Pompeo Neri
Giurista, funzionario al servizio della dinastia medicea e, dal 1737, della dinastia lorenese; poi, dal 1749 al 1758 presidente della Giunta incaricata di portare a termine il catasto dello Stato di Milano; infine, fino alla morte, nel 1776, influente ministro del granduca di Toscana, Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, Pompeo Neri è stato uno dei più significativi esponenti di quel ceto di giuristi-funzionari che hanno contribuito alla riforma degli assetti istituzionali degli Stati dell’Italia asburgica e borbonica. Le doti intellettuali, la produzione scientifica (più volte ristampata, soprattutto a partire dall’Ottocento) e i rapporti con gli ambienti colti e delle istituzioni ne fanno un personaggio chiave non solo della Toscana lorenese e della Lombardia teresiana, ma anche delle vicende politiche e culturali dell’Italia delle riforme del Settecento.
Nato a Firenze il 17 gennaio 1706 da Giovanni Bonaventura Neri Badia, in quel momento giudice di Rota nello Stato senese, Neri studiò nel seminario di Siena, per passare poi allo Studio pisano, dove conseguì il titolo dottorale, in anni nei quali vivaci erano le polemiche antigesuitiche e antiscolastiche.
In questi stessi anni, accanto ai temi di un aspro antigesuitismo e di rinnovata attenzione alla tradizione galileiana e di apertura al moderno pensiero scientifico europeo (Isaac Newton), fu l’incerta definizione della successione medicea a sollecitare la cultura giuridica e accademica che, nella difesa dell’autonomia degli Stati medicei, contro i tentativi delle grandi potenze di assegnare un successore di loro gradimento al granduca di Toscana Gian Gastone de' Medici, e pur nella rinnovata fedeltà al diritto romano, non esitò a far proprie molte istanze giusnaturalistiche e contrattualistiche, e soprattutto a maturare un metodo storico-giuridico criticamente avvertito: quell’ars critica che da lì a pochi anni sarebbe stata esplicitamente evocata a Pisa, anche sulla scorta della scuola giuridica tedesca, da Leopoldo Andrea Guadagni e da Antonio Maria Vannucchi. Un rinnovamento, questo della cultura giuridica toscana, alla cui testa è facile collocare i nomi, le opere, l'insegnamento di Giuseppe Averani e dello stesso Neri Badia.
Nel 1726, appena conseguito il titolo dottorale, il giovane Neri fu nominato lettore de jure publico. Il diploma del granduca Gian Gastone che istituiva la nuova lettura, nell’assegnarla a Neri faceva esplicita menzione dei meriti del padre. E ancora per intercessione del padre, ora divenuto uno dei principali consiglieri di giustizia di Gian Gastone e autore di celebri testi a difesa della 'libertà' fiorentina in questi anni di intense trattative diplomatiche sulle sorti degli Stati medicei, nel 1729 Neri ottenne dal granduca la grazia di esercitare il suo compito di lettore di legge a Firenze e di aiutare il padre nella carica di auditore dello Scrittoio delle Possessioni.
Nel 1735 ebbe la nomina ad assessore di questa magistratura e nel 1737, all’arrivo dei nuovi governanti lorenesi, fu chiamato alla segreteria del Consiglio di reggenza, che doveva governare il granducato in accordo con il Consiglio per gli affari di Toscana che il nuovo granduca, Francesco Stefano di Lorena, aveva istituito a Vienna.
