GIUSTINIANI, Pompeo
Nacque ad Ajaccio nel 1569, da Francesco, del ramo Arangi della famiglia genovese, colonnello di fanteria al servizio di Venezia, e da madre corsa.
Orfano del padre a quattro anni, ne seguì le orme diventando, già nel 1583, alfiere di una compagnia di cavalleria corsa. Ancora diciottenne, nel 1587, si trasferì nelle Fiandre per combattere gli Olandesi, diventando poi capitano nell'esercito di Alessandro Farnese. Tornò in patria dopo dieci anni come "commissario" del governo genovese, ma nel 1601 passò al servizio di Ambrogio Spinola con il grado di sergente maggiore del suo personale tercio di fanteria, e con lui nel 1602 partì nuovamente alla volta dei Paesi Bassi. Quando lo Spinola, nell'ottobre 1603, assunse il comando delle truppe che assediavano Ostenda, il G. gli subentrò nella guida del tercio, venendo quindi promosso maestro di campo, ossia colonnello.
Secondo storici contemporanei sarebbe stato proprio il G., insieme con un altro ufficiale, Giacomo Franceschi, a persuadere il dubbioso Spinola a continuare il dispendioso e sanguinoso assedio di Ostenda, convincendolo che la città era più vulnerabile di quanto si credeva e che esitare avrebbe permesso a Maurizio di Nassau di soccorrerla e che la gloria derivante dalla riuscita dell'impresa lo avrebbe compensato di qualsiasi fatica. Anche se nelle sue memorie il G. non citò l'episodio, esso testimonia comunque la sua reputazione militare.
Dopo aver combattuto a lungo nelle trincee sotto Ostenda, nella primavera del 1604 il G., su ordine dello Spinola, andò a misurarsi personalmente con il Nassau. Riuscì ad impedirne un primo sbarco presso Sluis, ma non un secondo in forze che portò all'assedio e presa olandese di quel porto - che egli non poté soccorrere - e della città di Damme, senza però che ciò influisse sulle operazioni ad Ostenda, ormai sul punto di arrendersi. Poco prima della resa della città agli Spagnoli, il 22 settembre, il G., che era già stato ferito a un piede, ebbe il braccio destro dilaniato da un proiettile. Amputato l'arto, riprese rapidamente il proprio posto, adottando una caratteristica protesi metallica che gli valse il soprannome di "braccio di ferro", con il quale divenne noto tra amici e nemici. Nell'ottobre 1605 ottenne la resa di Wachtendonck, cui fece seguito la caduta di altre posizioni olandesi. L'anno successivo lo Spinola affidò a lui il compito di forzare il Reno tra Schenkenschanz e Nimega. Dopo un'attenta ricognizione, però, il G. non tentò l'impresa, giudicandola incompatibile con le condizioni naturali e i mezzi a sua disposizione. Seguì comunque Spinola nella campagna entro le Province Unite, finché l'avvio dei negoziati per la "tregua decennale" del 9 apr. 1609 non congelò la situazione militare.
Il rallentamento e la cessazione delle operazioni belliche dettero al G. tempo e modo per scrivere un libro sugli ultimi anni della guerra, con il racconto dettagliato dell'assedio di Ostenda, allora considerato uno dei grandi eventi della storia militare. Nacque così il Delle guerre di Fiandra, pubblicato in italiano ad Anversa nel 1609 grazie all'aiuto dell'ingegnere militare aretino Giuseppe Gamurini, che scrisse sotto dettatura del G., aggiungendo 29 pregevoli tavole raffiguranti i principali episodi del conflitto e, in scala, le macchine da guerra impiegate, le fortificazioni e i movimenti degli eserciti.
