DIODATI, Pompeo
Figlio di Niccolò di Alessandro e di Elisabetta (Zabetta) di Girolamo Arnolfini, nacque a Lucca il 14 ag. 1542.
Le scarse notizie sulla sua giovinezza indicano che fu avviato alla mercatura e all'arte serica dal padre, il quale, oltre che a Lucca, aveva "per alquanti anni" esercitato "prudentemente et honoratamente" anche ad Anversa, dove è attestata l'attività di una "Nicolas Diodati et Cie" intorno al 1540.
Le migliori informazioni circa la sua educazione religiosa si devono allo stesso D., che prese cura di annotare messaggi e insegnamenti ricevuti dalla prima infanzia nel suo prezioso e celebre Discorso fatto da me Pompeo Diodati della mia vita, et delle molte gratie ricevute dal Signore, il quale faccio per mio uso et de miei figliuoli.
Già il padre Niccolò, qualche anno prima della sua prematura scomparsa, ancora trentaduenne (1544), era stato come illuminato dalla intensa predicazione di Pietro Martire Vermigli durante il suo priorato a S. Frediano. Egli si era sentito viepiù crescere il fervore per "la verità della Religione", al punto che progettò "di partirsi da Lucca con la famiglia per privarsi dell'idolatria". L'idea era però ripetutamente stata ricusata dalla madre del D., la quale solo più tardi, divenuta vedova, avendo appreso da un frate agostiniano i fondamenti della "vera Religione", cominciò anch'essa a nutrire il proposito di abbandonare Lucca. Nella città, in effetti, nonostante una certa connivenza del governo verso i propri cittadini specie se appartenenti al patriziato, una serie di decreti, del 1545, del 1549 e, particolarmente, del 1558, aveva rigorosamente proibito le riunioni e le pratiche di culto non conformi alla religione cattolico-romana. Ancora nel 1562 un altro decreto ordinava di vivere "intieramente cattolico" ai lucchesi mercanti in Italia, in Francia, in Fiandra e altrove, con l'aggravante di una taglia sulla testa di quelli espatriati "già chiariti eretici" dal Consiglio generale.
Quel 1562 fu contrassegnato da un'esperienza decisiva per il D., la quale da un'opinione incerta, se non contraria, circa la rinuncia agli agi di Lucca doveva indurlo a detestare risolutamente l'"idolatria" per nutrire il desiderio di trasferirsi Oltralpe. Infatti, nel 1562, il D. volle accompagnare Alessandro Buonvisi (di Ludovico e di Caterina Diodati) inviato come ambasciatore della Repubblica di Lucca al duca di Savoia. Ma, dal Piemonte, il D. si diresse "per curiosità" a Lione in piena guerra civile, giungendovi due settimane prima che venisse conquistata dagli ugonotti. Questi giunsero alla fine di aprile e vi instaurarono ufficialmente il culto riformato. Così, "liavendo fatto a Lione publica professione della Religione riformata", il D. poté tornare a Lucca nell'ottobre di quell'anno con la risoluzione di aderire al vecchio desiderio della madre, ravvivato ora nel progetto di emigrare alla volta di Ginevra insieme coi Calandrini.
Impedimenti di varia natura costrinsero però il D. e gli altri a rinviare di quattro anni la partenza, durante i quali il D. riuscì a non "nicodemizzare." sottraendosi alle pratiche esteriori del culto romano, soprattutto nel corso dei suoi viaggi a Venezia nel 1563, a Lione nel 1564, in compagnia di Turco e Arrigo Balbani, e a Genova nel 1565.
Finalmente, nel marzo 1566, il D. poté lasciare Lucca, consapevole delle conseguenze gravissime, come il bando e le persecuzioni, che la fuga avrebbe comportato, tanto più che un altro recente decreto del mese di febbraio di quell'anno giungeva ad aggravare la posizione dei lucchesi andati, o che andavano, ad abitare in territorio ginevrino.