Gli inizi della sua attività si svolsero, dunque, all’ombra del padre e delle solidarietà politiche di cui questi godette all’interno del governo mediceo. Partecipe delle posizioni e dei sentimenti di quella parte del ceto dirigente fiorentino che più si era schierata per la difesa dell’indipendenza degli Stati medicei e per il mantenimento degli assetti politici e sociali che i Medici avevano saputo costruire, Neri, all’interno del nuovo Consiglio di reggenza, operò a stretto contatto del più importante rappresentante di questa parte del patriziato fiorentino, quel Carlo Ginori che era stato nominato membro del Consiglio non solo per le sue capacità politiche e amministrative, ma anche in considerazione dei suoi rapporti con la famiglia Corsini, che si era apertamente schierata a favore della soluzione borbonica nella successione medicea, e un membro della quale sedeva in quegli anni sul trono papale con il nome di Clemente XII. E a fianco di Ginori egli difese le posizioni e gli interessi del ceto patrizio fiorentino contro i progetti di riforma proposti dai ministri lorenesi e, in particolare, da Emmanuel-François-Joseph-Ignace Dieudonné de Nay-Richecourt, conte di Richecourt, presidente del Consiglio di reggenza e in quanto tale vero uomo forte di quest'ultima.
Chiamato, dunque, a fare la sua parte nel contrasto che divideva Ginori da Richecourt sulle linee di riforma del Granducato, Neri, tra 1745 e 1748, fornì una straordinaria prova delle sue capacità di analisi delle istituzioni toscane e di elaborazione di un’originale visione della loro riforma. In questi anni infatti espresse, in alcuni tra i testi più significativi della cultura riformatrice della metà del 18° sec., posizioni di grande respiro e valore culturale e politico. Le sue relazioni sulle magistrature del Granducato, sulla codificazione e sulla riforma della nobiltà e della cittadinanza ebbero non solo il pregio di dare una lettura originale e acuta dei processi di costruzione del principato mediceo, ma anche di prospettare ipotesi nuove e assai avanzate di riforma dello Stato e della società.
E se è vero che alla fine degli anni Quaranta il progetto politico di Neri finì per essere clamorosamente sconfitto – Ginori allontanato dal Consiglio di reggenza e inviato a reggere il governatorato di Livorno; lo stesso Neri 'salvato' dal marchese Gian Luca Pallavicini, governatore militare e civile della Lombardia austriaca, e chiamato a presiedere la Giunta del Censimento milanese – è certo però che gli equilibri politici e sociali che Neri aveva saputo tenere presenti nella sua analisi si rivelarono nei fatti tanto forti da resistere al disegno 'semplificatore' di Richecourt. E proprio le idee di Neri, più che i progetti e le riforme stesse di Richecourt, costituirono uno dei punti di riferimento più significativi dei dibattiti e dei progetti di riforma del governo del granduca Pietro Leopoldo.
A Milano Neri fu chiamato a completare l’opera del nuovo censimento, intrapresa nel 1718 e volta a una rilevazione geometrico-particellare della proprietà quale strumento per la distribuzione del carico fiscale tra le comunità. Impegnato nella realizzazione del catasto, Neri si misurò con le questioni legate alla riforma dei governi delle comunità e del rapporto tra queste e gli apparati di governo dello Stato e alle questioni complesse della tassazione dei beni ecclesiastici; mentre su un altro piano, nel contesto della definizione dei cambi tra le monete milanesi e quelle del Regno di Sardegna, redasse, nel 1751, le Osservazioni sopra il prezzo legale delle monete, accompagnate da dettagliate relazioni su una lunga serie di 'assaggi' effettuati nella zecca di Torino, nelle quali sostenne che il valore delle monete era dato non dal sovrano, ma dai mercati e, nel caso delle monete milanese e torinesi, dalla media delle transazioni dei mercati degli stati italiani circostanti.
L’azione di Neri a Milano suscitò una forte diffidenza e a volte un'aperta opposizione in altri ministri del Milanese, nel governo austriaco e nella stessa sovrana, l'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo. Non sorprende allora che nell’estate del 1757, dopo il ritiro di Richecourt, per motivi di salute, dal governo del Granducato, in un clima segnato da un rapporto più disteso della dinastia lorenese con il tradizionale patriziato fiorentino, Neri facesse ritorno a Firenze in qualità di ministro del consiglio di Reggenza lorenese, ora retto dal maresciallo Antonio Botta Adorno.
