DIOBONO, Pompeo
Le notizie sulla vita di questo ballerino e maestro di danza sono scarse e frammentarie. Non si conoscono il luogo e la data di nascita, anche se gli storici indicano Milano e la prima metà del XVI secolo. La prima notizia certa sul D. è la sua fondazione a Milano, nel 1545, di una scuola di ballo nobile, la cui fama si diffuse presto in Europa.
L'irradiazione dei maestri di danza italiani all'estero era intanto iniziata: Cesare Agosto da Parma nelle Fiandre, Carlo Beccaria presso l'imperatore Massimiliano, Alessandro Barbetta da Bologna alla corte del duca di Baviera e Stefano Martinelli a Colonia, il milanese Virgilio Bracesco in Francia, presso la corte di Enrico II e di Francesco II. Nel 1554 il D. fu invitato a Parigi dal maresciallo Ch. de Brissac, governatore francese in Piemonte; qui il D. si recò al seguito della "bande des violons", un'intera compagnia di violinisti italiani, i quali, come era uso, praticavano quasi tutti la danza. Faceva parte della "bande des violons" anche Baldassarre Baltazarini detto di Belgioioso (in Francia Balthazar de Beaujoyeulx), definito dai contemporanei "le meilleur violiniste de la chrétienté", che in quel momento era probabilmente allievo di danza del Diobono.
A Parigi il D. ebbe "onori e gradi" da Enrico II e fu incaricato dell'educazione fisica e sociale del secondogenito Carlo, duca d'Orléans, percependo uno stipendio da ballerino di duecento franchi ed uno da "valet de chambre" di altri duecento. Il D. mantenne l'incarico per circa trenta anni, fino cioè alla fine del regno di Enrico III nel 1589, ed ebbe una pensione di mille franchi, oltre ad altri centosessanta per i vestiti ed ai "gran presenti" che gli furono donati da molti principi.
A detta del Negri il vero mecenate del D. fu Carlo IX, comunque, Enrico III lo confermò negli incarichi e nelle pensioni concessegli dal suo predecessore, preoccupandosi inoltre che tali retribuzioni fossero trasmesse ai figli. Tuttavia, se si esclude la testimonianza del Negri, non vi sono altri elementi accertati sulla vita privata del D., a parte un atto riportato dal Prunières che recita: "A Pompée Diebon, millanois, balladin et valet de chambre de Messeigneurs d'Orléans et d'Angoulesme, 250 liv., tournois". In sostanza il trattato del Negri è l'unica fonte attendibile ed il suo autorevole giudizio, quale erede e continuatore della scuola del D., fornisce indicazioni essenziali sulla posizione storica del maestro, figura di primo piano nell'arte della danza del Cinquecento. Nell'opera citata si legge ancora: "ben si può dire, con pace degli altri, che tra i maestri della nostra arte egli n'habbia la corona riportata, e chi conosciuto non l'havesse giammai, all'andar gaio, al portamento della vita, alla gratia con che accompagnava tutti i movimenti suoi, ben detto havrebbe, quegli è ballarino".
Il D., a differenza dei suoi allievi, non ha lasciato opere teoriche. È perduto Il Ballarino perfetto di Rinaldo Rigani che, uscito a Milano nel 1568, forse accoglieva alcuni dei suoi insegnamenti. Ma l'esplicito richiamo di Cesare Negri alla scuola del D. ed insieme il confronto fra la didattica del Negri stesso e di F. Caroso e quella, che conosciamo, dei quattrocenteschi Domenico da Ferrara, Guglielmo Ebreo, Antonio Cornazzano, ci dimostrano che la sua scuola fu l'anello di congiunzione essenziale fra il Quattrocento ed il Seicento italiani. La scuola milanese del D., inoltre, divenne in breve tempo la più celebre d'Europa e ne sono testimonianza, oltre alle dichiarazioni del Negri ed alla chiamata del D. alla corte di Francia, il numero e la fama dei suoi allievi. Si ricordano, oltre al Negri ed al celeberrimo B.Baltazarini (il cui discepolato non è comunque accertato), Ludovico Paluello, Bernardo Tetoni, Pietro Martire, Francesco Giera, G. P. Ernandez, Martino da Asso e Giovanni Varade, detto il Cibre. Attraverso questa scuola ha inizio l'assunzione dei maestri di danza italiani presso le corti di Germania, di Spagna e di Francia, e con ciò la diffusione della danza aulica italiana, fondamento della futura danza accademica.
In queste scuole avvenne una sorta di filtrazione degli elementi tecnici ed espressivi, più o meno comuni agli spettacoli del tempo (feste, ricreazioni, mascherate, trionfi, carnasciali, processioni, sacre rappresentazioni), e soprattutto quella artistica stilizzazione delle danze dell'epoca (gagliarda, canaria, corrente, cascarda, pavana, chiaranzana, bergamasca) con cui si prelude chiaramente alle vaste suites o entrées che compongono i primi "ballets de cour". Quanto alla presenza personale del D. in Francia, sembra difficile al Prunières che questi, come Enrico Brocesco, maestro di Enrico Il e del delfino, non abbia frequentato l'Académie de poésie et de musique, fondata da J.-A. Baïf nel 1571, dove si elaborava una riforma così importante dell'arte della danza.
In Ballet de cour H. Prunières afferma che nell'Académie di Baïf "s'élaborait une sì importante réforme de leur art, surtout si l'ori songe qu'à plusieurs reprises ils avaient à régler leurs ballets et leurs mascarades sur les indications de Balf et de Ronsard". E non sarebbe azzardato supporre un apporto diretto del D. al Ballet comique de la Royne del 1581, di Baltazarini, a cui la vanità, che traspare evidente nella prefazione al balletto, potrebbe avere impedito di ricordare la collaborazione del Diobono.
Non è conosciuta la data di morte del D., ma poiché Enrico III morì nel 1589, si potrebbe dedurre che il D., trattenutosi alla corte degli ultimi Valois per almeno una trentina d'anni, morì qualche tempo prima del re.
Ancora il Negri nelle Gratie d'Amore (1602) dichiara che "di lui è pur fresca la mernoria".
Fonti e Bibl.: C. Negri, Le gratie d'Amore opera nova et vaghissima in tre trattati, Milano 1602; C. F. Ménestrier, Des ballets anciens et modernes selon les règles du théâtre, Paris 1682; G. B. Dufort, Trattato sul ballo nobile, Napoli 1728; H. Lavoix, La musique française, Paris 1891, pp. 81-178; H. Prunières, Le ballet de cour en France, Paris 1914, pp. 52 ss., 67, 78; R. Carrieri, La danza in Italia (1500-1900), Milano 1949, p. 6; H. Dolmetsch, Dances of Spain and Italy, London 1954, p. 1:69; F. Reyna, Des origines du ballet, Paris 1955, p. 66; L. Rossi, Storia del balletto, Milano 1967, pp. 13 s., 17; A. Testa, Discorso sulla danza e sul balletto, Milano 1967, p. 55; G. Tani in Encicl. dello spett., IV, Firenze-Roma 1957, p. 179; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Il lessico, I, sub voce Balletto, p. 240; Le biografie, II, p. 501.