SCHIANTARELLI, Pompeo
– Nacque a Roma nel 1746 in data imprecisata da genitori d’ignota identità.
Le origini bergamasche non sono state finora rilevate. Gli Schiantarelli erano di fatto i Quarenghi di Rota nella Valle d’Imagna, dove nel 1744 nacque Giacomo, celebre architetto; l’appellativo «Schiantarelli de’ Querenghi», prevalente in loco fra Cinquecento e Seicento, agli inizi Settecento si scisse in due cognomi (Bergamo, Biblioteca Civica, Carte casa Querenghi, Indice, tomi IV-V). I rari riscontri romani attestano la distinzione sociale di probabili stretti familiari: come il maestro di casa del principeValerio Santacroce (Appendice alle Riflessioni del Portoghese sul memoriale del p. generale de’ gesuiti presentato alla Santità di PP. Clemente XIII..., Genova 1759, p. 15).
Formatosi in architettura intorno alla metà degli anni Sessanta, il 24 novembre 1766 Schiantarelli vinse il primo premio clementino di prima classe, bandito dall’Accademia di S. Luca nell’agosto 1765, sul tema d’una «magnifica» biblioteca pubblica (I disegni, 1974). Tracce documentarie degli anni seguenti ricompongono una significativa premessa all’attività partenopea di «regio architetto». Nel giugno 1771 fu a Castel Madama, feudo dei Pallavicini, per progettare il rifacimento della chiesa arcipretale di S. Michele Arcangelo, apice di quel pittoresco paese di poggio. Il capomastro ticinese Giovanni Antonio Fontana compì nel 1775 la puristica aula ottagona, con cupola in tiburio e abside dal motivo palladiano di colonne libere trabeate, mutuato da Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli; il campanile, finito nel 1781, integrò al vertice la facciata pseudoprostila del breve avancorpo, perfezionata nel 1865. Nel 1772, su incarico governativo, Schiantarelli trasse una copia dalla mappa corografica barberiniana dello Stato di Campagna e Marittima conservata nell’Archivio segreto Vaticano (Grafinger, 2002). Perito dei padri minimi di S. Francesco di Paola ai Monti, nel 1773 ristrutturò una loro casa nel vicolo dei Savelli e ricostruì un casamento presso la piazzetta di S. Chiara, terminato nel 1775; il 7 giugno 1773 presenziò a un atto di concessione d’acqua ai religiosi (Marazza, 2008, p. 26). Per il marchese Alessandro Bandini progettò nel 1777 l’appartamento nobile del palazzo di Camerino e i trumeaux per la galleria del vicino «castello» di Lanciano; l’11 febbraio 1778 lo avvertì da Roma che «un’incombenza di molto riguardo» lo chiamava a Napoli (in Capriotti, 2014, p. 952). Era al «servizio di S.M. Siciliana» quando il 4 settembre 1779 gli scolopi di Rieti inaugurarono la chiesa dei Ss. Giovanni Evangelista e Giuseppe Calasanzio, ricostruita dal 1774 su suo progetto (Gazzetta universale, n. 76, 21 settembre 1779, p. 612; demolita nel 1931). Fra vari impegni a Rieti con il capitolo della Cattedrale, verso il 1775 Schiantarelli diede consulenza per una revisione decorativa e per le dorature della cupola della cappella di S. Barbara, iniziata nel 1653 su disegno di Bernini ma inaugurata solo nel 1778 (Palmegiani, 1926).
La corte borbonica invitò Schiantarelli a coadiuvare Ferdinando Fuga nella riforma del palazzo già dei «Regi studi» (spostati nell’ex Collegio gesuitico), destinato da Ferdinando IV a «Real Accademia delle scienze e delle belle lettere» e a «Museo generale»: inedito polo culturale contemplante gabinetti scientifici e di storia naturale, una «scuola del disegno», un orto botanico, la reale stamperia, una biblioteca che riuniva la Palatina e la Gesuitica alla Farnesiana, un museo-pinacoteca d’arte antica e moderna in cui far confluire le ereditate collezioni romane di palazzo Farnese, il Museo Farnesiano di pittura e antichità di Capodimonte e l’Ercolanense di Portici.
