PONTE (lat. pons; fr. pont; sp. puente; ted. Brücke; ingl. bridge)
Si dice ponte l'opera d'arte costruita per riunire due tratti di strada o canale, interrotti da un avvallamento del suolo o da un corso d'acqua. La denominazione di ponte si usa in particolare per quelle opere d'arte che si svolgono quasi interamente sopra un fiume o torrente o sopra un lago o braccio di mare.
Se, nell'avvallamento che si attraversa, il corso d'acqua ha piccola importanza in rapporto all'ampiezza del manufatto, o se questo corso d'acqua manca del tutto, l'opera d'arte si chiama viadotto.
Se poi il viadotto serve a sorpassare una strada, esso viene chiamato cavalcavia o sovrapassaggio, nei riguardi della strada sottostante, e sottopassaggio o sottovia rispetto alla strada che si svolge sul viadotto. La denominazione si assegna in confronto alla posizione della strada più importante nell'incrocio. Fra una strada ordinaria e una ferrata, il riferimento viene fatto sempre a quella ferrata.
Antichità. - Tra le grandi costruzioni di utilità pubblica dell'architettura romana, nessuna forse è più tipica dei ponti innumerevoli gettati lungo le strade, tracciate, in sistematica rete, attraverso tutte le regioni dell'impero. Non si vuol dire con ciò che prima dei Romani il mondo antico ignorasse la costruzione dei ponti, benché di solito i grandi fiumi fossero allora attraversati a guado o per mezzo d'imbarcazioni, e i piccoli rivi fossero spesso varcati da quei ponticelli di legno di cui abbiamo un tipico esempio nei ponti scoperti da L. Pigorini sui fossati che recingevano le terramare, e da lui studiati particolarmente nella terramara di Castellazzo di Fontanellato (Not. d. Scavi, 1892, p. 450 segg.).
Già nell'antico Oriente si costruirono ponti di pietra, specialmente entro le grandi città: basterà ricordare il ponte di Sennacheribbo e ciò che Erodoto (I, 186) e Diodoro (II, v111, 2) ci riferiscono di un ponte in pietra che congiungeva le due rive dell'Eufrate a Babilonia, se pure si può ritenere notevolmente esagerata la lunghezza di cinque stadî (925 m.) che Diodoro attribuisce al ponte stesso: resti di sette pile di mattoni (di metri 21 × 9 ciascuna e a distanza di 9. m. l'una dall'altra) furono trovate a Babilonia a sud della cinta di Etemenanaki e documentano l'esistenza di un ponte sull'Eufrate con tavolato ligneo.
Nulla, a proposito dei ponti, sappiamo sulla strada militare tracciata nel secondo millennio a. C. dai re Cassiti lungo il deserto e che univa Babilonia a Gerusalemme, né sulla famosa strada regia dei Persiani Achemenidi (ma di origine più antica) tra Susa e Sardi e sulle sue diramazioni, fuorché ciò che Erodoto (V, 52) ci dice, e cioè che lungo la strada regia l'Eufrate, il Tigri, il Gindo (Dijala) e il Coaspe (Kerhah) si attraversavano in barca: alcuni ponti, di poche tavole sui piccoli rivi e di pontoni sui fiumi più larghi, dovevano però esistere, perché ci sono ricordati da iscrizioni del tempo di Tiglatpileser I e di Salmanassar III, e un ponte di pontoni sull'Eufrate vediamo anche raffigurato in una lastra della porta bronzea di Balawat; sappiamo ancora che il taglio di un ponte fra due diverse contrade era considerato come atto di ostilità. Spesso però nei rilievi assiri vediamo reparti di truppe che passano i fiumi a nuoto, aiutandosi con otri gonfi d'aria. Tracce di un ponte ligneo dei Hittiti furono trovate sul vallone di Boğazköy.
Certo è però che negli antichi tempi l'attraversamento dei corsi d'acqua doveva offrire un serio ostacolo.
Anche nella Grecia si conobbe l'arte di costruire ponti di pietra, oltre naturalmente a quella dei ponti lignei e dei ponti militari di barche (σχεδίαι), benché talora, dove mancava il legname, le armate si valessero, per attraversare i fiumi, dello stesso sistema degli Assiri, cioè di otri fatti con le pelli delle tende e riempiti di paglia; così Alessandro fece passare alle sue truppe il Danubio e l'Oxus. Ma, sia per l'assenza quasi completa di una vera e proprìa rete stradale, sia per la mancanza di grandi corsi d'acqua, sia infine per il carattere essenzialmente rettilineo dell'architettura greca, pochi furono i ponti costruiti nei paesi ellenici e questi per lo più piccoli e a unica arcata, come quelli di Metaxádēs e di Micene; due delle eccezioni più interessanti sono quelle offerte dal ponte a tre braccia di Pamiso in Messenia, posto alla confluenza di due fiumi, e dal ponte obliquo di Assos nella Troade.
I veri maestri dei Romani nell'arte di costruire ponti furono gli Etruschi, anche se poche vestigia ci restano in questo campo delle costruzioni etrusche. Poiché i ponti che di solito sono considerati come etruschi, e cioè quello dell'Abbadia presso Vulci, quello della Rocca presso Bieda (Viterbo), quello presso il Bulicame di Viterbo e quelli inoltre di cui ci restano avanzi sul Cremera a Veio, sono con tutta probabilità opera di artefici etruschi, ma vennero eseguiti in età romana, se pure la tecnica della loro costruzione con strutture di grandi massi a secco appare tipicamente etrusca.
I primi ponti romani furono di legno: tale era il più antico fra i ponti di Roma, il Sublicio, e tale esso rimase sempre nella sua parte superiore, per ragioni di indole religiosa e rituale, anche quando le pile furono rifatte in pietra, e tali erano i due primitivi ponti che congiungevano l'Isola Tiberina con le due sponde, anteriormente alla costruzione del ponti Fabricio e Cestio. Anche dopo che fu costruito il primo ponte di pietra, l'Emilio (179 a. C.), i Romani non cessarono dal costruire ponti di legno sia lungo le strade (le vie consolari mostrano ponti di pietra costruiti nel II-III sec. d. C. in luogo di preesistenti ponti lignei) sia per usi militari: il più spesso questi non erano che ponti di barche, di cui abbiamo le immagini nelle figurazioni delle colonne Traiana e Antonina, ma talvolta erano dei ponti veri e proprî costruiti a palafitta come quelli famosi di Cesare sul Reno (De bell. gall., IV, 17; descrizione e bibliografia in C. Jullian, Hist. de la Gaule, III, p. 330-333), o quelli figurati sulle colonne Traiana e Antonina, e in alcune monete di Traiano, di Antonino o di Marc'Aurelio, o ancora quello monumentale figurato sopra un medaglione di Settimio Severo; ovvero erano ponti misti con i piloni di pietra e gli archi e il tavolato di legno, come quello famoso, a 20 piloni costruito sul Danubio per Traiano da Apollodoro di Damasco nel 104, e riprodotto pure sulla colonna Traiana: si pensa perciò che esso in un secondo tempo fosse completato interamente in pietra.
Nei due ultimi secoli della repubblica e durante l'età imperiale la costruzione dei ponti si è svolta attraverso continui perfezionamenti di ordine tecnico, ma fino dal principio sono riconoscibili in essi tutti i caratteri fondamentali di queste tipiche costruzioni del genio romano.
Per la costruzione dei ponti a più arcate, i Romani, abbandonato l'antico sistema orientale di deviare il corso dei fiumi, ricorsero fino dal principio al più ardito sistema delle fondazioni sott'acqua, adottando procedimenti analoghi a quelli che Vitruvio (V, 12) descrive per le fondazioni marittime: sistema delle paratie a doppia parete di pali costituente bacino chiuso, che si riempiva con una gettata di calcestruzzo, sistema riconosciuto ad es. nei lavori di demolizione di alcune parti dell'antico ponte Cestio; gettata di veri e proprî blocchi artificiali parallelepipedi; impiego di palificate di quercia, disposte sul fondo e ricoperte da uno strato di calce struzzo, sulle quali riposavano le strutture murarie a scaglioni, come si è osservato per il ponte di Traiano sul Danubio e per il ponte sul Silaro a Castel S. Pietro; nell'alveo dell'Adige a Verona, dov'era il ponte Postumio, si sono trovati pali insieme a ciottoli involti di piombo, i quali attestano che la platea sotto le pile era stata colmata da una colata di piombo (cfr. Not. scavi, 1891, pagg. 101-102); tuttavia, malgrado l'abilità tecnica dei costruttori, la mancanza di una sufficiente profondità delle fondazioni o la scarsa resistenza dei pali sono state la causa principale della rovina di molti degli antichi ponti romani. Stabilite così le fondazioni, sorgevano su di esse le pile intermedie, che con le spalle laterali costituivano l'elemento essenziale del ponte, e che erano costruite il più sovente a grandi blocchi in opera isotoma o pseudoisotoma, e dotate di un considerevole spessore atto a sopportare il peso delle vòlte e a resistere alla spinta della corrente; questa poi veniva spezzata assai spesso dagli speroni delle pile, di solito triangolari a monte e semicircolari a valle. È qui da notare che non sempre i piloni erano normali alla corrente, ma avevano talvolta una posizione obliqua, come si è osservato nel ponte Emilio a Roma, nel ponte Corvo sull'Appia, e forse in quello di Agrippa a Roma e in quello di Rimini: d'altra parte è da notare che i ponti Fabricio e Cestio furono disposti a gomito anziché in rettilineo, appunto perché ognuno di essi fosse normale alla corrente del fiume, e che altri ponti hanno la pianta leggermente in curva, come il ponte Lungo di Albenga che presenta la convessità a monte. Tenuto però presente che i Romani, in luogo di arcate di grande luce sollecitanti le spalle del ponte a forti azioni laterali, preferirono di solito moltiplicare le pile intermedie, appare evidente che lo sviluppo delle pile diminuiva fortemente la superficie libera al passaggio dell'acqua; molto più che tali pile intermedie, le quali in alcuni ponti (ad es. a Padova) hanno lo spessore di un ottavo della luce degli archi, salgono in altri (ad es. a Rimini) a uno spessore enorme, circa metà della luce stessa. Il rapporto tra il vuoto e la superficie totale oscillava dunque in molti ponti romani fra il 0,50 e il 0,60 e talvolta, come al ponte di Rimini, scendeva al 0,46, con un'eccedenza del pieno sopra il vuoto, e lo sbocco lineare reale scendeva talora, specialmente in regime di piena, al disotto dello sbocco necessario, generando inevitabilmente velocità pericolose e minacciosi gorghi. Di qui la necessità di praticare nelle parti superiori delle pile alcune aperture supplementari per aumentare la superficie di deflusso, e diminuire in tempo di piena la pressione delle acque: il che si osserva in molti ponti, ad es. nel ponte Fabricio, nel ponte Leproso sull'Appia e nel ponte di Sommières.
Sopra le pile si svolgevano gli archi, che erano la parte più caratteristica dei ponti romani, e che spesso, come al ponte di Cecco ad Ascoli, erano impostati più indietro dell'appiombo dei piloni, lasciando una risega: arcata unica come nella maggior parte dei ponticelli sui piccoli corsi d'acqua, e anche in alcuni ponti ardimentt5si (es. il Pondel presso Aymaville, e il ponte di Ponte San Martino in Val d'Aosta, il ponte di Porta Cappuccina. ad Ascoli Piceno, il ponte Flavio di Saint-Chamas in Francia e il ponte di El-Kantara in Algeria), o arcate multiple che potevano essere due (ponte Fabricio, ponte di Cecco), tre (ponte Cestio, ponte Salaro, ponte di Béja in Tunisia), quattro (ponte Lucano sulla via Tiburtina e ponte sul Caiko presso Pergamo), cinque (ponte di Rimini, ponte di Simitthus, ora Chemtou in Tunisia), sei (ponte di Alcántara, ponte di Abelterio in Portogallo), sette (ponte Elio, ora Sant'Angelo, Roma, ponte di Porto Torres) ecc., ma potevano essere anche in numero molto maggiore: undici (ponte d'Ippona), tredici (ponte di Chaves in Portogallo), sedici (ponte di Cordova e ponte di Alconetar), diciassette (ponte di Sommières), venti (ponte di Traiano sul Danubio), ventisette (ponte di Salamanca), senza voler tener conto delle 60 arcate del ponte di Merida, nel quale le arcate centrali rappresentano presumibilmente una posteriore porzione di raccordo fra le originarie strutture di due ponti primitivamente distinti. Di regola, tuttavia, le arcate erano in numero dispari, e gli archi a tutto sesto; ma s'incontrano non di rado esempî di ponti romani ad arco ribassato (ponte Fabricio, ponti di S. Lorenzo e Altinate a Padova, ponte di Concordia, ponte di Ponte San Martino in Val d'Aosta, ecc.) per necessità di ordine costruttivo, e cioè per non dovere, nel caso di sponde molto elevate, porre troppo in basso la nascita della vòlta, oppure dare una pendenza eccessiva alla strada che correva sopra il ponte, ovvero dare alle arcate un diametro troppo piccolo, moltiplicando eccessivamente il numero delle pile intermedie.
L'apertura degli archi era variabilissima e spesso disuguale in un ponte medesimo, con altezze differenti anche per l'imposta degli archi: il diametro di essi variava entro grande latitudine fra i m. 5 e i m. 20, misura sufficiente anche per i bisogni della navigazione e notevole per l'elevazione che importava all'estradosso degli archi semicircolari e per la conseguente pendenza della strada. Ma non mancano esempî di aperture anche assai maggiori, 24,50 al ponte Fabricio, 26,76 al ponte Salaro, 27 al ponte di Alcántara, 35,60 al ponte di Ponte San Martino, mentre misure anche maggiori si trovano in alcuni ponti-viadotti, ad es. in quello di Narni (4 arcate di m. 22,30, 40,15, 33,90, 42,40). La costruzione delle vòlte era di solito ad anelli indipendenti in grandi blocchi di pietra da taglio non cementati, ma legati spesso da spranghe o grappe di ferro impiombato. La platea dei ponti, per l'adozione dell'arco semicircolare o leggermente ribassato, era quasi sempre a doppia pendenza: la larghezza superiore oscillava normalmente fra i 5 e i 10 metri, ma se si tiene conto dello spessore dei parapetti (plutei), e della larghezza dei marciapiedi (crepidini o decursoria) si comprende come la larghezza della carreggiata (iter) scendesse talvolta fino a due metri, superando di rado quella di m. 5 (come es. di ponti di una minor larghezza stradale, ricorderemo il Pondel di Aymaville, m. 1,08; come ponti di una larghezza notevole ricorderemo quello di Merida, m. 6,52, quello Elio in Roma, m. 10,95, comprese le due crepidini, e il ponte sul Reno presso Bologna, m. 11,70). All'infuori della sapiente tecnica costruttiva, ciò che caratterizza i ponti romani è la cura che in essi si rivela di raggiungere un'armonia architettonica di proporzioni e di linee, che erano solitamente quelle dell'ordine dorico, e una nobiltà decorativa soprattutto nelle sue parti superiori; le modanature degli archivolti (es., ponte di Narni), le nicchie con timpani triangolari tra arco e arco al sommo dei piloni (ponte di Rimini), le cornici che segnavano il profilo della strada, l'ornamentazione dei plutei talvolta traforati, tal'altra decorati di rilievi o sormontati da colonne o da statue; le iscrizioni commemorative o dedicatorie incise sui blocchi del rivestimento o su lastre marmoree apposte ai parapetti: le colonne, le porte o gli archi onorarî posti alle due estremità (ponte Flavio di Saint-Chamas sulla Touloubre in Francia, ponte di Martorell in Spagna, ponte di Kiakhta in Siria, ponte di Antiochia sul Meandro) o a una di esse (ponte di Pergamo) o nel mezzo del ponte (ponte di Alcántara, ponte di Saintes) formano oggi ancora una delle più squisite caratteristiche dei ponti romani superstiti.
Resta finalmente da notare che i Romani non ignoravano né il sistema dei muri d'ala posti come protezione laterale alle testate di sponda (es. ponte Elio in Roma, ponte di Calmazzo presso Fossombrone, ponte Lungo di Albenga, ponte di Béja in Tunisia) né il sistema dei muri repellenti eretti a monte, a breve distanza dal ponte e a difesa di esso, come si è constatato, ad es., per il ponte traianeo di Castel S. Pietro.
Ponti di Roma. - I più antichi ponti romani di pietra e ad arcata sono quelli di Roma: l'Emilio, iniziato da Emiho Lepido e Fulvio Nobiliore nel 179, ma compiuto nel 142 a. C. (corrisponde all'attuale Ponte Rotto, ma di questo solo due piloni superstiti, sono di costruzione romana, il resto appartiene al restauro di Gregorio XIII); il Fabricio (oggi Quattro Capi), costruito nel 62 da L. Fabricio per unire l'Isola Tiberina con la riva sinistra del Tevere; il Cestio, che è la continuazione del precedente verso l'opposta riva, costruito da L. Cestio nel 46 a. C. (l'arco centrale, il solo che resta dei tre antichi, appartiene però a un rifacimento di Simmaco del 370 d. C.); il ponte di Agrippa, di cui si sono scoperte le fondazioni alla fine del secolo scorso, a monte del Ponte Sisto; più recente è il ponte Elio, costruito da Adriano nel 134 d. C., a 8 arcate (le tre centrali sono superstiti e la mediana misura 18 metri di corda). Sono ancora da ricordare il ponte Neroniano, scomparso già ai tempi di Costantino (se ne scorgono le fondazioni in tempo di magra a valle del ponte Vittorio Emanuele): l'Aurelio, costruito da Caracalla, ricostruito da Valentiniano e Valente e ancora ricostruito in gran parte nel 1475 da Sisto IV, da cui prese il nome; il Probo, a valle del ponte Sublicio.
Ponti romani in Italia. Anche fuori di Roma, nell'ultima età repubblicana e durante l'impero, i ponti si andarono moltiplicando, soprattutto nei maggiori centri urbani e lungo le grandi vie. Tra i ponti delle città ricorderemo quelli di Vicenza, di Padova, di Verona e il ponte detto di Porta Cappuccina ad Ascoli Piceno (del principio dell'impero), a un solo arco della corda di m. 21,40; fra i ponti delle grandi vie: quelli dell'Appia e della Traiana, ad es., il ponte Loreto a Lanuvio, e i ponti, in parte rimodernati, della regione beneventana (di Apollosa, Tufaro, Corvo, Leproso), il ponte Rotto sul Calore, il ponte delle Chianche a Buonalbergo; della Prenestina, il ponte di Nona, il ponte Amato e il ponte dei Sardoni a Palestrina; della Tiburtina-Valeria, il ponte Lucano (a cinque arcate, una delle quali soltanto appartiene oggi alla costruzione originaria); della Salaria, il ponte Salaro (a grande arcata centrale con due piccole laterali), il ponte di Rieti, il ponte di Cecco ad Ascoli (a due arcate, della fine dell'età repubblicana); della Flaminia, il ponte Milvio (costruito nel 109 a. C. dal censore Emilio Scauro, ornato da Augusto di un arco onorario, ricostruito sulle fondazioni antiche da Nicola IV e nuovamente nel sec. XIX), il ponte viadotto di Narni, il ponte di Spoleto, il ponte Manlio di Cagli, il ponte S. Lorenzo di Fossombrone, il ponte di Rimini (di cui restano 4 arcate antiche e che per le sue proporzioni e i suoi elementi ornamentali è uno dei più belli e rappresentativi tra i ponti romani giunti sino a noi); dell'Emilia, il ponte di Savignano (a tre grandi arcate marmoree sul Rubicone); della Cassia, il ponte Camillario e il ponte S. Nicolao di Viterbo; dell'Aurelia, due ponti presso S. Marinella; della Iulia Augusta, i numerosi ponti del Finalese, il ponte di S. Stefano Riva, e il lungo ponte a 10 arcate, seminterrato, di Albenga. Da ricordare ancora i numerosi e ben conservati ponti romani della Val d'Aosta, specie quelli di Ponte San Martino, Saint-Vincent, Châtillon, Aosta, Aymaville (Pondel, caratteristico come ponte-acquedotto a doppio transito, il superiore scoperto e l'inferiore coperto, con le spalle di età repubblicana a grandi riseghe) e il ponte di Porto Torres in Sardegna.
Ponti romani fuori d'Italia. - Su tutte le vie provinciali, come sulle loro diramazioni e nelle grandi città dell'impero furono costruiti e sono sopravvissuti innumerevoli ponti; basterà ricordarne alcuni fra i più notevoli e meglio conservati. Nella Gallia, il largo e ardito ponte di Vaison (arco unico di 20 m. di corda), il ponte Flavio di Saint-Chamas sulla Touloubre (esso pure a una sola arcata, con due porte corinzie alle testate), il ponte Argenteus a Fréjus (a 3 arcate, con le pile di mattoni e rostri semicircolari a monte), il ponte Julian presso Apt (con archi di scarico trasversali alle pile), il ponte di Sommières (a 17 arcate di corda decrescente a partire da quella mediana), il ponte di Ambrois (con aperture rettangolari al disopra delle pile come sbocchi di piena). Nella Spagna, i ponti di Cordova (in gran parte rifatto), di Alcántara, costruito nel 106 d. C. da C. I. Lacer (v.), di Merida (lungo 792 m., a piloni. semicircolari a monte e a valle e con archetti sopra essi come sbocchi di piena), di Martorell (molto restaurato) di Salamanca (a 27 archi, 15 dei quali ancora di costruzione romana). Nel Portogallo, il ponte Traianeo di Segura, quello maestoso di Chaves e ancora quello di Abelterio a 6 arcate. Nell'Africa del nord (nella quale, e particolarmente nell'Algeria, i ponti romani sono numerosissimi), quelli di Simitthus (Chemtou), di El-Kantara, di Béja, dell'oued Djief, di Gastal, e i due di Costantina. Nell'Asia, quelli di Pergamo, di Adana, di Selefke, di Kiakhta (a unica arcata di m. 34,20 di corda), e quello di Antiochia sul Meandro (a 6 arcate e con un arco onorario ancora conservato sopra una testata).
Medioevo ed età moderna. - Ponti di legno. - I ponti di legno si possono classificare, rispetto alla loro struttura, nei seguenti principali tipi: ponti a travatura (da suddividere in ponti a travature semplici, a travature rinforzate da mensole, a travatura composta), ponti ad arco (da suddividere in ponti con carreggiata in piano, con carreggiata seguente l'estradosso dell'arco). Sono del primo tipo il ponte di Cascade Gleen (S. U.), del secondo il ponte provvisorio dell'Accademia sul Canal Grande a Venezia. Nel Medioevo i ponti di legno divengono meno arditi in confronto di quelli romani, e anche meno numerosi; si ricordano principalmente quelli di Venezia fra cui il più importante fu quello di Rialto, costruito nel 1264, apribile in parte per dare accesso alle navi; andò distrutto nel 1456, e fu poi ricostruito con botteghe poste ai margini della carreggiata. In Svizzera troviamo ponti di legno di piccola luce spesso ricoperti da tetto come i tipici ponticelli giapponesi e indocinesi, che raggiungono spesso importanza artistica e paesistica. Tra questi ponti svizzeri, il più tipico e importante è quello della "danza macabra" a Lucerna, costruito nel 1407, dalla caratteristica copertura e dalla cappelletta a cuspide sulla pila centrale. Si deve ricordare quello gettato sul Reno nel 1758 dai fratelli Grubenmann. In Italia ultimamente sono stati costruiti tre ponti importanti di legname, ma tutti di carattere provvisorio: uno sull'Adige, uno sul Piave costruito durante la guerra dagli Austriaci, e per ultimo quello costruito a Venezia in sostituzione del ponte di ferro dell'Accademia, sul Canal Grande, dalla elegante linea dell'arco ribassato perfettamente consona a quella dei caratteristici ponti della città.
