DELLA BARBA, Pompeo
Nacque a Pescia (attualm. in prov. di Pistoia) il 16 settembre 1521, da Bartolomeo di Simone, medico, proveniente dalla Lunigiana, e da Lucrezia di Simone Spilletti. Dei fratelli, Virgilio e Simone, entrambi dottori in legge, Simone, membro dell'Accademia Fiorentina, godette di una certa fama nel mondo delle lettere, nel quale fu introdotto proprio dal fratello Pompeo. Il D. compì i suoi studi all'università di Pisa, ove si addottorò in medicina, presumibilmente tra il 1543 e il 1548. Del periodo pisano sappiamo solo che fu alunno del filosofo aristotelico Simone Porzio. Il suo esordio letterario, a quanto ci è dato sapere, risale al 1548:in quell'anno, il 15e 22 aprile, tenne presso l'Accademia Fiorentina, sotto il consolato di G. B. Gelli, due lezioni, che verranno stampate l'anno successivo, con il titolo di Esposizione di un sonetto platonico fatto sopra il primo effetto d'amore che è il separare l'anima dal corpo dell'amante, dove si tratta dell'immortalità dell'anima secondo Platone e secondo Aristotele, Firenze 1549 (s. e., ma in realtà L. Torrentino. Ne uscirà una seconda edizione, Sposizione..., Firenze 1554, con alcune varianti).
Se l'Esposizione, per certi versi, si presenta, al pari di tanti commentari cinquecenteschi, come una divagazione ed esercitazione erudita, d'altro lato essa ha una più vera unità e vita propria, ottenute, certo, attraverso una non comune erudizione che mette capo ad un abile gioco di incastri di auctores (in particolare: Ficino, Pomponazzi e Leone Ebreo, Platone ed Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Plotino, Cicerone e soprattutto Macrobio, il "platonico" Virgilio ed il "dotto" Lucrezio, Dante e Petrarca), nell'interesse dominante e ricorrente per l'anima, e nella lettura "parallela", di Aristotele e Platone, che, annunciata nel titolo, accompagna poi tutta l'opera. Sulla scorta del ficiniano commento al Convito di Platone in primo luogo, e di Leone Ebreo, sempre con l'avallo del Petrarca, il D. discute (introd. e cap. primo) alcune delle più famose questioni di filosofia d'amore, ponendo poi (cap. secondo), di fronte alla spiegazione "mitica" dei poeti e di Platone, ciò che d'amore si può dire secondo i peripatetici e, quindi, da filosofo naturale. Alla discesa dell'anima nel corpo (e quindi all'unione), e alla separazione dell'anima dal corpo e quindi alla morte, ove però "platonicamente" vera morte è l'unione (sepolcro e carcere) così come vera vita è la morte (liberazione dai vincoli del corpo), è dedicato il cap. terzo, che il D. mutua in gran parte, e in taluni punti testualmente, da Macrobio (cfr. Macrobio, Comm. in Somnium Scipionis, I, 11.1-13.20).
Interessanti alcune varianti, e, in particolare, la tavola delle corrispondenze pianetifacoltà dell'anima a proposito della quale il D. si discosta notevolmente dalla fonte (mentre Giove, Venere, Mercurio e Marte hanno nei due testi quasi identiche funzioni, Saturno, il Sole e la Luna presiedono, nei due casi, a facoltà diverse); ed alcune aggiunte: la critica alla platonica preesistenza delle anime, la dottrina delle idee e la trasmigrazione delle anime. Proprio sul tema della trasmigrazione, il D. passa a parlare (cap. quarto) dei demoni, opponendo alla tradizione platonica - Apuleio, Porfirio, Psello, Ermete Trismegisto, Ficino e Platone stesso - e cristiana - Agostino e Lattanzio - quella aristotelica, rappresentata dal Pomponazzi, di cui cita il "mirabile libretto" De Incantationibus (capp. nono e decimo), allora inedito. E, ancora (cap. quinto) sulla scorta del Pomponazzi e del Porzio (ma il riferimento diretto a quest'ultimo verrà omesso nell'edizione del '54), e seguendo Alessandro di Afrodisia, nega si possa dare un'interpretazione spiritualistica di Aristotele. L'immortalità dell'anima, negata a livello di filosofia naturale, è recuperata (cap. sesto), con una esemplare applicazione del principio della doppia verità, dalla fede. Il cap. settimo infine, fa storia a sé: prendendo direttamente spunto dal sonetto, il D. parla della natura dell'ombra e quindi della luce; della felicità, che nel suo grado più alto e perfetto egli intende come unione dell'intelletto possibile individuale (precedentemente nel cap. quinto aveva criticato la posizione averroistica), con l'intelletto agente. Infine il fato, di cui il D. discute avendo presente soprattutto il De Fato di Alessandro di Afrodisia ed il commento ficiniano a Plotino.
