RUGGERI (Ruggieri), Pompilio (in religione Michele; nome cinese Luo Mingjian)
RUGGERI (Ruggieri), Pompilio (in religione Michele; nome cinese Luo Mingjian). – Nacque a Spinazzola (Bari) il 28 ottobre 1543 da Ludovico e da Giulia Fanella.
Prima di entrare nella Compagnia di Gesù si era addottorato a Napoli in diritto civile ed ecclesiastico ed era stato funzionario del governo spagnolo. Fece il suo ingresso nella Compagnia il 28 ottobre 1572 e prese i voti il 18 ottobre 1573. Al Collegio romano studiò filosofia e teologia, logica e matematica. Verso la fine di marzo del 1578 si imbarcò da Lisbona per l’India e nel novembre fu inviato in Malabar per iniziare a studiare il tamil. Nel 1579 per ordine del visitatore Alessandro Valignano fu destinato a Macao per prepararsi alla missione cinese attraverso lo studio della lingua mandarina e lì nel 1580 fondò una casa catecumenale intitolata a S. Martino per la conversione dei cinesi. A Macao gli fu attribuita una sede di residenza diversa da quella degli altri confratelli per non essere distolto dallo studio della lingua e della cultura cinesi; un’impresa difficile di cui Ruggeri lasciò numerose tracce nelle sue lettere.
Molto era lo scoraggiamento circa l’evangelizzazione della Cina a causa dell’ostilità riservata agli stranieri e delle difficoltà nell’apprendimento della lingua cinese cui si sommavano le manifestazioni di incomprensione da parte degli altri confratelli, critici verso il tempo dedicato allo studio che distoglieva dai più tradizionali ministeri («[...] intendei dire: “A che fine occupare un padre, che può servire in altre occupationj de la Compagnia, perdere tempo nell’apprendere la lingua cina e in impresa desperata?”», in Opere storiche del padre Matteo Ricci S.I., 1911-1913, II, p. 397); ma altrettanto grande era l’entusiasmo e la convinzione che fosse l’unica strada da percorrere. Era stato Valignano a comprendere che lo studio della lingua era l’unico mezzo con cui sperare di entrare in Cina (A. Valignano, Historia..., 1944, p. 256). A questo proposito il 12 febbraio 1582 il visitatore aveva stabilito che gli almeno quattro gesuiti che dovevano essere presenti a Macao erano tutti tenuti a imparare a parlare e scrivere la lingua e a studiare i costumi dei cinesi perché «finché non abbiamo alcuni dei Nostri che sappiano la lingua mandarina è impossibile poter tentare con frutto questa tanto desiderata conversione della Cina» (Fonti Ricciane, 1942-1949, I, p. LXXXIX). Nel 1587 il generale Claudio Acquaviva rendeva la conoscenza della lingua elemento indispensabile per i missionari destinati alla Cina.
Dal 1580 Ruggeri aveva raggiunto una certa padronanza della lingua e furono frequenti i suoi viaggi come interprete al seguito dei mercanti portoghesi, autorizzati a entrare in Cina due volte l’anno in periodo di fiere, a Guangzhou (Canton) dove nell’ottobre del 1581 ottenne il permesso di risiedere in un piccolo tempio dietro la residenza ufficiale dei diplomatici siamesi, entro le mura cittadine.
Il 2 maggio 1582 incontrò nel Guangzhou lo spagnolo Alonso Sánchez, a capo di una delegazione di gesuiti inviati nelle Filippine nel 1581 da Filippo II. Tra i due gesuiti si instaurò un ottimo rapporto testimoniato da Sánchez con un elogio dell’erudizione e della devozione di Ruggeri nonché del suo precedente impiego come giurista a Napoli al servizio della Corona spagnola che ne facevano apprezzare le doti diplomatiche. I due si incrociarono nuovamente a Macao nel 1584. Fu in quell’occasione che Ruggeri fu coinvolto nella difficile operazione diplomatica con cui il Portogallo rivendicava il controllo di Macao e la sua sottomissione.