Ponti di muratura. - Nel Medioevo in Italia si restaurarono moltissimi ponti romani e date le mutate condizioni politiche si sentì spesso la necessità di fortificarli; così avvenne a Roma per il Ponte Nomentano, su cui fu costruita la caratteristica costruzione merlata razionalmente scaricata sulle spalle a mezzo del grande arco di scarico, e similmente per il ponte romano sull'Adige allo sbocco del quale si crearono torri di difesa. Questo ponte del resto fu completamente restaurato sotto gli Scaligeri nel 1298: esso ebbe bisogno più tardi (1520) di un altro complesso di lavori che permisero all'opera di giungere fino a noi con le sue multiformi strutture. In questa stessa epoca (1351-1354) fu anche ricostruito su pile romane da Giovanni da Ferrara e da Iacopo da Gozzo il ponte sul Ticino a Pavia; la copertura a tetto poggiante su colonne fu aggiunta in tempi posteriori; in origine aveva avuto fortificati gli accessi con torri.
In questo periodo, però, anche la costruzione dei ponti fu intensa; vediamo infatti ancora numerosi i ponti medievali sopra i fiumi di Europa. Il ponte medievale a un solo arco ha normalmente la linea dell'impalcato curva, che segue in parte l'andamento dell'arco stesso. La sagoma di questo è quasi sempre costituita da un tratto di circonferenza minore del semicerchio, o arco ribassato, pochi i ponti ad archi acuti. Tra questi da ricordare il ponte dei Saraceni nella valle del Simeto in Sicilia.
A pieno centro era il ponte costruito verso il 1000 sul Serchio presso Lucca con un'arcata di m. 36,80 di corda. Il ponte più ardito del Medioevo fu costruito nel 1370 per dare accesso ad un castello presso Trezzo sull'Adda; esso era a un solo arco di 72 metri di luce, aveva torri di difesa.
I ponti medievali a un solo arco hanno un senso di arditezza notevole, dovuto alle spalle normalmente piene in contrasto con il sottile spessore dell'arco in chiave. Caratteristico profilo ha il ponte di Millesimo con la torre porta poggiata sulla chiave di vòlta.
Tra i ponti medievali a più luci, speciale menzione va fatta del ponte Scaligero in Verona; anch'esso fu costruito da Giovanni da Ferrara e Iacopo da Gonzo (1354-1356) per ordine di Cangrande II, per congiungere alla riva sinistra dell'Adige il suo castello, in quel tempo in corso di costruzione. Questo ponte è a tre arcate merlate di luci differenti (la maggiore di m. 48,70), rette da pile, semiesagonali a monte e quadrate a valle, coronate da torri. Ben tre ponti medievali ci conserva Firenze: il Ponte Vecchio, il ponte alle Grazie e quello alla Carraia. Questi ponti hanno caratteristiche speciali: dato che sorgevano in posizione dove non era necessaria la difesa, furono coperti di case, come è ancora il Ponte Vecchio, oppure, come quello alle Grazie, ebbero sulle pile, al posto delle torri merlate, delle piccole costruzioni pensili che furono adibite ad abitazioni di monaci e sulla testata del ponte una cappella al posto della porta fortificata. Anche Venezia conserva ancora alcuni dei piccoli caratteristici ponti che si fanno risalire al 1300.
Fuori d'Italia è da ricordare il celebre ponte a 21 arcate costruito verso il 1180 sul Rodano presso Avignone. In Spagna, il ponte di Ceret (Pirenei orientali) si compone di un arco a tutto sesto rialzato, con timpani traforati che risale al sec. XIV. Della stessa epoca sono due grandi ponti ad ogiva, l'uno all'entrata di San Juan de las Abadesas (Catalogna) a tre arcate, il secondo a cinque grandi arcate è sul Miño presso Lugo. Notevole in questi ponti il dorso d'asino molto accentuato che dona loro un aspetto caratteristico. Il ponte S. Martino a Toledo invece ha la carreggiata quasi in piano; è a 5 luci e fortificato sulle sponde.
Il Rinascimento considerò il ponte prevalentemente dal punto di vista artistico, e i ponti di quest'epoca hanno caratteristiche estetiche veramente notevoli. Il ponte Sisto in Roma, fatto costruire da Sisto IV, riprende completamente il carattere strutturale ed estetico dei ponti romani, assurgendo nel contempo ad opera d'arte. Invece fu opera innovatrice il ponte a Santa Trinita a Firenze, costruito su progetto dell'Ammannati nel 1566-69. In esso vediamo apparire i primi archi policentrici, poi ripresi in tutta una serie di ponti che su questi archi basano la loro estetica e la loro struttura. È anche interessante notare con quale cura sia stato eseguito lo studio della decorazione di questo ponte, decorazione che è stata tutta ottenuta senza l'impiego di cornici fortemente aggettanti. L'opera è tutta una ricerca di novità particolarmente basata su sani concetti costruttivi.
La storia dei ponti di muratura ci mostra come, partiti dall'impiego dell'arco a tutto sesto, si sia poi cercato, nei secoli, di portare gli archi a inquadrare superficie maggiori, sia con l'uso degli archi policentrici, sia con le pile alte e gli archi ribassatissimi.
Poco vi è da dire circa l'estetica dei ponti in muratura del Settecento e dell'epoca moderna, salvo che essi furono in generale imitazioni, spesso banali, dei ponti romani e soprattutto di quelli del Rinascimento. In essi furono ricercati effetti nuovi con la pletora di ornamenti che su opere perfettamente costruttive quali i ponti, dànno carattere di pesantezza e tolgono la visibilità netta della linea. Sono degni tuttavia di menzione i ponti in muratura ad archi molto ribassati che effettivamente hanno portato un contributo nuovo anche all'estetica dei ponti. L'arco policentrico è stato disegnato e studiato in infinite maniere, specialmente durante i primi anni di questo secolo; vediamo sul Tevere a Roma una serie di ponti di questo tipo e di questo periodo, di cui nessuno assurge a opera d'arte. I grandi bugnati delle pile, le chiavi di vòlta e le targhe pesanti, ricordano i difetti architettonici del periodo in cui essi furono edificati. Bello tra i recenti il ponte della Vittoria a Firenze, a tre luci, con una lunghezza totale di 130 metri; esso risente del ponte a Santa Trinita.
Dobbiamo qui menzionare i ponti in muratura con timpani alleggeriti da arcate, concetto già esistente nei ponti romani per diminuire la sezione di muratura sulle pile, dannosa specialmente durante le piene. Abbassando la freccia degli archi e ingrandendone la luce, si è intesa ancor più la necessità estetica ed economica di vuotare le murature dei timpani. In Italia sono degni di nota, il ponte di Morbegno sull'Adda e il ponte ferroviario sull'Isonzo presso Salcano dalla vòlta di m. 85 di luce, con il piano carrabile sostenuto da più archi impostati su pile di altezza degradante costruite sul volto.
Ponti di ferro. - L'estetica dei ponti di ferro è un'estetica di arditezza di tecnica e di linea; in essi s'ammira l'espressione costruttiva e organica delle masse materiali distribuite secondo le esigenze statiche. Nei primi ponti costruiti con questo materiale influisce ancora il ricordo del ponte di muratura: sussiste infatti l'arco. I primi furono, per essere esatti, non di ferro ma di ghisa. Il più antico fu costruito in Inghilterra (1799) da Abraham Darby vicino alla città di Ironbridge che prese nome da questo ponte. Qualche anno avanti, però, si era iniziata la costruzione di un ponte di ghisa a Lione, interrotta poi per ragioni economiche.
Il ponte presso Paderno sull'Adda è un esempio di arco a traliccio di ferro (1887). Esso ha una luce centrale di m. 150 e una lunghezza totale di circa m. 300. Sull'estradosso dell'arco circolare poggia la travatura in piano contenente nell'interno la strada ferrata; sopra corre la carrettiera. Il contrasto tra la travatura ad arco e la linea retta della travatura in piano dà, a questa costruzione, una netta forma costruttiva e una vera estetica. Più modesto ma di qualche anno più antico il ponte sempre sull'Adda, presso Trezzo. Di questi ponti ve ne sono di luce molto notevole come quello sul Mississippi a St Louis. Più recenti sono i ponti di ferro in cui l'arco porta sospeso l'impalcato; dalle necessità tecniche deriva una nuova estetica che sfrutta il motivo della linea curva superiore, tagliata in basso dalla orizzontale. Tipico esempio di tale motivo, fra i molti, è rappresentato dal ponte del Gerola sul Po.
I ponti a travata rettilinea non hanno per lo più carattere estetico. Riappare spesso una caratteristica estetica nei ponti a travature curvilinee; ma procedere a una classificazione dei ponti di questo tipo sarebbe cosa difficile date le differenze sostanziali che esistono fra di essi. Tra questi ricordiamo il ponte ferroviario sul Tanaro.
L'estetica dell'arditezza è certamente massima nei ponti sospesi, dalla linea elegante e sottile. Il ponte più grande del mondo è un ponte sospeso, il "Washington bridge" sul Hudson a New York (v. XXIV, p. 730), che ha una luce centrale di più di un chilometro. La fune superiore, che segue la curva elegante della catenaria, sostiene con sottili tiranti verticali l'interminabile travatura dell'impalcato.
Ponti di cemento armato. - Si possono dividere in due categorie: quelli che si richiamano e imitano i ponti di muratura; quelli che trovano la loro estetica nelle leggi della statica e nel razionalismo delle strutture.
I primi non offrono particolare interesse e per essi valga quanto già si è detto; tra i secondi dobbiamo distinguere quelli a travatura da quelli ad arco. Quelli ad arco sono simili normalmente a quelli di muratura con timpani alleggeriti, ma, data la maggiore arditezza e la maggior snellezza delle strutture, hanno un'architettura che più appaga l'occhio. Ricordiamo il ponte di Pinzano sul Tagliamento costruito nel 1903, che ha ancora l'impalcato sorretto dagli archetti, ma in cui scompare anche il pieno maggiore sulle pile, restando queste appena visibili nell'insieme. Ma il cemento armato ha fatto perdere agli archetti di sostegno dell'impalcato la loro ragione statica d'essere, sicché la travatura con la sua linea diritta viene sostituendoli completamente nelle ultime opere di questo tipo; l'estetica ne guadagna, risaltando maggiormente l'eleganza dell'arco principale. Ricordiamo il ponte sul Tanaro a Bastia, il ponte sul Saraceno, il ponte di Plava sull'Isonzo che ha circa 90 metri di luce e il ponte sull'Oglio a Palazzolo per l'autostrada Bergamo-Brescia (1931), opera veramente importante per tecnica e per estetica. La sottigliezza dell'impalcato perfettamente orizzontale, lo slancio verticale degli archi, il sottile traliccio donano un effetto di arditezza che dà una estetica alla tecnica moderna. È da menzionare per la sua linea costruttiva il ponte del Risorgimento in Roma, costruito nel 1911, con luce di 100 metri e freccia di 10 metri. La sottigliezza della chiave di vòlta in confronto dei timpani e delle spalle ricorda due mensole protese l'una verso l'altra a congiungere le rive. Simile a questo è il ponte di Calvene sull'Astico.
I ponti di cemento armato del tipo ad arco superiore sostenente l'impalcato sottostante per mezzo di tiranti sono spesso antiestetici; sia perché le strutture vengono a essere tutte di simile spessore, ciò che fa perdere il predominio della curva sulla travatura, sia perché il materiale, che non s'addice a questo tipo di costruzione, fa sì che i tiranti non vengano dimensionati come la sola estetica detterebbe.
I ponti di cemento armato a travatura vanno spesso assurgendo a valore d'opera d'arte; essi s'inquadrano perfettamente nel movimento architettonico moderno. Ricordiamo il ponte sul Fiuzzo presso Cosenza, il ponte sul Lambro a Melegnano, il ponte Littorio sul Pescara a Pescara.
Ponti levatoi. - Ponti levatoi sono chiamati quei ponti che possono essere alzati o abbassati per togliere o dare passaggio a un' opera fortificata. Presso gli antichi il ponte levatoio era usato sulle elepoli o torri mobili, dall'alto delle quali veniva abbassato, mediante corde e carrucole, sulle mura delle città assediate in modo da permetterne l'assalto; e analogamente veniva adattato sull'alto delle navi, quando si portavano all'attacco di città o fortezze marittime. Era perciò annoverato tra i mezzi d'offesa e come tale soltanto viene ricordato dagli antichi scrittori di cose militari.
Continuò anche in seguito a essere impiegato nell'attacco delle fortezze sulle torri mobili o battifredi del Medioevo; ne fece minuta descrizione nel 1285, Egidio Colonna nel De regimine principum.
Quale mezzo difensivo per interrompere l'accesso alle porte di recinti fortificati preceduti da fossato, si usarono dai tempi più antichi ponti in legname costruiti in maniera da poter essere all'occorrenza smontati a mano senza l'aiuto di ordigni meccanici. Da questi ponti derivarono quelli levatoi, mossi per mezzo di carrucole, di bolzoni o altro, che facilitando la manovra, prima lenta e difficile specie sotto l'incalzare del nemico, divennero elemento importante nell'afforzamento delle porte, con evidente vantaggio per il difensore che poteva in tal modo impedire con prontezza le comunicazioni con l'esterno all'appressarsi dell'assalitore, come ristabilirle repentinamente per improvvíse sortite.
Dopo qualche raro esempio nel corso del sec. XIII, l'uso dei poriti levatoi si estese molto nel XIV, per divenire comune ovunque in Italia e fuori nel secolo XV.
Le dimensioni dei ponti levatoi erano generalmente di circa m. 3-3,50 di lunghezza per una larghezza di poco superiore a quella del vano della porta, che, sollevati, dovevano occultare completamente. E poiché il fosso aveva quasi sempre una larghezza maggiore, si costruiva il ponte che lo attraversava, in due campate: la prima, stabile o fissa, dalla controscarpa a un pilastro che s'innalzava dal fondo del fossato chiamato "battiponte"; la seconda, dal battiponte alla porta, costituita dal ponte levatoio.
Dopo i primi esempî di piccole dimensioni a un solo tiraggio centrale, due furono i modi più generalmente diffusi per alzare i ponti levatoi: o per mezzo di lunghe aste o travi detti bolzoni, o per mezzo di catene scorrenti dentro girelle o carrucole.
I ponti levatoi a bolzoni ebbero uso quasi incontrastato nel secolo XIV fino alla seconda metà del XV. Le travi, in numero di due nei ponti carreggiabili, stavano in bilico entro le rispettive fenditure aperte ai lati della porta nel muro soprastante, e si prolungavano internamente a formare contrappeso. La praticità del sistema ne estese l'uso fino a che il maggior impiego e l'aumentata efficacia dell'artiglieria non ne mostrarono gli svantaggi presentati dalle lunghe fenditure che indebolivano la cortina, e dalle travi troppo esposte ai colpi nemici.
S'introdussero perciò dalla metà del sec. XV, con le fortificazioni di transizione e poi con quelle di nuova maniera verso la fine del secolo, i ponti levatoi sollevati da due catene, che dall'estremità del ponte, attraverso due piccoli fori praticati lateralmente nel muro al di sopra della porta, passavano all'interno per attorcigliarsi su di un rullo mosso direttamente a manovella, o con leve, o mediante argano. Il ponte, sollevato, rimaneva perfettamente aderente alla porta nell'incassatura destinata a riceverlo.
Altri sistemi, meno in voga dei due precedenti, erano: il ponte levatoio detto a leva, in bilico per metà dentro e per metà fuori della porta. Abbassando la parte interna che formava il piano dell'andito, si otteneva senza sforzo il sollevamento dell'esterna.
Il ponte cascante che, sostenuto da catene, si lasciava cadere a ridosso della cortina sottostante alla porta, verso il fosso. I ponti corridori o scorrevoli o rientranti che, provvisti di piccole ruote o curli, potevano essere ritirati nell'andito della porta, tenuti al riparo dalle offese.
I ponti corridori, quelli cascanti, e gli altri più comuni sollevati direttamente da catene, descritti accuratamente nei dettagli e nel loro impiego da Francesco di Giorgio Martini nel suo Trattato di architettura civile e militare, sono i tipi di ponti adottati dallo stesso architetto, come dai suoi contemporanei Baccio Pontelli, Giuliano e Antonio da Sangallo, nei nuovi sistemi difensivi. E sono pure i sistemi che, con i miglioramenti consentiti dal progresso della tecnica, rimasero in uso fino ai nostri giorni.
Allo stesso principio di rendere spedita la manovra del ponte e di preservarlo dalle offese nemiche, rispondevano varî altri sistemi studiati nel sec. XVI e dopo, talora destinati a speciali situazioni. Basterà citare il ponte costruito dallo Spannocchi nel 1590 a Saragozza, che senza lasciar vedere alcuna catena poteva essere sollevato e abbassato con grande rapidità da una sola persona; e gli altri due tipi ricordati da D. Speckle nell'Architectura von Festungen (Strasburgo 1599), l'uno cascante verso il fossato ma dalla parte del battiponte, l'altro a botola da adattarsi nell'andito di quelle porte che erano sprovviste di fossato esterno.
Allo scopo di permettere una difesa attiva dalla porta anche a ponte alzato, si lasciarono aperte, tra le connessure delle tavole del ponte, delle fessure a feritoia orizzontale, bastanti per poter tirare sul nemico; come pure si giunse a fabbricarne col piano a graticola sul tipo già usato per le saracinesche.
D'altra parte, alla conservazione del ponte si provvide dapprima col rivestirne con lastre metalliche il legname nelle parti esposte e successivamente col costruirlo completamente di ferro.
Nella fortificazione moderna, speciale attenzione si rivolse dagli ingegneri militari alla manovra di sollevamento del ponte in modo da equilibrarne il peso nelle diverse fasi di rotazione. A tale scopo si studiarono e si praticarono varî sistemi di contrappeso tra i quali uno formato da una serie di piastre sospese alle catene che, con l'innalzarsi del ponte, andavano ad appoggiarsi sopra sostegni; e un altro che, in luogo delle piastre, aveva delle campane l'una infilata nell'altra. Sullo stesso principio è basato il contrappeso Poncelet costituito da una serie di sbarrette o da una fila di bombe. Altri tipi a contrappeso costante sono quelli Dobenheim e Delille, e gli altri a spirale semplice (Derché) o doppia (Devèze).
Nelle porte di città, di fortezze e di castelli, dove la viabilità richiedeva un largo accesso, accanto al ponte carreggiabile se ne aggiunse un altro di larghezza minore (m. 0,80-1) corrispondente al vano della portella o postierla, che veniva usato in tempo di pericolo quando il maggiore si teneva alzato.
I mezzi adoperati per la manovra erano gli stessi; salvo nei ponti minori a bolzoni dove, invece delle due travi, se ne usò una sola al centro sopra la portella, per sostegno della "gabbia" o semicerchio di ferro da cui pendevano lateralmente le due catene collegate all'estremità del ponte.
I ponti levatoi, e specialmente quelli con aste di contrappeso, ostacolavano lo scorrere delle saracinesche poste a difesa delle porte. Cosicché, se vennero aggiunti in fortilizî preesistenti, li troviamo disposti di preferenza nelle antiporte o nei rivellini.
Con le opere militari della prima metà del secolo XV, e poi in quelle di transizione e di nuova maniera, si riscontra sovente il ponte levatoio tanto nel rivellino quanto nel corpo della fortezza.
Oltre che nelle porte principali, i ponti levatoi vennero largamente impiegati, a partire dal sec. XIV, in ogni altra parte della fortificazione. Così nelle porte delle torri e del mastio e nelle postierle di soccorso, come nei cammini di ronda o nelle gallerie coperte per impedire l'estendersi dell'irruzione nemica. E parimenti vennero impiegati sulle strade in punti di passaggio obbligato, come nelle chiuse o nei valichi di monti, nei passi su fiumi o laghi, sui ponti e viadotti, ovunque insomma potesse occorrere di impedire e ristabilire prontamente le comunicazioni.
Ponti militari. - I ponti militari servono a stabilire in breve tempo passaggi su corsi d'acqua e debbono perciò rispondere a speciali caratteristiche di semplicità e rapidità di costruzione, affinché il loro gittamento, effettuato da reparti di truppa appositamente istruita, possa prontamente avvenire non appena si manifesta la necessità e anche sotto il tiro nemico.
I ponti militari si distinguono in ponti regolamentari e ponti di circostanza. I primi si costruiscono mediante la composizione di elementi, precedentemente e compiutamente lavorati, secondo forme, dimensioni e strutture ben definite, che, per un dato tipo di ponte, rimangono sempre le stesse; i secondi, mediante la lavorazione, fatta sul posto, e la successiva messa in opera di materiale comune, requisito o trasportato nei pressi del luogo d'impiego. I ponti regolamentari permettono un successivo smontaggio della costruzione senza che gli elementi ne risultino alterati; quelli di circostanza, invece, non hanno, in genere, speciali caratteristiche di smontabilità e sono costruiti da parti non aventi forma e dimensioni tassativamente prestabilite.
Gli elementi costitutivi dei ponti regolamentari possono essere prevalentemente di legno (ponti di equipaggio) o di ferro (ponti metallici scomponibili per strade ordinarie e ponti metallici scomponibili per ferrovie). Il materiale costituente detti ponti deve essere di facile maneggio e trasporto, onde possa essere portato al seguito delle truppe in movimento e fatto affluire, senza gravi difficoltà, nei posti d'impiego; deve consentire la costruzione di opere atte a dare passaggio alle truppe e alle artiglierie, nelle loro formazioni normali di marcia, e al carreggio che hanno al seguito e infine deve essere composto in sezioni, in modo da consentirne il frazionamento in aliquote per impieghi parziali.
In tutti gli eserciti, il gittamento di ponti regolamentari e la costruzione di quelli di circostanza, è affidata alle truppe del genio secondo opportune norme e ben precisate disposizioni tecniche.