Arrivato a Lione, il D. attese sei mesi prima di essere raggiunto dalla madre Zabetta e dalla promessa sposa Laura (di Giuliano Calandrini e di. Caterina Balbani), che vi furono accompagnate da Niccolò, fratello del D., e da Benedetto Calandrini, i quali fecero tosto ritorno a Lucca. Più tardi, il D., Zabetta e Laura (sposatasi con il D. il 2 ott. 1566) proseguirono il viaggio per Parigi dove, nel marzo del 1567, poterono ricongiungersi col resto della comitiva di fuorusciti lucchesi: Michele Burlamacchi con la moglie Chiara (di Giuliano Calandrini e di Caterina Balbani, sorella di Laura); Benedetto Calandrini con la moglie Maddalena (di Girolamo Arnolfini) e due figli di Giuliano Calandrini, Filippo e Cesare.
Varie considerazioni persuasero allora il D. a rinviare il progetto di stabilirsi a Ginevra, prima fra esse quella di non peggiorare in patria la propria situazione già compromessa. Così, su consiglio del D., venne deciso di rimanere in Francia. Si prese in affitto "la terra di Luzarches" (Val-d'Oise) "vicino sette leghe di Parigi". Costì li raggiunse da Ginevra Giuliano Calandrini, che poté maritarsi in seconde nozze con la madre del D., Zabetta, già da anni promessagli in sposa.
Tuttavia le precauzioni del D. non dissuasero le autorità lucchesi dallo spiccare mandato di comparizione ed intentare causa contro i fuorusciti clandestini. Il D. è citato con altri il 30 luglio 1567 a comparire "sub, pena amputationis capitis, ita quod moriatur et anima a corpore separetur, et confiscationis omnium et singulorum eius bonorum". Il 3 marzo 1568 è condannato in contumacia e dichiarato eretico e ribelle. La sentenza di confisca è notificata il 9 marzo. Infine, il suo nome, con quello degli altri lucchesi condannati, è inserito in una lista di proscrizione con una taglia di 300 scudi pagabili "a chiunque amassasse uno di noi in Francia, in Spagna, in Italia o in Fiandra".
Eppure la gravità dei provvedimenti penali in patria non segnava che l'inizio delle tribolazioni che avrebbero vessato il D. e i suoi familiari durante l'esilio in terra di Francia, tormentata dalle guerre civili.
Il 13 nov. 1567, al passaggio delle truppe protestanti reduci dalla battaglia di Saint-Denis, il D. abbandona in fretta Luzarches per sottrarsi ai pericoli di massacri e saccheggi. Insieme con i congiunti - la moglie Laura e la cognata Sara entrambe in stato di gravidanza - "malvisti dalla maggior parte per essere italiani", affrontano un viaggio faticoso, patendo la fame e il freddo per quasi due settimane fino a quando, giunti a Montereau-faut-Yonne (Seine-et-Marne), si separano dalle truppe del principe di Condé diretto in Lorena e proseguono a sudovest con una scorta che accompagna la moglie del principe, Françoise d'Orléans, verso Orléans. Passando però vicino a Montargis (Loiret), il D. e gli altri lucchesi chiedono asilo alla signora del luogo, Renata di Francia, duchessa di Ferrara, che li ospita garantendo loro la sua protezione anche dopo il divieto reale di accogliere rifugiati ugonotti.
Durante il soggiorno nel castello di Montargis Laura partorì prematuramente, il 25 marzo 1568, un maschio spirato dopo qualche ora. Intanto, divenuta più rassicurante la situazione per gli ugonotti, dopo tre mesi dalla pace di Longjumeau, il D. con moglie, madre e suocero, fece ritorno a Luzarches, mentre gli altri del gruppo, le famiglie di Michele Burlamacchi e di Benedetto Calandrini, rientravano a Parigi. L'11 genn. 1569 la moglie del D. partorì un altro figlio, neppure lui sopravvissuto. Viepiù preoccupato per la guerra nuovamente divampata e per la nuova ondata di persecuzioni, il D. ritenne cosa prudente rifugiarsi a Sedan presso la duchessa di Bouillon (Françoise de Bourbon-Montpensier), presentandosi con una lettera di raccomandazione del marito (Henri-Robert de La Marck), attivo principe riformato.