Il presidente dell’Accademia don Michele Imperiale, principe di Francavilla, aveva incaricato Fuga sul finire del 1777, benché sgradito al primo ministro, Giuseppe Beccadelli marchese della Sambuca, per «maniera dispendiosa» e senile inabilità operativa (in Ceci, 1906, pp. 152 s.). Affidata nel 1780 la direzione dell’opera a Schiantarelli, dal 1778 al fianco del fiorentino (morto nel 1782), il giovane architetto concordò con lui un nuovo progetto; è perciò ritenuto suo «allievo» dalla storiografia partenopea, che ne ha anticipato l’arrivo a Napoli «verso il 1762» (Id., 1921, p. 92) ovvero nel 1776 (Divenuto, 1984, p. 175). Lavorò quindi alla soprelevazione del palazzo e sino al 1798 alla problematica organizzazione del Museo reale, elaborando negli anni 1782, 1785-86, 1789, 1792 quattro progetti d’ampliamento, ciascuno in più varianti, rimasti inattuati. Oscillanti fra un retorico cinquecentismo romano gradito al re e un classicismo romantico di tono internazionale, essi studiarono di attestare alla fronte postica dapprima un «gran teatro semicircolare» internamente porticato, e, dal secondo progetto del 1785 (dopo una pausa di due anni «per mancanza di denaro»; p. 164), un raddoppio planimetrico, confermato dall’approvazione regia del terzo progetto il 28 luglio 1790. In tal caso, con opposti ingressi in quota da un «atrio corintio» (Breve descrizione, 1792), il nuovo fabbricato avrebbe accolto i musei Ercolanense e Farnesiano al livello della biblioteca e delle omonime quadrerie di pittura antica e moderna; erano previsti laboratori di restauro, alloggi per direttore e custodi, spazi per mostre temporanee, per concorsi, per raccolte di modelli e disegni. In concreto, l’architetto completò il centrale salone della biblioteca (il pavimento a riggiole fu saldato il 24 gennaio 1785 come da misura dei «regi ingegneri» Gaetano Bronzuoli e Schiantarelli; Garzya Romano, 1978, p. 53), raggiungibile dal sottostante vestibolo pilastrato, già svisato da Fuga in tre corridoi, salendo per lo scalone ridefinito nel 1782 nella mezza tholos dell’ex «teatro letterario» (Divenuto, 1984, figg. 14-17). Chiusa a fine decennio col placet dell’Accademia romana di S. Luca la polemica sullo stravolgimento del monumento architettonico di Giulio Cesare Fontana con la prevista «costruzione del secondo piano» (Ceci, 1906, p. 155), fu «terminata tutta l’ossatura della fabbrica» (Celano, 17924, p. 98) con la soprelevazione delle ali porticate e l’arrangiamento cinquecentista delle fronti. Disposta nel marzo 1791 la creazione di un osservatorio astronomico e di una meridiana, l’intrapresa torre della specola restò interrotta poco sopra le fondazioni nell’angolo nordorientale del palazzo; la meridiana fu realizzata nel pavimento della biblioteca come fascia diagonale punteggiata da ovali con i segni dello zodiaco, ritenuti dipinti da Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, che dirigeva «lavori di pittura in alcune sale» e l’Accademia d’arte (Divenuto, 1984, pp. 57 s.). Fu studiata la sistemazione delle accademie di pittura e scultura e d’architettura nelle «sale a pian terreno» ai lati dell’ingresso (Breve descrizione, 1792, p. 69), e si provvide ad allestire al piano nobile i «Musei Farnese ed Ercolano in diverse stanze, adornate da un gran numero di colonne di verde antico» (Sigismondo, 1789, p. 88), secondo Istruzioni regie trasmesse il 2 marzo 1785 all’architetto dal curatore museale, il pittore Jakob Philipp Hackert (Divenuto, 1984, doc. 9, in partic. pp. 165 