Entrato due volte in Cina, Sánchez si era fatto sostenitore presso la corte spagnola di un progetto di muovere guerra alla Cina che non ebbe mai corso e che aveva trovato il suo principale oppositore nel gesuita José de Acosta. In una lunga lettera a Gaspare Coelho, viceprovinciale del Giappone, datata 5 luglio 1584 (Opere storiche del padre Matteo Ricci S.I., 1911-1913, II, pp. 425 s.), Sánchez esponeva la ferma convinzione che fosse impossibile conquistare la Cina con la sola predicazione e in successivi documenti (Colín - Pastells, 1900, pp. 437-444 nota 4) proponeva piani militari e strategie di conquista che non escludevano l’azione diretta degli stessi gesuiti, con l’uso strategico della loro conoscenza della lingua, delle loro capacità cartografiche e della loro funzione di informatori e di sobillatori contro la tirannia dei mandarini.
Nell’aprile del 1582 Ruggeri e Mateus Panela, funzionario dell’amministrazione portoghese di Macao, partirono per il Guangzhou e da lì per Zhaoqing. Tornato a Macao, nell’estate del 1582, Ruggeri trovò ad attenderlo i confratelli Francesco Pasio (1554-1612) e Matteo Ricci giunti dall’India. La loro presenza nella missione cinese era stata richiesta dallo stesso Ruggeri sin dalla fine del 1580.
Il 18 dicembre 1582 Ruggeri e Pasio lasciarono Macao per Zhaoqing, avendo avuto il permesso di fondare una residenza entro la città. Il governatore Chen Rui gli assegnò una serie di stanze del grande tempio buddista di Zhaoqing, il Tianningsi, dove celebrarono la loro prima messa. Ma numerosi furono i problemi di natura politica incontrati, e dopo soli tre mesi i due gesuiti tornarono a Macao (8 febbraio 1583). A febbraio, infatti, arrivò l’ordine da Pechino di rimuovere Chen Rui dal suo incarico. La caduta in disgrazia del mandarino Rui fu solo la prima di una lunga serie di sconvolgimenti che seguirono la morte, nel 1582, del potente gran segretario Zhang Juzheng, con un mutamento delle linee politiche che si ripeterono numerose volte nel corso della missione gesuitica in Cina.
Il 1° settembre Ruggeri, Ricci, un interprete e i loro servitori partirono per fondare la prima missione: il 10 settembre 1583 a Zhaoqing dove Ruggeri aveva avuto «un campo per fare io una casa, dove stesse con mia famiglia e una ecclesia ne la quale facesse miei sacrificij e insegnasse [...] il miglior luoco di quella città e molto comodo» (Opere storiche del padre Matteo Ricci S.I., 1911-1913, II, p. 420). Per cercare fondi per la costruzione della chiesa, frequenti furono gli spostamenti di Ruggeri tra Macao e Zhaoqing tra la fine del 1583 e il 1584. A questo periodo sono ricondotti i primi lavori intorno alla stesura di un dizionario portoghese-cinese considerato il frutto della collaborazione tra Ricci e Ruggeri e che quest’ultimo si portò in Europa nel 1588. Tornò a Zhaoqing nel febbraio del 1584.
Nel 1584 uscirono i primi fogli sciolti in lingua cinese dei missionari: il Decalogo realizzato da Ruggeri e Ricci; cui seguirono il Pater Noster, l’Ave Maria e il Credo. Nel novembre dello stesso anno Ruggeri diede alle stampe il suo catechismo, Tianzhu shilu (Vera esposizione della dottrina del Signore del Cielo), il primo libro stampato da europei in Cina. Iniziato a scrivere a partire dal 1581 con l’approvazione di Valignano, il testo fu rapidamente dismesso (1593) e sostituito da un nuovo catechismo, il Tianzhu shiyi (Vero significato del Signore del Cielo) di Matteo Ricci, inviato nel 1603 al generale Acquaviva per l’approvazione, ma iniziato a scrivere dal 1593. Il catechismo di Ruggeri si presentava come un volumetto di sole 43 pagine, ma già caratterizzato da alcune critiche alle concezioni cinesi e dalla presenza di qualche insegnamento scientifico (Gernet, 2007, p. 51). Secondo Ruggeri ne furono stampate più di 3000 copie.