A Sedan, tra il 14 maggio 1570 in cui nasce la sua prima figlia, Giuditta, e il mese di ottobre, quando porta a battesimo Iacopo di Michele Burlamacchi, il D. è ferito alla gamba da un colpo di pistola, da cui presto riesce a guarire completamente. Ristabilitasi una certa calma, a due mesi dalla pace di Longjumeau, il D. può tornare a Luzarches dove trova il castello nuovamente saccheggiato e la fattoria in condizioni tali da renderla improduttiva. Il 24 marzo 1572, nel castello di Saint-Cosme, la moglie Laura ha un altro figlio, che non sopravvive tre settimane.
Verso la metà di agosto il D. e la moglie si recano a Parigi per assistere alle nozze di Enrico di Borbone, re di Navarra, con Margherita di Valois, celebrate lunedì 18. Ma già sabato 23, appena saputo dell'attentato contro l'ammiraglio Gaspard de Coligny, il D. rientra con la moglie a Luzarches, avendo sentore di gravi pericoli. Infatti, inviato a Parigi un servitore il giorno seguente, riceve in serata la notizia dell'orrenda strage che, dilagando veloce, sta per giungere anche al villaggio di Luzarches "pieno di crudeli et arrabiati persecutori della Religione". Consultatosi col ministro riformato Capello (probabilmente, Louis Cappel), il D. decide che occorre senza indugio abbandonare il villaggio nottetempo. Cosi, prendendo con sé lo stretto necessario, il D. con moglie e figlia, con la madre e il marito Giuliano Calandrini, fuggono verso nordest e a Braine (Aisne) incontrano, anch'essa in fuga, la duchessa di Bouillon che accetta di condurli seco a Sedan. Superati i divieti del governatore per intervento della duchessa, il D. è di nuovo accolto nella città dove è raggiunto, pochi giorni dopo, dagli altri lucchesi del gruppo dimoranti a Parigi, scampati avventurosamente alla strage grazie ai servigi di Le Clerc (tesoriere del duca di Guisa) e al benevolo atteggiamento dei duchi di Bouillon e di Guisa. Il 13 giugno 1573, a Sedan, nasce felicemente la seconda figlia Susanna. Segue un periodo di relativa serenità, contrassegnato dai soggiorni di Spa, nelle estati del 1573 e 1574, e di Aquisgrana, dall'estate del 1574 fino alla primavera del 1575, dove il D. redige le proprie memorie.
L'epopea di ispirazione biblica ivi narrata si conclude con l'arrivo alla promessa e sospirata Ginevra, il 5 maggio 1575. L'idea del D. che l'approdo alle rive del Lemano rappresentasse l'inizio di un soggiorno stabile e definitivo era confortata dalla fitta trama di conoscenze che egli ritrovò a Ginevra, dove concittadini lucchesi della prima immigrazione (1555: Arnolfini, Balbani, Buonvisi, Cenarni, Mei, Micheli e altri) e più recente (Calandrini, Minutoli, lo stesso Carlo Diodati), coi quali egli aveva stretti legarni di amicizia, se non di parentela, avevano da due decenni contribuito a promuovere una vasta serie di attività commerciali, industriali e finanziarie esplicantesi nella lavorazione della seta, negli scambi con le sedi principali di fiere (Lione e Anversa) e nella operosità di istituti di credito (obbligazioni, prestiti, assicurazioni, depositi) sui "banchi" collegati da rappresentanti e "fattori" tra Italia, Cantoni elvetici (Zurigo, Basilea), Francia e Paesi Bassi.
