FERRARI, Pompeo
Nacque, attorno al 1570, a Piacenza, in nobile famiglia, se si prende alla lettera il suo futuro autopresentarsi quale "gentil'huomo piacentino".
Tuttavia, solo più tardi - nel Seicento inoltrato e nel Settecento - sono appurabili, a Piacenza e nel Piacentino, dei Ferrari nobili; e forse lo era - perché decapitato e non impiccato - quel capitano Cristoforo Ferrari da Cortemaggiore che, responsabile del presidio di Rottofreno, s'arrese senza resistere al generale della cavalleria napoletana Gerardo Gambacorta, essendo perciò giustiziato, come reo di viltà, a Piacenza il 20 ag. 1636.
Certo, invece, il darsi del F. alla carriera militare, sicché combatté, al soldo dell'Impero, contro i Turchi in Ungheria prendendo parte (a capo, di fatto, d'una compagnia di fanti), nel 1595, all'assedio di Strigonia (Esztergom). Rientrato in Italia, il F. fu arruolato dalla Repubblica di Venezia, sotto le cui insegne risulta militare, all'inizio del Seicento. come sergente maggiore nel presidio della fortezza di Bergamo allora comandata dal conte Paolo Scotti.
Qui, alla presenza del capitano della città Bernardo Cappello, il generale della cavalleria Francesco Martinengo esaminò il F. per valutame l'idoneità ad un avanzamento di grado. Interrogato su "quanto deve esser obligato un capitano di fanteria per ben governarla et comandarla" (così lo stesso Martinengo scrivendo, il 2 apr. 1604, al savio alla Scrittura Francesco Morosini), il F. rispose "con ogni compitezza", esaurientemente. E ciò gli fu agevole grazie alla "molta isperienza... nelle guerre d'Ungaria", durante le quali aveva "comandato... a compagnie da piedi", sia pure non come "capitano", ma come sostituto, come "luogotenente". Comunque sia, laddove la "compagnia non haveva capitano, ... lui faceva l'istesso di capitano". Di qui il parere positivo del Martinengo, cui s'associò il Cappello: il F., asserirono entrambi, era "attissimo" al "carico" di capitano. Anzi, aggiunse il secondo in una lettera del 21 aprile allo stesso savio alla Scrittura, non solo poteva guidare una "compagnia" di fanti, ma poteva benissimo essere destinato ad "ogni maggior comando militare". Un riconoscimento lusinghiero questo per il F., tanto più perché formulatp in un momento in cui - pei manifesti propositi antiveneziani del governatore di Milano P. Enriquez de Agevedo, conte di Fuentes, espressi e con continue provocazioni e con l'erezione del forte in Valtellina - la guerra non era ipotesi remota, ma minaccia incombente, specie per Bergamo, così prossima al Milanese spagnolo.
Deciso, in un clima di tensione e di spostamenti di truppe, il 12 marzo 1605, in Senato, l'invio ad Orzinuovi d'un "capitano" con 100 fanti, fu il F. ad essere, il 15 marzo, a ciò designato. Perciò, lasciata Bergamo, si portò nella natia Piacenza, ove in breve riuscì a costituire la richiesta compagnia, con la quale il 1º maggio era a Brescia, ricevendo, dal capitano della città Giovanni Paolo Grandeigo, "una paga di soventione" di 15 ducati al mese, mentre quella spettante ai suoi uomini era di 3 ducati. Raggiunta l'indomani Orzinuovi, il provveditore di questa, Alvise Zorzi, "rassegnata" con scrupolo "la sua compagnia", assicurò il Senato d'averla "ritrovata al numero deliberato delli cento fanti d'assai bona qualità".
