MARCHESI, Pompeo
Figlio di Gerolamo, marmoraro, e di Caterina Tamburini, nacque a Saltrio (presso Varese) il 7 ag. 1783 (Sassi, p. 9).
Dopo una prima formazione alla milanese Accademia di Brera con lo scultore G. Franchi, alla fine del 1804 il M. vinse la prima borsa di studio offerta dall'istituzione braidense riformata dal segretario G. Bossi. Poté quindi perfezionarsi, sotto la guida di A. Canova (Musiari - Di Raddo - Cioccolo, 2003, p. 18), a Roma dove realizzò, come saggi di pensionato, il bassorilievo in gesso, Socrate che esorta Alcibiade ad uscire da una casa di cortigiane (1807) e l'erma in marmo di Leonardo da Vinci (1808), entrambi a Milano, Galleria d'arte moderna. L'erma, sebbene elogiata da Canova, riscosse alcune critiche negative dai professori braidensi per "i tratti del volto troppo giovanili" (Sassi, p. 82, docc. 16 s.).
Rientrato a Milano nel 1810, il M. diede avvio alla lunga attività per il cantiere del duomo, diretto dall'architetto C. Amati, con le statue di S. Filippo, S. Ezechiele e il compimento del S. Tommaso (iniziato da B. Ribossi). L'incarico segnò l'esordio di una carriera straordinariamente intensa. Il M. eseguirà in tutto una cinquantina di sculture, fra cui il grande S. Ambrogio della controfacciata nel 1832, S. Canuto Re e S. Caterina da Siena nel 1858 (ibid., p. 97).
Al concorso accademico del 1811 si distinse vincendo il primo premio di scultura con il gruppo in terracotta, realizzato a Roma, Il torso del Belvedere restaurato ed aggruppato con altra figura (Milano, Galleria d'arte moderna).
Dal 1813, il M. fu impegnato in una delle commissioni più importanti del periodo napoleonico, la decorazione dell'arco del Sempione, diretta da L. Cagnola, per la quale scolpì due Vittorie alate (1814) su disegno di C. Pacetti, e le colossali statue dei fiumi Tagliamento e Adige.
Con la Restaurazione, il M. cominciò ad acquisire un notevole credito e divenne in breve uno dei maggiori interpreti della corte asburgica, come testimonia la successiva assegnazione dei rilievi del registro centrale dell'arco - L'occupazione di Lione, La vittoria di Lipsia (1830), Il passaggio del Reno e La fondazione del Regno Lombardo-Veneto (1833) - ribattezzato della Pace e divenuto il simbolo di segno opposto del ripristinato assetto europeo.
Nel 1816 ebbe inizio la collaborazione del M. all'apparato plastico del duomo di Como, dove scolpì le statue della Vergine, di Gesù e degli Apostoli e in seguito il bassorilievo del Transito di s. Giuseppe e la statua di S. Giuseppe con Gesù adolescente (1832). Nel 1818 partecipò alla realizzazione del Cenotafio di Giuseppe Bossi, (Milano, Biblioteca Ambrosiana) progettato da P. Palagi, con il bassorilievo dell'Amicizia piangente che, posto al di sotto del Busto di Bossi di Canova, rappresenta oltre che un tributo al maestro, nella ripresa dei moduli canoviani, un'occasione per affermare una linea di continuità estetica. Tuttavia l'anno seguente il M. si trovò a interpretare le istanze romantiche lombarde, in antitesi al classicismo romano, nel progetto di un Monumento ad Andrea Appiani (Milano, Brera), poi assegnato a B. Thorvaldsen.