L'Esposizione dà il via ad un decennio particolarmente fecondo: il D. si impegna in un'intensa attività letteraria, a cui non è estraneo neppure un certo interesse divulgativo - sarà proprio il D. a sollecitare e favorire la venuta a Pescia del tipografo Torrentino - che traspare già in una lettera del 1550a Francesco Torelli pubblicata in testa alla traduzione dei Topica di Cicerone fatta dal fratello Simone, e che troviamo poi costantemente attestato nelle opere successive, spesso accompagnato dalla difesa del volgare. È in questo periodo che compaiono tutte le opere che il D. darà alle stampe. In primo luogo I discorsi filosofici sopra il platonico et divin sogno di Scipione di Marco Tullio, presso G. M. Bonelli, Vinegia 1553.
L'opera si ispira a quello stesso schema tripartito (Platone, Aristotele e la fede), emerso nell'Esposizione: il testo macrobiano che resta costante punto di riferimento, viene, via via, confrontato, integrato, aggiornato. Già nel proemio, parlando dei sogni, il D. mette in parallelo la tradizione aristotelica, che riconduce il sogno all'unica causa fisiologica, con quanto sostengono i "teologi" e quindi Macrobio, di cui riporta la classica divisione in cinque specie. E così nei commenti ai diciotto testi in cui egli divide il Somnium.In particolare: nei primi cinque commenti, ampia ripresa di interessi presenti nell'Esposizione, aggiunge (comm. terzo) alle osservazioni macrobiane sui numeri sette ed otto, elementi desunti dalla numerologia giudaico cristiana; rileva (comm. quarto) con Alberto Magno, Dante e Petrarca, la differenza che intercorre tra duraturo, sempiterno ed eterno, e, seguendo Macrobio nella sua digressione sui reggitori delle città, rinvia poi alla Esposizione per la discesa delle anime attraverso le sfere; nel comm. quinto non manca di notare discrepanze tra i cristiani e i "migliori platonici" (per ciò che concerne la creazione), e tra platonici e peripatetici sulla sede dell'anima. Nei comm. VI-X, vero e proprio capitolo di astronomia, oppone alla spiegazione pitagorica della Via Lattea, quella aristotelica (assente in Macrobio), difendendola anche dalle interpretazioni "limitative" dei commentatori greci; critica (comm. sesto) la disposizione platonica (egizia) dei pianeti, sostenuta, egli sottolinea, anche da Aristotele, in nome di quella caldea (ciceroniana), laddove Macrobio, fautore di quella egizia, tentava tuttavia di conciliarle; condanna (comm. settimo) l'errore epicureo (sulla fiducia da accordare ai sensi), e quello dei pitagorici - e la condanna sembra avere un sapore anticopernicano - del moto della terra; integra (comm. nono) l'ampia parentesi macrobiana sulla musica "mondana" con riferimenti a Boezio, Dante e Marsilio Ficino. Alla geografia sono dedicati i comm. undicesimo e dodicesimo: il D. (che ha presente anche Pomponio Mela) distingue tra geografia, corografia e cosmografia; rivendica, a nome dei moderni e dell'esperienza (e non per "sola ragione" come Macrobio), contro Tolomeo e gli antichi, l'abitabilità degli antipodi. Si allontana infine da Macrobio 2 proposito delle maree. Nel tredicesimo commento, dopo un breve excursus sui venti, introduce il discorso sull'anno grande, che svilupperà nei comm. quattordicesimo e quindicesimo. Negli ultimi tre commenti infine, sostiene, rinviando a Macrobio, che gli argomenti aristotelici contro la prova dell'immortalità dell'anima, fornita da Platone nel Fedone, non sono veramente probanti, e manifesta l'intenzione di voler tornare sulla questione, già al centro, egli fa notare, della polemica tra il Trapezunzio e il Bessarione. Da ultimo, riprendendo un motivo dell'Esposizione, contrappone alla dottrina platonica della preesistenza delle anime la concezione cristiana della creazione dell'anima nel momento in cui il corpo è organizzato.
