a cura di B. Brugi-L. Andrich, Patavii 1892, p. 30; G. Galilei, Opere (ed. naz.), X, p. 240; XX, p. 408; Acta nationis Germanicae artistarum (1616-1636), a cura di L. Rossetti, Padova 1967, passim alle pp. 191-341; P. Sarpi, Opere, a cura di G. L. Cozzi, Milano-Napoli 1969, p. 572; P. 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