Il Tianzhu shilu, com’era nella tradizione cristiana, è costruito nella forma di un dialogo fra un monaco e un interlocutore cinese. L’autore presenta la religione proveniente da Tianzhu (India) come una dottrina semplice, che non implica digiuno quotidiano né la meditazione Chan e nemmeno l’obbligo di abbandonare la vita mondana per seguire un maestro spirituale. Diviso in 16 brevi sezioni, le prime quattro descrivono la natura del Signore del Cielo, la quinta è dedicata alla caduta di Adamo, la sesta e la settima trattano i temi dell’immortalità dell’anima e delle sue quattro dimore dopo la morte, mentre la storia della redenzione, dalla creazione all’incarnazione, è riassunta nell’ottava, nona e decima sezione. L’undicesima parte introduce poi i principi del credo, mentre la dodicesima descrive i dieci comandamenti. Il sistema dei voti clericali e il battesimo sono spiegati rispettivamente nella tredicesima e nella quattordicesima sezione. Le ultime due riprendono i dieci comandamenti insieme all’Ave Maria (Po-chia Hsia, 2012, pp. 116 s.). La versione latina del testo, Vera et brevis divinarum rerum expositio (in Opere storiche del padre Matteo Ricci S.I., 1911-1913, II, pp. 498-540), fu approntata per il generale Acquaviva. Il testo di Ruggeri è profondamento debitore della dottrina buddista e taoista di cui paradossalmente adotta termini e linguaggi pur essendo un catechismo antibuddista (da Tianzhu per il ‘Signore dei Cieli’ al Tiantang, il ‘palazzo celeste’ per indicare il ‘Paradiso’, o ancora, sheng shui che nel buddismo designava un’acqua dalle proprietà curative e nel cristianesimo l’acqua santa). Il profondo legame spiega almeno parzialmente la rapida sostituzione del catechismo di Ruggeri, che coincise più o meno con il periodo in cui Ricci, sostenuto da Valignano, decise di abbandonare il saio buddista in favore delle vesti confuciane, scegliendo come interlocutore privilegiato del cristianesimo il letterato-mandarino al posto del monaco-bonzo. Ricci stesso più volte nel corso delle sue lettere e della sua Della entrata della Compagnia di Giesù in Cina (in Opere storiche del padre Matteo Ricci S.I., 1911-1913, II, p. 260) spiega i motivi della necessità di scrivere un nuovo catechismo: lo scritto che Ruggeri aveva prodotto per l’istruzione catechistica «era fatto al modo e stato in che allora stavano i Padri, nominandosi i nostri in esso con nome simile agli Osciami [ai monaci buddisti, heshang]». All’esordio dell’evangelizzazione i gesuiti avevano sentito un legame ‘naturale’ con il buddismo e il taoismo, e non avevano esitato a radersi il capo e a indossare le vesti dei bonzi. Ora invece la volontà era di evitare che il cristianesimo, il culto straniero venuto dall’Occidente (come da Occidente era venuto durante la dinastia Han – 206 a.C.-220 d.C – il buddismo), fosse concepito come una sorta di variante delle dottrine buddiste e taoiste. Il catechismo di Ruggeri era culturalmente lontano e contrario a ciò che Ricci, di concerto con il visitatore Valignano, stava per compiere, vale a dire all’interpretazione della dottrina confuciana come la prima legge, la legge naturale, la forma più antica del monoteismo, la filosofia che non contiene niente di contrario al cristianesimo.