s.). Schiantarelli curò nel 1787 il trasporto via mare di una prima serie di sculture dell’eredità farnesiana, partendo il 28 luglio da Roma (con «l’abil ebanista sig. Crispi», da impiegare nella «nuova fabbrica del Museo», fors’anche per badare ai cassoni lignei; Notizie del mondo, n. 63, 8 agosto 1787), in missione con il marchese Domenico Venuti, soprintendente ai restauri dei marmi; l’incarico della sistemazione «interina» nella «fabrica de’ Regi dismessi Studi» non ottenne, per problemi più o meno contingenti, se non il lungo protrarsi di una situazione precaria e confusa; solo nel 1797 Schiantarelli poté elaborare per il celebre Ercole Farnese un idoneo basamento e adattare un locale del «Real Museo»: «una delle meno infelici stanze», designata già dieci anni prima, nella quale, come scrisse l’architetto a Venuti il 29 dicembre 1787, non s’era potuta collocare subito la statua colossale («che formò l’ammirazione e la Scuola delle belle arti in Roma, ed ora ne forma il pianto»), perché, liberata dal cassone in cui giacque in orizzontale, si riscontrarono sfasature ai giunti di restauro del braccio sinistro con la spalla e delle gambe originarie, cedute al Borbone dal principe Marcantonio Borghese e restituite alla statua nel laboratorio romano di Carlo Albacini (De Franciscis, 1944-1946, pp. 178-181, 193 s.). In generale, i limiti di spazio indussero a scelte improprie, come per i locali dei laboratori di restauro e della scuola di disegno, rimediati chiudendo i portici dei cortili, e peraltro Schiantarelli non ne trovò per l’Accademia di scienze e lettere, come osservò Francesco Maresca, succedutogli nel giugno 1801, nella relazione a un progetto d’ampliamento pure rimasto sulla carta (Ceci, 1906, pp. 154-157).
L’onorevole ma spinoso incarico patì reiterate sospensioni, in «un clima di diffidenza e di soprusi» (Divenuto, 1984, p. 69). Nel 1783 fu imposto a Schiantarelli di far parte della spedizione della Reale Accademia delle scienze e belle lettere in Calabria meridionale e nel Messinese, colpiti tra febbraio e marzo da un fortissimo terremoto: tale assenza di qualche mese fu di «grave danno» per i «suoi interessi» e «la sua famiglia» (doc. 9, in partic. p. 162). Avuta, in partenza, «una patente di accademico socio ascritto a tutte le classi, col carattere di socio direttore de’ disegni della Reale Accademia» di Napoli, rilasciata dal presidente, Antonio Pignatelli principe di Belmonte (ibid.), Schiantarelli diresse la documentazione grafica per il resoconto del segretario Michele Sarcone, pubblicato nel 1784: prima ricognizione scientifica del genere. Delle 68 tavole incise in rame da Antonio Zaballi, selezionate dal Belmonte fra le 86 disegnate «dal vero» e a colori, circa la metà è firmata dall’«architetto direttore» e le altre dall’architetto Ignazio Stile, tranne alcune anonime da riferire a Bernardino Rulli, secondo «disegnatore».
Il filtro pittoresco al resoconto grafico del «tremoto» non ne attenuò l’obiettività. Vedute come quelle del Palazzo Reale, della Palazzata e del Campanile e prospetto del Duomo di Messina devastati (tavv. LVIII-LXIV), e delle stupefacenti stimmate tettoniche del paesaggio, stravolsero il comune senso estetico delle rovine e dell’accidentata natura. Due vedute della calabra Polistena distrutta e in ricostruzione in pianura (tavv. XVII-XVIII) hanno causato l’equivoco della paternità di Schiantarelli per il nuovo insediamento, da ascrivere invece fra gli interventi del Real corpo degli ingegneri militari nelle aree colpite.