Orzinuovi, asseriva Zorzi, era "importantissima fortezza" (e, in effetti, era una delle più rilevanti della Terraferma veneta e una delle più esposte ché contrapposta a Soncino, dove, a causa della guerra di Fiandra, l'andirivieni di truppe era continuo, non senza però che, da parte veneziana, non si paventassero insidie a danno della Serenissima), la cui "custodia", faceva presente lo stesso, era ora affidata - dato che erano solo 60 i fanti del governatore Federico Montecuccoli (ma il 26 giungeranno 1100 fanti "corsi" della "compagnia" del capitano Francesco Omano) - soprattutto alle compagnie del F. e di Gaspare Monton, tutti e due "di molto valor et fede". Ma erano entrambi "piasentini", constatava Zorzi, e, per di più, "congiunti" da "amicitia". Il che suscitava nel provveditore una qualche perplessità. Si trattava di "doi soggetti" d'indubbio "valore", ma si chiedeva e chiedeva al Senato se "la cura delle porte et mura della fortezza" dovesse essere "posta in mano" a due capitani "di una stessa patria et alieni", cioè non veneti, cioè non sudditi della Serenissima.
Forse fu anche per "rispetti" del genere che il Collegio decise, il 12 novembre, di trasferire da Palma ad Orzinuovi la compagnia di Vincenzo Vannelli, sicché, giunta questa, il F. con la sua, il 12 genn. 1606, partì alla volta di Palma, dove arrivò il 30, gratificato, comunque, dalla maggior retribuzione di 20 ducati mensili.
Se ne rallegrò il provveditore alla fortezza Andrea Gussoni: la compagnia del F. era al completo, risultava di "cento fanti et tutta buona gente". Successivamente, però, risultarono dei vuoti tra gli uomini del F., come, d'altronde, nelle altre otto compagnie presenti a Palma. Ben 13, infatti, gli assenti nella "rassegna" del 1º dicembre del successore del Gussoni, Andrea Minotto, che si ridussero a 4 nella "notta dei soldati" del 17 genn. 1607; ma il "manco" s'aggravò di nuovo di lì a poco, ché nella "notta" del 1º marzo i soldati "in esser" del F. erano 89. Né ciò andava addebitato a negligenza del Ferrari. Era il ritardo nella corresponsione delle "paglie" ad indurre alla diserzione. "Le reciamationi di queste militie" pei mancati pagamenti "arrivano fino al cielo", informava il Minotto il 29 apr. 1608; "non si può aspettar se non che fugano", commentava lo stesso, magari diventando malviventi, magari infoltendo il brigantaggio.Quanto al F. (cui il Collegio, venendo incontro al suo desiderio, notificato il 28 luglio dal Minotto, concesse, il 4 agosto, "licentia di trasferirsi" a Venezia "per doi mesi per suoi affari"), gli si ordinò, il 24 settembre, d' "andar a Bergamo, in luoco" del capitano Antonello Cresci, con 100 fanti "forastieri"; e ciò con "paga" ridotta - il che non significava punizione, ma solo perdita di quella sorta di supplemento che rendeva meno pesante il servizio a Palma - a 15 ducati "a paghe otto all'anno". E a Bergamo il F. rimase - salvo la parentesi, tra la fine di maggio e la fine di giugno del 1611, d'un mese di licenza trascorso a Venezia, per attendere a "suoi importanti affari" - quanto meno sino all'ottobre del 1611, essendovi apprezzato quale "gentilhuomo d'honore et soggetto di molta virtù et merito et dal quale" la Serenissima "si può prometter ogni honorato et fruttuoso servitio", come assicurava, il 20 aprile, il capitano della città Marco Dandolo.
Nel frattempo Alvise Zorzi - lo stesso che, pur titubante sull'opportuffità competesse al F. e ad un altro piacentino la difesa d'Orzinuovi, aveva avuto modo d'apprezzarne la professionalità (e si ha l'impressione i due non si fossero poi persi di vista e che il F., anzi, nelle licenze trascorse a Venezia si recasse a trovarlo) - fu nominato, ancora il 24 marzo 1611, provveditore generale della cavalleria a Candia. Ed egli chiese gli fossero assegnati come luogotenenti Luigi Carbonara e, appunto, il F. e perché collaudati dall'"ottimo servitio" prestato alla Serenissima e per l'"esquisita isperienza nell'arte millitare" acquistata antecedentemente all'estero. Ed il Collegio, il 23 settembre, a "gratificatione" di Zorzi, decise d'accoglierne la richiesta in deroga alla "legge", la quale, di per sé, stabiliva che non fossero "eletti a esso carico" della luogotenenza "se non sudditi dello stato nostro in terraferma".