Nel 1763, alla notizia della nomina a governatore della Toscana dell’arciduca Pietro Leopoldo (poi, nel 1765, alla morte del padre, insediatosi in Toscana come granduca), Neri riprendeva e inviava a Vienna la memoria scritta nel 1745 sull’assetto dello Stato toscano e insieme una seconda memoria, nella quale denunciava le contraddizioni in esso apportate dalle riforme di Richecourt.
All’arrivo del nuovo granduca, Pietro Leopoldo, Neri intervenne su questioni di assoluto rilievo: dai provvedimenti a favore della liberalizzazione del commercio dei grani alle misure per il controllo e la repressione della mendicità – nella quale sostenne con grande lucidità l’inutilità delle leggi di espulsione dei mendichi dalle città –, ai primi interventi granducali per la riduzione del numero delle monacazioni femminili. Nel 1769 indirizzava al sovrano una memoria sulla riforma dei governi comunitativi e sulla nuova magistratura, la Camera delle comunità, che ne avrebbe avuto il controllo. Alla base del progetto neriano stava l’idea di una comunità guidata dai maggiori proprietari, secondo il modello già sperimentato nel Milanese, e di una magistratura in qualche modo rappresentativa dei nuovi governi comunicativi. Una proposta, questa di Neri, che incontrò forti resistenze negli altri ministri e nello stesso granduca, che pure alla fine degli anni Settanta, ormai morto Neri, avrebbe ripreso questa idea nell’elaborazione del progetto di Costituzione per il suo Stato, al quale Pietro Leopoldo prese a lavorare a partire dal 1779.
A Neri fu comunque affidata la riforma del sistema giudiziario, che approdò con i provvedimenti del 1771 e 1772 a una professionalizzazione dell’amministrazione della giustizia e al superamento del sistema tradizionale di affidare ai soli cittadini fiorentini gli incarichi di giusdicenti nelle comunità dello Stato. E, nell’ambito dei lavori per la riforma della giurisdizione, Neri proponeva nuovamente l’urgenza di una riforma della legislazione, sul modello di quanto aveva proposto negli anni Quaranta. Proprio in questo contesto va collocata l’edizione, nel 2° volume delle opere di suo padre, apparso nel 1776, dei Discorsi legali che Neri aveva redatto nel 1747-48 nell’ambito dei lavori, avviati da Francesco Stefano di Lorena, per la codificazione e per la riforma della nobiltà e della cittadinanza fiorentina.
Neri morì a Firenze il 15 settembre 1776. Dopo la sua morte, Pietro Leopoldo provvide a far sequestrare buona parte delle sue carte di governo, che oggi si ritrovano disperse in molte filze dell’archivio di Stato di Firenze, mentre la sua biblioteca, considerata allora assai pregevole, fu venduta 'alla spezzata' dal fratello Filippo.
La ricostruzione che questi testi danno della storia del Granducato è animata da un senso profondo dei mutamenti e delle rotture che dal principato di Cosimo I de' Medici all’insediamento di Francesco Stefano avevano inciso nel regime istituzionale ereditato dalla Repubblica oligarchica, anch’essa a sua volta frutto di faticosi consolidamenti. Da qui l’attenzione di Neri alla storia delle magistrature e dei corpi di leggi: una storia fatta appunto di sovrapposizioni, di parziali rimaneggiamenti, poiché, sempre nella storia dello Stato mediceo, «con la creazione del nuovo, il vecchio non è stato soppresso».