Il coinvolgimento dell’architetto nella rischiosa spedizione è stato riferito all’«intento» della corte «di allontanarlo» dall’impresa napoletana; il maggiordomo maggiore del re, lo stesso principe di Belmonte, artefice della sua partenza, tentò «di sostituirlo in quel cantiere con il proprio architetto di fiducia Gaetano Bronzuoli» anche dopo il rientro dalla Calabria (ibid., pp. 69, 84, 162). Un nuovo incarico regio, il progetto di un lazzaretto «sporco» per Messina a complemento di quello riattivato da Ferdinando IV nel gennaio 1786 dopo i danni del terremoto, comportò lo studio di analoghe strutture, documentato da otto delle dieci tavole (non datate) incise da Aniello Cataneo su disegni di Schiantarelli, e conservate presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (ibid., figg. 69-78). Vi figurano i «semplici impianti di Corfù, Zante, Malta», il messinese (detto «di osservazione»), i «più complessi» tre lazzaretti livornesi, il pentagono vanvitelliano di Ancona, il lazzaretto ideato e pubblicato da John Howard nella sua indagine sulle strutture europee uscita a Londra nel 1789, e infine il progetto in questione, d’impianto ottagono con ampio avancorpo rettangolare, inattuato (pp. 89-92).
Da Pietroburgo Giacomo Quarenghi, architetto della corte imperiale dal 1779, scrisse il 18 gennaio 1784 all’abate Vincenzo Corazza, istitutore dei figli di Ferdinando IV, chiedendogli di dare sue «nuove» all’«amico» Pompeo (Böhmig, 2008, p. 162). Il regio architetto, assistente fra il 1779 e il 1781 di Mario Gioffredo ai «miglioramenti» del palazzo Gravina, di proprietà del cardinale Domenico Orsini (Divenuto, 1984, doc. 1), vantava rilevanti incarichi dall’aristocrazia di corte per «riattazioni» e nuove realizzazioni palaziali e di «delizie». Al suo trasferimento partenopeo non prima del febbraio 1778 seguì quella che è ritenuta «la prima opera napoletana certa» (p. 95), tuttora datata «verso il 1776» (Nocerino, 1787): la villa di Scipione Lancellotti principe di Lauro a Portici, di tono romano vignolesco. Da Fuga ereditò, fra l’altro, i lavori per il principe di Caramanico, Francesco d’Aquino, al palazzo napoletano (perduti gli interni originali) e alla villa di San Giorgio a Cremano (1782-87), per il cui giardino fra il 1783 e il 1784 elaborò «grottoni e grillaggi» (Divenuto, 1984, doc. 3; Garzya Romano, 1978, pp. 64 s.) di un parterre come sole raggiante, alludente al ruolo del principe quale gran-maestro dell’Oriente di Napoli. Fra il 1782 e il 1783 risistemò il palazzo di Camilla Caitana, duchessa di Traetto alla Sanità. Per la marchesa Maria Arezzo Patrizi fra il 1784 e il 1785 progettò ed eresse un «casino» (scomparso) in un «podere sito in Castellone nel luogo detto Rialdo», presso Gaeta (cit. in Garzya Romano, 1978, p. 65). Curò «nuove riattazioni» e decorazioni interne agli appartamenti del palazzo dei Cattaneo di San Nicandro in via Stella (1785-89) e lavorò per quello baronale di Pomigliano d’Arco (del 1787 è un suo «camino di marmo bianco statuario» eseguito da Vincenzo D’Adamo; Divenuto, 1984, doc. 6). Scomparso nel 1785 Gioffredo, progettista della riforma del palazzo napoletano a Chiaia di don Tommaso d’Avalos marchese del Vasto e di Pescara, l’architetto romano sottoscrisse misure negli anni 1787, 1789, 1791, 1796 (Luise, 2012, p. 296) e nel 1798 attese a imprecisate opere, forse dopo la caduta di «varie soffitte» nel 1797 (Napoli Signorelli, 1921, p. 92); sempre per il D’Avalos «piombò il pavimento di una magnifica galleria di stucchi eccellenti» (ibid.) e progettò nel 1793 «un nuovo molino ad acqua da stabilirsi nel fiume Pescara in Abruzzo» (Morelli, 1826; Luise, 2012, p. 256). Terminò nel 1794 la riforma del palazzo di Filippo Lieto principe di Polignano in via Toledo, costruzione avviata nel 1754 dal duca padre, come da epigrafe sul portale nella torreggiante fronte a tre assi. Il sintetico cinquecentismo e il modello di serrata matrice di cornici, cantoni di bugne piatte e catene di finestre a rivestimento del netto dado edilizio di palazzo Lieto attestano l’autografia di tre palazzi in via Foria dirimpetto all’Orto botanico, dotati di «tre diverse soluzioni di scale aperte», riferiti a Schiantarelli e «allievi» (Divenuto, 1984, pp. 105-108 e figg. 94-100). Nel 1798 l’architetto lavorava al completamento del palazzo del principe Marcantonio Doria, principe d’Angri, in via Toledo e al giardino del castello di Angri.