Nel 1819 un gruppo di sottoscrittori aveva invitato il M. a eternare il ricordo del pittore milanese, che doveva apparire seduto, avvolto da un grande mantello, con in mano uno stilo e un graffito con le Tre Grazie, simbolo del genio gentile di Appiani (Mazzocca, 1989, pp. 113-124, e 1998, pp. 634-640;). Dalle colonne del Conciliatore, il partito dei romantici milanesi salutò la proposta del M. come l'evoluzione della scultura verso una concezione più naturalistica, il "bello visibile" promosso da E. Visconti (Musiari - Di Raddo - Cioccolo, 2003, p. 57). Ne seguì un vivace dibattito circa l'opportunità di effigiare l'artista in abiti moderni, piuttosto che evocarlo in forme allegoriche, secondo i paradigmi della statuaria classicista. Dissolto per ragioni politiche il gruppo dei sostenitori (fra questi Carlo Porta, al quale il M. dedicò un'erma nel 1822 per il palazzo di Brera), il M. dovette cedere al desiderio di coloro, fra i quali G.B. Sommariva, che intendevano assicurare a Milano un'opera dell'ormai celebre Thorvaldsen, che realizzò una stele con le Grazie e un tondo con il profilo di Appiani.
Il mancato incarico dovette segnare il M., che da allora mantenne la propria arte in costante equilibrio fra le regole del bello accademico e le esigenze di una definizione aderente del personaggio. Si dimostrò, comunque, versatile nell'assolvere le richieste di un pubblico sempre più largo, che seguiva con attenzione la realizzazione dei nuovi lavori, anche grazie alla costante partecipazione del M. all'Esposizione annuale di Brera. La volontà di autoaffermazione portò il M. a organizzare il proprio studio, situato nel salone dei giardini pubblici, secondo una visione moderna e imprenditoriale, concentrandovi un numero elevatissimo di commissioni pubbliche e private, alle quali attese con l'aiuto di collaboratori, specializzati nei partiti architettonici e nei basamenti (l'architetto A. Rinaldi), negli ornati (F. Durelli) e nelle invenzioni floreali (G. Buzzi Leone), che conferirono un tocco di originalità alle reiterate serie di monumenti e ritratti.
Nel 1820 Cagnola commissionò al M. i Telamoni della loggia della sua villa di Inverigo e lo segnalò per il rilievo con la Deposizione di Cristo (1826) per il battistero del santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno. La piena consacrazione della sua attività, a partire dalla seconda metà degli anni Venti, è testimoniata da una serie di incarichi prestigiosi come il Monumento a Carlo Della Bianca del 1825 (Milano, Galleria d'arte moderna), dove l'immagine dell'Amicizia dolente al cospetto dell'erma del protagonista segna la predilezione del M. per questo tipo di iconografia (Monumento Strassoldo, 1831, Milano, S. Maria della Passione; Monumento di Luigi Rossi, 1835 circa, Milano, Galleria d'arte moderna). Inoltre, la statua della cosiddetta Venere pudica (1826) per il duca P. Litta Visconti Arese, ora alla Galleria d'arte moderna di Milano, che riscosse grande successo all'Esposizione di Brera del 1826, e il Monumento di G.B. Sommariva (1827-29) nella villa Carlotta di Tremezzo, in cui a poche figure togate è affidata l'esaltazione del ruolo storico di Sommariva, presidente del governo provvisorio della Repubblica Cisalpina e sensibile mecenate degli artisti.
Ancora nel 1827 realizzò il gruppo colossale della Pietà di s. Giovanni di Dio per l'ospedale Fatebenefratelli di Milano; mentre intorno al 1829 intensificò la sua attività sul genere del busto-ritratto, in cui si coniugavano solennità e fedeltà fisiognomica del personaggio: il Cesare Beccaria (1828, collezione privata) commissionato dal nipote Giacomo ed esposto a Brera nel 1829; il soprano Giuditta Pasta come Semiramide (1829), raffigurata nel ruolo in cui aveva appena trionfato nell'omonima opera rossiniana; il Vincenzo Monti (1829) richiesto dalla Società dei filodrammatici, replicato più volte e donato anche all'imperatore (Vienna, Kunsthistorisches Museum).
