ZAMBECCARI, Pompeo
– Nacque nel 1518 a Bologna da Giacomo e da Alfonsina Passamonti.
Il padre, appartenente a una delle famiglie più in vista, si era trasferito a Roma nel secondo decennio del Cinquecento e aveva intrapreso attività economiche ad ampio raggio, dal commercio alla gestione di fondi coltivati. Dal matrimonio, dalla parentela con i Colonna e soprattutto dalla sua disponibilità a rilevare il patrimonio fondiario di questi ultimi (sia pure con pactum redimendi), aveva ricavato un consistente, per quanto frammentato, insieme di feudi e terreni: Sambuci, Arsoli, Montecompatri, Cave, la Dogana di Tagliacozzo, più molti altri casali e appezzamenti in proprietà e in affitto, gestiti con metodo imprenditoriale. Giacomo era altresì appaltatore delle saline di Ostia.
Pompeo intraprese la carriera ecclesiastica giovanissimo. Nel 1531 fu nominato abate del monastero benedettino di S. Maria di Bominaco, circa 30 km a sud dell’Aquila. Ebbe anche le rendite beneficiali del non lontano monastero di S. Spirito d’Ocre. Ottenuto quindi il titolo di abate commendatario di S. Spirito all’Aquila e di commendatore perpetuo di S. Spirito in Sassia a Roma, studiò diritto e si laureò nel 1541 in utroque iure presso l’Università di Bologna. Rientrato a Roma, nel 1542, fu eletto dal Senato di Roma fra i riformatori della Sapienza, cioè uno dei quattro responsabili dell’amministrazione dello Studio.
Zambeccari nel contempo si era decisamente avvicinato ai Farnese. Assunse l’incarico di redattore delle minute degli atti della Cancelleria pontificia, presieduta dal cardinale nipote Alessandro Farnese. Quindi, dopo una parentesi come luogotenente dell’abate di Farfa e come visitatore della diocesi di Monreale, nominato anche protonotario apostolico, fu creato vescovo di Valva e Sulmona, il 1° luglio 1547. Lo consacrò il cardinale legato di Bologna Giovanni Morone, il 3 aprile 1548, nella chiesa del Corpus Domini; tuttavia, egli non si recò nella sua sede di residenza. Infatti, nella stessa Bologna, dopo la votazione dell’assemblea dell’11 aprile 1547, si era trasferito il Concilio di Trento.
Paolo III, di fronte alle proteste dell’imperatore Carlo V, aveva bisogno di una nutrita partecipazione e Zambeccari, prelato domestico del papa, fu sollecito ad aggiungersi. Vi avrebbe dimorato fino alla sospensione dei lavori, peraltro di scarso rilievo, all’inizio di settembre del 1549. A Bologna, Zambeccari aveva avuto nondimeno modo di fare un’approfondita conoscenza del legato Giovanni Maria Ciocchi Del Monte. Fu proprio quest’ultimo a succedere a Paolo III (morto il 10 novembre 1549) e a determinare la svolta nella sua carriera. Infatti, asceso al soglio il 7 febbraio 1550 con il nome di Giulio III, lo nominò già il 4 marzo nunzio in Portogallo.
Zambeccari arrivò a Lisbona verso la fine di giugno del 1550. Ricevute informazioni e consegne dal predecessore Giovanni Ricci, si insediò nell’incarico, che comprendeva altresì la direzione della collettoria del Regno. Non sono disponibili le istruzioni consegnategli, né l’elenco delle sue facoltà: esse non dovevano essere comunque di portata limitata se insieme al cardinale infante Enrico d’Aviz poté dare al giudice civile di Funchal, nell’isola di Madeira, autorità di procedere contro tutti i delitti, sia di giurisdizione ecclesiastica ordinaria sia di competenza del Sant’Uffizio.
Sul finire dell’estate dello stesso anno, l’aperta contrapposizione tra il nuovo papa Giulio III e i Farnese mise in serio imbarazzo il nunzio, che inviò a Roma il suo segretario Domenico Dell’Oro, «per dare qualche ragguaglio a Sua Santità delle cose di qua et per espedire alcuni altri mia negotii» (cit. in De Witte, 1980, p. 338).
L’anno seguente fu incaricato da Roma di condurre un’inchiesta su vita e miracoli del beato domenicano del XIII secolo Gonçalo de Amarante. Non ricevette che poche altre istruzioni ed ebbe occasione di lamentarsene apertamente: tuttavia, la guerra di Parma del 1551-52 (durante la quale il fratello di Pompeo, Flaminio, combatté al fianco del duca Ottavio) e l’appannamento della Segreteria pontificia, priva sotto papa Del Monte di un vertice paragonabile a quello rappresentato in passato dal cardinale Alessandro Farnese, non facevano sperare in un cambio di passo. Zambeccari, che inviava ogni mese a Roma la sua «lettera de negoci» (ibid., p. 341), dovette lamentarsi nel novembre del 1552 di essere rimasto senza corrispondenza praticamente per un anno. Fatto particolarmente grave, se si considera che il re Giovanni III gli faceva esplicita richiesta di avviare nel Regno di Portogallo l’applicazione dei decreti di riforma già approvati dal Concilio Tridentino e che il cardinale infante d’Aviz aveva inviato ai vescovi lusitani una lettera contenente disposizioni su questo argomento, accompagnata da altri ordini presi per sua iniziativa. Ancora una volta, Zambeccari si trovò praticamente da solo: dovette addirittura trasmettere a Roma lettere giustificative di queste azioni dello stesso re.