Cenni storici. - L'arte di costruire ponti su corsi d'acqua per permettere il passaggio agli eserciti, risale alle epoche più antiche. Sembra che i Babilonesi, fino dai tempi più antichi, adoperassero battelli scomponibili, che si congiungevano quando si ponevano in opera. Dario, nella guerra contro gli Sciti, gittò ponti sul Bosforo e sul Danubio. Serse, nella sua spedizione contro i Greci, fece stendere sull'Ellesponto, allo stretto dei Dardanelli, ponti su galleggianti e su palafitte, dei quali uno aveva la lunghezza di 375 tese (circa 800 m.). Le campagne di Alessandro Magno presentano pure notevoli esempî di passaggi di fiumi in presenza del nemico. Giulio Cesare, nelle due campagne galliche, portava al seguito dell'esercito materiale per costruire, rapidamente, ponti su corsi d'acqua e per traghettare truppe da una riva all'altra, valendosi o di canotti fatti con grossi tronchi d'albero, o di galleggianti costituiti di uno scheletro di vimini, ricoperti all'esterno con pelli. Notevolissimo fu il ponte che fece gettare sul Reno, nel 55 a. C., allorché effettuò la spedizione contro i Germani. Maggiore sviluppo ebbero i ponti militari nelle guerre di Dacia e Pannonia, condotte da Traiano fra gli anni 101 e 107 e nelle guerre contro i Marcomanni, condotte da Marco Aurelio pochi anni dopo. La costruzione di detti ponti è meravigliosamente riprodotta nei bassorilievi delle colonne Traiana e Antonina, in Roma.
Nel Medioevo, a eccezione di pochi eserciti che si avvalsero di ponti d'equipaggio, l'arte di costruire ponti militari decadde, finché nel Rinascimento, col rifiorire delle arti e delle scienze, la costruzione di ponti militari riprese grande sviluppo e numerosi ingegneri si appassionarono a tale problema.
In Francia, verso il 1700, il Gribeauval costruì un ponte di equipaggio provvisto di barche di legno aventi una forza di galleggiamento di 16.500 kg. Tali ponti vennero usati durante tutte le guerre napoleoniche, ma il loro notevole peso ne limitò l'impiego. Nel 1832, il luogotenente dell'artiglieria piemontese Giovanni Cavalli propose un nuovo tipo di equipaggio leggiero e quasi contemporaneamente in Austria veniva sperimentato il materiale Birago, che, modificato e perfezionato successivamente, diede origine ai varî tipi di ponte di equipaggio adottati tuttora dai varî eserciti.
Più recentemente vennero studiati i primi ponti metallici scomponibili. Nel 1888, furono esperimentati e provati due tipi di ponti Eiffel, uno per strade ordinarie, e uno per strade ferrate. Un primo ponte Eiffel, per strade ordinarie, fu collocato e lasciato in opera sulla strada fra Oulx e Briançon, in Val di Susa.
In Italia, venne esperimentato, con favorevole esito, un tipo speciale di ponte, studiato dal tenente del genio Scarelli, per ferrovia a scartamento ridotto, successivamente adattato a ponti per strade ordinarie: i ponti Scarelli vennero impiegati dall'esercito italiano nella guerra mondiale. Cessata la guerra, l'antico ponte sistema Eiffel, per strade ordinarie, presso l'esercito italiano, è stato sostituito dal ponte Herbert; per il ripristino delle interruzioni ferroviarie, si impiegano i ponti Kohn e i ponti Roth-Waagner, già sperimentati dall'esercito austriaco.
Composizione dei ponti. - Tutti i ponti militari, regolamentari o di circostanza, qualunque sia il materiale impiegato, comprendono una serie di impalcate, su cui transitano i veicoli e le persone, e un certo numero di corpi di sostegno, sui quali poggiano le impalcate. Più particolarmente, nei ponti di equipaggio, le impalcate sono costituite da travicelle e da uno o due strati soprastanti di tavole le quali vengono mantenute ferme contro le prime, da altre due travicelle, dette di ghindamento, disposte sopra il tavolato e rese solidali con quelle portanti mediante fasciature di funi o speciali staffe. Le travicelle di ghindamento limitano, lateralmente, la carreggiata che, generalmente, è da 2 a 3 m.
I corpi di sostegno possono essere fissi o galleggianti. I primi sono costituiti da cavalletti, che trasmettono il peso proprio e il sovraccarico delle impalcate al letto del fiume o al fondo della depressione attraverso la quale si costruisce il ponte. Quelli galleggianti sono costituiti da barche o da barconi semplici o accoppiati, di legno o di lamiera di acciaio. Ambedue i tipi di materiale hanno vantaggi e svantaggi proprî nei riguardi della costruzione, della conservazione, della facilità di riparazione e della semplicità e comodità di maneggio. Presso l'esercito italiano, sono in uso barche di legno che, ai fini campali, rispondono meglio di quelle metalliche per una migliore galleggiabilità quando vengono colpite. Inoltre, i corpi di sostegno si distinguono in quelli estremi o cosce, che appoggiano sulle sponde, e in quelli intermedî. A seconda della natura di questi ultimi, si hanno ponti di barche, ponti di barconi, ponti di portiere, ponti di cavalletti, e ponti misti di barche e cavalletti o barconi e cavalletti. Il ponte di barche è il più semplice e di costruzione più rapida; le barche vengono assicurate e tenute ferme da apposito ancoraggio. Il ponte di cavalletti si impiega, di norma, quando il corso dell'acqua è poco profondo, da non permettere il galleggiamento di una barca a pieno carico (circa 50 cm. di acqua); il ponte misto infine si costruisce quando l'altezza dell'acqua è variabile: profonda in alcuni punti, bassa in altri, specie in prossimità delle sponde.
Gittamento di un ponte di equipaggio. - Il gittamento di un ponte regolamentare di equipaggio è stato definito come uno dei più perfetti esempî di organizzazione del lavoro.
In Italia, l'unità che normalmente ha l'incarico della costruzione del ponte, è la compagnia pontieri, alla quale viene, di volta in volta, assegnato il materiale, ritenuto necessario. Essa lavora sotto la direzione del proprio comandante, il quale risponde dell'esecuzione dell'opera. Il personale è ripartito in un numero variabile di squadre, di forza determinata e aventi compiti perfettamente ed esattamente stabiliti: sia nei riguardi del genere di operazioni, che ciascuna di esse deve compiere, sia nella successione di queste.
Un ponte di barche si può gittare in 4 modi diversi: per barche successive, per parti, per portiere, per conversione. Il gittamento per barche successive è il metodo normalmente usato e consiste nella costruzione progressiva del ponte dalla sponda in partenza, impalcata per impalcata. Questo modo è il più semplice e permette il gittamento anche a velocità di corrente molto forte. Il gittamento per parti consiste nella costruzione in luogo sicuro e distante da quello d'impiego, di diverse impalcate, che vengono condotte a piè d'opera, navigando nel fiume e, quindi, fra loro congiunte. A questo procedimento si ricorre quando si debbono costruire ponti molto lunghi e la località ove si procede alla costruzione delle singole impalcate, oltre agli altri requisiti inerenti alla praticabilità delle operazioni da compiersi, presenta anche quello di migliore copertura alla vista e al tiro avversario, rispetto a quella prescelta per il gittamento del ponte. Il gittamento per portiere si effettua in modo analogo a quello per parti; per la maggiore solidità e manovrabilità delle portiere l'operazione riesce più rapida e sicura. Il gittamento per conversione consiste nella costruzione del ponte lungo la sponda di partenza in località riparata, opportunamente scelta, nella successiva navigazione fino in corrispondenza dell'asse stabilito e nell'ulteriore rotazione di un quarto di giro, dell'intero ponte, agevolata dalla corrente del corso d'acqua, facendo perno sull'estremità collegata alla sponda di partenza. La manovra è assai difficile e può riuscire solo con velocità di corrente ordinaria e con personale bene addestrato.
Ponti metallici. - Nei ponti metallici scomponibili, per strade ordinarie, le travate sono costruite da elementi opportunamente collegati fra loro. L'orditura è formata dalle traverse, che poggiano direttamente sulle travate; dalle longarine, costituite da ferri sagomati, che poggiano sulle traverse, e dal tavolato, disposto sulle longarine e costituito da travetti di legno. Il montaggio di detti ponti è fatto per tratti successivi e la messa in opera costituisce l'operazione di varamento del ponte.
I ponti metallici per ferrovie hanno struttura progressivamente più complessa, in dipendenza della lunghezza delle campate. Essi possono essere a un piano, cioè costituiti da un semplice ordine di elementi, oppure a due o tre piani, con due o tre ordini di elementi sovrapposti. Inoltre, secondo la posizione del piano stradale rispetto al piano di posa delle travate del ponte, si distinguono in ponti a via superiore o inferiore a seconda che il piano stradale appoggia sulla parte superiore o sulla parte inferiore delle travate e in ponti a via intermedia, quando il piano stradale è situato fra le due posizioni estreme precedentemente indicate. La loro messa in opera può effettuarsi in due modi diversi: o col montaggio diretto, o col montaggio a sbalzo. Il montaggio diretto si ha quando la messa in opera del ponte è fatta sul posto per mezzo di un ponte di servizio, che sostiene provvisoriamente l'opera (ad es., ponte Kohn). Il montaggio a sbalzo può effettuarsi o costruendo una speciale travata di contrappeso (trave ballast), al di qua dell'interruzione, avente il compito di sostenere la travata del ponte in costruzione a sbalzo (trave consolle), sino al momento in cui essa appoggerà al sostegno di arrivo (es., ponte Kohn), oppure, più semplicemente, mediante apposite gru, a due braccia, che permettono di lavorare contemporaneamente sulle due fiancate del ponte lungo due maglie, o campi, consecutivi (es., ponte Roth-Waagner).
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Costruzione dei ponti.
Il ponte si compone di due parti principali essenziali: la sottostruttura, formata dai piedritti e relative fondazioni, e la soprastruttura, che comporta il piano stradale o di sostegno diretto dei carichi utili e gli elementi principali di sostegno.
Il piano stradale riceve direttamente l'azione dei carichi utili e la trasmette alle strutture principali di sostegno, che la riportano sui piedritti, i quali a mezzo delle fondazioni collegano l'opera d'arte al terreno.
I ponti si distinguono:
1. per la destinazione: in ponti pedonali o passerelle, se a servizio di soli pedoni, in ponti carrettieri, orchinarî o rotabili se su di essi transita una strada ordinaria, in ponti ferroviarî, se a sostegno di una linea ferrata, e infine in ponti canali o ponti sifoni, se destinati principalmente a continuare un canale o una condotta forzata;
2. per la loro mobilità: in ponti girevoli e in ponti levatoi, secondo che si possano aprire ruotando attorno a un asse verticale ovvero a un asse orizzontale rispettivamente; in ponti scorrevoli e trasbordatori, se consentono che la parte di essi, che direttamente sopporta il carico, possa spostarsi orizzontalmente, e issabili se lo spostamento può effettuarsi in senso verticale;
3. per la durata: in ponti permanenti se la durata è illimitata e provvisorî, se breve. Tra i provvisorî sono annoverati quelli militari (v. sopra);
4. per il materiale di cui sono formati: in ponti di legno, di ferro, di muratura, di cemento armato;
5. per la forma e funzionalità delle strutture principali: in ponti ad arco, a travata, a mensola, sospesi.
Un fattore di principalissima importanza, che viene esaminato nel progettare un ponte, è quello relativo alle condizioni, natura e regime del carso d'acqua da attraversare. Si bada in particolar modo che l'opera turbi il meno possibile il regime delle acque e soprattutto non lo modifichi sensibilmente, perché, pur essendo difficile prevedere quali possano essere le esatte conseguenze dell'alterazione apportata, esse sono sempre pregiudizievoli alla stabilità del manufatto, quando non arrechino altri inconvenienti a monte dell'opera.
Le fondazioni debbono offrire una sicurezza assoluta, poiché, mentre un cedimento dei piedritti, che su di esse riposano, può alterare il regime degli sforzi interni della soprastruttura, così da sviluppare in certi punti di essa tensioni tanto elevate da provocarne la rottura, la rovina dei piedritti per l'insufficienza delle fondazioni, tanto rispetto all'azione erosiva delle acque, quanto per l'incapacità del terreno a sostenere il carico applicatovi, porta sempre e ineluttabilmente al crollo di tutta la soprastruttura.
L'ampiezza del corso d'acqua da attraversare, la possibilità d' introdurre sostegni intermedî, la portata massima di piena del corso, il genere, la forma e le dimensioni dei corpi galleggianti trascinati dalle piene, le necessità della navigazione, sono altri elementi importantissimi ai quali ci si riferisce per fissare il tipo e le dimensioni dell'opera da costruire.
In altri termini, la costruzione di un ponte importa un problema, che deve risolversi dal punto di vista idraulico in primo luogo e quindi da quello statico ed economico.
Attraversamento e sito d'impianto. - L'attraversamento di un corso d'acqua o di un avvallamento viene fatto di solito in direzione normale all'asse di questo, affinché l'opera abbia la minore lunghezza e ne risulti più agevole la costruzione; tuttavia, non mancano casi, imposti da necessità di tracciato, in cui il ponte o il viadotto sia sbieco o in curva. Nel sorpassare un torrente viene scelto ordinariamente il tratto in cui questo risulta incassato, per la maggiore sicurezza sulla stabilità del letto. Si preferisce in genere sorpassarlo con unica luce al fine di sottrarre i sostegni all'urto delle piene improvvise e violente, che di norma trascinano grossi massi, tronchi di alberi e corpi galleggianti diversi. Se il torrente non corre incassato, si preferisce stabilire il ponte nel mezzo del cono di deiezione entro cui il torrente si spande e si ha particolare cura di eseguire a monte del ponte opere, che valgano ad avviare le acque sotto il manufatto. Nei fiumi si evita l'attraversamento nei tratti curvilinei e in quelli instabili; tuttavia, se il fiume serpeggia in un'ampia valle, che durante le piene viene completamente invasa, la pratica ha consigliato di operare il passaggio, come più conveniente per rispetto alla conservazione del ponte, nei punti di massima curvatura e non nei punti di flesso del letto di magra.
I ponti prossimi a una confluenza, tanto a monte quanto a valle di essa, richiedono specialissima cura nella costruzione delle loro fondazioni e relativi piedritti. Può infatti avvenire che, per la diversità delle precipitazioni nei bacini tributarî dei due corsi d'acqua, l'uno risulti in piena quando l'altro sia in magra. A monte della confluenza si verifica allora un risalire della corrente nel corso in magra con formazione di rigurgiti e vortici, e un accrescimento della velocità dell'acqua in quello in piena, con un aumento eccezionale in entrambi della potenza di escavazione della corrente, la quale, senza speciali accorgimenti preventivi nell'opera, potrebbe mettere a nudo le fondazioni e operarne lo scalzamento. A valle, la condizione predetta dei due fiumi per un tratto abbastanza lungo oltre la confluenza, può dar luogo a variazioni nella direzione della corrente e alla formazione di gorghi e rigurgiti con gli effetti già detti sulle fondazioni del ponte.
Questioni economiche. - Il progetto di un ponte implica sempre la risoluzione di parecchi problemi di carattere economico, alcuni dei quali riguardano addirittura l'opportunità di costruire il ponte, o di sostituirlo in tutto o in parte con un'opera di altro tipo, che soddisfi agli stessi scopi generali.
Così, ad es., nel congiungere le opposte rive di un corso d'acqua di grande larghezza, si presenta il problema se convenga la costruzione di un ponte o di una galleria passante al di sotto dell'alveo come quelle costruite tra il 1825 e il 1843 per la traversata subalvea del Tamigi, a cui sono succedute molte altre in America e in Europa, ultime delle quali le due sotto la Schelda ad Anversa, ultimate nel 1933.
Il confronto economico tra ponte e galleria non è facile, anche perché non riesce agevole determinare con precisione quanto costerà lo scavo sotto il fiume. In realtà la galleria viene oggi preferita soltanto quando si tratti di opere molto grandiose, rispondenti alle necessità di un traffico molto notevole, e soprattutto quando si tratti delle metropolitane, le quali già si sviluppano in sotterraneo per buona parte del loro percorso.
Un problema analogo si presenta nelle strade e nelle ferrovie in rilevato, su falde abbastanza ripide, o a mezza costa. In questi casi il quesito è se convenga continuare le sezioni normali del corpo stradale, sorreggendolo con un muro di sostegno, ovvero costruire un viadotto. Il problema non ammette una soluzione generale e va quindi studiato caso per caso.
Circa il problema economico di ripartire l'intera luce in luci parziali si può dire, in linea di approssimazione, che il numero delle luci più economico è quello per il quale il costo d'una pila risulta eguale al costo d'una delle campate da essa sopportate. Esistono studî più approfonditi su questo problema economico, ma essi, per quanto assai pregevoli dal lato teorico, hanno un valore assai relativo per le pratiche applicazioni, cosicché è da ritenere che la più sicura soluzione si otterrà confrontando fra loro diversi tipi possibili.
Piedritti. - Sono i sostegni della sovrastruttura del ponte, che a mezzo delle fondazioni si appoggiano al terreno naturale.
I piedritti estremi si dicono spalle e quelli intermedî pile o anche stilate o palate per alcuni tipi di legno, di ferro o di cemento armato.
I piedritti vengono ordinariamente eseguiti di muratura, anche se la sovrastruttura è di materiale diverso; tuttavia, meno frequentemente, viene usato anche il legno, il ferro e il cemento armato, ma soltanto in corrispondenza a sovrastrutture dello stesso materiale. Se il ponte è a molte luci, qualche pila viene costruita con dimensioni maggiori delle altre (pila-spalla), così da poter resistere anche se il ponte venisse a mancare da una banda di essa.
I piedritti possono essere solidali o non con la sovrastruttura. Quando si possono considerare indipendenti, si distinguono quelli destinati a sorreggere travate, da quelli su cui impostano archi o strutture spingenti in genere. In ogni caso, i piedritti debbono essere assai bene fondati e non presentare cedimenti, che possano influire sul comportamento elastico delle strutture maestre.
Le dimensioni e la forma dei piedritti sono determinate in dipendenza delle sollecitazioni cui sono sottoposti, alla natura del materiale di cui sono formati, e a quella del terreno di fondazione, cui debbono trasmettere nel modo migliore le azioni varie agenti sull'opera. Tuttavia non viene trascurata l'estetica dell'insieme quando la stabilità sia assicurata.
I piedritti posti nei corsi d'acqua devono inoltre: 1. guidare la corrente in guisa da non creare pericoli per la navigazione; 2. deviare i corpi galleggianti senza riceverne danni; 3. lasciare al corso d'acqua il massimo deflusso possibile, il minimo di rigurgiti e di movimenti vorticosi, giacché i primi alterano la pendenza e i livelli a monte e gli altri favoriscono la corrosione del fondo.
Le pile di muratura (fig. 23) si sogliono fare prismatiche o a forma tronco-piramidale a base rettangolare con le facce aventi una scarpa da 1/20 a 1/30. I paramenti longitudinali per ragioni idrauliche ed estetiche vengono altresì foggiati sovente secondo superficie cilindriche.
Nelle pile molto alte, quali si riscontrano più facilmente nei viadotti, la scarpa nei paramenti si suole fare variare di tratto in tratto, aumentandola verso il basso, per adeguare la sezione al crescere delle azioni delle forze verticali e dei momenti di quelle orizzontali (fig. 24). Allo stesso fine si adotta per il profilo trasversale di una pila un andamento parabolico.
Per soddisfare alle necessità idrauliche predette, le pile nei corsi d'acqua vengono provviste di avambecchi (a monte) e di retrobecchi (a valle). I primi servono ad avviare la corrente e a deviare i corpi galleggianti; gli altri valgono a regolarizzare la corrente a valle e ridurre al minimo la formazione dei vortici. I retrobecchi sono, specie nelle costruzioni antiche, più corti e più piatti degli avambecchi e di forma più arrotondata.
Le pile metalliche si adoperano soltanto per i ponti metallici. Sono convenienti per alte pile, giacché presentano rispetto alle pile in muratura minore superficie all'azione del vento, da cui minore sollecitazione a flessione, e minor peso, e quindi minore sforzo normale e minore carico delle fondazioni, che pertanto risultano, per entrambe le cause, meno costose. Convengono anche nel caso che occorra eseguire il lavoro sul posto con la massima celerità, o se risulti assai oneroso l'impiego della muratura, per mancanza di materiali adatti sufficientemente vicini. Si distinguono in: pile piane o palate, se costituite da una parete reticolare piana verticale normale all'asse del ponte. Non si adoperano per altezze maggiori di 20 m.; pile piramidali o a torre (figura 25), se formate con 4 montanti disposti secondo gli spigoli di una piramide e collegati fra loro con traverse e diagonali, tanto nei piani determinati dai montanti angolari, quanto in piani orizzontali.
Le pile di cemento armato possono assumere la forma esterna di quelle di muratura (fig. 26), adoperando una sezione cava (fig. 27) o quella reticolare delle pile metalliche.
Le pile di legno, come le metalliche, si dividono in palate e pile a torre. Se la palata è formata da un solo ordine di pali si dice semplice e così doppia o tripla se gli ordini sono due o tre. La palata semplice si adopera fino a 7 metri di altezza e quella tripla fino a 20 metri.
Per dare maggiore stabilità alla palata rispetto alle forze orizzontali, i pali estremi vengono inclinati in modo da fornire una base di appoggio più ampia della larghezza del ponte sovrastante.
Se la pila è destinata a un ponte a carattere permanente, la si fa in due parti, che si congiungono al livello di magra in modo tale che una parte rimanga sempre in acqua e l'altra, che soffre le variazioni di secco e di umido, possa essere sostituita senza toccare la prima, che costituisce l'elemento di fondazione permanente.
La pila entro un corso d'acqua viene fra il pelo di magra e quello di piena rivestita di assoni, che rispondono alle condizioni idrauliche già espresse, formando becchi come nelle costruzioni in muratura.
Di tutte le parti di un ponte, le spalle sono quelle che meno si prestano a disposizioni uniformi perché, formando i punti di raccordo principali dell'opera col terreno, esse devono adattarsi alle condizioni assai variabili di quest'ultimo.
Una spalla deve, per quanto possibile, avere tutte le qualità di un masso fisso e invariabile; bisogna però avere presente che, essendo le spalle formate da murature, occorre anche tenere conto delle deformazioni elastiche che queste presentano, per effetto sia della pressione, sia della flessione.
In passato ci si limitava semplicemente allo studio dell'equilibrio rigido delle forze che sollecitano le spalle, considerando solo il coefficiente di stabilità, come rapporto fra il momento delle forze verticali e quello delle orizzontali rispetto al possibile spigolo di rotazione.
Questa nozione del coefficiente di stabilità è incompleta, specie nei ponti ad arco di muratura; occorre integrarla considerando la spalla come la continuazione della vòlta, sino ad arrivare al terreno naturale di fondazione, e pertanto verificare non soltanto l'equilibrio rigido del sistema, ma altresì il comportamento elastico dell'insieme formato dalla vòlta, dalle spalle e dal terreno di fondazione.
Da ciò che precede si conclude che non è possibile fissare con una formula lo spessore delle spalle. Solo per una prima approssimazione si può fare uso di una delle tante formule semiempiriche.
Le spalle dei ponti di piccola o media portata si sogliono fare come masse prismatiche verticali, le quali, mediante il loro peso, vengono a far passare la risultante delle forze agenti su esse per il nocciolo centrale d'inerzia della base di appoggio che, in tale modo, risulterà tutta compressa.
Nel caso in cui il fiume attraversato dal ponte sia munito di muri di sponda, come nei ponti in città, le spalle possono essere completamente poste dietro detti muri e quindi completamente nascoste. Ma per ragioni estetiche, e sempre quando le condizioni di deflusso del fiume lo consentano, si preferisce disporre parte della spalla in risalto sui detti muri d'argine come una mezza pila.