A quella fase appartengono anche numerosi lavori eseguiti per la contessa Giulia Samojlova, che lo introdusse a una dimensione cosmopolita, fra i quali la statua sedente della Nobildonna in contemplazione (1830-33), in cui l'aristocratica è assimilata a una musa con la cetra in mano (Musiari - Di Raddo - Cioccolo, 2003, p. 73); il Busto del maestro Giovanni Pacini (1831); la figlia di questo come protagonista del gruppo dell'Innocenza che accarezza la Fedeltà (1830-31); il gesso Il genio della caccia (Milano, Galleria d'arte moderna); e il Busto di Antonio Canova (1831-33: Saltrio, comune).
Nel 1826 il M. era succeduto a Pacetti nell'insegnamento di scultura a Brera, in qualità di supplente (e divenne titolare nel 1838) incarico che lasciò in secondo piano, facendosi sostituire spesso da B. Cacciatori. Sempre al 1826 risalgono i contatti con il banchiere Heinrich Mylius, del quale eseguì un busto, cui seguirono le effigi del figlio Giulio, morto improvvisamente nel 1830, che il M. eternò in un altro busto (entrambi nella villa Vigoni di Loveno di Menaggio), pendant di quello paterno, e nel Monumento sepolcrale (1832) nella stessa villa, in cui il giovane, secondo l'iconografia del letto di morte, si congeda con gesto solenne dalla moglie e dai genitori, in un ambiente e con paludamenti all'antica.
La presenza del M. alle mostre annuali di Brera del 1831 e 1832 risulta molto intensa. Nella prima, fra le diciannove opere, presentò la Maddalena per il duca Litta (gesso a Milano, Galleria d'arte moderna; marmo, a Cambridge, Fitzwilliam Museum), considerata il pendant sacro della Venere pudica (Vertova, pp. 702-711) alla quale il librettista e amico Felice Romani (di cui eseguì il busto panneggiato nel 1840: Milano, Museo teatrale della Scala), dedicò un carme (Regli, p. 18). Nella seconda rassegna, fra le numerose opere eseguite nell'anno, si ricordano le grandi statue dell'Equità e Concordia, per i caselli daziari di porta Venezia, la Flora (Como, Musei civici) e il busto dell'oratore Giuseppe Barbieri (Bassano del Grappa, Musei civici).
Nel 1834 partecipò alla realizzazione del Cenotafio di Giuseppe Longhi (Milano, Brera), l'incisore che aveva difeso le ragioni della classicità all'epoca del Monumento Appiani, con una stele con il profilo dell'artista e con un busto, per la medesima sede, che rinvia ai modelli della ritrattistica romana, così come ebbe modo di ribadire la sua posizione di compromesso nella querelle fra classici e moderni circa il vestiario nella scultura, nel grande Monumento a Cesare Beccaria (1834-37), destinato anch'esso al palazzo di Brera, optando per una figura seduta, dal gesto declamatorio, come un filosofo greco, e abbigliata con una moderna veste da studio, assimilabile tuttavia a un'antica tunica (Musiari, 1995, p. 19).
Nel 1834 lo studio del M. andò distrutto in seguito a un incendio e i cittadini milanesi gli dimostrarono la loro riconoscenza organizzando una pubblica sottoscrizione per l'apertura di un nuovo studio in via S. Primo. Suddiviso in tre parti - abitazione, sala dei gessi e salone espositivo -, lo studio si tradusse nel suo "teatro sociale" (Valli, 1995, p. 47).
Sempre al 1834 risale la commissione da parte dell'imperatore Francesco I del gruppo della Buona Madre del Venerdì Santo (gesso: Rho, santuario dei padri oblati), da donare alla città di Milano come ex voto per lo scongiurato pericolo di un'epidemia di colera. Destinata, su richiesta del M., alla chiesa di S. Carlo al Corso, allora in ristrutturazione a opera di C. Amati (del quale il M. aveva eseguito un'erma nel 1827: Milano, Galleria d'arte moderna), l'articolata composizione di nove figure fu collocata solo nel 1846, segnando l'apice del filone religioso, per il pathos nell'adorazione del corpo di Cristo. La complementarietà fra l'opera marchesiana e gli spazi elaborati da Amati in S. Carlo, comportò la realizzazione, dopo il 1847, di numerose statue di Apostoli, Profeti, Cristo fra i dottori un grande Crocifisso ligneo e venticinque Santi ambrosiani, fra cui il S. Carlo e il S. Ambrogio dell'altare maggiore; mentre il gruppo di S. Carlo Borromeo che comunica s. Luigi Gonzaga era stato donato dal M. nel 1843. Nel 1963 il gruppo della Buona Madre fu rimosso; le parti superstiti si trovano nella rocca Brivio di San Giuliano Milanese (Musiari - Di Raddo - Cioccolo, 2003, p. 185).