In tale vasto giro di affari il D. poté agevolmente innestare le sue attività, tanto più che dopo la morte del padre gli "eredi di Nicolao Diodati" avevano esercitato a Lione in società col Buonvisi in diverse compagnie come la "Antonio e Ludovico Buonvisi e C.", attiva nel 1547 e divenuta dal 1550 la "Antonio, eredi di Ludovico Buonvisi e C.", rinnovata dal 1554 al 1559, attiva ancora tra il 1559 e il 1564. Per il D. non si trattava, dunque, di intraprendere una nuova professione, ma di riprendere una serie di attività praticate da lunga data e solo parzialmente interrotte durante le vicissitudini in terra di Francia. Infatti, pur essendo assente dall'Italia a partire dal 1567, il D. era rimasto socio col fratello e col cugino nella "Alessandro di Michele, Nicolao Diodati e C. dell'arte della seta in Lucca", attiva fra il 1570 e il 1575, prorogata fino al 1577.
A Ginevra, benché le autorità avessero deciso di limitare le iniziative commerciali dei nuovi rifugiati (in seguito alla strage della notte di s. Bartolomeo) con una opportuna legislazione tendente a riassestare le strutture corporative, il D. non ebbe difficoltà d'inserimento sia per le preesistenti relazioni coi mercanti lucchesi delle principali compagnie del luogo, sia perché egli fu tra i pochi a poter disporre, già al suo arrivo, dei mezzi finanziari necessari all'avviamento della propria attività di mercante e di manufatturiere. Infatti, oltre agli averi e al denaro liquido portato seco, nel 1575 il D. riceveva dalla madre Zabetta 8.150 libbre tornesi quali rimborso delle spese da lui sostenute dalla partenza da Lucca nel 1566, per il vitto, l'abbigliamento e per il contante che egli nel frattempo le aveva anticipato. Poco dopo, nel testamento del 13 giugno 1576, Zabetta legava al D. 1.000 libbre tornesi (oltre agli abiti, anelli e gioielli di sua proprietà) "en consideration des agreables services et curialitez qu'elle a receu dudict Pompee qui l'a tousjours assisté en ses necessités", somma che il D. avrebbe potuto prelevare sull'eredità prima del fratello Niccolò.
Dopo qualche mese, il 2 novembre, il D. era ammesso "habitant" di Ginevra e otteneva, il giorno seguente, la "bourgeoisie" al prezzo di "trente escus et les seillotz, suyvant le bon raport qu'on a de luy". L'insieme di queste opportunità aveva permesso al D. di entrare in società col cugino Carlo Diodati e con l'amico Francesco Turrettini nella compagnia "Diodati et Turrettini", che esercitò dal 1575 al 1579 realizzando un utile del 150%.
A partire dal 1580, per più di un decennio, un declino generale e la crisi economica della città, aggravati fra il 1585 e il 1587 da un'impennata dei prezzi e resi più drammatici fra il 1589 et il 1593 dalla guerra con la Savoia, se moderarono la cifra d'affari delle attività del D., non arrestarono la crescita dei suoi beni. Il 26 apr. 1581, per suggerimento della madre, il D. costituiva il primo nucleo delle sue proprietà al Petit-Saconnex, nelle franchigie ginevrine, con l'acquisto di due case d'abitazione, due granai, tre "benoges", un cortile, un giardino, una vigna, ecc. (per 4.000 scudi d'oro del sole). Il 3 luglio 1583 comprava una casa in città in piazza St-Pierre (per 1.920 scudi d'oro pistoletti).