Nel caso poi in cui, mancando i muri di sponda, il ponte debba raccordarsi con gli argini inclinati del fiume, al massiccio propriamente detto della spalla si aggiungono ì muri di ala (fig. 28) o i muri di ritorno (fig. 29).
Con la prima soluzione le terre formanti il rilevato stradale vengono contenute di fronte, con la seconda soluzione vengono contenute lateralmente.
Nei ponti di maggiore importanza la soluzione preferita è quella dei muri di ritorno, in quanto essi consentono un migliore aspetto dell'opera, una soluzione più economica e più comoda delle fondazioni, e costituiscono inoltre dei contrafforti che rafforzano le spalle.
Le spalle di calcestruzzo presentano i seguenti vantaggi: monolitismo, economia di mano d'opera, celerità di esecuzione per la possibilità d'impiego di mezzi meccanici, maggior peso specifico raggiungibile con l'uso di adatto materiale.
Tra le spalle di cemento armato sono caratteristiche quelle formate da cassoni di cemento armato (fig. 30) che si riempiono quindi di calcestruzzo magro o di muratura a secco per raggiungere il peso necessario alla loro stabilità.
Le spalle di legno si eseguono di rado e soltanto per piccole luci.
Il piano stradale. - Nei ponti metallici l'orditura del piano stradale è composta da una serie di travi disposte parallelamente all'asse del ponte, dette longoni o lungheroni le quali poggiano sopra traverse normali al detto asse e che si chiamano traversoni, travi trasversali o traverse. Le traverse vengono sostenute dalle strutture maestre: se queste sono reticolari, le traverse vengono poste in corrispondenza dei nodi.
Se il ponte è destinato esclusivamente al passaggio di una strada ferrata e l'armamento è fatto con longarine (fig. 31), l'asse dei longoni, delle longarine e delle rotaie è nel medesimo piano verticale; se l'armamento è fatto con traversine (fig. 32) l'interasse dei longoni si fa maggiore di quello del binario per ridurre la sollecitazione a flessione del traverso, e per sfruttare in parte la resistenza delle traversine.
Fra i binarî e le strutture portanti maestre, e fra le rotaie stesse, il piano viene completato con lamiere di ferro o tavolatura di legno o lastre di conglomerato cementizio.
Se il ponte è destinato a una via ordinaria (fig. 33), fra i longoni, che vengono allora messi a distanza costante fra loro, si possono mettere dei piccoli profilati a contatto (ad es., ferri zorès) o voltine di mattoni o una soletta di cemento armato. Su questo piano di sostegno d'ordinario si stende uno strato di sabbia per ripartire i carichi concentrati, e quindi una delle tante pavimentazioni in uso. Il piano può anche formarsi con una soletta nervata di cemento armato, direttamente appoggiata ai traversi di ferro. In alcuni ponti si hanno due piani stradali sovrapposti per smistare il transito (figure 34, 35).
Nei ponti di muratura il piano stradale viene sostenuto o dal riempimento sulla vòlta, se essa è a timpani pieni, o da voltine di muratura che a mezzo di pilastri si appoggiano sulla vòlta (figura 36) o sugli archi, o da una orditura di cemento armato formata da soletta, nervature e travi, sostenuta da pilastri pure di cemento armato, che riportano il carico sulle strutture maestre.
Nei ponti di cemento armato il piano stradale è formato con una soletta munita di nervature parallele all'asse del ponte, e traversi normali a questo per il sostegno delle nervature (fig. 37).
Analoga struttura si ha nei ponti di legno, con un tavolato per il piano e travi longitudinali e trasversali. Nei ponti di poca importanza e traffico leggiero il tavolato semplice funziona anche da pavimentazione. Aumentando l'importanza dell'opera o si mette un doppio strato di tavoloni, o si ricorre a una pavimentazione, con l'avvertenza che sia leggiera, non mantenga l'umidità nella struttura sottostante e permetta infine il rapido allontanamento delle acque di pioggia.
Ponti a travata. - Sono quelli nei quali le strutture maestre, che sostengono il piano stradale, sono travi che esercitano sui piedritti azioni soltanto verticali. Le travi possono essere semplicemente appoggiate agli estremi ovvero sostenute anche in punti intermedî. In quest'ultimo caso si dicono travi continue. Se gli appoggi per ogni trave sono due soltanto, uno di essi è fisso e l'altro scorrevole, e il sistema è staticamente determinato o isostatico, rispetto ai vincoli esterni. Se gli appoggi sono più di due, uno solo è fisso e gli altri si fanno tutti scorrevoli, e il sistema è iperstatico.
Nei ponti di ferro, le parti che compongono la travata sono: le briglie, che formano i bordi della trave, e la parete, che costituisce l'elemento di collegamento fra le briglie. La parete può essere una lamiera continua e allora si dice anima della trave, che si chiama a parete piena, ovvero risulta da ferri laminati variamente inclinati, che si dicono aste di parete e la trave è detta reticolare. Le aste verticali di parete si chiamano montanti o tiranti, e quelle inclinate diagonali o saette.
Le travi a parete piena hanno il vantaggio di essere di più facile esecuzione e di offrire minore campo all'azione della ruggine, di contro pero sono rumorose e nei ponti a via inferiore ostacolano la libera visuale. Esse pertanto si adoperano solo fino a un'altezza di m. 2, e quindi per ponti che hanno portata non superiore ai m. 20 circa.
Le travi parallele hanno le briglie orizzontali e parallele. Le aste di parete possono essere variamente inclinate e costituire un sistema semplicemente triangolato o un traliccio multiplo. Nel primo caso le aste di parete vanno da una briglia all'altra senza incrociarsi, nel secondo invece s'intersecano in uno o più punti. Secondo la disposizione delle aste di parete, le travi assumono le seguenti diverse denominazioni.
Trave Neville o Warren (fig. 38), la cui parete è composta a triangoli isosceli. Fu costruita per primo dall'ingegnere inglese Warren nel 1851 a Newark. Si è notata la convenienza di assegnare alle aste di parete un'inclinazione non maggiore di 30° rispetto alla verticale, cosicché la distanza fra i nodi non superi l'altezza della trave.
Trave Howe (fig. 39), divisa in campi di eguale ampiezza da montanti verticali, fra i quali le diagonali della metà di sinistra sono ascendenti verso destra e nella metà di destra ascendenti verso sinistra.
Trave Mohnié (dal nome di un ingegnere belga che la fece brevettare nel 1858 in Germania; fig. 40), con diagonali e montanti verticali, come la precedente, ma le diagonali di sinistra sono discendenti verso destra e quelle di destra verso sinistra.
Trave trapezia, che si ottiene dalle due precedenti sopprimendo i montanti di estremità.
Trave parabolica. Il contorno superiore (o l'inferiore) è iscritto in un arco di parabola di secondo grado con asse verticale coincidente con la verticale passante per la mezzeria della trave, e il contorno inferiore (o superiore rispettivamente) rettilineo. Il primo tipo (fig. 41) si adopera per strade a passaggio inferiore, il secondo serve per strade a passaggio superiore. La parete in entrambe è formata da diagonali e montanti. Entrambi i contorni possono essere iscritti in archi di parabola come sopra, e la trave si dice a ventre di pesce. Quest'ultimo tipo è ormai abbandonato. La trave parabolica ha il vantaggio di non risentire sollecitazione nelle aste di parete per un carico uniforme ripartito rispetto all'orizzontale, quale può ritenersi sia il peso proprio del ponte. Per converso l'angolo assai acuto che formano le aste estreme con l'orizzontale rende difficili e malagevoli gli attacchi dei traversi.
Trave olandese o semiparabolica, che deriva da quella parabolica in quanto ha il contorno superiore iscritto in un arco di parabola dalla fine del primo campo al principio dell'ultimo, e in questi campi estremi abbandona l'andamento parabolico, inelinandosi bruscamente fino a raggiungere la briglia inferiore, che si fa rettilinea. Montanti e diagonali collegano poi le briglie.
Allo stesso tipo appartiene la trave con contorno superiore parabolico e inferiore rettilineo, collegati da un traliccio, e in cui i due contorni, a differenza della trave parabolica, non si uniscono direttamente agli estremi, ma sono distanziati da un montante verticale. Vale a dire che questa trave ai suoi estremi non ha altezza nulla, come nella parabolica, ma quella corrispondente all'altezza dei montanti di estremità. Tali disposizioni si sono adottate per riparare all'inconveniente più sopra rilevato per la trave parabolica.
Trave Fink (fig. 42), formata da una serie di travi armate con tiranti e controfissi di uguale lunghezza. Gli estremi inferiori dei controfissi venivano in qualche caso riuniti fra loro con un tirante sul quale non si faceva assegnamento nella resistenza delle travi.
Le travi a traliccio multiplo (figg. 43-44), oggi completamente abbandonate, hanno la parete formata con due serie di diagonali inclinate in senso inverso e incrociantisi fra loro. Il numero dei tratti in cui la diagonale d'un sistema viene divisa dalle diagonali dell'altro sistema, si dice ordine di molteplicità del traliccio. Oltre al doppio sistema di diagonali si possono trovare anche dei montanti verticali i quali hanno il doppio scopo di irrigidire la parete e di formare l'elemento conveniente al collegamento del piano stradale alla struttura maestra.
Travata continua, può essere a briglie parallele o poligonali, reticolare o a parete piena, metallica o di cemento armato o di legno; si adopera per ponti a più luci ed è caratterizzata dal fatto che né le briglie né la parete vengono interrotte in corrispondenza degli appoggi intermedî, sui quali quindi la travata viene a essere sollecitata a flessione: cosa che non avviene per le travi semplici. Comportandosi quindi ogni campata della trave continua come una trave semplice imperfettamente incastrata agli estremi, ne risultano alleviati i momenti massimi nelle campate, in confronto a quelli che si svilupperebbero se la trave fosse interrotta sugli appoggi. Il vantaggio è tanto maggiore quanto più grandi sono le campate e quanto maggiore è il numero delle luci. Secondo Winkler si avrebbe una riduzione del peso totale dei 10% per travi a due campate, di 50 m. ciascuna, fino al 30%, per travi a 4 campate, di 150 m. di portata ciascuna. Di contro però stanno i seguenti svantaggi: gli sforzi secondarî, in genere, sono maggiori che nelle travate semplici; variazioni di temperatura, cedimenti degli appoggi e difetti di montaggio, dato che il sistema è iperstatico rispetto ai vincoli esterni, dànno luogo a sollecitazioni supplementari, le quali possono cancellare i benefici della continuità, con l'aggravante che non essendo sempre valutabili i cedimenti possibili e non potendosi prevedere i difetti di montaggio, il grado di sicurezza che si vuole raggiungere nella costruzione resta incerto, con grave pregiudizio della durata dell'opera e della sua stabilità; che se poi si volesse provvedere a questi imprevisti, irrobustendo oltre misura le sezioni che risultano dal calcolo nelle condizioni normali di perfetta rigidità degli appoggi e di esecuzione accurata dell'opera, verrebbe ad annullarsi completamente il vantaggio economico sperato, restando sempre nell'ignoranza del reale grado di stabilità raggiunto. Tutti questi inconvenienti diminuiscono col crescere della luce delle campate. La trave continua ha trovato finora il suo massimo impiego nel ponte per ferrovia a doppio binario sull'Ohio presso Sciotoville negli Stati Uniti, con due campate di m. 236 ciascuna. Essa trova importante impiego nei ponti girevoli e come trave d'irrigidimento dell'impalcatura stradale nei ponti sospesi.
È un bell'esempio anche il viadotto sul Petrace sulla linea Eboli-Reggio Calabria (fig. 45).
Trave Gerber. Per ovviare agl'inconvenienti indicati per le travate continue fu immaginata dal Gerber una trave a più campate, nella quale vengono introdotte delle cerniere in numero eguale a quello degli appoggi intermedî (fig. 46), così da rendere il sistema staticamente determinato. Se le cerniere potessero collocarsi nei punti in cui la curva elastica d'una trave continua, di eguale numero e portata di campate, presenta punti di flesso e quindi di momento nullo, i vantaggi della trave continua sarebbero completamente realizzati nella trave Gerber, senza gli svantaggi dipendenti dalla iperstaticità. Ma poiché i punti di flesso nella trave continua variano di posizione col variare delle condizioni di caricamento, la perfetta corrispondenza fra i due tipi di trave non è possibile in modo completo.
La posizione delle cerniere può anche venire studiata in modo che, nelle condizioni più sfavorevoli, i massimi momenti positivi eguaglino quelli negativi.
Per mezzo di queste travi è possibile una distribuzione dei momenti più favorevole, che in una serie di travi indipendenti semplicemente appoggiate. Pertanto si può, rispetto a questa, ottenere un'economia notevole di peso morto, il che si traduce in una maggiore luce, che questo tipo di ponte può raggiungere.
Appartengono a questa categoria le travi a mensola o, con vocabolo inglese, cantilever. L'esempio più importante è dato dal ponte sul Firth of Forth presso Queensferry in Scozia (fig. 47), costruito fra il 1882 e il 1889, con 4 luci, di cui le due maggiori di 521 metri, dimensione sorpassata soltanto nel ponte di Quebec nel Canada, sul San Lorenzo, eseguito nel 1917, con una portata di m. 549.
Nel tipo Schwedler, nel quale si cerca di rendere nullo il minimo sforzo nelle diagonali, la briglia superiore è poligonale nelle parti estreme, mentre nella parte centrale è rettilinea e parallela alla briglia inferiore orizzontale.
Il tipo che trova oggi maggiore impiego è quello con traliccio a N semplice o multiplo, e per i ponti più importanti il tipo olandese.
La trave Vierendeel (figura 48) è formata da due correnti: il superiore e l'inferiore, collegati di tratto in tratto da montanti verticali, che staccano nella trave dei campi quadrangolari, a differenza di tutte le altre travi a traliccio, che sono formate con maglie triangolari.
La trave risulterebbe deformabile se fosse articolata a cerniere ai nodi, formati dalle briglie e dai montanti; pertanto occorre che le aste siano collegate fra loro a incastro, affinché la trave mantenga la sua configurazione sotto l'azione dei carichi. Quindi rispetto ai vincoli interni fra le aste, la trave Vierendeel risulta iperstatica con grado d'iperstaticità pari al triplo del numero dei campi o maglie che la compongono. Il suo valore pratico è assai discusso e le applicazioni che se ne sono fatte, limitate.
Il traliccio più conveniente è quello con montanti e diagonali, giacché esso riduce al minimo la lunghezza delle barre compresse e fornisce un mezzo comodo e sicuro pec l'unione del piano stradale e per la formazione delle controventature.
Per evitare sforzi secondarî è buona norma applicare il carico alle travi maestre in corrispondenza dei nodi, mediante i traversi. Se però le travi sono molto alte e alle diagonali si dà un'inclinazione di 50°, i punti cui debbono attaccarsi i traversi risultano molto distanti, e, per l'accrescersi della portata degli elementi longitudinali, il piano stradale diventa assai costoso.
Riducendo l'inclinazione delle diagonali, si avvicinano bensì i traversi, ma si rende la trave più pesante, mentre d'altra parte gli attacchi delle diagonali diventano difficili e perciò risultano difettosi. A ovviare agl'inconvenienti predetti si adoperano le suddivisioni dei campi come alla fig. 49 che avvicinano così i traversi.
Le travi a contorno curvilineo o poligonale hanno per scopo di aumentare l'altezza della trave e quindi il suo momento resistente verso la mezzeria, dove i momenti flettenti raggiungono i massimi valori, e di avere verso gli estremi, dove maggiore è lo sforzo di taglio, le minori altezze dei montanti, che, risultando compressi, sono esposti al carico di punta. Inoltre l'inclinazione delle briglie consente alle aste di contorno di assorbire parte dello sforzo di taglio e quindi di alleviare la sollecitazione delle aste di. parete, laddove queste risentono i massimi sforzi.
Nelle travi a contorno poligonale, l'altezza in mezzeria si suole fare, come in quelle parallele, di 1/10 della portata. Tuttavia per portate oltre 40 metri con passaggio inferiore, si adottano altezze maggiori di i/i0 per potere effettuare una controventatura superiore necessaria alla resistenza delle travate sotto l'azione del vento, e lasciare quindi libera una luce sufficiente sul piano stradale.
Così, per portate da 40 a 60 metri si tiene il rapporto fra altezza e portata di 1/8, dai 60 agli 80 m. 1/7 dagli 80 in su 1/6.
Con l'aumentare dell'altezza della trave diminuisce il peso delle briglie e cresce quello delle aste di parete. Secondo la conformazione di molti tipi finora costruiti sembra però risultare che per rapporti fra altezza e portata varianti fra 1/7 e 1/10, il peso resta sensibilmente costante.
Non conviene eccedere in altezza, considerando che alle maggiori altezze corrispondono minori resistenze alle azioni trasversali.
In generale si può dire che per piccole e medie portate convengano le travi parallele, e per grandi portate quelle a contorno poligonale.
Ponti ad arco. - Sono i ponti nei quali le strutture maestre consistono in due o più archi o in una vòlta. L'arco propriamente detto si distingue dalla vòlta per la larghezza, misurata normalmente al piano dell'asse. Nel primo la larghezza è minore dello spessore, misurato nella direzione del raggio di curvatura, nella seconda lo spessore è minore della larghezza.
Il piano stradale può essere tutto superiore agli archi o alla volta, oppure sospeso agli archi, o in parte a essi sospeso e in parte appoggiato.
Nei ponti moderni il piano stradale carreggiabile si suole tenere compreso fra gli archi o fra le fronti della vòlta e i marciapiedi lateralmente a sbalzo.
Asse dell'arco è il luogo dei baricentri delle sezioni radiali.
Intradosso è la superficie, che limita inferiormente l'arco o la vòlta; estradosso, quella che lo limita superiormente. Si chiamano imposte le sezioni estreme, che servono ad appoggiare l'arco ai piedritti. Chiave è la sezione mediana dell'arco. Reni sono le sezioni che fanno un angolo di circa 60° con il piano passante per la chiave. Si dice luce dell'arco o della vòlta la distanza fra le linee d'intradosso delle imposte e freccia la distanza verticale fra la corda della curva d'intradosso e il suo punto più alto in chiave. Il punto d'una sezione per il quale passa la risultante delle azioni mutue che la parte di arco, che sta da una banda della sezione, trasmette a quella che sta dall'altra banda, si dice centro di pressione; e curva delle pressioni si dice il luogo dei centri di pressione. Se la curva delle pressioni coincide con l'asse dell'arco, esso si dice equilibrato.
Si denota con ribassamento il rapporto fra la freccia, e la luce l, che, come si è detto, vengono misurati all'intradosso; tuttavia oggi si tende a riferire il ribassamento all'asse dell'arco. Diminuendo il valore del rapporto f/l si dice che il ribassamento aumenta.
L'arco è una struttura nella quale il materiale è essenzialmente sollecitato a compressione, pertanto esso è l'unico tipo di struttura maestra, che possa essere eseguito anche in muratura.
Nelle opere murarie invero non si può fare alcun sicuro affidamento sulla resistenza a trazione delle malte. È possibile pertanto nelle costruzioni degli archi in pietra da taglio interporre fra le facce a contatto (giunti) degli elementi dell'arco (conci), della semplice calce in pasta, la cui funzione è quella di ripartizione del carico.
Fino a tanto che il ribassamento dell'arco si mantiene fra 1/4 e 1/8, gli sforzi di trazione per le ordinarie condizioni di carico possono ritenersi assenti. Aumentando il ribassamento tali sforzi si manifestano e crescono con il ribassamento stesso.
Si osservi che se il piano stradale si deve tenere sopra l'arco, come è necessario nei ponti di muratura, volendo non oltrepassare il ribassamento di 1/6, l'altezza del manufatto riesce assai grande per grandi luci, mentre la maggior parte delle strade si eleva il meno possibile sul livello di massima piena, e però occorrono lunghe rampe di raccordo, il che, insieme con la necessità di una costruzione massiccia e quindi di elevato peso proprio, limita l'impiego delle murature nelle grandi luci.
Nei ponti di ferro o di cemento armato ad arco si può sollevare l'arco sul piano stradale, mentre d'altra parte con l'uso del traliccio e degli acciai ad alta resistenza nelle costruzioni metalliche, delle sezioni cave, dei cementi ad alta resistenza e della vibrazione e disaerazione del calcestruzzo nei ponti di cemento armato, si riduce sempre più il peso morto, rendendo possibile il superamento di luci sempre maggiori.
Dal punto di vista estetico i ponti ad arco risultano più gradevoli quando il piano stradale è tutto superiore all'arcata. Si ha in questo caso il vantaggio di poter disporre più di due arconi sotto detto piano, ciò che è particolarmente conveniente per ponti larghi, come sogliono essere i ponti di città. Rimane però lo svantaggio di una limitata altezza in chiave, che può costringere a un forte ribassamento, con tutti gl'inconvenienti relativi.
Gli archi esercitano sui piedritti un'azione inclinata, la cui componente orizzontale, che si dice spinta, tende a rovesciarli verso l'esterno della luce, a differenza delle travate, la cui azione sui piedritti è essenzialmente verticale.
Gli archi possono essere a tre (fig. 50), a due (fig. 51), a una cerniera o senza cerniere (fig. 52); in quest'ultimo caso si dicono anche incastrati. Possono ancora essere reticolari o a parete piena. Il solo arco a tre cerniere è isostatico, gli altri sono tutti iperstatici. L'arco a una cerniera non ha pratico impiego. Nell'arco a due cerniere queste si pongono alle imposte o in prossimità di esse. In quello a tre cerniere oltre quelle d'imposta se ne ha una in chiave. A parità di altre condizioni la spinta dell'arco va crescendo col crescere del ribassamento.
Proiettando gli estremi del nocciolo d'inerzia d'ogni eezione radiale sul piano medio dell'arco, si determinano due curve, che prendono il nome di linee di nocciolo, e lo spazio, fra esse compreso, si chiama campo di nocciolo.
Se la curva delle pressioni è tutta compresa nel campo di nocciolo, le sezioni risulteranno interamente compresse; se ne esce, in quei tratti in cui esce fuori si svilupperanno delle tensioni positive o di trazione. Se il centro di pressione in una sezione non coincide con il suo baricentro, la sezione viene sollecitata a pressione eccentrica ossia a pressione semplice e flessione. Si deve inoltre considerare la sollecitazione al taglio che generalmente è piccola di fronte alle altre. La flessione fa sì che i punti della sezione siano diversamente sollecitati secondo la loro distanza dall'asse neutro, e poiché nei punti più cimentati la tensione non deve superare il carico di sicurezza del materiale adottato, soltanto i punti più lontani dall'asse neutro lavorano in pieno, mentre nel resto della sezione il materiale è chiamato a dare un contributo di resistenza minore di quello di cui è suscettibile. Ciò spiega l'importanza degli archi equilibrati, nei quali, per essere la pressione uniforme in tutti i punti, può sfruttarsi in pieno tutta la capacità di resistenza del materiale. La tendenza moderna è quella di avvicinarsi quanto più è possibile agli archi equilibrati, i quali tuttavia non sono realizzabili in pieno, poiché, per effetto del carico mobile che transita sul ponte, per la variazione elastica e termica e per il ritiro del materiale, l'asse dell'arco non può sempre coincidere con la curva delle pressioni, che è variabile.