Alla fine del quarto decennio dell'Ottocento, il M. appare sempre più impegnato in grandi opere di arredo urbano, come la statua di Alessandro Volta (1838), nell'omonima piazza di Como, dove un'ampia toga conferisce un'antica dignità allo scienziato vestito modernamente, così come nel Monumento a Goethe (1837-40: Francoforte, Stadtbibliothek), dove il M. ripropone la tipologia del filosofo greco seduto, adottata nel Beccaria, per esaltare la dimensione intellettuale del personaggio. Diversamente, nell'esecuzione dei due monumenti di Francesco I in bronzo, di Graz (1835-41) e di Vienna (1838-46), il M. poté esercitare la sua tendenza alla magniloquenza. Nominato imperial regio statuario di corte nel 1838, grazie agli uffici di F. von Hartig, governatore della Lombardia, il M. ottenne direttamente dall'imperatore Ferdinando I l'incarico del monumento per la Hofburg di Vienna, che concepì come un'immagine nel contempo divina e paternalista in cui il sovrano defunto, panneggiato all'antica, è circondato da una schiera di figure allegoriche, fra cui Religione e Giustizia, i Regni naturali, le Scienze, l'Arte e l'Industria.
Più sensibili allo spirito romantico risultano invece il Monumento a Carlo Emanuele III (1837: Novara, piazza Puccini) e l'Emanuele Filiberto alla battaglia di San Quintino (1842: Torino, duomo) in cui optò per l'abito dell'epoca, a evidenza del peso storico dei personaggi.
Il M. ebbe un rapporto privilegiato con la musica e il teatro, e immortalò nel marmo alcuni dei protagonisti di quel mondo nel Busto dello scenografo Giovanni Perego (Milano, Museo teatrale della Scala), nel Busto del tenore Giovanni Battista Rubini (1838: Bergamo, Biblioteca A. Mai) e nel Monumento a Maria Malibran, diva rossiniana, per il ridotto scaligero. Fino alla metà degli anni Trenta le numerose immagini femminili di Vestali e Veneri (fra cui Vestale inghirlandata, 1834: Agliè, castello ducale) sembrano attenersi strettamente ai modelli canoviani, anche se in chiave più disimpegnata; mentre nel decennio successivo la necessità di un aggiornamento della ritrattistica si può cogliere nell'Erma di Defendente Sacchi, nella quale emerge la necessità di legare Sacchi, il più costante e appassionato commentatore della sua opera, al proprio tempo secondo la tradizione degli uomini illustri, anche attraverso particolari alla moda quali la chioma e i favoriti generosi (1843: Pavia, ex convento di S. Francesco di Paola, dove il M. aveva già scolpito l'Ara domestica nel 1831 in ricordo della moglie Erminia Sacchi).
Il pensionamento dall'Accademia di Brera nel 1852 coincise con l'inizio della parabola discendente del M., che Stendhal aveva definito nella Certosa di Parma (1839) lo "scultore alla moda" della Lombardia.
Il M. morì a Milano il 7 febbr. 1858.
Il legato Marchesi-Fogliani del 1861 consegnò alla città di Milano tutti i materiali dello studio del M., fra cui il gesso della figura nuda di Tamar e il Ritratto di Marchesi a opera di F. Hayez (1830), che costituisce il nucleo originale della Galleria d'arte moderna.
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