Scarse notizie attengono alla famiglia reale. Mentre fra il 1785 e il 1786 Carlo Vanvitelli secondava a Caserta la passione della regina per i giardini all’inglese, Schiantarelli fu inviato a Roma a vedere quanto creava il paesaggista veneziano Francesco Bettini negli Orti di Raffaello del cardinale Giuseppe Maria Doria Pamphilj, fuori Porta Pinciana (Heimbürger Ravalli, 1976, p. 222); nell’occasione si offrì di curare l’edizione riveduta, che non ebbe seguito, della proposta presentata in Francia nel 1784 da Bettini di un giardino anglo-franco-cinese, ideato per la villa padovana dell’ambasciatore Andrea Dolfin (Ead., 1981, p. 51). Per la festa da ballo data a Napoli la sera del 18 agosto 1790 nella «Villa Reale, ossia Touillerie», dall’ambasciatore austriaco principe Francesco Ruspoli, latore della «richiesta delle due principesse primogenite in spose dell’arciduca Francesco e arciduca Ferdinando» (Gazzetta universale, n. 68, 24 agosto 1790, pp. 543 s.), l’architetto allestì «un’immensa galleria, che comunicava a varj appartamenti» (n. 70, 31 agosto 1790, p. 559). Alla poco congruente proposta progettuale di Alexandre-Théodore Brogniart per la riforma del palazzo Cellamare a Chiaia (di Maria Eleonora Caracciolo, principessa della Villa, dal 1782 affittato alla regina), sottopostagli nel 1789 per un parere dal marchese del Vasto, nuovo maggiordomo maggiore del re, Schiantarelli presentò un coerente progetto d’ampliamento, che ai peristilî dell’allievo di Blondel e Boullée oppose una severa sodezza romana (Divenuto, 1984, figg. 114-120). Fra gli incarichi regi e governativi, nel 1802 l’architetto menzionò lavori al Palazzo Reale e all’annesso teatro di S. Carlo, non individuati.
Fra gli impegni pubblici, un suo progetto del settembre 1782, presentato un mese dopo l’incarico del Tribunale della Fortificazione, stabilì nel sito triangolare «a mano destra all’uscire» dall’appena demolita porta di Chiaia il palazzo d’affitto detto Miranda (poi Medici d’Ottajano; ibid., pp. 103-105 e figg. 90-92), e «nel lato opposto» il palazzo S. Arpino, mentre la «demolizione della Porta» e le costruzioni spettarono agli «ingegneri» del Tribunale, Gaetano Barba e Pasquale de Simone (doc. in Pignatelli, 2006, pp. 144, 156). Fra il 1793 e il 1795 Schiantarelli fu «architetto direttore» della riforma dell’ex convento di S. Francesco di Paola fuori Porta Capuana a «ospedale dei poveri carcerati» (Divenuto, 1984, doc. 7).
