FRASSINELLI, Pompeo
Le scarsissime fonti disponibili ci dicono che il F. nacque probabilmente nel 1599. Egli stesso si dichiarò in più occasioni "romano", ma la sua vicenda umana e la carriera si svolsero in ambito veronese. La sua figura, infatti, è legata alle vicende del più importante corso d'acqua dello Stato veneto, l'Adige, di cui divenne, nel corso del Seicento, profondo conoscitore per conto delle autorità governative.
Fiume "terribile et formidabile" lo chiamò il rettore di Rovigo e provveditore generale del Polesine Giovanni Francesco Salomon, nella relazione del 1554. Terribile per le piene rovinose e per la massa d'acqua trasportata, che tuttavia consentiva la navigazione in discesa e risalita, la messa in moto delle pale dei mulini che ne punteggiavano il corso - se ne contarono fino a 400 -, l'uso delle ruote idrovore per irrorare campi e orti, la derivazione di acque mediante canali a scopo di irrigazione. Un equilibrio paesistico legava la città scaligera al fiume, il più importante dopo il Po, navigabile da Bronzolo - poco sotto Bolzano - e pertanto di primaria importanza nella storia dello Stato veneto. Grazie a esso la città scaligera era un centro di smistamento delle merci tra la Germania, la val d'Adige e la pianura. E sotto Verona il fiume apriva più vie: quella che arrivava a Venezia, quella che giungeva a Rovigo attraverso l'Adigetto, quella verso Lendinara attraverso il Tartaro, attraverso Polesella e Po verso Mantova, e verso Ferrara e Bologna e quindi fino a Firenze e allo Stato pontificio. Pol, presso Verona, dopo la chiusa, era un punto di scambio delle merci, che prendevano la via della Lombardia attraverso Lazise e Brescia. Oltre Pontebba, Tarvisio e Villach, la via fluviale era sempre assicurata dall'alaggio animale e da stazioni dislocate lungo il percorso e costituiva un importante varco per il Nordeuropa e con requisiti di sicurezza sconosciuti alle normali vie terrestri. Multiformi erano le attività economiche che si svolgevano nel bacino dell'Adige e le attività indotte di tipo artigianale e "industriale". Tra il XV e il XVIII secolo si costituì un sempre più fitto e articolato intreccio tra città e campagna, di cui il fiume costituiva l'elemento vivo, e una complessa trama di rapporti, che coinvolgeva una frammentata proprietà contadina, contrapposta a quella ben più cospicua dei nobili veronesi e veneziani, e una consistente rete di consorzi di bonifica legati alla manutenzione. Un punto nodale del contendere furono gli argini, nonché l'uso delle acque a scopo di irrigazione, praticata a volte in modo distorto e causa quindi di grosse conseguenze sotto il profilo ambientale ed economico. Il problema della regolazione del corso del fiume onde evitarne le subitanee e rovinose piene rappresentava una questione nevralgica (capitale era il mantenimento degli argini specie nella piana a sud di Verona, dove il letto del fiume tendeva col tempo ad alzarsi rispetto alla campagna circostante). Ma vi era poi il tessuto degli interessi economici, politici e tecnici condizionato dalle misure per imbrigliare l'Adige. Esperti e uomini di cultura, politici ed eruditi offrirono pareri e suggerirono interventi. A questo fervore tuttavia si contrapponevano i complessi interessi particolari contro i quali era arduo combattere perché implicavano non risorse tecniche o scientifiche ma autorità e sapienza dei governanti, alcuni dei quali erano al tempo stesso proprietari di terreni o mulini lungo il fiume. Fino ai primi decenni del Seicento il controllo del fiume spettava per la parte in città ai procuratori del Comune; per il territorio all'ufficio dei giudici dei Dugali, che sorvegliavano anche tutta la rete fluviale della provincia. Il 31 ag. 1622 era stato istituito l'ufficio per la Custodia dell'Adige, chiamato poi Collegio all'Adige, che di fatto soppiantò i Dugali. Esso rispondeva alla più importante magistratura veronese, il Consiglio dei dodici e cinquanta, e si occupava della manutenzione degli argini. Il suo braccio operativo era costituito dagli ingegneri - uno o due a seconda delle necessità contingenti - che dovevano effettuare ricognizioni del territorio e disporre gli interventi affidati a cinque soprastanti, cui spettava far effettuare le opere da squadre di operai utilizzando i materiali disseminati in appositi cantieri lungo il corso dell'Adige. Agli ingegneri competeva anche la visita annuale di tutte le rive dell'Adige, la segnalazione dei pericoli e dei rimedi, e i sopralluoghi insieme agli ufficiali del Collegio. Quanto a Venezia, solo nel 1677 fu creata una apposita magistratura politica e tecnica, i provveditori sopra la Regolazione delle acque dell'Adige, che assunse le competenze fino a quel momento distribuite tra altri magistrati, e che si sarebbe occupata di questo fiume e dell'elaborazione di moderne dottrine sui fiumi nel corso del medesimo secolo e di quello successivo, apportando un indubbio beneficio alla puntualità e precisione degli interventi, sul corso d'acqua, sul territorio circostante e sull'intero bacino. Nello stesso anno vedeva la luce una relazione di tre patrizi veronesi al neonato magistrato, nella quale si sosteneva che l'alveo tendeva ad alzarsi fino a rendere il fiume pensile rispetto alla campagna circostante, e si individuava il disboscamento quale causa del fenomeno; ma non si tacevano le responsabilità quanto al disordine dell'alveo, nonché le pesanti responsabilità umane per gli abusi insediativi e la costruzione di "arzerini" per uso privato, accompagnati da "iragionevoli opposizioni" di molti proprietari, tra cui alcuni assai influenti nella vita cittadina.