Sicché il F. diventò, con l'obbligo d'impegnarsi per cinque anni continuati, luogotenente della "provedaria" della cavalleria a Candia. E fu ventilato, a tutta prima, uno stipendio di 400 ducati annui; ma, di fatto, questo notevole avanzamento di retribuzione fu di molto ridimensionato, ché il F. risulta in seguito percepire assai meno.
Sbarcato con tutta probabilità, assieme a Zorzi a Candia il 24 marzo 1612, qui fu ben presto evidente che a Zorzi bastava un solo luogotenente. Purtroppo - come dirà lo stesso Zorzi nella relazione al Collegio del 5 luglio 1616 - la cavalleria, gravante sui "feudi" da "por in guarnigione", lungi dal raggiungere i previsti 1341 "cavalli", si ridusse, per 251 "contumaci", a iogo malandati "ronzini". E ciò per l'effettiva povertà dei "feudati". Perciò, mentre Zorzi si valse "del solo Carbonara", il F. fu destinato dal provveditore generale dell'isola Gian Giacomo Zane al "governo delle milizie" di Tine, colla retribuzione - "giusta l'ordinario di quel luogo" - di 15 ducati mensili. E il F. - che, ad esempio, il 2 dic. 1614. faceva "pesare", per ordine del rettore Bernardino Piero Lippomano, la "polvere" nei "magazini" della fortezza" - risulta, infatti, dal "rollo molto diligente" di tutti i "pagati" presenti a Tine trasmesso il 6 genn. 1615 dal provveditore generale di Candia Zane, ivi governatore con 49 uomini ai suoi ordini, d'altrettanti disponendo il capitano Antonio Lorso.
Ultimata la permanenza in quest'avamposto veneto nell'Egeo, il F., una volta a Venezia per un periodo - è supponibile - di licenza, dedicò, il 20 luglio 1616, al senatore Antonio Mocenigo (questi era stato capitano a Candia, al ritorno dalla quale aveva presentato, il 20 giugno 1615, una relazione) un'elaborata Relatione dell'isola et città di Tine.
Si tratta, esordisce il F., d'un'isola "sassosa et montuosa et ricca di porti", di cui il più attivo è quello di San Giovanni "frequentato da molti vasselli forestieri", specie "di Scio". Scarso il frumento e abbondanti, in compenso, orzo e fagioli e, più ancora, i fichi. Improvvida, a detta del F., comunque la riduzione della coltivazione vinicola a vantaggio della frumentaria disposta di recente da Giovanni Pasqualigo che, provveditore ed inquisitore generale in Levante, aveva emanato, il 29 giugno 1613, degli "ordini" pel "buon governo", appunto, "dell'isola et fortezza". Battuta dalla tramontana - insiste il F. che dell'isola vuol offrire un quadro d'assieme, non senza ambizione, se ne può arguire, che questo suo scritto venga pubblicato - Tine è arida, ma gode, in compenso, d'un'"aria felicissima". Circa 18.000 gli abitanti, costretti - poiché la coltivazione fornisce i viveri per non oltre metà anno - ad approvvigionarsi all'estemo. La "seta", comunque, è la principale voce attiva dell'economia dell'isola: è il "sostentamento della plebe", è la "ricchezza de' cittadini". Quanto alla religione, circa i "tre quarti" degli abitanti praticano il rito latino ed il resto quello greco. Costituita da 69 "feudatari" la nobiltà locale; e, tra i "villani", ci sono i "privilegiati", ossia esenti "dalla scarpa", vale a dire dall'"angaria" di provvedere, oltre che alla "guardia delle marine", alla manutenzione delle mura, appunto, a scarpa della fortezza. Sottoposta ad un "protoiero" ognuna, delle 22 "ville" donde si recluta la milizia isolana di 1.377 "soldati" addestrati dal "capitano delle ordinanze" all'uopo inviato da Venezia. Recalcitranti, però, dette ordinanze al disciplinamento. Ed il F. suggerisce d'esentare dalle "angarie" i 400 archibugieri in cambio d'una "presta obedienza" al "servitio militare". Appena 872 gli abitanti del centro principale, incluso il centinaio di soldati che lo presidiano; e ben 500, tra quelli, sono le