Nel quinquennio successivo il D. ristrutturava e ampliava la proprietà al Petit-Saconnex, costituendovi allevamenti di bestiame e rinnovando la strada di accesso per le cui spese chiedeva un contributo al governo ginevrino (tredici anni più tardi, nel 1601, il D. reclamerà il rimborso dei 300 fiorini da lui anticipati per riparare "le chemin de Saconnex, qui doit estre de nouveau reparé ..."). Nel 1584 vi acquista un'altra vigna. Nel 1586, il 7 marzo, compra un bosco nella zona di Fernex, luogo detto "Ps grands boys" (al prezzo di 83 fiorini piccolo peso); ed il 26 maggio acquista una vigna e un prato al Petit-Saconnex in contrada "jerdil" (per 800 scudi d'oro del sole). Il 17 ag. 1587 compra, sempre al Petit-Saconnex, un appezzamento di terra in contrada "Morillon" (per 230 fiorini piccolo peso).
L'operosità commerciale del D. si esplica in diversi campi, non limitati alle manifatture e al commercio dei tessuti (non avendo una compagnia propria, egli lavora in società col cugino nella "Charles Diodati et C.", di cui appare una rara menzione in un atto notarile del 1580). Il D. traffica nella compravendita di sale (investe 10.000 scudi nella "Fresne, Vessines et Chastillon"), alleva e vende bestiame (nel 1585 vende dei montoni; nel 1597, 12 mucche da latte; nel 1589, cavalli e bestiame gli vengono rubati da soldati savoiardi). La sua attività è pure attestata nel commercio librario: nel 1591 acquistava dal marsigliese Robert Begue, a nome dei fratelli Jean e Jean-Baptiste Rota, per 4.100 libbre tornesi, 400 bibbie di gran formato stampate a Ginevra, 4,10 libbre al pezzo; 800 bibbie di medio formato a 3,5 libbre a volume; e 1.000 bibbie di piccolo formato a 1,8 libbra ciascuna (con uno sconto globale del 34%).
Passata la crisi generale, che non sembra aver troppo pesato sugli affari del D. nel 1593 questi rifioriscono grazie alla costituzione della "Grande Boutique", che segna una tappa importante nell'attività commerciale e manifatturiera della seta a Ginevra. All'impresa, la più considerevole del periodo, tanto da superare la stessa "César Balbani et Compagnons'", sono associati tutti i lucchesi commercianti in seta, ad eccezione di Manfredo Balbani e Orazio Mei (l'uno estraneo al mestiere, l'altro di comprovata incompetenza).
Il D. è tra i fondatori della "Grande Boutique", insieme con il direttore Francesco Turrettini, con Cesare Balbani e con Orazio Micheli. Il D. vi investe 1.000 scudi nel primo periodo (1594-1598) in cui un capitale sociale di 18.000 scudi realizza a fine esercizio un profitto di 17.000 scudi, con un interesse del 19% annuo. Nel secondo periodo (1602-1604) il D. partecipa con una quota sociale di 4.000 scudi su un capitale complessivo di 36.000, che frutterà il 24% l'anno.
Nel frattempo, il D. non tralascia di mettere a profitto l'esperienza e gli insegnamenti giovanili appresi nei "banchi" di Lione, per investire ingenti somme in attività finanziarie nelle principali piazze svizzere e francesi in cui opera con lettere di cambio, cedole o titoli obbligazionari, trasferimenti di capitale da una sede finanziaria all'altra, sempre mantenendo un fondo di investimento presso il Banco S. Giorgio di Genova.
Grazie a queste attività, che lo pongono in condizione di disporre di denaro liquido, il D. non esita a rendere servigi alla Signoria ginevrina con prestiti di cospicue somme (ad esempio, 500 scudi nel 1588; 600 nel luglio del 1593: nel dicembre dello stesso anno chiede alla Signoria di voler accordare a lui e agli altri soci della nascente "Grande Boutique" il diritto del "mezzo per cento" sulle mercanzie di seta importate) necessarie a mantenere o rendere efficienti i sistemi difensivi della città (fortificazioni e truppe), nonché a fronteggiare carestie e reiterate epidemie di peste.