In materia catechistica Ruggeri scrisse anche Conversazioni catechetiche, 9 pagine articolate in 18 paragrafi, che costituiscono una sorta di promemoria per le conversazioni. Al modello del monaco buddista sono da ricondurre anche i suoi versi in stile classico cinese. Il catechismo di Ruggeri fu reso parzialmente noto in Europa con il suo inserimento nella Bibliotheca Selecta (Romae 1593) di Antonio Possevino che ne riproduceva i titoli dei 13 capitoli e alcune righe del contenuto (l. IX, pp. 584-586) e ricorreva alle informazioni avute da Ruggeri per redigere la sezione dedicata alla geografia e ai costumi del De Regnum Sinarum. Molto probabilmente al 1584 è da ricondurre l’inizio del lavoro di traduzione in latino dei Quattro libri confuciani. Il manoscritto giunse in Europa con Ruggeri che continuò a lavorare alla traduzione. I primi tre quarti del Dexue (Grande Studio) furono pubblicati nella Bibliotheca Selecta di Possevino (pp. 581-584). L’intervento di Valignano, con una lettera ad Acquaviva, metteva in luce le scarse conoscenze linguistiche acquisite da Ruggeri in Cina e riteneva inopportuna la pubblicazione della traduzione. A oggi la storiografia non è ancora riuscita a risolvere i dubbi circa la paternità di questa prima traduzione attribuendola ora a Ruggeri ora a Ricci. Scrisse inoltre, su richiesta di Acquaviva, Alcuni avvisi circa il modo di aiutare i cinesi, rimasti inediti (Shih, 1964, pp. 5, 62).
Nonostante la storiografia e la tradizione attribuiscano a Matteo Ricci il titolo di fondatore della missione in Cina, fu Ruggeri a gettarne tutte le premesse: pioniere nello studio della lingua, autore della prima opera cristiana pubblicata in lingua cinese, colui che ottenne il permesso di fondare una residenza e di ingresso degli altri due compagni. La costruzione del mito della missione della Compagnia di Gesù in Asia orientale, anche a causa della controversia sui riti cinesi sorta quasi immediatamente alla morte di Ricci (1610), ha indotto a sviluppare precocemente uno stretto legame tra la Cina gesuitica e Ricci e a riservare a Ruggeri un ruolo sotto molti aspetti secondario, come testimonia l’importante differenza quantitativa degli studi dedicati ai due missionari.
Verso la fine del 1584 Ruggeri tornò a Macao ancora alla ricerca di fondi per la missione. Nel 1585-86 fu impegnato in escursioni nel Sud e nell’Est della Cina. Dapprima in viaggio per Guangzhou, verso le zone del Nord, sino al confine settentrionale del Guangdong (dove incontrò Antonio de Almeida, che Valignano aveva destinato alla missione cinese) e da qui, via terra, verso il Jiangxi e Nanchang, Jingdezhen, nella provincia del Zhejiang e infine a Shaoxing (23 gennaio 1586); qui gli fu promesso di condurlo a Pechino, dove però non fu mai accompagnato.
A questo periodo, che coincise anche con il suo secondo incontro con Sánchez, appartiene il momento forse più intenso dell’impegno di Ruggeri nella produzione di carte geografiche. La cartografia fu un elemento importante della strategia della Compagnia di Gesù in Cina che rese l’arte e la scienza parte integrante del progetto di ‘seduzione’ dei mandarini, utilizzandole per attirare la stima e l’ammirazione della classe di governo.
Nel 1586 il prefetto, protettore dei gesuiti, Wang Pan chiedeva a Ruggeri di tornare a Zhaoqing dove i gesuiti giunsero nell’agosto di quell’anno. Nel novembre del 1587 veniva loro richiesto di lasciare Zhaoqing promettendo di farli tornare in tempi più propizi. Ancora una volta in prossimità di cambi di potere la presenza degli stranieri in Cina e l’atteggiamento di tolleranza a loro accordato venivano vissuti con il timore di eventuali ritorsioni. All’ordine di Wang Pan fu trovato un compromesso che prevedeva la divisione del gruppo: mentre Eduardo de Sande, nominato superiore, tornava a Macao, Ricci e Ruggeri ottenevano il permesso di rimanere a Zhaoqing. Nello stesso anno Ruggeri fu accusato – e assolto – di adulterio (si veda il verdetto del magistrato in Po-chia Hsia, 2012, p. 373).