donne, i vecchi, i bambini. Esso sorge, all'intemo dell'isola, "nella sommità d'un monte ... sopra un sasso vivo", sede, con la fortezza, della guarnigione nonché delle autorità laiche ed ecclesiastiche. Sconcertante per il F. che la "casa" dei rettori sia, "non so come, assegnata alli reverendissimi vescovi". Il F. teme - e non a torto, ché, nel 1682, il rettore Aurelio Marcello risulterà senza "habitatione propria" - che la concessione finisca, col tempo, col diventare irreversibile, e non sia più intesa come favore, ma come diritto. Scrupolosamente descrittiva (vi si contano ad esempio 18 mulini a vento), la Relatione del F. è anche propositiva, vorrebbe risultare operativa. Non informa solo con precisione "del sito, porti, spiaggie, conditione, qualità et guardie come della città, borgo et castello di essa con loro misurationi", ma è pure "matura et minuta consideratione" delle o cose bisognevoli". Occorrebbero nel centro principale almeno altre tre cisterne per fronteggiare adeguatamente il fabbisogno d'acqua. Pessimo lo stato delle armi nella fortezza, cattiva la conservazione della "polvere" rovinata dall'umidità. "Inutili" le malconce "artigliarie"; meglio sarebbe sostituire la ventina di pezzi più disastrati con una decina di nuovi. E a ravvivare la minuscola scuola dei "bombardieri", necessiterebbe l'allettamento d'un minimo di "stipendio". Non si tratta, perora il F., di spendere di più: basta spendere meglio. E, a conclusione della sua esposizione, il F. non esita ad avanzare un progetto di riqualificazione della spesa pubblica stando al quale il costo complessivo di 5.000 ducati sarebbe suscettibile d'una riduzione di 1.572 ducati.
Preposto dal Senato, il 28 ott. 1617, al "governo delle ordinanze di Candia", in sostituzione di Sebastiano Orselli, destinato, ancora il 30 dic. 1616, "al governo della Canea", il F. - il cui "stipendi " era adesso di 300 ducati annui - ritornò a Candia per rimanervi a lungo. E fu a Candia che, in data 31 ag. 1623, dedicò nuovamente il suo "breve" scritto su Tine a Nicolò Valier, capitano generale dell'isola.
È evidente che F. teneva molto alla sua Relatione, la quale però, essendo incentrata sulla situazione di Mne nel 1614, era in certo qual modo superata - sotto il profilo operativo - dalle disposizioni in merito alle necessità dell'isola del 1621 di Girolamo Da Lezze, allora, oltre che capitano generale di Candia, sindaco ed inquisitore a Tine. E tale sarà, nel 1624, pure il Valier, anch'egli dettante, a visita ultimata, Terminationi et ordini. Un "fastidio" per il Valier la prolungata permanenza a Tine, durante la quale, con tutta probabilità, gli era stato d'orientamento il testo dedicatogli dal Ferrari. Ciò non toglie che, reduce a Venezia nel 1625, nella Relatione sul capitaniato in Candia e sulla "visita di Tine", non faccia alcun cenno al Ferrari. E si guardò bene dal nominarlo quel Francesco Basilicata che, in data 6 dic. 1630, dedicò al capitano generale di Candia, Piero Giustinian, la sua Relazione di... Candia, cuiaggiungeva la Relatione del'isola di Tine (edita da S. G. Spanaki, Candia 1969), peraltro ricalcante, anche forinalmente, quella del F., la quale, anche se non premiata colla stampa, ebbe una certa circolazione manoscritta, come si può desumere dalle tre copie rimastene (una alla Biblioteca comunale di Piacenza, l'altra.alla Laurenziana di Firenze, la terza alla Nationale di Parigi; già appartenuta, quest'ultima, a Raphael du Fresne, bibliotecario del duca d'Orléans).
Quanto al F., dalla cui "esperientia e valor" ci si "può prometter ogni buono et honorato servitio", come recitano le delibere che lo riguardano, se ne perdono, dopo il 1621 le tracce; forse morì a Candia oppure finì i suoi giorni nella natia Piacenza.