Egli fu all’oscuro anche della soppressione della sua stessa nunziatura, sostituita dalla concessione dei poteri di legato allo stesso cardinale infante d’Aviz. L’8 novembre 1553 arrivò a Lisbona Giovan Francesco Canobio, nuovo collettore, che recò a Zambeccari la lettera contenente le disposizioni circa il suo richiamo e gli mostrò la bolla della legazione a vita di Portogallo per il cardinale fratello del re. Zambeccari si mise in viaggio verso Roma il 25 dello stesso mese. Tentò senza speranza di successo di vedere completata la sua traiettoria verso il cardinalato. Respinto violentemente il disegno dallo stesso papa Del Monte, che gli rinfacciò addirittura le eccessive spese per l’edificazione di un palazzo in piazza Ss. Apostoli a Roma, Zambeccari dapprima si occupò di riordinare il patrimonio familiare dissestato (soprattutto per l’inazione dei fratelli Carlo e Alessandro), poi si recò nella sua diocesi. Fece ingresso solenne a Sulmona il 16 settembre 1554.
Sotto papa Cervini fu nunzio e commissario per ricevere l’ambasciata d’obbedienza di Filippo II e di Maria Tudor, regina d’Inghilterra. Nei primi anni del pontificato di Paolo IV mancano notizie sui suoi movimenti. È certo che affittò il suo palazzo di Ss. Apostoli a Bartolomeo Camerario. Nel 1557 fu a Parma. Nei due anni seguenti fece residenza nella sua diocesi. La divise tra Sulmona e Pentima, sede della diocesi introdotta dopo che la cattedrale di S. Panfilo e l’episcopio di Sulmona erano stati danneggiati da un terremoto.
Durante il pontificato di Pio IV, dopo un ufficio di rappresentanza (accompagnare a Roma Giovanna d’Aragona, vedova di Ascanio Colonna) e l’incarico di sovrintendere alla conduzione dell’acqua Vergine dalle sorgenti di Salone fino a Roma, gli giunse l’ordine di raggiungere di nuovo Trento. Vi arrivò il 17 gennaio 1562. Nelle successive sessioni del Concilio si distinse per la sua resistenza contro i tentativi più radicali di istituire l’obbligo di residenza dei vescovi iure divino. In altre occasioni, invece, operò come capace mediatore fra le diverse posizioni. Un suo memoriale sui conflitti giurisdizionali con il potere civile e sulla necessità che anche i regnanti secolari si sottoponessero a una riforma, databile fra marzo e aprile del 1563, fu alla base di due progetti che incontrarono la vibrante opposizione del re di Francia Carlo IX e dell’imperatore Ferdinando I. Celebrò nondimeno la messa per l’apertura dell’ultima sessione, il 3 dicembre 1563.
Rientrato a Sulmona, promosse lavori al palazzo episcopale. Tentò più volte di tornare a Roma, anche mediante l’acquisto di un posto di chierico della Camera apostolica (ufficio venale). Sebbene ricevesse aiuti finanziari dai cardinali Farnese e Ricci, non riuscì a mettere insieme l’importo necessario.
Fece testamento il 20 aprile 1571, a Sulmona, costituendo erede il fratello Giacomo e i suoi figli.
Morì all’inizio del successivo agosto a Sulmona. Fu seppellito il 7 agosto nel duomo di S. Massimo a L’Aquila.
Mantenne i suoi interessi culturali anche negli anni della nunziatura: gli fu dedicato il Tractatus de coniugio regis Anglie cum relicta fratris sui di Álvaro Gómez (Lisbona, G. Galharde, 1551), che ribadiva la piena competenza del papa a decidere sulla validità del matrimonio fra Enrico VIII e Caterina d’Aragona. Collaborò altresì alla formazione del corredo figurativo del libro di Ippolito Salviani Aquatilium animalium historiae, cercando di avere disegni di pesci addirittura dal Brasile e dall’India.
Ebbe un figlio naturale, Lepido, nato a Sulmona dalla relazione con una monaca professa di casa Malvezzi e morto il 28 gennaio 1609. Venne ricordato nel testamento, ma solo come ultimo della linea di successione (che collocava al primo posto il fratello Giacomo e i suoi figli). Trasferitosi a Firenze, fu cameriere del granduca Ferdinando I de’ Medici.
Fonti e Bibl.: L. Sabbatini d’Anfora, Ragioni alle quali si appoggiano i dritti della S. Sede nel conferire la Badia di S. Maria di Bominaco dentro la diocesi dell’Aquila..., Napoli 1756, pp. XCIII-XCVIII; C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Münster 1910, p. 326; L. Prosdocimi, Il progetto di ‘riforma dei principi’ al Concilio di Trento (1563): alcuni testi conciliari e altri documenti inediti o poco noti riguardanti i rapporti fra Stato e Chiesa, in Aevum, XIII (1939), pp. 27-30; Ch.M. De Witte, La correspondance des premiers nonces permanents au Portugal, 1532-1553, I, Lisboa 1980, pp. 329-357, II, 1986, pp. 669-751; G. Olmi, L’inventario del mondo. Catalogazione della natura e luoghi del sapere nella prima età moderna, Bologna 1992, pp. 229 s.; Concilium Tridentinum: diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, XIII, 2, Concilii Tridentini tractatuum partis alterius, a cura di K. Ganzer, Friburgi Brisgoviae 2001, ad ind.; G. Marcocci, A fé de um império: a Inquisição no mundo português de Quinhentos, in Revista de história, 2011, n. 164, p. 76; M.C. Cola, Palazzo Valentini a Roma. La committenza Z., Boncompagni, Bonelli tra Cinquecento e Settecento, Roma 2012, ad indicem.