In ambito ecclesiale e religioso, dal 1780 Schiantarelli intervenne nel complesso di S. Maria Maddalena de’ Pazzi, compiendo la chiesa del SS. Sacramento con l’«architetto del monastero» Orazio Salerno, dopo aver revisionato nel 1781 il progetto di Giuseppe Astarita posto in esecuzione dal 1770 con la successiva consulenza di Fuga (1774-80) e di Carlo Vanvitelli (1782; ibid., doc. 4); «l’unico ambiente rimasto, sia pure in parte, [...] è il comunichino» (p. 175 e figg. 86-87). Il «regio ingegnere» seguì anche i lavori dell’annesso educandato (1785-93), e negli anni 1790, 1792 e 1793 curò le «macchine» delle Quarantore per la nuova chiesa delle carmelitane. Si occupò del restauro della cappella gentilizia San Nicandro nella chiesa di S. Maria della Stella, dei padri minimi, in corso nell’ottobre 1787 (Pinto, 2018, p. 1574): gli si riferisce perciò il monumento marmoreo di Domenico Cattaneo principe di San Nicandro, morto nel dicembre 1782, aio del re nella reggenza della minorità, distrutto con la chiesa nei disastri bellici del 1943-44.
L’erede Francesco Cattaneo, duca di Termoli, nell’ottobre 1785, ad opera compiuta, riconobbe al «regio ingegnere» 15 scudi «per i suoi diritti alla solita ragione del 5 per cento» sui 300 pagati al mastro fabbricatore Giuseppe Chianese secondo il suo «scandaglio» (pp. 1573 s.). Un disegno a trompe l’oeil esibisce il «bel sepolcro» scolpito da Giuseppe Sammartino, con «grande urna» a vaso e allegorie dell’Educazione e della Mestizia su un severo basamento (Celano, 17924, p. 196; Causa Picone, 1974): saggio del trapasso dal classicismo rococò a una neoclassica compostezza.
Del 1783 è una perizia della cappella protoseicentesca del Tesoro di S. Gennaro in Duomo (Russo, 2014, p. 72). Nel 1787 Schiantarelli fu interpellato con Carlo Vanvitelli e Antonio de Sio per i restauri della relativa cupola danneggiata da un fulmine, stante il disaccordo d’intenti fra i progettisti: al rifacimento interno del tamburo secondo più corretti canoni, sostenuto da Gaetano Barba, Antonio de Simone opponeva il solo restauro. Replicando Barba al giudizio conservativo della commissione con quello favorevole dell’Accademia di S. Luca di Roma, lo confutò un opuscolo di Schiantarelli, consocio di quell’Accademia, provocando strascichi polemici con il soccombente, più anziano architetto: disamina convalidata da nuovi pareri di otto professori di S. Luca circa le ragioni esigenti il rispetto dell’«unità del carattere di tutta l’opera», regolata in origine per la piena visibilità della cupola affrescata: sagace «libertà» che distingue il «valente architetto dall’artista materiale» (Schiantarelli, 1787, pp. XI, XXII). Fu al contempo scartata la dispendiosa proposta di impreziosire con «emblemi», «ornamenti», «bugne piane o rilevate [...] su l’idea antica» la facciata del Duomo ([D’Onofrj], 1788, p. 42, nota a), restaurata fra il 1787 e il 1788 dall’architetto del capitolo Tommaso Senese in tono con la chiesa gotica.
Schiantarelli ebbe il titolo di accademico di merito di S. Luca il 3 giugno 1787 grazie al favore riscosso dal secondo progetto del Museo reale, presentato nel 1786 all’Accademia romana. Ritenuto maestro di «gusto attico», diede lezioni di architettura ad allievi aristocratici quale il giovane principe Diego Ferrante d’Avalos (Giornale, 1797, p. 107), formando inoltre validi collaboratori come Leopoldo Laperuta e Giuliano De Fazio, entrambi di Portici.