Il F. non va ad ogni modo confuso con quel Mandricardo Ferrari vicentino "approbato. huomo d'arme in banda" del conte Ferdinando Scotto il 9 nov. 1612 e nemmeno con l'Antonio Ferrari sergente maggiore tra il 1618 circa ed il 1630 circa a Marano, Legnago, Palma, Crema e Peschiera.
Fonti e Bibl.: In aggiunta a quanto indicato dall'editore della relazione del F. con notizie sullo stesso (ove, però, è impreciso il rinvio alle fonti, sicché "Notatorio" diventa "Notariato"), E. Armao, Venezia in Oriente. La "Relatione dell'isola et città di Tine" di Pompeo Ferrari gentil'huomo piacentino, Roma 1938, si forniscono i seguenti rinvii archivistico-bibliografici: Arch. di Stato di Venezia, Collegio. Notatorio, filze 173 (alla data 15 marzo 1605); 186 (alla data 4 ag. 1608); 199 (alle date 20 aprile e 23 sett. 1611); regg. 67, cc. 14v, 139r; 70, cc. 72v, 102v; 73, cc. 24v, 91, 92r (e per altri Ferrari al soldo di Venezia si veda ibid., regg. 74, c. 100v; 78, c. 81v; 80, cc. 67v, 118; 82, c. 34v; e, inoltre, Relazioni dei rettori ven. in Terraferma, X, Milano 1978, p. 344); Collegio Relazioni, b. 81, cenno al F. nella relazione di A. Zorzi; Secreta materie miste notabili, 70, 71, 72, con Terminationi ed Ordini relativi a Tine formulati dai sindaci ed inquisitori nell'isola; Senato. Lett. provv. da Terra e da Mar, 778, l'elenco allegato alla lett. del 6 genn. 1615 del provveditore generale di Candia G. Zane; Senato. Lett. deiprovv. gen. di Palma, filza 7, lett. dell'8 febbraio e del 2 dic. 1606 e nella "notta" allegata alla lett. del 18 gennaio e in quella allegata alla lett. del 22 marzo 1607; Senato. Lett. dei rettori di Bergamo e Bergamasco, filza 7, lett. del 22 maggio 1611; Senato. Lett. dei rettori di Bressa et Bressan, filza 4, lett. del 3 maggio 1605 da Orzinuovi del provveditore Zorzi, del 4 maggio da Brescia del capitano Giovanni Paolo Gradenigo, del 12 genn. 1606 del viceprovveditore di Orzinuovi C. Canal; Senato. Lett. del capitano di Candia, filza 6, lett. del 25 marzo 1612 del capitano di Candia A. Grimani annunciante l'arrivo di Zorzi; Senato. Mar, reg. 75, c. 175; P. Amat di San Filippo, Biografia dei viaggiatori, Roma 1882, p. 383; L. Mensi, Diz. biografico piacentino, Piacenza 1890, p. 178; E. Nasalli Rocca, Un piacentino nell'isola di Tine in La Scure, 17 maggio 1941; App. al Diz.... di Mensi, in Boll. stor. piacentino, XXXIX (1944), pp. 60 s.; N. G. Moschonas, Organosis... Tinou... ipo ... G. Da Lezze, in Epetiris tis eterias Kikladicon meleton, V (1965), pp. 669 n. 2, 673 n. 1, 676 n. 3, 687; Id., Plirofories... Tinou..., in Thesaurismata, III (1965), pp. 29 n. 2, 33; Bibliogr. gen. delle antiche provv. parmensi, a cura di Felice da Mareto, II, Parma 1974, p. 429. Relativamente ai Ferrari nobili, cfr. E. Nasalli Rocca, Il patriziato piacentino..., in Studi... in on. di C. Manaresi, Milano 1953, pp. 247, 250, 255; e, in merito al Cristoforo Ferrari giustiziato, cfr. C. Poggiali, Mem. stor. di Piacenza, XI, Piacenza 1763, p. 204, e A. Corna, Castelli... del Piacentino, Piacenza 1913, pp. 107 s.