Negli archi reticolari metallici le precedenti considerazioni perdono ogni importanza, fino a tanto che si suppongono le aste articolate a cerniera.
Per i grandi ribassamenti (1/10 ÷ 1/18), gli archi a tre cerniere si presentano i più convenienti per le minori tensioni positive cui dànno luogo. Essi inoltre, essendo isostatici, hanno il notevole vantaggio sugli altri tipi di non risentire gli effetti delle variazioni di temperatura e dei cedimenti degli appoggi (contenuti entro certi limiti), che negli archi a due cerniere o incastrati alterano profondamente la distribuzione delle tensioni interne.
L'arco a tre cerniere ha però lo svantaggio d'essere meno resistente alla pressoflessione, più deformabile, e di più difficile costruzione degli altri tipi a causa della cerniera di chiave.
L'arco a due cerniere si adopera d'ordinario per ribassamenti da 1/7 a un 1/10, tuttavia non manca qualche esempio, nel quale il ribassamento raggiunto è stato anche di 1/15. Per ribassamenti maggiori di 1/10 è preferibile l'arco a tre cerniere, e per ribassamenti minori di 1/7 l'arco incastrato. I due più grandi ponti ad arco (quello di Kill-van-Kull a New York e quello del porto di Sydney) oggi esistenti sono a due cerniere.
L'arco incastrato ha maggiore rigidità; con ribassamenti minori di 1/7 può dare anche economia in confronto degli altri archi, ed è in genere di aspetto estetico più gradevole. È preferito nelle costruzioni di cemento armato ed è il tipo normale dei ponti di muratura. Ha lo svantaggio, per la sua triplice indeterminazione statica, di richiedere calcoli più complessi per la verifica della sua stabilità, e di risentire più fortemente l'influenza delle variazioni di temperatura e simili, nonché del cedimento delle imposte.
I ponti ad arco di più grande luce eseguiti fino a oggi in cemento armato sono del tipo incastrato.
Circa l'impiego delle cerniere nei ponti, è da osservare che è frequente il caso in cui si costruisca un arco a tre cerniere, per trasformarlo quindi in un arco a due cerniere o addirittura senza, eliminando in un secondo tempo la sola cerniera di chiave o tutte.
La riduzione in arco a due cerniere di un arco a tre cerniere iniziale è stata adottata per il ponte di Sydney in Australia (m. 503,25 di luce), ed è più idonea ai ponti metallici, mentre la trasformazione integrale in arco incastrato, meglio si addice agli archi di muratura o di cemento armato.
La ragione di questa variazione si comprende ricordando che l'arco a tre cerniere, perché isostatico, non sente l'influenza dei cedimenti degli appoggi e delle variazioni di lunghezza dell'asse per le varie cause già dette.
Pertanto si lascia, in un primo tempo, che queste cause si manifestino e si consolidino in presenza dell'arco a tre cerniere, per risalire a una maggiore rigidità della struttura, sopprimendo una o tutte le cerniere, quando non è più da temere alcun'altra deformazione o cedimento notevole.
Oggi, specialmente negli archi di muratura o di cemento armato, si tende a eliminare gli sforzi secondarî mediante una correzione della lunghezza della fibra media con l'applicazione di forze e momenti, creati da appositi martinetti idraulici in chiave, con i quali anche si ottiene il disarmo.
Ciò verrà meglio chiarito in seguito.
Ponti mobili.
Se il ponte deve servire ad attraversare un corso d'acqua, o un bacino marittimo ove sia importante la navigazione, o l'altezza libera sotto il piano stradale non può elevarsi tanto da lasciare libero passaggio ai navigli maggiori, si rende necessaria l'adozione del ponte mobile.
I ponti mobili si distinguono in ponti levatoi o ribaltabili, girevoli, scorrevoli, trasbordatori, sollevabili, ad altalena, smontabili.
Ponti levatoi o ribaltabili. - Si compongono di una o due volate mobili attorno a un asse orizzontale a mezzo di funi, catene o ingranaggi. Quelli a una volata si adoperano solo per piccole luci. Questo tipo di ponte deve rispondere alla condizione di trovarsi in equilibrio in qualunque posizione; pertanto, non tenendo conto delle resistenze passive, deve essere in ogni istante nullo il lavoro delle forze motrici e conseguentemente quello del peso delle volate; ciò importa che il baricentro di ogni volata deve spostarsi solamente in senso orizzontale. L'asse di rotazione può essere mobile o fisso.
Ponti levatoi ad asse di rotazione fisso. - a) Ogni volata ha due bracci dei quali uno porta il contrappeso che nel movimento di sollevamento del ponte entra in una speciale sede ricavata al di sotto del piano stradale, protetta dall'azione delle acque. Le parti anteriori possono essere, a ponte chiuso, riunite da un catenaccio solo o collegati da una cerniera, o da un doppio ordine di chiusure che permettono il trasmettersi di momenti flettenti attraverso la giunzione, il che nei due tipi precedenti non si può effettuare.
b) Ogni volata è a braccio unico, e il contrappeso è articolato alla trave per mezzo d'un quadrilatero articolato, che serve a mantenere invariata la posizione del baricentro del sistema in movimento. In questo tipo, detto Strauss, non occorre la forza per il contrappeso, però l'aspetto è assai antiestetico e le resistenze di attrito sono maggiori che nei ponti del precedente tipo a).
Ponti levatoi ad asse di rotazione mobile, detti tipo Scherzer. - La rotazione si ottiene mediante il rotolamento di due grandi quadranti dentati sopra una dentiera orizzontale. L'asse meccanico di rotazione viene perciò a trovarsi in corrispondenza della generatrice del quadrante a contatto con la dentiera.
Ponti levatoi a contrappeso variabile. - Tipo Poncelet, in cui l'equilibrio della ribalta viene ottenuto mediante una variazione del contrappeso formato da una catena di lunghezza variabile proporzionalmente allo sforzo necessario nei tiranti di sollevamento per le diverse posizioni della ribalta. I ponti levatoi, per la grande rapidità di manovra, sono i più vantaggiosi e quindi i più largamente impiegati oggi, specie quelli del tipo in cui il meccanismo di manovra e il braccio corto della ribalta con il contrappeso sono posti al disotto del piano stradale e allogati in una pila o spalla cava in modo da non nuocere all'estetica della costruzione. Uno dei più famosi ponti levatoi è quello della torre sul Tamigi a Londra, di 60 metri di portata. Il più recente è quello che si ha in una campata del ponte di Arlington a Potomac presso Washington, con circa 55 metri di portata, costruito nel 1931 (fig. 54).
Ponti girevoli. - Sono quelli, le cui parti ruotano attorno a un asse verticale. Essi possono essere semplici e doppî e ciascuno elemento girevole a bracci eguali o disuguali (figura 55). Quelli a bracci eguali sono di più facile costruzione; non occorrendo contrappesarli, come si rende invece necessario in quelli a bracci disuguali, per i quali inoltre l'azione del vento rende ancora maggiore lo sforzo da esercitare nella manovra. Tuttavia i ponti a bracci disuguali sono largamente usati per evitare che la pila, su cui appoggia il perno di rotazione, venga a restringere soverchiamente lo spazio navigabile. Al perno di rotazione si accoppia sempre una corona di scaricamento, la quale ha la principale funzione di offrire una maggiore stabilità al barcollamento inevitabile, se è il solo perno a costituire l'unico punto d'appoggio a ponte aperto, pur lasciando al perno l'ufficio di sopportare tutto il peso del ponte. Le estremità del ponte, quando esso è aperto, assumono una certa freccia in dipendenza del funzionamento di mensola delle parti che risultano a sbalzo dal perno di rotazione. Questa inflessione, che modifica la distribuzione delle tensioni a ponte chiuso, deve essere tolta e perciò bisogna provvedere a innalzare le estremità quando esse tornano sugli appoggi.
Questi meccanismi possono servire anche per il servizio inverso, quando cioè occorre liberare le estremità allo scopo di effettuare l'apertura del ponte. A questo servizio si può anche provvedere mediante la mobilità del perno centrale in senso verticale per compensare e annullare l'anzidetta freccia.
In Italia è notevole il ponte girevole nell'arsenale di Taranto. Esso è doppio e formato da un arcone metallico con parete a traliccio diviso in due parti, che si riuniscono in chiave. Ciascuna delle due parti gira attorno a un perno situato nella spalla corrispondente. La distanza fra gli assi dei perni è di m. 67, la lunghezza dell'intero ponte è però di m. 89,90, giacché ciascuna delle due parti è a bracci disuguali. Il ponte è largo metri 6,70.
In Europa il più grande ponte girevole è quello di Veisen in Olanda, a braccio unico di 128 m. di lunghezza complessiva.
In America il maggiore si trova sul Missouri presso Ohama nel Connecticut ed è formato da due volate ciascuna di m. 158,50. Infine a Wilhelmshaven si ha il ponte che lascia la maggior luce libera di m. 70 ed è formato con due volate a bracci eguali della lunghezza totale di m. 159.
I ponti girevoli sono meno convenienti dei ponti levatoi: essi presentano lo svantaggio di richiedere molto spazio orizzontale per la loro manovra. Sono quindi possibili urti fra il ponte in movimento e le navi, se queste per una qualsiasi ragione vengono a trovarsi nella zona necessaria all'apertura del ponte.
Ponti scorrevoli. - Hanno, tanto nell'apertura quanto nella chiusura, un movimento orizzontale, di norma in direzione dell'asse del ponte. Esistono tuttavia dei ponti in cui questo scorrimento avviene obliquamente rispetto a quest'asse. Il movimento anzidetto o interessa tutta l'apertura del ponte, o solamente il piano destinato a ricevere i carichi, restando le strutture maestre fisse tanto alte da lasciare la necessaria luce libera al disotto. In questo caso il ponte si dice più propriamente trasbordatore e il piano destinato ai carichi ha lunghezza che è piccola frazione della portata del ponte, come in quello all'imbocco del porto di Duluth nell'America Settentrionale.
Ponti sollevabili. - Si distinguono in due specie: quelli in cui tutto il ponte viene sollevato verticalmente, e quelli in cui tale sollevamento è limitato al solo impalcato stradale, sospeso alle travate maestre fisse, rialzate di quanto occorre a lasciare la necessaria luce libera sotto il piano stradale rialzato.
Nel primo tipo, per rendere agevole il movimento e ridotta l'energia necessaria al sollevamento, la travata viene quasi completamente contrappesata a mezzo di funi, che partendo da ciascuna delle estremità della travata salgono sino in testa al pilone, si adagiano ivi sopra opportune pulegge, e quindi ridiscendono portando all'altro capo dei contrappesi. Il macchinario per il sollevamento si suole porre in una camera alla parte superiore della travata mobile, mentre la cabina di manovra si pone al disotto.
Si può con questo sistema ottenere una velocità di sollevamento di circa 10 metri al minuto primo, il che lo rende, ove non si oppongano ragioni estetiche, assai vantaggioso per rapidità di manovra e per la possibilità di graduare l'alzamento ai bisogni della navigazione.
Il più grande ponte del genere si trova in America sul Delaware con una portata di 162 metri. La fig. 56 ne mostra uno recente, costruito in Inghilterra a Newport, presso Middlesbrough, sul fiume Tees. Esso ha una portata di m. 81, misurata fra gli appoggi della travata mobile. La travata può alzarsi di trenta metri e impiega circa 2 minuti e mezzo a effettuare questa operazione.
Esempio importante del secondo tipo è il Ponte Chitpor a Calcutta, per ferrovia, di m. 35 di portata, con una possibilità di sollevamento del piano stradale di m. 4,80. In questo secondo tipo, in confronto al primo, si ha il vantaggio del minor peso da sollevare e della minore influenza del vento in dipendenza della minore superficie in movimento investita; però si ha lo svantaggio che il piano stradale risulta molto deformabile e malsicuro rispetto alle azioni dinamiche, per effetto delle vibrazioni e trepidazioni che subisce.
Ponti ad altalena. - Sono a una o due volate come quelli levatoi e girevoli. Ogni volata ruota attorno a un asse orizzontale che, in luogo di essere all'estremità della ribalta come in quelli levatoi, viene collocato in prossimità del baricentro della volata. Se le due parti, in cui risulta così divisa la ribalta, sono disuguali, la parte più piccola viene contrappesata in modo che il ponte abbia la tendenza a dividersi da sé.
L'asse intorno a cui gira ogni volata può essere fisso o mobile. Il tipo che maggiormente viene adoperato è quello ad asse fisso.
Ponti smontabili. - Tali sono essenzialmente i ponti militari e la mobilità di essi risiede in ciò, che possono essere trasferiti da luogo a luogo mediante la composizione e scomposizione delle parti elementari, che costituiscono tanto le travate quanto il piano stradale.
Quando il ponte è completamente formato, esso si comporta come un ponte fisso. Le giunzioni delle parti vengono fatte mediante bulloni.
Ponti sospesi.
Generalità. - I ponti sospesi, nella forma più semplice (fig. 57), risultano essenzialmente costituiti da speciali strutture portanti chiamate catene, funi, cavi o gomene, che per mezzo di tiranti verticali, costituenti nel loro insieme la parete di sospensione, sostengono l'impalcatura stradale. Le catene trovano appoggio sopra i piloni (fig. 58) e vengono ancorate nel terreno naturale, se dotato della necessaria resistenza, oppure, come più comunemente in pratica, contro massi di ritenuta (fig. 59) di muratura. I ponti sospesi presentano i seguenti vantaggi:
1. una migliore utilizzazione delle qualità di resistenza dei metalli, che vengono assoggettati soltanto a sforzi di trazione, tanto nelle strutture portanti, quanto nelle aste di sospensione;
2. possibilità di tenere molto alto il piano stradale sul livello delle acque, con strutture portanti di altezza relativamente piccola e di grande leggerezza;
3. possibilità di superare senza difficoltà luci grandissime, che sono le massime sino a oggi raggiunte nella costruzione dei ponti;
4. possibilità di posa in opera senza ricorrere ad armature provvisorie ingombranti lo spazio sottostante;
5. aspetto snello e ardito, che conferisce a questi ponti un particolare effetto estetico bellissimo ed elegante.
A questi pregi si oppongono però i seguenti inconvenienti:
1. l'economia derivante dal modo con cui vengono razionalmente sfruttate le qualità di resistenza dei metalli viene talvolta non solo neutralizzata, ma anche superata dalla maggiore spesa occorrente per l'impianto dei piloni e delle murature di ormeggio, e per la qualità sceltissima del materiale, costituente la sospensione, che ne rende più caro il prezzo;
2. i dannosi effetti delle variazioni di temperatura e dei possibili cedimenti degli appoggi, quando la struttura non sia staticamente determinata, sono assai più sensibili che non nelle consimili strutture a travata o ad arco;
3. la difficoltà di esercitare continuamente una sorveglianza rigorosa nei punti più vitali del ponte, che sono quelli di ancoramento, non sempre facilmente accessibili;
4. l'eccessiva deformabilità della struttura, dovuta al fatto che per ogni particolare posizione del carico mobile, le funi di sospensione e l'impalcatura stradale assumevano, nel tipo originario di ponti sospesi, una diversa forma di equilibrio, subendo deformazioni molto più grandi delle consuete deformazioni elastiche. Conseguenza di ciò erano i dannosi movimenti oscillatorî nel senso verticale i quali erano provocati dal vario movimento dei sovraccarichi.
A questo gravissimo inconveniente, che fu causa in passato di parecchi disastri, si è però rimediato in seguito, e si è pervenuti così al tipo dei ponti sospesi rigidi e semirigidi, dei quali parleremo in seguito, le cui deformazioni sono dell'ordine di grandezza di quelle usuali.
I ponti sospesi possono essere a una o più luci. Nei ponti a una sola luce, i piloni si trovano sul ciglio delle sponde e gli ancoraggi si trovano a terra, più internamente. Nei ponti a tre luci i piloni si trovano invece internamente all'ostacolo da attraversare. In tal caso il ponte risulta formato da una grande luce centrale e di due mezze luci laterali e le funi vengono ormeggiate a terra, senza piloni. Nei ponti a due luci infine vi è un solo pilone centrale e gli ormeggi avvengono a terra al ciglio delle sponde, come nel caso precedente.
Il rapporto fra la freccia e la corda dell'arco secondo cui si dispone la fune, si riscontra, nei ponti eseguiti, compreso fra 1/10 e 1/18. Recenti studî diretti alla definizione del tipo optimum, hanno portato alla conclusione che convenga fissare detto rapporto nella misura di 1/10 e a tale rapporto infatti corrispondono gli ultimi e più importanti ponti costruiti in America. All'impalcatura si suol dare una piccola curvatura verso l'alto.
Sistemi di ponti sospesi. - Il tipo più semplice di ponte sospeso è quello primitivo descritto precedentemente e che viene chiamato deformabile. Per le ragioni suddette, al passaggio dei carichi mobili s'inducono in questi ponti dei movimenti ondulatorî, dei quali l'ampiezza può crescere notevolmente quando l'intervallo di tempo che passa tra un impulso e il successivo, dovuti al passo cadenzato di più persone, o al trotto regolare di un cavallo, sia uguale alla durata di un'oscillazione. In questo caso le deformazioni si sommano e possono raggiungere valori rispetto ai quali la tensione unitaria nel materiale sia quella di rottura, com'è avvenuto nel 1850 al celebre ponte di Angers, durante il passaggio di una truppa.
A diminuire l'inconveniente suddetto, si sono adottate delle disposizioni atte a conferire un certo grado di rigidità alla struttura. In un primo tempo ciò è stato ottenuto con l'introduzione di appositi tiranti obliqui che, partendo dalla testa dei piloni, alla quale sono collegati, si distendono a ventaglio sulla parete di sospensione, collegandosi al piano stradale al piede dei tiranti verticali. Si ottiene così il tipo di ponte sospeso detto semirigido. Questa soluzione, e altre consimili, particolarmente sviluppate in Francia, hanno perduto ormai la loro importanza, di fronte ai grandi progressi realizzati dagli Americani con la costruzione dei ponti sospesi rigidi.
In questi ponti si raggiunge il massimo grado di indeformabilità compatibile col sistema, con le seguenti disposizioni:
1. Irrigidendo il piano stradale: in questo tipo di ponte la sospensione viene resa indeformabile con l'aggiunta di una travata, detta irrigidente (fig. 60), la quale ha sezioni e altezza molto minori di quelle che sarebbero necessarie se da sola dovesse sopportare il carico totale. Basta infatti che questa travata abbia quel grado di rigidità necessario perché, per effetto dei carichi mobili, la fune di sospensione, a cui detta trave è collegata, mantenga inalterata la sua. forma di equilibrio, a parte i piccoli allungamenti elastici. Generalmente la travata irrigidente è reticolare, la sua altezza è 1/10 della freccia, e quindi nel ponte optimum di cui sopra è detto, l'altezza della trave risulta 1/100 della luce. Con questo sistema sono stati costruiti in epoca recente, negli Stati Uniti, i ponti sospesi più grandiosi, dei quali si è già parlato nella parte generale.
2. Irrigidendo la sospensione: si può raggiungere questo scopo componendo la parete di sospensione con una serie di montanti e diagonali connessi in modo da formare una rete di triangoli, ovvero sostituendo alla catena un sistema rigido costituito da una travatura reticolare continua, oppure articolata a cerniera nel centro. In quest'ultimo caso il sistema diventa un arco a tre cerniere rovesciato. Un esempio grandioso di questo tipo è dato dal ponte di Pittsburg, dove si ha una luce centrale di m. 243,80.
Particolari costruttivi. Catene o cavi portanti. - Nei primi ponti sospesi si adoperavano catene del tipo ordinario. In seguito si trovò più conveniente adoperare delle catene tipo Galle, composte di barrette di acciaio collegate con bulloni. Queste catene presentano il vantaggio che moltiplicando il numero delle barrette si può raggiungere una forte sezione della catena, che, eventualmente, può anche essere a sezione variabile, e che inoltre si può, in caso di riparazioni, eseguire facilmente il ricambio a elementi di catena. Però, sia per la facilità di ossidazione, sia per la difficoltà di ottenere una ripartizione uniforme del carico totale sulle varie barrette d'una maglia, sia per gli sforzi secondarî che si possono generare a causa dell'attrito nelle articolazioni, si preferiscono oggi i cavi metallici formati con fili di acciaio al crogiolo zincato.
Per questi fili di acciaio, anche senza aggiunta di nichelio o cromo, si raggiungono già carichi di rottura di 12.000 ÷ 15.000 kg./cmq. e si può quindi adottare un carico di sicurezza di 3000 a 3500 kg./cmq. I diametri più usati sono compresi fra mm. 4 e 6,5; il modulo di elasticità longitudinale varia da 20.000 a 22.000 kg./mmq. Un particolare costruttivo assai importante è quello introdotto dall'americano J. Röbling, che consiste nel disporre in opera i fili uno per uno secondo la curva funicolare, collegandoli poi fortemente fra loro; si ottiene così il tipo di cavo detto a fili paralleli, come quello del recente ponte sul Hudson, del diametro di 915 mm. e che risulta costituito da 61 trefoli aventi 434 fili ciascuno di 4,8 mm. circa di diametro.
Invece del cavo a fili paralleli si possono riunire a cavo più funi composte di fili avvolti a elica, le quali funi si possono pure avvolgere a elica oppure lasciare parallele: si ottengono con questo modo i così detti cavi elicoidali, che sostanzialmente ripetono il principio di costruzione delle corde metalliche.
Sono in ogni caso da evitarsi, più che sia possibile, le giunture dei fili, il che del resto è oggi assai facile, potendosi avere dei fili lunghi più di 1000 metri.
Apparecchi di appoggio. - Gli appoggi delle catene o gomene sui piloni possono distinguersi in appoggi a sfregamento, appoggi a rulli e appoggi oscillanti. Negli appoggi a sfregamento le catene appoggiano direttamente su una lastra di ghisa o di acciaio fissata al pilone, a superficie superiore cilindrica. Quest'appoggio, per quanto semplice, non può essere impiegato opportunamente che per piccole costruzioni, giacché, in costruzioni grandiose, per il forte attrito che si sviluppa, si produrrebbero spinte orizzontali considerevoli contro i piloni e un rapido consumo delle gomene.
Gli appoggi a rulli possono essere costruiti in due modi: appoggiando le catene o gomene sopra rulli imperniati su una sede di ghisa o di acciaio fissa al pilone, o meglio posando le catene o gomene sopra una piastra superiormente cilindrica, inferiormente piana, la quale appoggia su un carrello di dilatazione affatto simile a quelli impiegati per ponti a travate. Quest'ultimo sistema di appoggio è il migliore.
Gli appoggi oscillanti possono essere eseguiti in due modi: può tutto il sostegno essere foggiato a guisa di biella e venire collegato a cerniera al piede col basamento del pilone, ovvero può l'apparecchio di appoggio essere formato da un settore oscillante imperniato alla sommità del pilone.