Del 1555 è la traduzione dell'Heptaplus di G. Pico (Le sette sposizioni..., in Pescia, presso il Torrentino) ad opera del canonico A. Buonagrazia, a cui il D. apporrà delle "somme" ai singoli capitoli, alcune lettere e dei sonetti suoi e di altri, tra cui spicca il nome di B. Varchi. Nel 1556 esce finalmente, presso il Giolito, l'edizione in volgare dei Topica di Cicerone, frutto della collaborazione di Simone (sua è la traduzione) e del D. a cui si devono il commento, in cui i "luoghi" ciceroniani sono illustrati con esempi tratti da Dante, Petrarca e Boccaccio, e la traduzione delle Differenze locali di Boezio, aggiunte in appendice al testo ciceroniano quasi come compendio. Da ultimo pubblicò i Due primi dialoghi. Nell'uno dei quali si ragiona de' segreti della natura; nell'altro, se siano di maggior pregio le armi, o le lettere (Venezia, presso G. Giolito, 1558 [ma 1557]).
L'opera, condannata nel 1564 dal S. Offizio, e divenuta rarissima, ha finito con l'esser pressoché dimenticata, tanto è vero che anche il titolo, per lo più riferito non correttamente, si è trasformato in un titolo latino, "De secretis naturae", che ha indotto molti non solo a considerarla irreperibile, ma anche a ritenere che le opere fossero due: una in latino, il "De secretis" appunto, l'altra, il "Dialogo sulle armi", in italiano. E così è anche sfuggito che essa rappresenta, come del resto tutta la produzione dellabarbiana, un documento non trascurabile della diffusione del pensiero del Pomponazzi.
Tra i "segreti" in primo luogo, e il D. ha qui presente il Varchi, alcuni dei più famosi problemi di fisiologia peripatetica, relativi alla generazione, che egli pone di fronte alle "esperienze" mediche (e cioè a Galeno). Il discorso, che è anche un commento al canto XXV del Purgatorio, muove dall'interrogativo posto a proposito della somiglianza dei figli, ora con il padre, ora con la madre, e si articola attraverso i seguenti punti: se i testicoli sono essenziali alla produzione del seme, e quindi alla generazione; come il seme provenga da tutte le parti del corpo; come avviene che chi è mutilo possa generare dei figli perfetti; donde proviene il piacere nel congiungimento amoroso; se può un maschio, da maschio che è, diventare femmina e viceversa. Sulla scorta del Pomponazzi, dopo aver precisato l'ambito della filosofia naturale, che, a differenza di quella "divina" la quale consiste nel credere, cerca le ragioni di ogni cosa, - accontentandosi del possibile e del probabile laddove l'altra raggiunge la certezza - discute poi di quegli effetti grandi "giudicati dal volgo miracolosi" mentre invece avvengono per mezzi naturali. Ove i mezzi naturali sono i moti, le congiunzioni e gli aspetti degli astri, le virtù nascoste nelle erbe, nelle pietre, negli elementi e negli animali. Ed è l'ignoranza di tali virtù che porta il volgo ad attribuire a cause soprannaturali ciò che invece si può spiegare per via naturale.A fronte di un'attività letteraria cospicua e ben documentabile, la vita del D. sfugge, per lo più, alla presa del biografo: dobbiamo, in gran parte, ricavare dalle sue opere le poche notizie che abbiamo. Siamo così informati di un suo soggiorno romano nel 1550. Nel '53, come sembra potersi evincere da una lettera, inclusa nella edizione italiana dell'Heptaplus, indirizzata a Cristiano Pagni dovrebbe cadere il suo matrimonio con Caterina Poschi: vi si menziona infatti la nascita recente del primogenito Lelio (p. 119). Di Lelio - e il nome è senz'altro un omaggio al Torelli - non fa però alcuna menzione la biografia del Buonvicini, conservata nella Biblioteca comunale di Pescia. L'omissione potrebbe giustificarsi con la morte in tenera età del figlioletto, ipotesi che sembrerebbe rafforzata anche dal fatto che un nipote del D. rinnoverà tale nome. La biografia ricorda altri cinque figli: Pompeo, Andrea (padre di Giovan Battista, Lelio, Emilio, Clarice), Dorotea, monaca in S. Michele, Costanza e Silvia.
