GABRIELLI, Pompeo
Nacque a Roma il 22 ag. 1780 da Pietro, principe di Prossedi, e da Camilla Riario Sforza.
Fiorita a Roma a partire dal XIV secolo, la famiglia Gabrielli, con una accorta strategia matrimoniale, aveva gradualmente modificato le proprie radici mercantili e borghesi accedendo al patriziato e raggiungendo alfine nel 1762, con l'acquisto di due marchesati e di un feudo, il titolo principesco. L'avevano inoltre resa illustre le molte funzioni burocratiche rivestite dai suoi membri in Curia e i cardinali dati alla Chiesa, ultimo in ordine di tempo Giulio che, promosso nel 1801, sarebbe stato anche segretario di Stato con Pio VII. Messa alla prova dalla crisi di fine '700, la devozione della famiglia alle istituzioni ecclesiastiche e al Papato non era mai venuta meno, neanche quando il 10 febbr. 1798 Pietro aveva dovuto firmare, insieme con il principe V. Giustiniani, la resa di Roma ai Francesi.
Secondo maschio della famiglia, dopo aver compiuto gli studi nel collegio Tolomei di Siena, il G. entrò nella guardia nobile pontificia con funzioni di rappresentanza. Passato poi a prestare servizio in un reggimento di cavalleria, il G. fu tra quanti opposero un rifiuto così netto ai Francesi, che avevano occupato lo Stato della Chiesa e preteso di legare al nuovo ordine i maggiori esponenti dell'aristocrazia romana, da indurre il generale S.-A.-F. Miollis a decretarne l'arresto (8 marzo 1808). La breve carcerazione a Castel Sant'Angelo e poi a Mentana gli procurò la qualifica, da parte della segreteria di Stato, di "martire della fedeltà e dell'onore", ma allo stesso tempo lo persuase ad accettare di arruolarsi come caposquadrone nella guardia imperiale; prese così parte ad alcune campagne napoleoniche e il 16-18 ott. 1813 combatté con la cavalleria a Lipsia, riportando una ferita a un ginocchio e restando prigioniero dei Russi: liberato al termine della convalescenza (ma senza mai recuperare l'uso completo della gamba), tornò a Roma e, con la Restaurazione, entrò col grado di capitano nel ricostituendo esercito pontificio.
Il tirocinio nell'armata francese aveva fatto del G. un esperto delle truppe a cavallo, e fu appunto alla cavalleria che il G. mise mano compilandone i regolamenti (Regolamento concernente il servizio interno, la polizia e la disciplina della truppa pontificia a cavallo, Roma 1817; Ristretto dell'istruzione teorica sopra l'esercizio e la manovra della truppa a cavallo, ibid. 1830; Istruzione cristiana ad uso degl'individui del reggimento de' dragoni pontificii, ibid. 1830). La sua carriera ne fu favorita, perché nel dicembre 1816 era tenente colonnello e nel dicembre 1818 chiedeva l'avanzamento al grado successivo; ma alla struttura da lui messa in piedi furono conferiti compiti più polizieschi che militari: il G. li accettò di buon grado per i vantaggi che se ne riprometteva, ma dovette anche sopportare il difficile impiego nelle Legazioni nel momento della grande diffusione della cospirazione carbonara.
Il 4 sett. 1824, come colonnello, chiedeva di essere richiamato a Roma, ma nel 1825-26, al tempo della commissione Rivarola e dei suoi processi, era di nuovo a Ravenna a guidare, col rango di comandante in capo di tutte le forze militari delle Legazioni, la repressione, senza però dar prova di una particolare durezza.
I documenti dell'Archivio segreto Vaticano forniscono, oltre agli elementi appena citati, altre notizie sulle vicende professionali del G., attestando che egli nel luglio 1826 domandava la nomina a colonnello effettivo dei dragoni e, tre anni dopo, la cooptazione nel Consiglio economico militare. Nel febbraio 1831, scoppiata la rivolta delle Legazioni, era ancora sul posto e lamentava il peso eccessivo del servizio. Chiaramente ambiva ad altri compiti, e Gregorio XVI lo accontentò incaricandolo, tra il 1831 e il 1832, di trattare con gli inviati imperiali gli aspetti economici e logistici della presenza degli Austriaci nella regione.
Il 18 giugno 1832 il G. era su sua richiesta esonerato dal comando del reggimento dragoni e ammesso quindi, col titolo onorario di generale di brigata, nel Consiglio d'amministrazione militare. Come segnalava nel gennaio 1838 alla segreteria di Stato, riuscendogli insostenibile la vita di guarnigione aspirava a esercitare funzioni dirigenziali nell'ambito dello stato maggiore. Non si poteva non tenerne conto: il 16 nov. 1841 fu promosso generale di brigata effettivo e subito dopo posto al comando della Civica romana, ma fu con Pio IX che la carriera del G. subì un'accelerazione quando, istituita il 12 apr. 1847 la commissione incaricata di "provvedere allo splendore dell'amministrazione militare" (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Rubricelle, 1847, prot. n. 69220), egli fu chiamato, coi principi F. Barberini e G. Rospigliosi, a farne parte. Poco più di tre mesi dopo arrivava per lui la designazione a ispettore generale delle armi. Elemento di provata affidabilità, il G. incarnava ora, anche come esponente dell'aristocrazia, il tipo di laico a cui Pio IX cominciava a pensare per svecchiare lo Stato e al contempo per dare una risposta all'annosa domanda di secolarizzazione delle cariche. L'attaccamento alle istituzioni, la devozione al Papato e la moderazione furono perciò i requisiti ai quali il G., il 13 genn. 1848, dovette la chiamata al ministero delle Armi, rimasto vacante dopo il passaggio del precedente titolare ai Lavori pubblici. Riconfermato pochi giorni dopo all'atto del conferimento della presidenza del Consiglio al card. G. Bofondi, il G. sarebbe rimasto in carica fino al 10 marzo 1848.