In una vita tanto operosa, l'impegno civile dimostrato dal D. in numerose occasioni (anche a rischio della vita quando impugnò le armi nel 1582 e nel 1589 muovendo all'assalto del forte di Versoix) accrebbe la stima per l'uomo e il prestigio del cittadino, sovente chiamato a ricoprire cariche pubbliche: nel Consiglio dei duecento dal 1584 al 1595 e poi dal 1599 al 1602 e nel Consiglio dei sessanta nel 1584, 1596, 1597 e 1598.
Anche nella vita religiosa ginevrina la presenza del D. fu degna di nota, specie nella Chiesa italiana in cui da principio ricoprì diverse cariche (diacono nel 1577, 1581 e dal 1584 al 1586; borsiero o tesoriere dal 1578 al 1580 e nel 1582; anziano dal 1596 al 1602), prestando un contributo sociale e aiuti economici alla Borsa italiana, istituita con donazioni degli italiani abbienti (anche la madre Zabetta nel testamento del 1576 aveva donato 50 fiorini) al fine di soccorrere i rifugiati italiani senza risorse e di assistere i poveri e i malati. Al D. spettò anche l'onore, in qualità di anziano, di sedere nel Concistoro (nel 1585, 1588, 1600 e 1602), massimo organo della Chiesa riformata ginevrina, demandato a vegliare sulla disciplina ecclesiastica e a vigilare sulla condotta religiosa e morale dei cittadini.
Egli stesso fu esempio di dirittura morale anche come capofamiglia, circondato dall'affetto dei figli, dei congiunti e degli amici prossimi con cui si stringevano reciprocamente legami parentelari tramite battesimi e matrimoni. Anche a Ginevra, la famiglia del D. continuò a crescere grazie alla nascita di Elia, l'11 maggio 1576 (portato a battesimo da Carlo Diodati, di cui il D., a sua volta, portò a battesimo la figlia Anna nel marzo 1577), e di Deodato, il 4 marzo 1578 (battezzato da Niccolò Balbani).
Seguirono due lutti assai gravi per il D., la perdita della moglie, il 24 ag. 1580, e della madre, il 14 dic. 1582. Il D. rimase vedovo per undici anni, finché non decise di riprender moglie, sposando a Basilea, il 6 maggio 1591, Sarra, di Niccolò Balbani e Victoria de Thienes, nata il 7 maggio 1570. Da Sarra il D. ebbe altri figli: Nicolas, nato il 29 apr. 1592 (portato a battesimo da Orazio Micheli), Elisabeth, nata il 13 febbr. 1594 (portata a battesimo da Cesare Balbani), due gemelli, Theodoro e Paolo, nati il 25 nov. 1595 (portati rispettivamente a battesimo da Théodore de Bèze e da Fabrizio Burlamacchi), ma morti dopo una decina di giorni, e Alessandro, nato il 28 maggio 1598 (presentato a battesimo da Francesco Turrettini). Frattanto, il D. vide maritarsi le figlie Giuditta, sposatasi il 23 genn. 1592 con Fabrizio Burlamacchi (con una dote di 2.500 scudi d'oro del sole; altri 1.000 ne ricevette dallo sposo), e Suzanne, andata in sposa il 27 ott. 1597 a Baptiste de Saussure (con una dote di 20.000 fiorini di Ginevra, "valenti 12 soldi; moneta che ha corso in questa città"). Più tardi, nel 1614, si sposò anche Elisabeth, con Giulio di Evangelista Offredi (con una dote complessiva di 20.400 fiorini di Ginevra; 6.800 ne riceverà dal marito).