Su questa realtà venne a operare il F., che fu eletto la prima volta ingegnere dell'Adige il 6 sett. 1631 dal Consiglio dei dodici e cinquanta con un salario di 100 ducati annui. Fu in seguito rieletto ogni anno, dal 1633 al 1641, di nuovo il 28 dic. 1649 e il 22 dic. 1654. Nell'atto di quest'ultima elezione furono stabiliti, come un decalogo, i doveri e le competenze, tra cui la durata della carica fissata in tre anni, il salario, che era stato portato a 300 ducati, la gratuità dell'alloggio (casa di "bando") oppure in alternativa 15 ducati all'anno in più. Il 17 dic. 1658 in una "fede" scritta, il F. si qualifica ancora "ingegnero sopra la ripartitione delli Argini dell'Adice". Pur dipendendo amministrativamente dall'organo cittadino, il F. era a disposizione delle magistrature veneziane che ne avessero chiesto le prestazioni: si trattava prevalentemente di controlli su eventuali abusi compiuti da privati lungo gli argini e di verifiche sulle proprietà e le affittanze, oltre che della inventariazione di ponti e passi presenti nell'area fluviale. Per questo il F. percorreva a cavallo per diversi giorni in lungo e in largo gli argini e il territorio di sua competenza e redigeva poi rapporti e stime. Nove anni dopo il suo ingresso nel ruolo tecnico, il F. scrisse un trattatello intitolato Discorso sopra il fiume Adice, una descrizione tra le più compiute, attente e particolareggiate del suo genere, che illustra una altrettanto accurata e fine mappa del fiume da Verona al Castagnaro, con gli affluenti, i diversivi, i canali e con la pianta delle terre poste lungo le rive.
L'esemplare autografo - sostengono Da Re e Sgulmero - è conservato nella biblioteca della nobile famiglia Campostrini, coperto in pergamena, all'inizio del quale campeggia la dedica alle illustri famiglie veronesi Dalla Torre, Sagramoso, Malaspina Verità, Pompei e Sambonifacio che in quel 1640 ricoprivano le cariche di provveditori della città di Verona, e di provveditori sopra il Collegio delle acque. Ogni pagina è contornata da una linea nera in inchiostro; alcune iniziali sono a colori; gli spazi bianchi fra un capitolo e l'altro sono pieni di fregi e ghirigori. Dopo il capitolo in cui sono enumerati gli argini della pertinenza di Porcile, l'autore disegnò con porpora la veduta di una rotta con villaggi sommersi e crollanti: forse una delle tante rotte della valle Zerpana che distrussero a poco a poco i due paesi di Biondo e di Zerpa. Infine una tavola del fiume a colori alta m 0,20 e lunga m 1,40, di mano dell'autore.
Dopo essersi stabilito definitivamente a Verona, il F. vi mise su famiglia, sposando una Apollonia con la quale ebbe almeno due figlie.
Il F. morì a Verona il 16 nov. 1659, nella sua casa in contrada S. Paolo.
Fonti e Bibl.: La principale fonte sul F. è Sul fiume Adige. Discorso di Pompeo Frassinelli romano (1640), a cura di G. Da Re - P. Sgulmero, in Archivio veneto, t. XXX (1885), pt. I, pp. 97-139. I curatori si sono serviti dell'esemplare autografo allora nella biblioteca privata Campostrini e danno conto in nota delle varianti portate da una copia redatta agli inizi del XVIII secolo conservata nell'Arch. comunale di Verona. Un altro esemplare è conservato a Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. it., Cl. VII 124 (=5601): P. Frassinelli, Discorso sopra il fiume Adige, con in appendice disegno a penna acquarellato del corso del fiume. Il codice, del secolo XVII, era appartenuto alla biblioteca del convento degli Scalzi, e pervenne alla Bibl. Marciana nel 1811. Inoltre: Arch. di Stato di Venezia, Provveditori alle Rason vecchie, b. 392, fasc. 10, cc. 68-70 (relazione allegata a perizia del F.); C. Paoli, Avviso bibliografico, in Arch. stor. italiano, s. 4, XVII (1886), pp. 306 s.; L. Puppi, Archeologia di un'immagine, in Una città e il suo fiume. Verona e l'Adige, a cura di G. Borelli, Verona 1977, I, p. 361; G. Sancassani, La legislazione statuale del periodo veneto (secoli XV-XVIII), ibid., p. 462; G.P. Marchi, Adige eterno poeta, ibid., II, pp. 702, 737; U. Perbellini, Una mappa di San Pietro Incariano disegnata da P. F., in Annuario stor. della Valpolicella, 1983-84, pp. 151-156.