Attacco dei tiranti di sospensione al cavo e ai traversi. - L'attacco dei tiranti alla fune portante, se questa è costituita da una catena di Galle, si fa con una piastra speciale (fig. 61). Se si tratta invece di un cavo metallico, l'attacco viene fatto per mezzo di apposito manicotto provvisto gii piastra e nervature di rinforzo, il quale stringe fortemente la fune per mezzo di bulloni a vite (fig. 62), ovvero con semplici forcine avvitate alla piastra di sostegno del tirante.
I tiranti di sospensione nei più moderni ponti sospesi sono sempre esterni al piano stradale. Nel determinare le sezioni di questi tiranti si fa sempre l'ipotesi che uno di essi possa venire danneggiato o addirittura rotto dai veicoli che transitano nella strada, e che in tal caso il carico sopportato da questo tirante venga assorbito dai due tiranti a esso laterali, senza che però la sollecitazione unitaria massima oltrepassi in essi il carico di sicurezza ammesso nei calcoli.
Piloni. - I piloni, per la parte che rimane al disopra del piano stradale, possono essere di muratura o metallici o di cemento armato. I due piloni di ciascuna testata vengono generalmente collegati fra loro con archi e traverse, che, mentre giovano alla stabilità della costruzione in senso trasversale, contribuiscono anche alla decorazione degl'ingressi. I sostegni metallici sono in generale più economici di quelli di muraturȧ, e presentano di più il vantaggio che, nelle variazioni di temperatura, compensano in qualche modo le dilatazioni termiche degli organi di sospensione.
La forma e le dimensioni dei piloni devono essere tali da assicurare una sufficiente stabilità al carico di punta trasmesso dalle funi.
Le gomene, dopo avere ricevuto l'appoggio sui piloni, vengono ancorate o ormeggiate nel terreno contro massi di ritenuta, che possono avere la forma di massi monolitici di calcestruzzo cementizio, oppure essere apparecchiati a vòlta, ecc.
Per diminuire la lunghezza dei massi di ritenuta, le gomene d'ormeggio vengono talvolta rinviate, per mezzo di settori oscillanti o di rulli, in modo da diminuire la loro inclinazione alla verticale o anche da renderle addirittura verticali.
Le opere di ormeggio costituiscono una delle parti più importanti e vitali della costruzione, poiché dal solido attacco dei cavi al suolo, dipende la sicurezza di tutta la costruzione.
In Europa è prescritto che le funi e le chiavi di ormeggio, mediante opportuni passaggi praticabili, siano facilmente accessibili per essere assoggettate a una continua vigilanza.
In America, invece, prevale il concetto di sottrarre completamente tutta l'opera di ormeggio dal pericolo della ruggine, e quindi si riempiono tutti i pozzi e le camere, dove si trovmo le funi e gli elementi di ritenuta, con calcestruzzo cementizio.
Controventi. - I ponti sono sollecitati non soltanto dai carichi permanenti o accidentali, ma altresì da forze orizzontali, quali, principalmente, la pressione del vento, supposta agente orizzontalmente, la forza centrifuga nei ponti ferroviarî in curva, e le azioni prodotte dal serpeggiamento del treno in moto. Perché il ponte presenti la dovuta e necessaria stabilità anche rispetto a queste forze orizzontali, è indispensabile che le strutture maestre, oltre al collegamento già ottenuto con le travi trasversali o traversi, siano riunite insieme con altre membrature, che formino con le travature principali tutto un insieme ben solidale; e ciò allo scopo anche di conferire all'insieme una sufficiente rigidità in senso orizzontale, la quale permetta di ridurre al minimo la deformabilità reciproca delle varie parti. Quest'ultima considerazione s'impone, ad es., con molta evidenza in un ponte a via inferiore di notevole altezza, nel quale, a parte la resistenza alle forze verticali, è necessario collegare rigidamente i correnti superiori delle due travi maestre, per impedire che essi s'inflettano nel piano orizzontale, col pericolo di trascinare nella deformazione tutta la parete della trave.
Poiché la forza orizzontale principale è la pressione del vento, così queste speciali strutture di collegamento delle travi maestre si chiamano controventi. Essi sono costituiti da barre piatte o profilate che vanno da un nodo a un altro delle travi principali, e si distinguono in controventi orizzontali e verticali, secondo che le barre che li compongono si trovano in piani orizzontali o verticali.
Il sistema di controventatura più completo si può avere quando il piano stradale è superiore (fig. 63) e consiste:
in un sistema di ferri piatti o sagomati giacenti nel piano orizzontale inferiore dell'impalcatura, disposti diagonalmente e colleganti i punti di attacco delle travi trasversali con le travi maestre. Alcune volte ciascuna di queste diagonali va dall'estremo di una trave trasversale all'estremo opposto della trave trasversale successiva; allora l'incrocio fra le due diagonali di controvento avviene a metà distanza dalle travi trasversali. Altre volte, la diagonale va dall'estremo di una trave trasversale all'estremo opposto di quella che segue di due posti; in tal caso l'incrocio fra le due diagonali avviene in corrispondenza delle travi trasversali;
in un sistema di diagonali simile al precedente, colleganti i correnti inferiori delle travi maestre, i quali vengono inoltre riuniti trasversalmente con barre poste nei piani verticali delle travi trasversali sovrastanti;
in un sistema di diagonali, situate nei piani verticali delle travi trasversali, poste a croce di S. Andrea, colleganti il corrente superiore di una trave principale col corrente inferiore della successiva. Talvolta invece di queste diagonali si adoperano dei saettoni, che forniscono un appoggio centrale alle travi trasversali.
Nei ponti con impalcatura stradale intermedia o inferiore, le travi principali, se non sono abbastanza alte da superare sufficientemente l'altezza del profilo normale dei treni (circa m. 4,30) rimangono senza alcun collegamento in alto, e il ponte allora si dice aperto. Quando invece venga superata la detta altezza. i correnti superiori vengono collegati da un sistema di controventi, come nei ponti a via inferiore (fig. 64). I controventi verticali non sono evidentemente più possibili; si può però utilizzare lo spazio laterale libero attorno alla sagoma di carico per rinforzare gli angoli con opportune piastre angolari e saettoni. Da quanto sopra è detto risulta che i controventi orizzontali insieme con i correnti delle travi principali da essi eollegati, formano delle travi reticolari poste in piani orizzontali, chiamate travi di controvento. La pressione del vento però si fa risentíre anche sulle travi principali, modificandone più o meno le tensioni nelle singole aste dovute ai soli carichi verticali.
La pressione del vento contro il ponte viene generalmente riguardata come una forza orizzontale uniformemente ripartita, e tale si considera anche la pressione contro il treno. La prima di queste forze è fissa, l'altra mobile col treno.
Le strutture di controvento dei ponti ferroviarî si calcolano nelle due ipotesi di: 1. ponte scarico e pressione di kg. 270 per mq.; 2. ponte carico e pressione di chilogrammi 170 per mq.; adottando in definitiva le sollecitazioni maggiori di quelle calcolate nelle due ipotesi.
Le pressioni sulla travata e sul treno tendono a rovesciare il ponte, ma poiché il rovesciamento è impedito dal carico verticale, le suddette forze sono sostĭtuibili con altre equipollenti giacenti nel piano delle travi di controvento, e con coppie, le quali, a loro volta, vengono sostituite con altre equipollenti, costituite da forze verticali situate nei piani delle due travi maestre e aventi per braccio la distanza fra esse. Le forze verticali, di cui ora si è detto, dirette dall'alto verso il basso per le travi sottovento, e dal basso all'alto per quelle sopravento, vanno rispettivamente in aggiunta e in sottrazione dei carichi che sollecitano le travi maestre. Perché non avvenga il rovesciamento del ponte è necessario che la forza agente sulla trave sopravento sia minore del carico su essa.
Nei ponti a via inferiore, quando le travi principali sono di tale altezza da superare la sagoma di spazio libero, i correnti superiori vengono anche essi collegati con travi trasversali e con aste oblique, cosicché in tal caso, come si è già detto precedentemente, oltre alla trave di controvento inferiore, si ha anche un'altra trave di controvento superiore. Però, se questa seconda trave non trovasse, in corrispondenza delle spalle e delle pile del ponte, dei solidi appoggi, la sua efficacia sarebbe pressocché nulla, perché essa non farebbe altro che accompagnare i correnti superiori delle due travi maestre nelle loro deformazioni, sia pure opportunamente conguagliandole.
È quindi indispensabile, perché si possa fare assegnamento sulla trave superiore di controvento, che, in corrispondenza delle spalle e delle pile, il ponte presenti delle intelaiature o portali o quadri ben robusti, formati di montanti verticali e di traverse, le quali intelaiature siano capaci di fornire appoggi abbastanza rigidi alla trave di controvento superiore.
Ponti di legno.
Generalità. - Per quanto l'impiego dei ponti di legno sia oggi fortemente diminuito e ridotto quasi esclusivamente alle località in cui il legname abbonda ed è quindi a buon mercato, tuttavia particolari ragioni economiche o d'indispensabile rapidità di esecuzione possono consigliarne in alcuni casi l'adozione in confronto di altri materiali.
Il vero carattere dei ponti di legno risiede però nella provvisorietà, rispetto alla quale, come si comprende facilmente, è conveniente adottare il sistema meno costoso e di più rapida esecuzione e con il quale il materiale sia facilmente ricuperabile. I vantaggi dei ponti di legno rispetto a quelli di ferro o di muratura sono:
1. Rapidità di esecuzione e facilità di lavorazione, per la quale è possibile trovare in ogni luogo la mano d'opera adatta o facilmente adattabile; semplicità di montaggio e possibilità di sostituire prontamente qualche pezzo eventualmente guasto o perduto.
2. Minore peso specifico e minore costo del materiale.
Relativamente a quest'ultima considerazione si è constatato come il solo interesse del capitale necessario a costruire un ponte di muratura possa bastare ad ammortizzare il costo di un ponte di legno di eguale grandezza, nel tempo della sua durata normale in buone condizioni.
Di contro stanno i seguenti svantaggi, ai quali bisogna porre speciale attenzione: 1. minore durata e minore resistenza del materiale e bisogno di continua manutenzione; 2. grande facilità a incendiarsi, particolarmente per il passaggio delle locomotive nei ponti ferroviarî; 3. limitazione della portata a non oltre 50 metri; 4. apparenza meno bella; 5. disposizione delle connessioni ad allentarsi sotto l'alternarsi del secco e dell'umido.
L'esperienza ha dimostrato che la durata dei ponti di legno dipende dalla bontà del materiale, dalla sua stagionatura prima dell'impiego, dalla portata del ponte e dalle cure che si hanno per tenere asciutte e ventilate le varie membrature.
I ponti di quercia hanno durata normale dai 30 ai 50 anni, quelli di legno resinoso una durata dai 15 ai 20. Esistono tuttavia ponti ben mantenuti, che hanno 100 anni di vita.
Strutture maestre. - I tipi di strutture maestre maggiormente adoperati nella costruzione dei ponti di legno, si possono dividere in quattro categorie:
1. ponti a travate piene, semplici o rinforzate o composte;
2. ponti a travate reticolari a briglie parallele (travi Town e Howe) o a contorno poligonale in ambo le briglie o in una soltanto;
3. ponti con travate rinforzate da sottotravi e saettoni impostati sulle spalle, o costituite da altri tipi d'incavallature spingenti;
4. ponti ad archi pieni o reticolari.
Le travi piene semplici si adoperano per piccole portate, e a formarle può essere impiegato il legname tondo o quello squadrato.
Travi rinforzate con cuscini. - I cuscini sono pezzi di legname, i quali hanno la funzione di ridurre la portata della trave maestra nel caso in cui questa sia interrotta agli appoggi, o di aumentarne l'altezza quando, per la continuità, in corrispondenza degli appoggi si sviluppino momenti flettenti negativi, i quali hanno valori assoluti maggiori di quelli positivi, che si manifestano verso la parte centrale delle campate.
Trave armata. - Per aumentare la resistenza alla flessione d'una trave semplice, si possono adoperare una o più colonnette di ghisa o di legno, che opportunamente sostenute da tiranti di ferro forniscono alla trave uno o più appoggi intermedî (fig. 65).
Trave composta. - Qualora dal calcolo risultino necessarie, per le travi maestre, dimensioni che non si trovano in commercio, si possono riunire due o più travi tra loro in modo da ottenere la necessaria resistenza, e se si oppone una sufficiente resistenza agli scorrimenti a mezzo di bulloni, indentature o biette (fig. 66) tra le travi componenti, si può considerare il complesso delle travi come unica trave, avente per altezza la somma delle altezze delle singole travi, con un modulo di resistenza assai maggiore della somma di quelli dovuti a ciascuna trave.
Ai bulloni viene riservato il compito d'impedire i distacchi verticali, mentre alle indentature o alle biette viene dato quello d'impedire gli scorrimenti. Le biette, dette anche caviglie o zeppe, sono prismi di legno duro, che vengono incastrati fra le facce delle travi da collegare e possono venire disposte con l'asse parallelo a quello della trave o con l'asse inclinato.
In luogo di biette di legno si possono adoperare biette di ghisa, con che gl'intagli nelle travi risultano di minore entità e la struttura riesce più resistente.
Trave con sottotrave e saettoni (fig. 67). - Quando si abbia sufficiente altezza sotto il piano stradale, si può formare la struttura maestra con trave, sottotrave e coppie di saettoni. Tale disposizione produce delle spinte sugli appoggi.
Il calcolo rigoroso di queste travi può essere eseguito applicando le equazioni di elasticità per la determinazione delle incognite iperstatiche, il cui numero è uguale a quello delle coppie di saettoni. Lo stesso calcolo può essere condotto con metodo approssimato, considerando la trave come continua sugli appoggi intermedî forniti dai saettoni, che si supporranno rigidi e di livello.
Trave Town (fig. 68). - S'impiega per grandi portate ed è costituita da due briglie parallele, collegate da una parete a traliccio multiplo di assoni inclinati a 45°, le cui estremità vengono fissate mediante caviglie di legno e di ferro. Tale tipo ha il grandissimo vantaggio della semplicità, in quanto la parete risulta di elementi tutti eguali fra loro e di facile collegamento, non richiede mano d'opera particolarmente specializzata e permette grande rapidità di esecuzione; ha però lo svantaggio che le connessioni a caviglia col tempo si allentano e la trave diventa troppo deformabile. Questo tipo pertanto è largamente impiegato nei ponti provvisorî e in quelli di servizio, poiché la loro breve durata in esercizio non lascia che si manifesti il loro difetto caratteristico; mentre d'altra parte la maggiore semplicità fa economizzare nelle spese d'impianto.
Il calcolo di queste travi si fa con metodo approssimato, supponendo che le briglie resistano da sole al momento flettente e che solo le aste di parete offrano la necessaria resistenza agli sforzi di taglio.
Nel calcolo della parete si suppone che essa possa considerarsi come composta da tante travi triangolari semplici quanto è l'ordine di molteplicità n del traliccio, e che ciascuna di esse venga a sopportare 1/n del carico totale cui la trave effettiva è sottoposta.
Travata Howe (fig. 69). - Consta di due briglie parallele, collegate da diagonali di legno e montanti di ferro. Le diagonali sono affermate alle briglie per mezzo di cunei di legno o di ghisa, mentre i montanti hanno le teste filettate e fornite di dadi, i quali stringendosi sopra piastre di ferro possono eliminare gli eventuali allentamenti, che si lamentano nella trave Town.
Le diagonali per il loro modo di attacco non possono sopportare che sforzi di compressione e pertanto dovrebbero aggiungersi delle controdiagonali in quei campi verso la mezzeria, ove per la mobilità del carico le diagonali possono risultare tese. Tuttavia si pongono le controdiagonali in tutti i campi.
Strutture ad arco. - Sono ormai abbandonati gli archi composti con tavoloni. S'impiegano oggi soltanto gli archi formati con travi di grossa squadratura incurvate a freddo, con una freccia non maggiore di 1/20, e, per le maggiori portate, gli archi reticolari.
Ponti di muratura.
Si chiamano ponti di muratura quelli che vengono costruiti adoperando, nella soprastruttura, pietre naturali, mattoni o calcestruzzo, sia isolatamente, sia insieme.
I pregi dei ponti di muratura sono: 1. durata illimitata dell'opera, senza bisogno di regolare manutenzione, per la grande resistenza che presentano le pietre da costruzione all'azione degradatrice delle vicende atmosferiche; 2. possibilità di adoperare materiali esistenti sul posto o nelle vicinanze, impiegando mano d'opera ordinaria e mezzi d'opera semplici; 3. aspetto in genere gradevole, perché più omogeneo, di qualunque altro tipo, al terreno cui s'innesta, e possibilità di conferirgli un carattere monumentale per quel senso di eternità che solo la pietra può dare.
Sono svantaggi: 1. la limitazione del tipo di soprastuttura all'arco, il che ne limita le applicazioni; 2. l'alto costo di costruzione che, sebbene compensato dalla mancanza quasi completa di manutenzione, ne rende più onerosa la costruzione in confronto ai ponti metallici; 3. la difficoltà quasi assoluta di sorpassare con unica luce i cento metri.
Il maggiore peso del ponte di muratura in rapporto a quello di tutti gli altri tipi, presenta aspetti vantaggiosi di fronte allo svantaggio di richiedere appoggi più robusti e fondazioni più ampie. E infatti, per il maggiore peso, il ponte di muratura si comporta meglio degli altri rispetto alle azioni dinamiche, provocate dal transito su esso di veicoli e treni a grande velocità, e permette un maggiore accrescimento eventuale del sovraccarico accidentale, che, espresso in percentuale del peso totale del ponte, è evidentemente più piccolo e di minore conseguenza nel ponte più pesante. I ponti di muratura si sogliono in genere distinguere dalla forma dell'intradosso della vòlta o degli arconi che sostengono il piano stradale. L'intradosso può essere: circolare a pieno centro o ribassato, secondo che segua un'intera semicirconferenza o un arco minore; ellittico, policentrico, ogivale, parabolico. Si hanno anche andamenti d'intradosso che derivano da una delle precedenti forme con una correzione più o meno accentuata, che tende in generale a sollevare il tracciato dalla curva fondamentale al fine di assegnare maggiore luce libera sotto il ponte.
La tendenza odierna, quando non ci siano predominanti ragioni estetiche come nei ponti entro città, è quella di conformare l'asse dell'arco secondo una curva che coincida con quella delle pressioni, dovuta al carico permanente e al carico accidentale per una particolare posizione. L'intradosso, che ne deriva, è pertanto una curva non definita, la quale però, nella generalità dei casi, si avvicina a una parabola di grado 2n ad asse verticale, col vertice in corrispondenza della chiave.
I ponti costruiti dai Romani (fig. 70) hanno come caratteristiche: le dimensioni ampie e massicce, gli archi a tutto sesto, larghe pile rostrate e timpani pieni o talvolta alleggeriti da ampî occhi in corrispondenza delle pile.
Nel Medioevo i ponti di muratura si presentano con archi a sesto acuto e profilo longitudinale a due rampe. I ponti del Rinascimento ritornano, sotto l'aspetto architettonico, alla tradizione romana, liberandosi però dall'adozione costante dell'arco a pieno centro.
Dalla seconda metà del sec. XVIII in poi i ponti di muratura hanno subito una profonda trasformazione, sia per una più intima e profonda conoscenza del loro comportamento statico, sia per il perfezionarsi della tecnica costruttiva. Alla semplice intuizione del costruttore, guidato da esempî di opere che avevano dato buona prova, si è sostituito uno studio sempre più affinato, il quale non soltanto dà la certezza della stabilità dell'opera, ma fornisce anche la conoscenza del grado di sicurezza raggiunto.
I metodi basati sulla teoria dell'elasticità per il calcolo e la verifica di stabilità delle vòlte e archi di muratura, furono accolti con diffidenza, e per lungo tempo continuarono ad applicarsi quelli basati sulla ricerca della curva delle pressioni, costretta da arbitrarie ipotesi a passare per punti prefissati. Ci si faceva scrupolo a considerare la muratura come un corpo perfettamente elastico, fino a che le esperienze fatte dagl'ingegneri austriaci nel 1895 permisero di superare ogni dubbio in proposito. Tra gli sviluppi della teoria occupano un posto importante gli studî di C. Guidi e di G. Colonnetti, relativi agli archi continui su appoggi elastici.
Caratteristica dei ponti moderni fu lo svuotamento dei timpani, sostituiti da archi e pilastri e che, tentato nel ponte sul Tech presso Ceret nei Pirenei nel 1321, non aveva allora dato buona prova per la mancanza di conoscenze scientifiche sul comportamento statico degli archi. Questo alleggerimento si trova nel ponte ferroviario sull'Agout presso Lavaur costruito nel 1882-84 (corda m. 61,50, freccia m. 27,50); in quello ferroviario Antoinette (fig. 71) pure sull'Agout (1899-1903) con arco centrale di m. 30.00 di corda, e nel ponte di Morbegno sull'Adda di metri 70 di corda e m. 10 di monta (1902-1903; fig. 72); nel ponte di Salcano sull'Isonzo (luce metri 85, freccia m. 21,75).
La massima apertura dell'arco raggiunta è quella di m. 96,25 del ponte di Villeneuve sur Lot che è stato costruito fra il 1914 e il 1916 in caleestruzzo di cemento non armato.
Nel ponte di Morbegno furono applicate in un primo tempo tre cerniere, le quali dopo il disarmo vennero murate, riducendo l'arco a funzionare come incastrato. Uno dei ponti più impqrtanti eseguiti dal regime fascista è quello che unisce Venezia alla terraferma a Mestre. Esso è largo m. 22,25 e intercalato da quattro piazzali di m. 103,70 e da un quinto piazzale centrale di 140,95 m. In complesso si hanno 228 arcate di m. 10,62 di luce, con pile di m. 1,50 e pile-spalle di m. 8,65 di larghezza, oltre due maggiori di m. 13,73. In corrispondenza all'attraversamento del Canal Grande si hanno due archi sbiechi di m. 34 di luce (fig. 73).
Dopo il 1880 è stata apportata nella costruzione dei ponti ad arco un'innovazione essenziale, quella cioè d' introdurre tre articolazioni a cerniera, una nella sezione in chiave, e due nelle sezioni d'imposta.
Questa soluzione, preconizzata da A.-J.- É.-J. Dupuit sin dal 1870, è stata largamente applicata, soprattutto in Germania.
Secondo le statistiche di P. Sejourné, su 221 arcate di luce maggiore o uguale a 40 m. eseguite dopo il 1880, 57 sono state articolate a cerniera, e, di esse, 42 sono state eseguite di cemento e le altre 15 di muratura. Circa 19 hanno una portata maggiore di 60 m. e una 70 metri.
Un esempio importantissimo di ponti a vòlte articolate a cerniera si ha nel viadotto sulla Mosa a Renory (Belgio), costruito nel 1928 dalle ferrovie belghe. Questo viadotto è composto da 10 archi a pieno centro, di cui 9 di m. 61,40.
I vantaggi dell'introduzione della cerniera nei ponti ad arco di muratura sono i seguenti: 1. rendere staticamente determinata la curva delle pressioni, obbligandola a passare in ogni caso per tre punti determinati; 2. annullare gli sforzi provenienti da una variazione di temperatura, dal ritiro del conglomerato e dai cedimenti orizzontali o verticali delle imposte; 3. eliminare gl'inconvenienti che provengono dal cedimento delle armature durante la costruzione, nonché dalle operazioni di disarmo delle armature stesse.
