Venturi, Pompeo
Letterato (Siena 1693 - Ancona 1752); fece parte della Compagnia di Gesù e fu docente a Firenze, Prato, Siena e Roma. Autore di orazioni sacre, satire e altri scritti letterari e storici (taluni ancora inediti), vive nella memoria degli studiosi come autore di uno dei commenti alla Commedia più noti nel Settecento e in gran parte del primo Ottocento, la cui prima edizione apparve a Lucca nel 1732, senza il nome del commentatore e con una Dedica a Clemente XII scritta dal padre F. Placidi cui il commento fu in un primo momento attribuito, ma che è soltanto il curatore dell'edizione. Nel titolo si denunziavano i limiti, ma anche i propositi del V.: Dante con una breve e sufficiente dichiarazione del senso letterale diversa da quella degli antichi Commentatori.
Singolare, ma non inconsueta, è anche la premessa: L'Autore a chi legge. Vi si dichiara che dei versi si vuol dare solo il senso letterale " con brevità e sufficienza " e s'indicano tra gli altri commentatori Benvenuto, il Buti, il Landino, il Daniello e il Vellutello e si precisa che a modello si assume il testo della Crusca (1595) nella ristampa padovana del Comino. A D. si riconoscono fermezza " nella Fede Cattolica " e " sensi di gran Pietà "; ma anche errori attribuibili all'uomo, e perciò, considerato " in qualche senso in riguardo a i lettori pusilli pericoloso, s'è stimato bene di porvi accanto il suo rimedio. E questo ben vedo essere un purgante da recar nausea e disturbo allo stomaco di più di uno: ma se di sua natura, e in riguardo alla moltitudine egli è certamente salutifero, conveniva pure ammanirlo " .
Più in là va il padre Placidi nella Dedica a Clemente XII, in cui il vero D. è quello presentato dal cardinale Bellarmino, pur nel compianto dell'uomo-D. che, " trovatosi tra la caligine di quel secolo al Pontificato Romano sì fortunoso per le discordie de' Guelfi e de' Ghibellini, e fattosi de' secondi principal fazionario, non seppe discernere tra 'l vero e 'l falso zelo " . " Che s'ei non fosse vivuto in tempo sì torbido, e sì scuro, non è da credere che sarebbe inciampato, e caduto nell'aggirarsi che fece sovente per questo campo " (c. 3r). D. è così presentato " in forma più dicevole " e " purgato " . La Dedica cade però nell'edizione veneziana del 1739 e nelle posteriori (a partire da quella di Verona del 1749, la prima a contenere per intero il testo del Venturi).
Il testo e il commento del V. hanno, sì, avuto fortuna; ma anche hanno suscitato violente polemiche e varie discussioni (e i passi addotti propongono qualche orientamento). La discussione s'inizia proprio con un discepolo dei gesuiti, il Rosa Morando, un ingegno vibrante e acutissimo, e si giunge, almeno, a Foscolo. Il Rosa Morando considera il commento " un'epitome delle sposizioni di Dante ", che peraltro non bada affatto alla vera illustrazione teologica morale e storica e meno che mai filologica (cfr. Osservazioni sopra il Commento della D.C. di D.A. stampato in Verona l'anno 1749, Verona 1751; Lettera al p. Bianchini intorno a quanto fu scritto nella " Storia letteraria d'Italia " [del p. Zaccaria] contro le Osservazioni sopra il Comento del p. V., ibid. 1754).
Bibl. - A.M. Robiola, Le chiose del V. per lui ritoccate, Torino 1832; A. Torre, Il commento del p. V. alla D.C., in " Giorn. d. " IV (1897) 97-106; ID., Sulle tre prime edizioni (1732, 1742, 1749), ibid. IX (1901) 1-4; B. Croce, Il giudizio su D. di G.B. Vico e il commento di P. V. [1927], in Conversazioni critiche, III, Bari 1932, 315-319; A. Vallone, La critica dantesca nel Settecento, ecc., Firenze 1961, 47-49.