Chiara era l’indicazione politica che emergeva dalle analisi storico-istituzionali di Neri: non una difesa dell’assetto esistente, semmai l’esigenza di una riforma delle istituzioni e degli equilibri di potere, che si opponesse però, e questo era il senso della battaglia politica di Neri, ai progetti di riforma istituzionale sostenuti dai ministri lorenesi inviati a governare la Toscana e decisi a spezzare, a tutto favore dell’arbitrio del principe, il delicato 'compromesso' costituzionale che si era realizzato nel corso del principato mediceo. Per Neri l’assetto così complicato del principato mediceo, delle sue istituzioni e delle sue leggi, poteva sì essere modificato, ma nel rispetto delle ragioni di ordine politico e sociale che l’avevano originato e della sua storia, che non si poteva cancellare con un tratto di penna. L’affermazione della volontà del sovrano come fonte unica della legge e di ogni privilegio – questo era l’intento perseguito dal lorenese conte di Richecourt – avrebbe comportato non solo un mutamento delle forme costituzionali, ma una ferita al corpo della società toscana, agli equilibri faticosamente raggiunti in due secoli di principato.
In questo contesto, Neri redasse una Relazione delle magistrature, che avrebbe poi ampliato nel 1763, in occasione dell’arrivo in Toscana di Pietro Leopoldo. In tale opera la ricostruzione puntuale del difficile compromesso istituzionale tra potere del principe e le magistrature repubblicane che aveva retto lo Stato mediceo serviva a mettere al centro dell’analisi il complesso principio della cittadinanza fiorentina, vero fulcro degli assetti politici e istituzionali dello Stato.
Questi elementi della riflessione e dell’azione politica di Neri sono assai evidenti nelle relazioni del 1747 sulla riforma della legislazione e in quelle che egli lesse nel 1748 davanti a una commissione istituita dal Consiglio di reggenza per la riforma della cittadinanza fiorentina. E non è affatto un caso che egli producesse il suo maggiore sforzo teorico e politico nella proposta di una nuova regolamentazione dei 'ranghi dei cittadini': là dove, nel secondo dei suoi discorsi sulla codificazione, scriveva che
nella condizione o stato civile delle persone possa venire assegnato un certo grado ai proprietari dei terreni, non perché secondo il presente sistema la proprietà del terreno dia alcuna graduazione, ma perché tal graduazione secondo i costumi di altre nazioni non è nuova e perché veramente la proprietà del terreno è il fondamento del censo e il censo è il vero e primitivo fondamento della nobiltà, onde volendo sopra tal materia introdurre una regola, non sarebbe assurdo, né lontano dalle nostre antiche massime qualche simile stabilimento
Facile cogliere in questa proposta la frequentazione della riflessione politica e costituzionale più aperta del suo tempo: della cultura politica economica dell’Inghilterra dell’ultimo Seicento e del pensiero economico francese del primo Settecento.
Nel prendere possesso della nuova carica, Neri stese una lucida Relazione dello stato in cui si trova l'opera del censimento universale del ducato di Milano, edita nel 1750, e nella quale la ricostruzione puntuale delle operazioni fin’allora effettuate serviva a chiarire una strategia di riforma della tassazione (i beni di 'seconda stazione', il testatico, le esenzioni) che avrebbe dovuto accompagnarsi a una riforma delle amministrazioni delle comunità, le quali, con la riforma del dicembre 1755, furono amministrate da tutti gli 'estimati' sotto il controllo di un cancelliere di nomina governativa.
La circolazione e la fama europea di questo testo furono legate alla riduzione che ne fece l’economista francese François-Louis Véron de Forbonnais, che nel 4° volume dei suoi Principes et observations oeconomiques (1767) pubblicò un Précis historique du cadastre établi dans le Duché de Milan, tratto dall’opera di Neri, qui utilizzata in una decisa polemica con la proposta fisiocratica di introdurre una imposta unica sulla attività agricola.
In realtà, già nel marzo del 1764, un importante funzionario dell’amministrazione francese delle finanze, François-Joseph Harvoin, aveva intervistato Neri a Firenze sul catasto e sui sistemi impositivi. Nelle risposte ai quesiti presentatigli da Harvoin, Neri ribadì le sue idee sul valore di un catasto e la sua contrarietà alle posizioni fisiocratiche, ribadì il principio dell’eguaglianza dei contribuenti di fronte al fisco e la necessità di restringere le esenzioni, e insisté sull'importanza di un rapporto stretto tra le comunità dei contribuenti e l’amministrazione dello Stato.