Di fronte a questi vantaggi stanno i seguenti inconvenienti: 1. minore rigidità della costruzione e rinunzia al monolitismo, che è un pregio intrinseco delle opere di muratura e più ancora di quelle di cemento armato e non armato; 2. difficoltà costruttive per realizzare le cerniere, generalmente metalliche, e adattarle ai materiali lapidei; 3. incerto funzionamento delle cerniere che, a causa dell'attrito che in esse si sviluppa, realizzano più o meno imperfettamente e in misura non valutabile la condizione teorica dell'articolazione semplice, posta a base dei calcoli statici.
Per quanto i pareri dei tecnici su questo argomento siano ancora molto controversi, si tende oggi a conciliare le due opposte tendenze, limitando l'azione delle cerniere soltanto al periodo della costruzione, dopo di che vengono murate, per modo che la vòlta si comporta prima come un arco a tre cerniere per il peso proprio, e poi come un arco incastrato per il carico accidentale, e per le variazioni di temperatura e ritiro del conglomerato, di cui si possono peraltro valutare a priori e con sufficiente approssimazione le sollecitazioni indotte negli archi.
Soprattutto quando le fondazioni siano bene salde, quando le armature siano molto robuste e quando la costruzione della vòlta sia intrapresa contemporaneamente in più punti, e la chiusura si faccia in più giunti opportunamente scelti, dopo che le centine siano caricate pressocché come a opera finita, si può con vantaggio rinunziare alle cerniere, guadagnando nella rigidità e nel monolitismo.
Un'altra importante innovazione introdotta dopo il 1900 nella costruzione dei ponti, soprattutto in quelli di grande larghezza, come i ponti in città, è di non costruire le vòlte per tutta la larghezza del manufatto, ma di fare sorreggere il piano stradale da un impalcato che viene portato da due anelli di vòlta di limitata larghezza.
In altri termini, invece di costruire una vòlta continua, si costruiscono due vòlte indipendenti, e si copre l'intervallo con una impalcatura di cemento armato o di metallo (fig. 74).
Così procedendo si ottengono i seguenti vantaggi:
1. Concentrando i carichi accidentali su vòlte di limitata larghezza, si aumenta il rapporto tra il carico accidentale e il carico permanente, che negli usuali ponti pieni è in generale assai basso. Ciò permette di aumentare a piacere le sollecitazioni unitarie nel materiale che, oggi, in grazia dei progressi conseguiti nella fabbricazione dei calcestruzzi cementizî, possono essere molto elevate e debbono essere utilizzate, sia per il razionale impiego dei materiali stessi, sia per l'economia della costruzione.
2. Si sopprime tutto il materiale male utilizzato posto nell'intervallo fra i due anelli, e lo si sostituisce con un materiale, come il cemento armato, meno costoso delle pietre da taglio, e che d'altra parte, per sé stesso può essere molto meglio utilizzato nelle sue qualità di resistenza, sino alle sollecitazioni massime consentite.
3. Si consegue una notevolissima economia nella spesa per la centina, che si può ridurre a quella occorrente per la costruzione di un solo anello, e che poi, opportunamente ricuperata e trasportata con i mezzi di cui oggi si dispone, può senz'altro venire reimpiegata per la costruzione dell'altro anello.
4. I due anelli, essendo indipendenti fra loro, possono essere fondati a quote diverse vantaggio economico assai sensibile se la roccia si presenta proprio così, mentre, per un arco unico, occorre un appoggio continuo, senza dislivelli.
5. Se vi sono cedimenti ineguali alle due teste del ponte, non si determineranno lesioni, essendo i due anelli fra loro indipendenti, e le riparazioni dovranno, se mai, limitarsi al solo impalcato stradale, con molto minore spesa.
Costruzione delle grandi vòlte. - Nelle volte in pietra da taglio, se lo spessore della vòlta è molto grande, poiché è assai difficile e oneroso tanto il procurarsi i blocchi delle necessarie dimensioni quanto il manovrarli per metterli in opera, può rendersi necessario il costruire ciascun filare con doppio ordine di conci l'uno intradossale e l'altro estradossale, procurando di collegarli di tanto in tanto tra loro, variando lo spessore dei conci, fermo restando lo sfalsamento dei giunti di testa da filare a filare.
Per le vòlte di mattoni si può adottare una disposizione analoga, con che il letto di malta fra un filare e l'altro va crescendo dall'intradosso verso l'estradosso, e adoperando mattoni di varie grossezze, più sottili verso l'intradosso, più grossi all'estradosso, sfalsando i giunti da filare a filare con l'usare i mezzi mattoni. Con questa disposizione, che appare come la migliore per il buon collegamento dei varî elementi della muratura, si dice che la vòlta viene costruita a tutto spessore, giacché a ciascun filare viene dato sin da principio tutto lo spessore che dovrà presentare la vòlta finita, la quale si chiude con un ultimo filare detto di serraglia, ordinariamente in corrispondenza del vertice della vòlta.
Per le vòlte di grande portata e quindi di grande spessore, questo procedimento presenta dei gravi inconvenienti. Se non si adoperano mattoni speciali a cuneo, i letti di malta prendono spessori eccessivi verso l'estradosso, ciò che porta, per una malta ordinaria, a una diminuzione di resistenza della struttura all'estradosso, e, per una malta di cemento, a un eccessivo impiego di materiale costoso. Inoltre le centine, che sorreggono la vòlta durante la sua costruzione, debbono essere così robuste da sopportare integralmente il peso proprio di tutta la vòlta la quale finché non sia chiusa agisce sulla centina come un peso morto. Infine per quanto le centine siano robuste, il grande peso della vòlta le deforma in modo notevole e la muratura, che non può seguire interamente, adattandosi, queste deformazioni, si apre in più punti, che le malte non possono più sigillare se hanno già fatto presa. Si riducono in questa guisa le superficie di trasmissione delle pressioni con il conseguente elevamento delle pressioni unitarie, che possono risultare pregiudizievoli alla stabilità della costruzione.
Per ovviare a questi inconvenienti, nelle vòlte di grande luce si ricorre ai seguenti provvedimenti:
Costruzione della vòlta per anelli concentrici, impiego di numerosi filari di serraglia, chiusura con giunti forzati. Con gli anelli concentrici i letti di malta riescono di spessore non eccessivo e le centine possono farsi meno robuste o comunque più facilmente rigide rispetto al minore peso dell'anello, di fronte a quello della vòlta. Il primo anello appena chiuso funziona da centina per il successivo, assumendo quasi completamente il sostegno dell'anello successivo.
Si obietta a tale sistema lo svantaggio di rendere indipendenti i varî anelli, sollecitare eccessivamente il primo e scaricare notevolmente gli altri, così da alterare l'andamento della curva delle pressioni, determinata nell'ipotesi della vòlta a unico spessore. La pratica ha però dimostrato che se l'estradosso d'ogni anello viene lasciato a dente di sega, in modo che l'anello superiore si addenti al sottostante, i varî anelli agiscono solidalmente e non si manifesta alcun movimento.
Se la vòlta si compone di due o tre anelli, a ciascun anello si suole dare in ogni punto la metà o il terzo dello spessore, che dovrà avere la costruzione ultimata. Si osservi che gli anelli si cominciano a costruire dal punto in cui la vòlta comincia a pesare sulla centina, ovvero da quel letto il quale fa con la verticale un angolo eguale a 60°, giacché, per una inclinazione di 30° rispetto all'orizzontale si può ritenere che la resistenza di attrito non permetta lo scorrimento della muratura e quindi il suo aggravare sulla centina. La divisione in tronchi si effettua eseguendo la costruzione della vòlta in modo discontinuo, ma sempre simmetricamente rispetto alla chiave, lasciando così fra tronco e tronco dei filari vuoti i quali servono a inchiavare la vòlta, tosto che i varî tronchi risultino tutti completi: In questo modo i tronchi indipendenti fra loro seguono liberamente il deformarsi della centinatura e il pericolo di fenditure viene sufficientemente allontanato. Si ha inoltre il vantaggio di eseguire con maggiore rapidità la vòlta, giacché essa viene attaccata in più punti.
Tuttavia questo accorgimento non è da solo sufficiente a evitare ogni lesione al disarmo, e però si è cercato di escogitare un altro rimedio. A tal fine si praticano dei giunti vuoti di malta, detti giunti secchi, nel corpo dei tronchi.
Il giunto secco si realizza, mantenendo a distanza alcuni conci mediante listelli di quercia, tubi di piombo e linguette di ferro.
I giunti secchi si fanno capitare là dove più facilmente possono formarsi delle fenditure, cioè nei punti in cui la vòlta comincia a pesare sulla centina e in quegli altri in cui le centine presentano maggiore rigidità. I giunti secchi vengono chiusi mediante malta di cemento piuttosto asciutta, fortemente battuta.
Le piccole vòlte vengono eseguite a tutto spessore, e cioè procedendo simmetricamente dalle imposte verso la chiave. Viene consigliato di caricare la sommità della centina sin dall'inizio del lavoro, per diminuire il calo.
Ponti metallici.
Ponti metallici si dicono quelli in cui gli elementi principali della soprastruttura sono di ghisa, ferro, acciaio e loro leghe. Con essi sono realizzabili tutti i tipi di ponte precedentemente indicati; anzi i ponti sospesi sono possibili soltanto di metallo.
La ghisa, che è stata adoperata soltanto all'inizio delle costruzioni metalliche, è oggi completamente abbandonata, mentre l'industria ha sviluppato la fabbricazione degli acciai speciali, i quali già permettono di disporre di carichi di sicurezza unitari superiori del 50% a quelli del ferro omogeneo, detto anche acciaio dolce, il quale per molti anni fu esclusivamente impiegato nella costruzione dei ponti.
Nel seguente prospetto sono date le caratteristiche dei principali ferri e acciai usati nei ponti, che spiegano come siano stati possibili gli ardimenti più recenti della tecnica:
Si affaccia intanto l'impiego pratico dell'acciaio al cromo-nichelio autotemprante, col quale si perviene, dopo una semplice tempera all'aria, a un carico di rottura di kg. 175 per mmq. e a un limite di elasticità di 150 kg/mmq., con un allungamento dell'8%. Si aggiunga inoltre l'influenza che potranno esercitare le leghe di alluminio, che presentano una resistenza eguale a quella dell'acciaio dolce, pur avendo solo un peso pari al 35% di esso, e si comprenderà facilmente quale vasto campo si apra a progettisti e costruttori.
Il largo impiego del traliccio nei ponti di ferro permette di considerare separatamente le azioni che si esercitano nelle varie aste e quindi offre il vantaggio di poter proporzionare le dimensioni di ogni asta alla reale sollecitazione cui è sottoposta.
Gli ordinarî metodi di calcolo suppongono il traliccio articolato ai nodi con cerniere senza attrito, e pertanto ricavano le azioni nelle aste come sempllci sforzi assiali (sforzi principali), donde le aste appaiono semplicemente tese o compresse. In realtà, però, o le cerniere mancano, come nei ponti europei, nei quali le aste vengono collegate con chiodature, o, se le cerniere esistono, come nei ponti americani, il loro funzionamento è poco efficace a causa dell'attrito che in esse si sviluppa.
Dato il rilevante carico di sicurezza ammissibile, le aste di questi sistemi, calcolate solo in base allo sforzo normale, risultano di piccola sezione in confronto alla loro lunghezza. Ciò, mentre resta senza influenza per le aste tese, pone quelle compresse nella condizione di carico di punta e costringe per la stabilità ad accrescerne notevolmente le dimensioni trasversali, strettamente necessarie per resistere al loro sforzo normale. In passato si è cercato di ovviare a questo inconveniente limitatamente alle aste di parete, disponendo un doppio ordine di diagonali incrociate (diagonali principali o controdiagonali) e supponendo che quando una di esse venisse sottoposta a compressione, cessasse di funzionare, in seguito alla sua deformazione, ed entrasse in tensione l'altra.
L'incerto funzionamento di questo dispositivo e la sua arbitraria interpretazione meccanica hanno fatto recentemente abbandonare il sistema delle controdiagonali e tutte le aste compresse sono state foggiate per sopportare con sicurezza il carico di punta.
Pregio di straordinaria importanza dei ponti di ferro o acciaio è quello di potere essere preparati in officine bene attrezzate e in seguito portati sul posto e montati anche senza impalcature che ingombrino la luce da sorpassare, sia mediante il varo, sia con la costruzione in sbalzo.
Per piccole luci (10 ÷ 15 m.), il ponte in generale viene completamente finito e montato in officina e quindi trasportato sul posto assegnatogli e messo in opera con relativa facilità.
Per i ponti metallici sono stati messi in luce i seguenti svantaggi: a) la necessità di un'accurata manutenzione; b) l'incerto funzionamento delle chiodature e l'indebolimento da esse prodotto; c) la presenza di sforzi secondari, derivante essenzialmente dalla rigidità dei nodi, in contrasto con le ordinarie ipotesi di calcolo basate sulla presenza d'inesistenti cerniere, dall'eccentricità delle aste rispetto ai nodi teorici, dalle vibrazioni dovute al passaggio di carichi cadenzati, specie se in risonanza alle azioni dinamiche prodotte nella struttura dai carichi in movimento.
È da osservare però che la manutenzione presenta una vera difficoltà soltanto per i ponti molto lontani dai centri abitati, mentre d'altra parte lo sviluppo sempre crescente dell'impiego d'acciaio inossidabile tende ad eliminare sempre più la necessità della manutenzione.
La chiodatura importa effettivamente un indebolimento degli elementi connessi, a causa della bucatura necessaria: essa inoltre concentra in punti isolati uno sforzo, che si considera e dovrebbe essere ripartito: tuttavia la pratica ha dimostrato che raramente la rottura si verifica nelle chiodature, mentre è assai più frequente il caso che si verifichi nelle aste compresse, per effetto del carico di punta.
Inoltre oggi la saldatura elettrica, entrata definitivamente nel campo delle applicazioni pratiche, permette di realizzare un insieme solidale senza che vengano minimamente indeboliti gli elementi collegati.
Circa gli sforzi secondarî, si può dire che gli sviluppi teorici permettono di valutarli esattamente, per quanto il calcolo ne sia laborioso.
Questi sforzi secondarî possono talvolta raggiungere valori notevolissimi e superare anche gli sforzi principali, ond'è che mentre alcuni teorici si sono preoccupati di sviluppare metodi di calcolo per la loro preventiva determinazione, altri tecnici si sono invece preoccupati di studiare le opportune forme di strutture in cui queste sollecitazioni secondarie sono ridotte al minimo. Nella maggior parte dei regolamenti ufficiali si tiene conto di tutti questi sforzi secondarî, aumentando i carichi statici tanto più quanto minore è il rapporto fra il carico permanente e quello accidentale e quanto più piccola è la portata del ponte.
Il primo ponte di ghisa, con archi di m. 32 di corda per m. 12,20 di freccia, è quello costruito in Inghilterra sul Severn a Broseley nel 1776-79.
Magnifici esempî di ponti di ghisa sono: il Ponte delle arti e il ponte del Carrousel, entrambi a Parigi, il primo costruito tra il 1801 e il 1803, e il secondo tra il 1831 e il 39.
In questo tipo di ponti, sia per la natura del materiale, sia per l'esperienza costruttiva di allora, s'imitarono le disposizioni dei ponti di muratura. Seguì l'adozione del ferro, che svincolò i ponti metallici dall'arco a parete piena e sottostante al piano stradale, permettendo di sviluppare tutti i tipi oggi conosciuti.
Primo grandioso esempio del genere è il ponte tubolare sullo stretto di Menai, in Inghilterra, detto ponte Britannia, costruito da R. Stephenson fra il 1844 e il 1850, con quattro luci: le due estreme di m. 70,00 e le centrali di m. 140.
Begli esempî di ponte ad arco a via superiore sono: il ponte di Trezzo d'Adda (fig. 75) lungo m. 112, con una arcata centrale circolare a pieno centro a due cerniere, di m. 62,50; il ponte di Viaur in Francia, con una luce centrale di m. 220; il ponte di Paderno sull'Adda (fig. 76), con una luce centrale ad arco incastrato di m. 150 di luce e lunghezza complessiva di m. 304, raggiunta con una trave tubolare, appoggiata all'arco, ai piloni e alle spalle, e portante superiormente la strada ordinaria e inferiormente quella ferrata; il ponte ferroviario ad arco a tre cerniere (fig. 77) della luce di m. 119 sul rio Vicano presso Ronciglione (Viterbo).
Tipi notevoli a via inferiore sono: il ponte di Bonn sul Reno, con luce centrale di m. 188 e luci laterali di m. 95; il ponte sul Po alla Gerola, presso Voghera, lungo m. 751 con otto arcate a due cerniere, di m. 80 di luce (fig. 78); il ponte Kill-van-Kull fra New York e New Jersey, di 510,87 metri di luce (fig. 79); il ponte nel porto di Sydney in Australia, di m. 503 circa di luce (fig. 80).
Innumerevoli sono gli esempî di ponti a travata costruiti dapprima con la parete piena e immediatamente dopo col traliccio multiplo, oggi quasi completamente abbandonato per quello a semplice triangolazione. Tra i ponti a travata continua citiamo: il ponte sul Po a Casalmaggiore (1877) in 17 luci di m. 65, salvo le luci estreme di m. 55; il ponte ferroviario di Mezzanacosti sul Po (1868) con 10 luci di m. 72,50; il vecchio ponte ferroviario di Piacenza sul Po, che fu il primo ponte di ferro costruito su detto fiume, con 8 luci di m. 75,00; il ponte carrettiero sul Po a Pontelagoscuro (1912), luci di m. 68-82-82-68; il ponte sul Tanaro, presso Asti, lungo m. 157,50, con due luci di m. 48,75 e una di m. 60.
I primi quattro sono a travate parallele, mentre nell'ultimo, come in molti altri del genere, la briglia superiore sale e scende variando l'altezza della parete col proposito di seguire, per quanto possibile, l'andamento dei momenti flettenti massimi. Un'innovazione importantissima fu l'introduzione delle cerniere, allo scopo di rendere la struttura staticamente determinata, e quindi, come tale, rendere indipendenti le sollecitazioni dagli eventuali cedimenti degli appoggi.
Tali sono i tipi con trave Gerber, dalla quale sono stati derivati i ponti tipo cantilever o a mensola.
Di questi ultimi i più importanti sono: il ponte sul Firth of Forth (figura 47), con luci di 521 metri, e quello sul S. Lorenzo presso Quebec, con luce centrale di m. 549.
Nei ponti sospesi si sono avuti i più grandi successi e le massime portate. I più notevoli sono: il primo ponte sull'East River fra New York e Brooklin (1870-83), con una campata centrale di m. 487,70; il ponte di Williamsburg sull'East River (1896-1903), con la luce massima centrale di circa m. 488; il ponte sul fiume Delaware tra Filadelfia e Camden, con una luce centrale di m. 533,43 e le due laterali di m. 218,44 (fig. 81); il ponte George Washington sul Hudson, fra New York e New Jersey (1932), con un'apertura centrale di m. 1067 (fig. 82); il ponte sul Golden Gate a San Francisco di California, la cui luce centrale raggiungerà i m. 1280.
Montaggio dei ponti metallici. - La costruzione di un ponte metallico comporta tre operazioni in tre tempi distinti: il lavoro di officina per approntare i singoli pezzi, il trasporto di questi a piè d'opera e infine il loro montaggio sul posto assegnato all'opera.
Per ridurre al minimo il lavoro di cantiere, conviene ridurre al minimo il numero dei pezzi, il che trova un limite nella necessità di non rendere soverchiamente difficili le operazioni di trasporto, di sollevamento, ecc., che crescono assai notevolmente con l'aumentare della lunghezza e del peso dei singoli pezzi.
Il montaggio si può fare in varî modi: con ponte di servizio, per varamento, a sbalzo.
Montaggio con ponte di servizio. - Quando le condizioni locali dell'ostacolo da superare permettono senza grave spesa la costruzione di un ponte di servizio fisso, di solito di legno, questo metodo è il più conveniente, sia perché il lavoro delle maestranze riesce più agevole, sia perché l'esecuzione può essere condotta con la massima precisione e non sono da temere sollecitazioni di montaggio, diverse o maggiori di quelle che si svilupperanno a opera finita. Sul ponte di servizio transitano gli operai e si appoggia la costruzione man mano che si sviluppa.
Varamento. - Quando sopra una delle due spalle del ponte, a partire dal punto dove deve cominciare la travata metallica, sia libero verso terra uno spazio alquanto più lungo della travata, questa può essere montata sopra una piattaforma ivi preparata e quindi spinta sul posto.
Quando lo spazio libero sulla spalla non sia sufficientemente lungo, si può in alcuni casi aumentarlo inoltrando nella luce del ponte un parziale ponte di servizio.
Questo sistema di montaggio è particolarmente adatto per travate continue.
L'operazione del varamento è molto delicata e richiede accorgimento e maestria speciali, per impedire che la costruzione vada in qualche parte soggetta a sforzi eccessivi durante l'operazione. Si evita questo inconveniente, unendo provvisoriamente ai montanti anteriori della travata delle travi a triangolo ben collegate, formanti il cosiddetto avambecco, la cui funzione è quella di raggiungere il piedritto opposto prima che le tensioni nella travata, agente come mensola, risultino eccessive.
Un secondo tipo di varamento si usa quando si debba sostituire un ponte esistente e non si possa sospendere il traffico su di esso che per qualche ora soltanto.
In tale caso la nuova travata viene montata accanto e parallelamente al vecchio ponte (figura 83), all'altro lato del quale si costruisce un ponte di seivizio.
A montaggio ultimato, la vecchia travata viene spostata trasversalmente e fatta posare sul ponte di servizio, quindi nello stesso verso si sposta la nuova travata fino a raggiungere la posizione della prima.
Monttggio a sbalzo. - Si adopera specialmente nella costruzione dei ponti ad arco e di quelli a mensola, ma può anche applicarsi ai ponti a travata (fig. 84). Esso procede dalle imposte verso la mezzeria delle campate per elementi successivi. La costruzione durante il montaggio viene a funzionare come struttura a mensola, di portata successivamente crescente, pertanto essa viene sostenuta all'estremo libero da un sistema di funi (fig. 85) discendenti da castelli provvisorî, che si sopraelevano sui piedritti, e ormeggiati saldamente al terreno. Per il trasporto e la posa in opera dei successivi elementi, si può provvedere con la costruzione di un ponte di servizio sospeso a funi, tese fra le sponde, oppure facendo scorrere sulla costruzione già compiuta opportuni mezzi d'opera.
Con questo metodo è assai difficile montare le singole parti in modo che, senza subire sforzi eccessivi, vengano ad assumere la posizione definitiva loro assegnata in progetto.
Ponti di cemento armato.
Si distinguono in varî tipi:
Ponte a una luce con soletta e nervature.
Ponte a più luci con soletta e travi continue su pile indipendenti.
Ponte a una luce a telaio, in cui la soprastruttura è solidale con le spalle.
Ponte a più luci con struttura a telaio, costituito da una serie continua di luci, per le quali la soprastruttura non solamente è continua per sé stessa, ma è pure un tutto monolitico con i piedritti.