Dedicato allo Spinola, il libro era in effetti imperniato tutto sulla sua figura e sulla minuta cronaca del conflitto, dal 5 luglio 1601 al 5 ott. 1609. Il punto di vista adottato nella narrazione, naturalmente, era quello della parte spagnola e cattolica, esposto però con l'aderenza alla realtà e la lontananza dalla retorica di chi aveva partecipato ai combattimenti e non poteva negare che i nemici avessero le loro ragioni e un comandante di grande levatura, quale il Nassau. Tant'è che alla fine il G. lodò la capacità dello Spinola di accordarsi con il generale olandese per trattare la pace dopo ben 42 anni di guerra ininterrotta, beneficando così le popolazioni dei Paesi Bassi e le finanze reali, appesantite dai "milioni di spesa annui" per la guerra. Il libro riportava per intero anche gli articoli della tregua del 1609. Apprezzato proprio per la sua affidabilità, precisione e concisione, esso fu ristampato a Venezia, nel 1610 e 1612, senza i disegni ma con pratiche postille marginali; poi - tradotto in latino ancora dal Gamurini - a Colonia nel 1611 (come Bellum Belgicum) e a Milano nel 1615; lo citarono tutti gli storici delle guerre di Fiandra e dello Spinola.
L'entrata in vigore della tregua con gli Olandesi portò al G. nel 1611 la nomina a governatore della provincia di Frisia (titolo onorifico, essendo la Frisia stabilmente in possesso delle Province Unite) e a membro del Consiglio di guerra di Filippo III. Di fatto, però, non ebbe avanzamenti di grado e finì coinvolto in imprese non certo gloriose, come la repressione di un ammutinamento nel corso del quale, per dare un esempio, fece garrotare 12 suoi soldati. Convintosi di non essere adeguatamente sostenuto alla corte di Madrid, nel 1613 decise di passare al servizio di Venezia, ottenendo dalla Repubblica uno stipendio di 3000 ducati annui più la garanzia di un grado adeguato anche per i giovani figli Francesco e Raffaele (che avevano combattuto con lui nelle Fiandre) e cinque ufficiali corsi di sua fiducia. Il doge, Antonio Memmo, non si fidava troppo di un condottiero che aveva militato per tanto tempo sotto la Spagna; voleva però un soldato reputato e atto ad assumere il governatorato di Creta. Tale era il G., che nel marzo 1614 ricevette appunto questa carica con il generalato di tutte le truppe dell'isola. Tuttavia la morte improvvisa del comandante delle truppe di terra della Serenissima e l'evoluzione negativa dei rapporti con l'Austria, per la questione degli Uscocchi, persuasero il Senato veneto a non farlo partire e a dargli invece, in agosto, il grado di maestro di campo generale della fanteria e delle piazzeforti veneziane, mantenendolo però sottoposto al controllo del provveditore Marco Barbarigo e dello stesso Senato. Questo tuttavia, come il G. confidò più volte ai suoi ufficiali, ebbe la conseguenza di rendere lenta e difficoltosa l'unità di comando necessaria in un conflitto.
Nel dicembre 1615 egli diede inizio alla guerra di Gradisca, uscendo improvvisamente da Palmanova con 10.000 soldati; occupate di sorpresa il 19 dicembre Cormons, Cervignano e Aquileia, arrivò fino all'Isonzo. Il suo ambizioso obiettivo era prendere rapidamente Gradisca, per investire poi Gorizia e cacciare in tre mesi i soldati dell'arciduca Ferdinando d'Austria da quella contea, dall'Istria e dal Carso. Ma l'avanzata del suo esercito rallentò presto e nel marzo 1616 l'avvio di alcune trattative di pace la fermò del tutto dopo un mese di stretto assedio a Gradisca. Predisposte difese adeguate, gli Austriaci lo obbligarono a una guerra di posizione, che causò la morte di alcuni tra i suoi più validi ufficiali, tra i quali Daniele Antonini, un corrispondente di Galileo, e respinsero per mesi i suoi assalti. Il 10 ottobre, mentre guidava una ricognizione sull'Isonzo presso San Martino, seguita all'occupazione veneziana di Caporetto, il G. venne ferito al fianco da un colpo di moschetto.
Trasportato a Lucinico, vi morì l'11 ott. 1616, dopo una breve agonia.
Ebbe esequie solenni a Venezia, a spese della Repubblica, che concesse una pensione e una casa alla vedova Gerolama Negroni, mantenne al proprio servizio i suoi figli a Creta e gli eresse un grandioso sepolcro nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, con una statua lignea equestre opera di Francesco Terilli, posta tra i monumenti di Marcantonio Bragadin e Orazio Baglioni.
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