Sulle istituzioni del Granducato:
Relazione della visita fatta all’ufizio de' fossi di Pisa l’anno 1740, in http://dante.di.unipi.it/ricerca/html/ner.html (15 maggio 2012).
Discursus legales I-IV, in J.B. Neri Badia, Decisiones et responsa juris, 2° vol., Tomus secundus […] quibus accedunt Pompeii Filii decisiones responsa et discursus legales [...], Florentiae 1776, pp. 498-550 (qui sono editi i tre discorsi sul codice del 1747 e il Discorso sopra lo stato antico e moderno della nobiltà di Toscana del 1748; questi testi, insieme alle relazioni sulle magistrature fiorentine del 1745-1763, sono pubblicati anche in M. Verga, Da 'cittadini' a 'nobili'. Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano 1990, pp. 313-689).
Sui catasti:
Relazione dello stato in cui si trova l’opera del censimento universale del ducato di Milano nel mese di maggio 1750, divisa in tre parti, Milano 1750; rist. anast. a cura di F. Saba, Milano 1985.
Memoria sulla tassazione degli ecclesiastici , in L. Sebastiani, La tassazione degli ecclesiastici nella Lombardia teresiana; con una memoria di Pompeo Neri, Milano 1969.
Objets sur l’établissement du censimento en France que l’on prend la liberté de proposer à Son Excellence M. le Président Nery et sur lesquels il est très humblement supplié de dire son sentiment et de donner ses decisions, in A. Alimento, Finanze e amministrazione. Un’inchiesta francese sui catasti nell’Italia del Settecento (1763-1764), 1° vol., Il viaggio di Joseph-François Harvoin: con uno scritto inedito di Pompeo Neri, Firenze 2008, pp. 351-463.
Altre opere edite:
Osservazioni sopra il prezzo legale delle monete e le difficoltà di prefinirlo e sostenerlo, presentate a Sua Eccellenza il signor Conte Gian-Luca Pallavicini […] sotto il dì 30 settembre 1751, Milano 1751 [senza indicazione dell’autore]; poi edito con il titolo di Osservazioni sopra il prezzo legale delle monete, e Documenti annessi alle Osservazioni sopra il prezzo legale delle monete di Pompeo Neri fiorentino, in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, parte antica, tt. 6 e 7, Milano 1804.
Memoria sopra la materia frumentaria [1767]. Discorso di Pompeo Neri stampato per la prima volta in fine dell’opera di Giovanni Fabbroni 'De’ provvedimenti annonari', Firenze 1804, in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, parte moderna, 49° vol., supplemento, Milano 1816.
Una scelta antologica della Relazione sul censimento, del discorso sopra la nobiltà , della memoria sulla mendicità e sulla riforma delle comunità toscane è in La letteratura italiana. Storia e testi, 46° vol., Illuministii italiani, t. 3, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani del Settecento, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1958.
C. Mozzarelli, Sovrano, società e amministrazione locale nella Lombardia teresiana (1749-1758), Bologna 1982.
C. Capra, Il Settecento, in Storia d'Italia, sotto la direzione di G. Galasso, 11° vol., D. Sella, C. Capra, Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796, Torino 1984, pp. 153-618.
M. Verga, Da 'cittadini' a 'nobili'. Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano 1990.
B. Sordi, L’amministrazione illuminata. Riforma delle comunità e progetti di costituzione nella Toscana leopoldina, Milano 1991.
Pompeo Neri, Atti del colloquio di studi, 1988, a cura di A. Fratoianni, M. Verga, Castelfiorentino 1992.
A. Contini, La Reggenza lorenese tra Firenze e Vienna. Logiche dinastiche, uomini e governo (1737-1766), Firenze 2002.