Ponte a travata rettilinea, con momento d'inerzia variabile, a parete piena o reticolare, a maglie triangolari (figura 86) o quadrangolari.
Ponte a doppia mensola con luce centrale liberamente appoggiata sull'estremità delle mensole (tipo Gerber: figg. 88-89). È caratterizzato da luci ordinarie con parti a sbalzo verso una luce intermedia, ove una travata riposa liberamente sull'estremità delle mensole. È usato per luci fino a 65 metri. Ha maggiore capacità di deformarsi, senza alterazione degli sforzi interni, rispetto ai tipi con travate continue, ed è perciò particolarmente adatto nel caso in cui i piedritti possono subire degli assestamenti.
Tipo a doppia mensola. Consiste in una sola grande campata continua fra due pile di sostegno; la presenza delle mensole all'esterno delle luci verso terra ha per effetto di ridurre il momento positivo al centro della campata. Si è usata fino alla massima luce di m. 150 tra gli appoggi centralí. Un esempio di tale tipo è il ponte sul Liri della fig. 87.
Vòlta a tutto spessore incastrata o resa monolitica con le spalle, provvista di pareti laterali ai lati della vòlta. Fra la vòlta e il piano stradale riempimento in terra o altro materiale adatto. Si usa per luci da 40 a 50 metri.
Ponte ad archi o a vòlta nervata con timpani a giorno. Può essere costruita a tre cerniere (ponte sul Tagliamento a Pinzano, fig. 90), a due cerniere, o senza cerniere (incastrata: ponte di Caramanico, fig. 91; ponte canale di Arrone [Terni], fig. 92). Questo tipo è servito a realizzare le massime luci (ponte sull'Elorn presso Brest, luce m. 186, fig. 93). Il piano stradale, formato con soletta e nervatura, viene sostenuto da pilastri che partono dagli arconi.
Ponte ad arco parabolico con spinta eliminata. È una costruzione in cui il piano stradale è sostenuto mediante tiranti da almeno due arconi a forma parabolica, che si elevano sul piano stradale e la cui spinta viene eliminata da tiranti orizzontali che fanno parte dello stesso piano stradale; uno degli esempî più notevoli di questo tipo è il ponte sull'Oued Mellègue in Tunisia, con 90 metri di luce.
I tiranti verticali di calcestruzzo armato, e nei quali tutta la funzione statica è affidata al ferro che li arma, possono presentare, con l'uso, delle fenditure. Recentemente perciò in alcuni ponti del genere i tiranti sono stati costituiti con semplici ferri profilati senza alcun rivestimento.
Ponte ad arco con piano stradale parzialmente sospeso. Rappresenta una variante del precedente perché il piano stradale si trova a un livello più alto delle imposte dell'arco. La luce massima raggiunta supera i m. 100 (ponte di La Roche-Gujon sulla Senna, m. 161).
Ponte a struttura cellulare, nel quale l'impalcato, i timpani pieni delle pareti frontali, le vòlte e le spalle formano un tutto solidale. Con questo tipo caratteristico di ponte di cemento armato si sono ottenuti i massimi ribassamenti: l'applicazione migliore si ebbe sul ponte del Risorgimento a Roma con 100 metri di luce, costruit0 sin dal 1910, il più importante del genere.
Sistema Melan. - In questo sistema costruttivo, l'armatura degli archi è formata da un arco reticolare di ferri profilati, capace di sopportare il peso proprio e quello del calcestruzzo che dovra rivestirlo, con relative casseforme e personale addetto ai lavori.
Tale armatura in ferro, assieme al calcestruzzo, forma l'ossatura di cemento armato, che dovrà sopportare tutto il carico permanente e quello accidentale gravanti sul manufatto.
I vantaggi del sistema si riassumono così: 1. la centinatura non ha bisogno di sostegni, giacché può essere appesa all'arco di ferro, ciò che è oltremodo vantaggioso nell'attraversamento di vallate profonde o di corsi d'acqua violenti, impetuosi e con grande trasporto solido, e quando una centina a sbalzo si presenti onerosa; 2. gli archi di ferro per l'assunzione immediata di una parte del carico subiscono una tensione iniziale, che facilita lo sfruttamento massimo della resistenza dell'armatura, mentre d'altro canto se risulta sgravato il calcestruzzo.
Vanno però considerati come svantaggi del sistema: 1. l'incerta distribuzione del carico fra armatura e centinatura; 2. la discontinuità della massa del calcestruzzo, derivante dalla presenza dei profilati.
Spangeberg ha adottato il sistema Melan, modificandolo col caricare gli archi di ferro, mediante cassoni laterali pieni di ghiaia, di un peso eguale a quello del calcestruzzo che doveva costituire il rivestimento dell'armatura, asportando poi la ghiaia progressivamente di quel tanto in peso corrispondente al getto eseguito. Gli archi di ferro subiscono in tal modo sempre la medesima sollecitazione fino all'ultimazione del getto.
Per quanto la tecnica moderna dei ponti di cemento armato sia orientata verso le strutture a travata, le soluzioni più ardite, più economiche e anche più estetiche, sono da ricercarsi nei ponti ad arco. (V. tavv. CXCIX-CCVI).
Forze che sollecitano i ponti.
Si dicono principali: il peso proprio e il sovraccarico o carico accidentale; addizionali: quelle derivanti dalla variazione di temperatura, dal frenamento e dal serpeggiamento dei treni, dalla forza centrifuga e dalla spinta del vento.
Peso proprio. - Ponti metallici. - Le ferrovie dello stato italiano per i ponti ferroviarî usano in generale di esprimere il peso proprio g in kg. per m. di trave (esclusi controventi e collegamenti) sotto la foima g = a + bl, dove il coefficiente a dipende soprattutto. ma non esclusivamente, dal tipo d'impalcato, e quello b dal tipo della trave principale. Come prima approssimazione possono accettarsi in generale i seguenti valori di a e di b.
Travi a parete piena, via superiore, luci fino
a m. 25, distanza delle travi m. 2... a = 100, b = 25
Travi a parete piena, via intermedia, luci fino
a m. 25, distanza delle travi m. 3,50.. a = 150, b = 20
Travi reticolari, via superiore, distanza delle
travi m. 3,50, luci fino a m. 40..... a = 200, b = 24
Travi reticolari via inferiore, distanza delle
travi m. 5, luce oltre m. 40...... a = 275, b = 25
Talvolta, invece di fissare con formule empiriche il peso di una sola trave, si preferisce indicare quello del ponte completo, che si pone sempre sotto la forma a + bl. Le ferrovie dello stato italiano hanno trovato per metro lineare di ponte, in media:
In questa tabella g indica i pesi proprî delle strutture maestre formate con archi a due cerniere e dei controventi verticali, esclusa l'orditura portante del piano stradale e il tavolato stradale medesimo, in kg. per m. di binario; g′ indica i corrispondenti valori per archi a tre cerniere, essendo l la corda dell'arco.
Per i ponti carrettieri valgono le seguenti tabelle:
Nella tabella III i pesi sono dati in kg./mq. di pianta del piano stradale. In α si hanno i pesi dell'orditura portante del piano stradale e in β quelli del tavolato stradale presi per base nel calcolo del peso totale, indicato nella colonna γ. Se i marciapiedi sono esterni alle travate maestre è da aggiungersi anche il loro peso.
Peso proprio dei ponti di legno. - Data la grande variabilità dei tipi di ponti di legno, non è facile esprimerne con formule generali il peso proprio. A titolo di orientamento si possono usare le formule seguenti:
Per i ponti ferroviarî, si ritiene per ogni binario un peso di kg. per m.:
575 + 50 l se il ponte è provvisorio
625 + 62,5 l se il ponte è stabile.
Per i ponti stradali possono usarsi le formule seguenti, che esprimono il peso in kg. per m.:
Ponti con pavimento di legno (pavimento compreso)... 300+ 8,5 l
Ponti con massicciata ordinaria (massicciata compresa).. 900 + 25 l.
Per le travi Howe miste di ferro e legno, il peso in kg. per m. è circa:
5+ 55 l se il ponte è provvisorio
650 + 72 l se il ponte è stabile.
Peso proprio dei ponti di cemento armato. - Anche per i ponti di cemento armato, data la grande variabilità dei tipi, non è possibile esprimerne il peso proprio con formule generali di sicuro risultato.
Per i ponti a travate e per i ponti ad arco a timpani aperti, si può ricavare approssimativamente il peso a mq. di ponte (escluse le strutture di fondazione) in funzione della portata, mediante la seguente serie di valori corrispondenti:
Portate limitl - Facendo astrazione dalla questione economica e riferendoci solamente alla resistenza dei materiali impiegati, si considera come portata limite di un tipo di ponte quella che non permette al ponte di portare alcun carico oltre il suo peso proprio.
Nel seguente quadro sono indicate le portate oggi raggiunte e quelle calcolate come limite, secondo il concetto precedentemente espresso.
Una delle ragioni per le quali le portate realizzate sono ancora assai lontane da quelle limiti, risiede nel fatto che il costo dell'opera riferito all'unità di superficie del piano siradale cresce assai più rapidamente della portata, cosicché sono più le ragioni economiche che quelle strettamente tecniche a impedire uno sviluppo più considerevole nelle portate.
Carichi accidentali nei ponti ferroviarî. - Nelle ferrovie italiane si considera il treno tipo normale, formato da tre locomotive del tipo indicato nella fig. 94 disposte nella posizione più sfavorevole e seguite da carri di cui alla stessa figura; per opere appartenenti a linee importanti o a forti e continuate pendenze si adotta il treno tipo pesante, composto come il precedente ma con assi di 17 e 14 tonn., rispettivamente nelle locomotive e nel tender.
In casi speciali si considera il passaggio sul ponte di quattro locomotive.
Per il calcolo delle travi trasversali, delle longarine e anche delle travi maestre di piccola portata, si debbono anche considerare le ipotesi del transito di un gruppo di tre assi da 18 tonn. con interasse di m. 1,50 o di un asse isolato da 21 tonn. e prendere le sollecitazioni maggiori.
Carichi accidentali nei ponti per strade ordinarie. - Variano secondo i tipi seguenti:
Tipo 1°. Strade di grande traffico. - Statali, autostrade, di completamento della rete statale e altre, per le quali, data la loro funzione di collegamento, si prevede lo sviluppo di un traffico intenso e pesante.
Tipo 2°. Strade di medio traffico. - Provinciali, comunali e altre, per le quali si prevede un traffico normale.
Tipo 3°. Strade di piccolo traffico. - Comunali, di allacciamento di frazioni isolate e altre, per le quali si preveda un traffico sempre limitato. Supposto che la larghezza dei ponti permetta al massimo il passaggio simultaneo di due file di autoveicoli, ovvie risultando le varianti per ponti la cui larghezza ne ammetta un numero maggiore, come può verificarsi nei ponti di città, per il calcolo potranno essere adottati i seguenti carichi accidentali, rappresentati nella fig. 95.
Strade del tipo 1°. - a) due treni tipo (schema 1: fig. 95) indefiniti di autocarri del peso di 12 tonn. affiancati, e contemporaneamente folla compatta (kg. 400 al mq.) sui marciapiedi;
b) un treno tipo (schema 1: fig. 95) indefinito di autocarri del peso di 12 tonn. e un treno tipo (schema 2: fig. 95) con veicoli del peso massimo di 40 tonn. affiancati, e contemporaneamente folla compatta (kg. 400 al mq.) sui marciapiedi;
c) folla compatta su tutta la larghezza del ponte.
Sarà inoltre considerato per il calcolo delle solette e delle nervature secondarie, il passaggio di un rullo compressore da 18 tonn. (schema 3: fig. 95) ove le sollecitazioni che ne derivano siano più gravose di quelle prodotte dai carichi precedenti.
Strade del tipo 2°. - a) due treni tipo (schema 1: fig. 95) indefiniti di autocarri del peso totale di 12 tonnellate affiancati, e contemporaneamente folla compatta (chilogrammi 400 al metro quadrato) sui marciapiedi;
b) un treno tipo (schema 1: fig. 95) indefinito di autocarri del peso totale di 12 tonnellate affiancati, e contemporaneamente folla compatta sull'area non occupata dai veicoli;
c) due rulli compressori da 18 tonnellate (schema 3: fig. 95) affiancati, e contemporaneamente folla compatta (kg. 400 al mq.) sull'area non occupata dai rulli;
d) folla compatta (kg. 400 al mq.) su tutta la larghezza del ponte.
Strade del tipo 3°. - a) un treno tipo (schema 1: fig. 95) di autocarri del peso di 12 tonn. e contemporaneamente folla compatta (kg. 400 al mq.) sull'area non occupata dai veicoli;
b) un rullo compressore (schema 3: fig. 95) da 18 tonn. e contemporaneamente folla compatta (kg. 400 al mq.) sull'area non occupata dal rullo compressore;
c) folla compatta su tutta la larghezza del ponte.
Stabilite così, per ogni strada, le varie ipotesi di carico, il calcolo delle strutture portanti dovrà essere eseguito in base alle massime caratteristiche di sollecitazione risultanti.
Per i ponti di muratura a timpani pieni di qualsiasi luce e per strade di qualsiasi tipo, il calcolo sarà fatto in base a un carico uniformemente ripartito di 800 kg. al mq. su tutta la larghezza della carreggiata, e di kg. 400 al mq. sui marciapiedi.
Per tener conto delle azioni dinamiche i carichi suddetti, qualunque sia il tipo della . strada, dovranno essere aumentati del 2sOÓ.
Apparecchi di appoggio. - Le travi principali dei ponti appoggiano sulle spalle o sulle pile a mezzo di apparecchi detti di appoggio, i quali hanno la funzione di ripartire la pressione e di realizzare l'ipotesi di vincolo adottata nei calcoli di stabilità. Un apparecchio d'appoggio può essere mobile o fisso secondo che può spostarsi o no. I materiali adoperati sono la ghisa, l'acciaio e il cemento armato.
Appoggi fissi. - A semplice piastra per piccole portate; articolati a cerniera per le maggiori portate oltre i 10 metri.
L'articolazione, necessaria per una ripartizione uniforme del carico sugli appoggi, può farsi in tre modi:
1. Si fa terminare la piastra superiore, che si attacca alla trave, con una superficie cilindrica concava, la quale va ad adagiarsi contro una corrispondente superficie convessa ricavata nella piastra inferiore, unita al piedritto.
2. Si adotta la disposizione inversa.
3. Si fanno terminare ambedue le piastre con superficie cilindriche concave che abbiano lo stesso raggio, che si appoggiano sopra un perno cilindrico.
Appoggi scorrevoli. - Sono a semplice sfregamento, con due semplici piastre sovrapposte per piccole portate, e a rulli, per portate oltre i 15 metri. L'insieme dei rulli uniti da un piccolo telaio dicesi carrello di dilatazione. I rulli hanno la funzione di sostituire l'attrito radente delle piastre semplici con quello volvente. Sulla piastra sovrastante ai rulli la travata appoggia con l'interposizione d'una cerniera che ne centra l'azione sui rulli (fig. 96, a, b). Per diminuire l'attrito occorre aumentare il diametro dei rulli. Se il carrello, a causa del grande diametro e del numero dei rulli. dovesse risultare troppo lungo, si adottano segmenti di rullo.
Cerniere. - Le cerniere sono apparecchi interposti in una struttura, allo scopo di permettere alle due parti della costruzione, separate dalla cerniera, di potere liberamente ruotare l'una rispetto all'altra.
La rotazione potrà essere consentita in tutti i sensi, e si hanno allora le cerniere sferiche, o potrà essere consentita soltanto attorno a un asse orizzontale, normale al píano medio della struttura, e si hanno le cerniere cilindriche (fig. 97).
Centinature. - Le centinature sono quelle opere provvisorie che servono a costruire la vòlta secohdo la forma assegnata e a sostenerla fino a tanto che, ultimata la costruzione, sia sufficentemente consolidata. Il lavoro di allontanamento della centinatura si chiama disarmo della vòlta. Le centinature vengono eseguite normalmente in legname, in alcuni casi speciali, sono state anche impiegate recentemente centine metalliche.
Nella centinatura si distinguono le seguenti parti: il manto, le centine propriamente dette, gli apparecchi di disarmo e gli appoggi.
Il manto è costituito da un insieme di travicelli squadrati detti dossali, disposti secondo le generatrici dell'intradosso, a intervalli di 5 cm. circa se la vòlta è di conci, o a contatto se la vòlta è di getto.
Le centine sono le strutture maestre della centinatura. Esse sono formate come le incavallature dei tetti, mediante puntoni, catene, contrafissi, razze, filagne, ecc. ll loro contorno superiore, composto da una serie di puntoni, forma una poligonale inscritta nell'intradosso della vòlta, il cui andamento curvilineo si ottiene sovrapponendo ai puntoni anzidetti delle travi ritagliate secondo il sesto della vòlta, e che si dicono forme, sulle quali sono inchiodati i dossali del manto.
Le centine si collocano in piani verticali paralleli al piano di fronte, con distanze di norma non maggiori di m. 2. Nelle vòlte oblique, se abbastanza lunghe, le centine si dispongono secondo le sezioni rette. Le centine si distinguono in due grandi categorie: centine a sbalzo se appoggiano solamente alle estremità; centine fisse se hanno anche appoggi intermedi.
Le centine a sbalzo si adoperano quando il terreno sta molto al di sotto della vòlta, o non offre sufficiente resistenza, o è difficilmente raggiungibile per la presenza di un forte tirante d'acqua, o quando occorre lasciare lo spazio libero alla navigazione o al transito stradale o ferroviario. Quando le condizioni precedenti non sussistono, è preferibile impiegare le centine fisse, che risultano meno deformabili, più facili a costruire e, in generale, meno costose delle centine a sbalzo. Se la necessità di adoperare le centine a sbalzo nasce solamente dalla presenza di una via di comunicazione, alla quale occorre lasciare libero il transito, si può limitare la parte a sbalzo al tratto strettamente necessario al passaggio e costruire il resto della centina con appoggi intermedî.
Si ottiene così il tipo delle centine parzialmentt fisse (fig. 98). Fra le centine a sbalzo si distinguono: centine a puntoni semplici, centine a raggio o a ventaglio, centine ad arco o a traliccio (fig. 99).
Le centine fisse si distinguono, secondo il modo con cui i controfissĭ sono collegati fra loro e agiscono sui sostegni, in tre tipi principali: centine a controfissi isolati (fig. 100), centine a controfissi contrapposti (fig. 101), centine con controfissi radicali. Il primo tipo si adatta per archi ribassati e terreni resistenti; il secondo, in quanto presenta maggiore solidarietà fra le parti che lo compongono, è più sicuro del precedente e si preferisce a esso quando non è possibile fidarsi completamente dell'incompressibilità del terreno; il terzo tipo di centina è il più adatto per i grandi ponti, per la sua notevole rigidità e per la sua semplicità di costruzione.
Le dimensioni dei varî pezzi consistenti le centine sogliono stabilirsi in base ai numerosi esempî del genere; ma è sempre bene, soprattutto per le grandi luci, eseguirne un calcolo di verifica di stabilità.
Apparecchi di disarmo. - Sono elementi interposti fra gli appoggi e le centine, e che hanno lo scopo di permettere l'abbassamento graduale e senza scosse di queste ultime, per rendere libera la costruzione. Sono stati adoperati diversi tipi, tra cui i principali sono i cunei, i martinetti, e le scatole a gabbia e gli apparecchi Zuffer. I cunei sono disposti a coppie e si adoperano solo per piccole luci. I martinetti a vite o idraulici assicurano un abbassamento regolare e continuo e permettono un eventuale risollevamento. Le scatole a sabbia son formate con cilindri di metallo ripieni di sabbia con pistone di legno, che si abbassa lentamente quando si lascia defluire la sabbia dai buchi praticati alla base del cilindro.
Gli apparecchi Zuffer consistono in appositi pezzi di legno a base cava, la cui superficie d'appoggio al momento del disarmo viene ridotta successivamente con tagli all'ascia fino ad ottenerne lo schiacciamento e quindi l'abbassamento della centina.
Metodo Freyssinet per il disarmo degli archi. - Il procedimento normale di disarmo per abbassamento della centina provoca, negli archi, deformazioni, quali l'abbassamento in chiave e il raccorciamento della fibra mediana.
Il ritiro del materiale, le variazioni di temperatura, i cedimenti dei vincoli alterano poi ancora la forma dell'arco e quindi la distribuzione delle tensioni interne in esso. Il procedimento Freyssinet tende ad annullare tali effetti, e consiste nell'alzare l'arco sulla centina anziché abbassare quest'ultima sotto il primo. Esso è stato applicato in Francia in parecchi ponti, come per esempio, in quello di Villeneuve sur Lot (1914-16, portata m. 96,25), di Boutiron (1912), e di Veurdre (1911).
Per realizzare il metodo Freyssinet, si costruisce la vòlta divisa in due parti indipendenti mediante un giunto in chiave, e in questo si lasciano degli allogamenti, nei quali, all'atto del disarmo, s'introducono due serie di martinetti idraulici in due file orizzontali. Ponendo in forza i martinetti si provoca il sollevamento dei semiarchi e si scarica la centina, che così può essere tolta. Il giunto in chiave si può poi chiudere o con l'introduzione di spessori già preparati, o con un riempimento di calcestruzzo. Raggruppando convenientemente i martinetti, l'operatore può far variare la posizione del centro di pressione e aprire il giunto fino a raggiungere un regime statico già prima stabilito. In tal modo si può condurre la curva delle pressione a passare per dei punti fissati in progetto, dai quali, per gli effetti del carico e delle forze parassite, si era allontanata.
La correzione delle azioni dovute a tali effetti si fa in pratica secondo due criterî: o producendo in chiave una determinata distorsione, o una certa forza. Col primo metodo (usato dal Freyssinet) si calcola, coi procedimenti normali della scienza delle costruzioni, l'influenza nella distribuzione delle tensioni interne, di una traslazione e di una rotazione unitaria relative delle due facce del giunto. Prefissata la condizione statica da raggiungere, si ricavano quindi i valori della traslazione e della rotazione da effettuare, mediante un sistema di equazioni lineari. Però la valutazione di tali spostamenti implica l'introduzione del modulo di elasticità dell'arco, elemento molto difficile a valutare con precisione.
Col secondo metodo invece si tende a raggiungere in chiave, mediante i martinetti, non uno spostamento dato, ma una certa forza determinabile in precedenza senza l'ausilio del modulo di elasticità.
La correzione dell'andamento della curva delle pressioni può farsi inoltre a ponte finito, e cioè quando già tutto il carico della sovrastruttura grava sull'arco, o a ponte incompleto, privo in tutto o in parte della sovrastruttura.
Si può anche procedere alla correzione mediante successivi interventi, qualora le forze da introdurre possano condurre a condizioni inaccettabili per la stabilità della vòlta. Tali successivi interventi sono molto utili anche per il fatto che le condizioni della vòlta possono mutare col tempo, per effetto dei cedimenti e degli assestamenti degli appoggi, per effetto della progressiva maturazione del calcestruzzo, del suo ritiro, ecc. Verifiche dirette delle condizioni statiche dell'arco indicheranno di volta in volta quali correzioni si dovranno effettuare.
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