Il 20 novembre 1588 Ruggeri partì da Macao, inviato da Valignano a Roma per sollecitare il papa circa l’invio di un ambasciatore alla corte dell’imperatore Wanli; un’azione diplomatica presso la corte imperiale era considerata l’unico modo per aggirare le difficoltà incontrate a Zhaoqing, stabilizzando la presenza dei missionari sul territorio e sottraendoli a favori, compiacenze e ritorsioni dei vari poteri locali. A un’ambasceria papale presso la corte cinese d’altra parte Ruggeri pensava sin dai primissimi anni in Macao (1581), convinto che solo l’intervento dell’imperatore avrebbe reso più stabile e facile l’ingresso dei gesuiti in Cina. Il 13 settembre 1589 arrivò a Lisbona, dove fu ospite del governatore di Filippo II, il cardinale Alberto d’Austria; nel dicembre dello stesso anno si recò a Madrid dove fu accolto dal sovrano. Passando per Valencia, Genova e Napoli, il 25 giugno 1589 giunse a Roma, dove incontrò il generale Acquaviva cui consegnò una lettera di Valignano (Archivum Romanum Societatis Iesu, Jap. Sin., 101, II, c. 29) contenente giudizi negativi sullo stesso Ruggeri, sulla sua età troppo avanzata (45 anni), sullo scarso livello raggiunto nell’apprendimento del cinese. Non fece più ritorno in Cina.
L’ambasciata non fu delle più fortunate. Nell’agosto del 1590 infatti moriva Sisto V e nel settembre successivo Urbano VII. Durante il lungo conclave che portò all’elezione di Gregorio XIV, Ruggeri fece ritorno a Napoli. Solo nel 1591 fu ricevuto dal pontefice, che morì nello stesso anno, seguito poco dopo da Innocenzo IX. L’interesse verso la sua ambasciata era praticamente inesistente alla corte romana.
Trascorse i suoi ultimi anni dedicandosi alla revisione della tradizione latina dei Quattro libri. In quel periodo ebbe luogo il suo incontro con Possevino (1592-93). Dal 1593 fu direttore spirituale e confessore a Salerno, dove morì l’11 maggio 1607.
Fonti e Bibl.: Documenti sono conservati in Archivum Romanum Societatis Iesu, Jap. Sin., 101, I, Relationes de Sinis 1577-1591 (1601), e 101, II, Missio Sinensis-primordia; collectanea (1608); Roma, Biblioteca nazionale, Fondo Gesuitico 1276: Catechismi Sinici Parpahrasis (1590-91), 1185: Mencio e altri autori cinesi. Raccolta a cura di P. Michele Ruggieri. Altre indicazioni archivistiche in J.C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VII, Bruxelles-Rome 1896, coll. 316 s., e IX, 1900, col. 826; R. Streit, Bibliotheca missionum, IV, Asiatische missionsliteratur 1245-1599, Aachen 1928, pp. 521 s.; L. Pfister, Notices biographiques et bibliographiques sur les jésuites de l’ancienne Mission de Chine, 1552-1773, I, Chang-Hai 1932, pp. 15-21; H. Bernard, Aux portes de la Chine. Les missionnaires du seizième siècle (1514-1588), Tientsin 1933, ad ind.; J. Dehergne, Répertoire des Jésuites de Chine de 1552 à 1800, Roma-Paris 1973, pp. 235 s.; J. Shih, Ruggieri, Michele, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús, a cura di C.E. O’Neill - J.M. Domínguez, IV, Roma-Madrid 2001, pp. 3433 s.
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