Dopo un primo testamento dettato il 14 maggio 1579 ed un codicillo del 13 ott. 1598, il D. revocava in parte quanto in ambedue stabilito esprimendo le sue volontà, il 16 ott. 1598, in un altro codicillo in cui tra l'altro sopprimeva i legati fatti alle sorelle Maddalena e Giuditta, perché l'una era deceduta e l'altra "graces à Dieu, a beaucoup de moyens ...". Inoltre donava alla figlia Suzanne, oltre alla dote già assegnata per contratto matrimoniale, la somma di 2.000 fiorini di piccolo peso. Infine legava ai poveri della Chiesa italiana, oltre alla somma già stabilita nel testamento, altri 1.000 fiorini di piccolo peso.
Nel 1602 tutti in famiglia si ammalarono di "dissenteria overo flusso di sangue". Giuditta, che abitava nella stessa casa "nelle stanze da basso" (e che aveva perso il marito di peste, il 14 ott. 1598), morì il 2 ottobre. Il D., colpito dallo stesso male, spirò nella notte tra il 31 ottobre e il 1° nov. 1602.
Per una considerazione generale dei profitti del D., e quale documento della sua operosità, rimane una lista del "Bilancio della eredità di Pompeo Diodati" (di cui Pascal, p. 140 n. 3, ha trascritto le singole cifre) che attesta un "dare" complessivo di 184.614 fiorini e un "avere" di ben 325.242 fiorini. "Resta netto fiorini 140.628, il quarto dei quali per ogni maschio, ossia fiorini 35.327".
Fonti e Bibl.: Lucca, Bibl. govem., ms. 1111: G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi, ff. 140 s.; Arch. di Stato di Lucca, G. V. Baroni, Alberi di famiglia, t. 3, ff. 38, 39, 51; Consiglio generale, reg. 54, f. 145v; reg. 55, f. 36v; reg. 56, f. 84; Offizio sopra i beni degli eretici, n. 1, f. 179; Ginevra, Bibl. publ. et univer s., Mss. suppl. 438: Libro di ricordi dignissimi delle nostre famiglie, a cura di V. Burlamacchi, ff. 27v, 33v, 36 (Discorso della vita del signor Pompeo Diodati buona memoria, tirata e copiata di parola in parola, da un libretto scritto di sua man propria, trovato tra le sue scritture quando il Signore Iddio lo hebbe tirato a sé ... ), 37-3 8 (Discorso fatto al nome di Dio, da me Pompeo di Nicolao Diodati... Fatto a Aquisgrana Addì 20 di Febraro 1575), 38v-47v (Discorso fatto da me, Pompeo Diodati, della mia vita et delle molte gratie ricevute da 'l Signore, il quale faccio per mio uso et de miei Figliuoli), 51, 53rv, 56, 58v, 59rv, 61rv, 76v, 86, 89v; Ibid., 84: Mémoires concernant Michel Burlamachi et sa famille, ff.2v, 3rv; Ibid., 816: Libro di memorie diverse della Chiesa Italiana raccolte da me Vincenzo Burlamachi in Geneva 1650, ff. 34, 60; Ibid., 817, ff. 19v, 20 (Bilancio della heredità di P. D.), 62v; Ibid., 821: Répertoire des noms des personnes mentionnées dans les extraits des registres des Conseils et des minutes des notaires, a cura di Ad. C. Grivel, ad Indicem (relativo al Mss. suppl. 