"Primo laico che sedesse nei consigli del Papa, e perciò gradito abbastanza, sebbene non fosse reputato uomo di liberali opinioni" (Farini, I, p. 329), il G., che a settembre dell'anno prima aveva respinto la nomina a pro-presidente delle Armi "non essendo contento delle attribuzioni che gli si assegnavano" (Roncalli, p. 277), non parve entusiasta dell'incarico, e col suo atteggiamento assai poco sollecito sul problema delle forniture d'armi all'esercito e alla Civica sembrò dare ragione a quanti, incuranti del suo passato di ufficiale napoleonico, avevano giudicato troppo timida la politica appena inaugurata dal papa.
Il G. trovò ancora posto nell'Alto Consiglio; poi, con la nascita della Repubblica Romana, si fece da parte ritirandosi a Frascati: indisponibile ai compromessi, avvertiva anche il disagio della politica, compresa quella del ristabilito potere temporale, cui non collaborò se non accettando nell'autunno del 1849 di tornare per breve tempo a reggere di malavoglia il ministero delle Armi.
Sui suoi orientamenti faceva luce un inviato francese, che lo definiva "naturellement partisan du régime grégorien… d'un caractère dur et hautaine… fort peu aimé", ma poneva anche l'accento sulla sua età e sulla sua "incapacité politique" (Duff - Degros, p. 109). Sicché, dopo avere espletato il compito di organizzazione della vigilanza delle strade in occasione del ritorno a Roma di Pio IX, da lui salutato al rientro nei confini e scortato fino alla capitale, e dopo essere stato inserito il 25 genn. 1851 nella componente nobiliare del ricostituito Senato romano, il G. si appartò nuovamente, dedicandosi a quelle opere di beneficenza che già nel 1840-41 lo avevano visto impegnato a stendere i bilanci di una Società in soccorso pei poveri orfani pel colera.
Tra il 1859 e il 1860 affidò a un notaio il proprio testamento in cui, oltre a disporre lasciti e rendite per suore, religiosi e poveri, nominava erede universale il nipote Placido, che nel frattempo si era venuto segnalando come uomo di punta della tendenza filoitaliana della nobiltà romana e con la cui morte, nel 1901, la famiglia si sarebbe estinta.
Il G. morì a Roma il 28 marzo 1861.
Fonti e Bibl.: L'archivio della famiglia Gabrielli, passato nel 1907 ai Gallo di Roccagiovine, è conservato a Prossedi (Latina). Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Rubricelle 1817-57 (v. gli indici alfabetici di ogni anno); queste consentono, insieme con un'istanza presentata nel 1844 (Ibid., Arch. Pio IX. Oggetti varii, n. 238), di ricostruire le varie tappe della carriera militare del Gabrielli. Pochi altri dati si ricavano dalle fonti coeve tra le quali si vedano: L.C. Farini, Lo Stato romano dal 1815 al 1850, Firenze 1853, I, p. 329; G. Spada, Storia della rivoluz. di Roma…, Firenze 1869-70, II, pp. 23, 330; G. Moroni, Diz. d'erudiz. stor.-eccl. (per la consultaz. cfr. gli Indici, II, ad nomen); P. Uccellini, Mem. di un vecchio carbonaro ravegnate, Roma 1898, p. 173; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa…, Roma 1907, I, pp. 2, 38, 55; Gli ufficiali del periodo napoleonico (1796-1815) nati nello Stato pontificio, Milano-Roma-Napoli 1914, pp. 51 s.; La rivoluz. del 1831 nella Cronaca di F. Rangone, a cura di G. Natali, Roma 1935, I, p. 225; A.-B. Duff - M. Degros, Rome et les États Pontificaux sous l'occupation étrangère: lettres du colonel Callier…, Paris 1950, pp. 108 s.; D. Silvagni, La corte e la società romana…, Roma 1971, III, p. 48; N. Roncalli, Cronaca di Roma, a cura di M.T. Trebiliani, Roma 1972, I, ad indicem. Prevalente negli storici l'interesse per il G. ministro delle Armi: qualche inquadramento in C. Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, III, pp. 595 s., 607, 636; G. Friz, Burocrati e soldati dello Stato pontificio (1800-1870), Roma 1974, ad indicem; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento, Bologna 1985, pp. 32, 145, 279; F. Mazzonis, L. Pianciani. Frammenti, ipotesi e documenti, Roma 1992, pp. 48 s. Una biografia in Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce. Importante, anche per la storia della famiglia, P. Pecchiai, Famiglie romane estinte. I Gabrielli principi di Prossedi, in Archivi. Archivi d'Italia e rassegna internaz. degli archivi, s. 2, XXVIII (1961), pp. 64, 67, 73 s., 87.