Da tempo «membro della libera muratoria napoletana» (Di Castiglione, 2006, p. 545), nella prima metà del 1799 fu architetto ufficiale della Repubblica Napoletana: adattò il Palazzo Nazionale, già Reale, a sede degli uffici amministrativi dipartimentali, quello dell’ex ministro Acton a residenza del generale in capo dell’armata francese, la Panatica a gendarmeria (Nappi, 1999). Dalla restaurazione, in giugno, la sua carriera declinò repentinamente. Si ha notizia del solo «disegno della macchina» allestita nel novembre 1801 in S. Luigi dei minimi di S. Francesco di Paola e offerta dalla truppa urbana di fanteria e cavalleria per la messa di suffragio per l’arciduchessa Maria Clementina d’Asburgo Lorena, sposa del principe ereditario Francesco, morta il 15 di quel mese (D’Onofrj [1802], p. 68). Gravato da forti debiti, fece istanza circa i crediti non riscossi sia per i «vecchi Studi, che per li disegni ed altro in occasione de’ tremuoti di Calabria», nonché «per tutte le altre fatiche riguardanti il Teatro Reale, Castello Nuovo, questo Reale Palazzo, Carceri della Vicaria ed altro», e nell’aprile 1802 il governo borbonico gli assicurò «la dilazione di quattro mesi» di «salvaguardia» dai creditori e l’impegno a soddisfarli dei milletrecentoquarantuno ducati dovuti; l’anziano architetto chiese il 24 settembre 1802 un’ulteriore «proroga della moratoria» (Divenuto, 1984, doc. 10).
Morto poi in data imprecisata, nel 1805 la vedova ne consegnò alla Regia Camera della Sommaria «scritture [...] disegni e carte» attestanti i crediti (ibid., doc. 9): procedura sfumata nel 1806 con il rovesciamento murattiano del governo borbonico.
Fonti e Bibl.: Orazione e componimenti poetici in lode delle belle arti. Relazione del solenne concorso e della distribuzione de’ premi celebrata sul Campidoglio dall’Insigne Accademia del Disegno in S. Luca il dì 24 novembre 1766..., Roma [1766], p. 18; Gazzetta universale, n. 76, 21 settembre 1779, p. 612; [M. Sarcone], Istoria de’ fenomeni del tremoto avvenuto nelle Calabrie e nel Valdemone nell’anno 1783..., Napoli 1784, pp. XIII, 226, 385 s.; Descrizione della tomba dell’eccellentissimo d. Domenico Cattaneo fu principe di S. Nicandro, in Giornale enciclopedico di Napoli, I, settembre 1785, pp. 34-40; N. Nocerino, La Real Villa di Portici, Napoli 1787, p. 112; Notizie del mondo, n. 63, 8 agosto 1787, p. n.n.; P. S., Relazione ingenua del giudizio dato intorno al ristauro della cappella di S. Gennaro nel Duomo di Napoli al rispettabile collegio dell’insigne Accademia di S. Luca in Roma..., Roma 1787; [P. d’Onofrj], Succinte notizie intorno alla facciata della Chiesa Cattedrale napoletana..., [Napoli 1788], p. 42; G. Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, III, Napoli 1789, pp. 88 s.; Gazzetta universale, n. 70, 31 agosto 1790, p. 559; Breve descrizione della città di Napoli e del suo contorno, Napoli 1792, pp. 69-71; C. Celano, Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli..., Napoli 17924, Giornata settima, pp. 98, 100, 196; Giornale letterario di Napoli..., LXXXII, Napoli 1797, p. 107; A S.A.R. Francesco Gennaro de’ Borboni principe ereditario delle Due Sicilie inconsolabile per la immatura perdita di Maria Clementina arciduchessa austriaca sua sposa amatissima questo sepolcral elogio che la virtuosa di lei vita accenna P. d’O[nofrj] della congregazione dell’Oratorio umilmente dedica offre consacra, [Napoli 1802]; N. 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