820: Italiens réfugiés à Genève. Extraits des registres des Conseils de la République de Genève relatifs à l'Eglise Italienne établie en cette ville); Ibid., Archives d'Etat, Notaires, J. Crespin (vol. I, f. 47; vol. 5, f. AA), J. Cusin (vol. 3, ff. 190-2; vol. 6, f. 5; vol. 11, f. 3), O. Dagonneau (vol. 11, f. 3), E. Demonthouz (vol. 2, f. 355; vol. 4, f. 733; vol. 8, f. 636; vol. 9, f. 515; vol. 12, f. 239; vol. 14, f. 130; vol. 48, f. 116), F. Dunant (vol. I, f. 454), J. Dupont (vol. 6, ff. 276v-278), I. Jordan (vol. 2, ff. 73, 75), J. Jovenon (vol. 5, ff. 53, 312, 348; vol. 6, f. 19; vol. 7, ff. 65, 227, 228, 553, 555), B. Mantelier (vol. 7, f. 54); Registres du Conseil, 1576, f. 148v; 1579, f. 12v; 1583, ff. 104, 161; 1584, ff. 2v, 3, 50v, 122; 1585, f. 3v; 1586, f. 4; 1587, f. 3v; 1588, ff. 4, 150, 161, 202v; 1589, ff.3v, 59; 1590, ff.3v; 1591, f. 3v; 1592, f. 2v; 1593, ff.2, III, 178; 1594, f. 2; 1595, ff. 3v, 151v; 1596, f. 6v; 1597, f. 5; 1598, f. 4v; 1599, f. 7v; 1600, f. 6; 1601, ff.5v, 80v; 1602, ff. 4, s; J.-A. Galiffe, Notices généaIogiques sur les familles genevoises..., II, Genève 1836, pp. 738-739; G. D. J. Schotel, J. Diodati, 's Gravenhage 1844, pp. 7, 86, 87, 92, 99, 114 s., 131 s.; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall'anno MIV all'anno MDCC, a cura di C. Minutoli, Firenze 1847, p. 450; C. Eynard, Lucques et les Burlamacchi. Souvenirs de la Réforme en Italie, Genève-Paris 1848, pp. 209, 26 1, 322; F. Turrettini, Notice biographique sur Bénédict Turrettini théologien genevois du XVIIe siècle, Genève 1871, pp. 5, 13, 14, 19; J.-B-G. Galiffe, Le refuge italien de Genève aux XVIe et XVIIe siècles, Genève 1881, p. 153; E. E. Salisbury, Mr. William Diodate (of New Haven from 1717 to 1751) and his Italian ancestry (estr. da New England Historical and Genealogical Register, aprile 1881), pp. 6, 7; G. Sforza, La patria, la famiglia e la giovinezza di papa Niccolò V. Ricerche storiche, in Atti della R. Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti, XXIII (1884), pp. 317, 319, 374; A. Gautier, Familles genevoises d'origine italienne, in Giornale araldico di Pisa, 1893, n. 7; Le livre des Bourgeois de l'ancienne République de Genève, a cura di A. L. Covelle, Genève 1897, p. 298; O. Grosheintz, L'Eglise italienne à Genève au temps de Calvin, Lausanne 1904, p. 59; J. A. Goris, Etude sur les colonies marchandes méridionales à Anvers de 1488 à 1567, Louvain 1925, p. 641; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese a Ginevra nel sec. XVI, Pinerolo 1935, pp. 55, 81, 82, 87, 96, 117, 119, 123, 127-37, 138-41, 142, 144, 147, 152, 154-157, 179, 181, 223, 226, 227, 244, 251, 260-261, 270, 275, 280, 285; W. Bodiner, Der Einfluss der Refugianteneinwanderung von 1550-1700 auf die schweizerische Wirtschaft, Zürich 1946, pp. 42, 48, 151; Id., Die EntwickIung der schweizerischen Textilwirtschaft im Rahmen der übrigen Industrie und Wirtschafizweige, Zürich 1960, p. 96; S. Adorni Braccesi, Giuliano da Dezza, Caciaiuolo: nuove prospettive sull'eresia a Lucca nel XVI secolo, in Actum Luce, IX (1980), nn. 1-2, p. 1127; M. Fulvio, Una famiglia lucchese: i Diodati, ibid., XII (1983), nn. 1-2, pp. 18-21, 27-29; L. Mottu-Weber, Genève au siècle de la Réforme, Economie et refuge, Genève 1987, pp. 225, 261, 329, 331 s., 334, 336, 339, 384, 47.