In quegli stessi anni il D. acquistava anche fama di medico valente. Un significativo passo autobiografico dei Due primi dialoghi lo dice a Montecatini, ove, afferma un personaggio del dialogo, "fu chiamato, e trattenuto poi un pezzo a honorare i nostri bagni, de quali ha fatto Notomia, limbiccate quelle acque, e trovate le vere loro miniere" (p. 20). Alla ricerca egli accompagna la pratica: innumerevoli, e molti di alto rango, i suoi pazienti. Nel 1559, il cardinale Angelo de' Medici, che egli aveva avuto in cura, eletto papa, con il nome di Pio IV, lo chiamò a Roma come archiatra pontificio, incarico che il D. terrà fino alla morte del suo protettore avvenuta nel dicembre del 1565. La chiamata a Roma, alla corte papale, segna una svolta nella attività letteraria del D.: una traduzione della Naturalis historia di Plinio (del suo amato Plinio), a cui stava lavorando per conto del Giolito, verrà lasciata in sospeso, e, da allora, il D. non darà più nulla alle stampe. L'unica opera pubblicata, postuma e mutila, scritta, almeno nella sua ultima stesura, dopo il 1566, il De balneis Montis Catini commentarius (inG. Targioni Tozzetti, Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana..., Firenze 1751, pp. 337-394), è di carattere prettamente medico. Tornato nella città natale continuò l'attività di medico, e, come risulta dai registri della Comunità di Pescia, prese parte alla vita pubblica. Morì il 4 marzo 1582.
Ci sono giunti alcuni titoli di sue opere manoscritte, De Pleuritide, De Phrenetyde, De Pralysi, De Epilepsia, De Asmate, Dialettica, Poeticae annotationes, Annotazioni ne primi libri dell'historia naturale di Plinio; ed anche di un'opera a stampa, Della sobrietàdel vivere e dell'esercizio (Ansaldi, p. 282), dedicata al card. C. Borromeo, smarrita.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Pistoia, Sezione di Pescia, Archivio comunale, Tratte e squittini, 175, ff. 233v, 256v, 257r; 176, ff. 3v, 5v, 8r, 15r, 16r, 25r; Ibid., Morti della Compagnia della Misericordia dal 1575 al 1597, n. 239 f. 46; Firenze, Biblioteca Marucelliana, B. III. 52: Annali dell'Accad. degli Umidi poi Fiorentina, I, f. 47r; Pescia, Biblioteca comunale, ms. I. B. 22: Memorie di Pescia e notizie e ritratti di personaggi illustri, ff. 7, 117; Ibid., ms. I. B. 87: G. Buonvicini, Mem. di Pescia e famiglie, ff. 189r- 190r; P. Mandosio, in quo maximorum Christiani Orbis pontificum archiatros, Romae 1696, pp. 193 s.; G. Targioni Tozzetti, Relaz. di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana..., III, Firenze 1751, pp. 336-394; G. Marini, Degli archiatri pontifici, Roma 1784, I, p. 432; P. O. B[aldasseroni], Istoria della città di Pescia e della Val di Nievole, Pescia 1784, pp. 32 s.; A. Bicchierai, Dei bagni di Montecatini, Firenze 1788, pp. 69 s., 72, 122, 161-167, 173, 265, 268, 277, 280 s.; D. Moreni, Annali della tipografia fiorentina di Lorenzo Torrentino, Firenze 1811, pp. XXVIII, 36 s., 142 s., 148; G. Ansaldi, Cenni biografici dei personaggi illustri della città di Pescia e suoi dintorni, Pescia 1872, pp. 280-288; Annali di Gabriel Giolito de Ferrari, descritti ed illustrati da S. Bongi, I, Roma 1890, pp. 496 s.; II, ibid. 1895, pp. 44 s., 65, 127; C. Fedele, L. Torrentino e la sua dimora in Pescia, in Miscell. storico-letter. a F. Mariotti, Pisa 1907, pp. 73-87; E. Coturri, Introd. a P. D., Commentario intorno alle terme di Montecatini, Firenze 1962.