PONTECAGNANO
. Grosso centro agricolo, sede del comune di Pontecagnano-Faiano, 10 km a S di Salerno. Situato nell'ampia pianura che si stende sulla destra del Sele, è lambito dal fiume Picentino che delimita a nord il paese; a est, ai margini della pianura, si eleva il massiccio dei monti Picentini. Sia i monti che il fiume, unitamente alla frazione di Sant'Antonio a Picenzia, poco più di 2 km a S di P., conservano il toponimo di Picentia, nome della città creata dai Romani nel 268 a.C. con un gruppo di abitanti di origine picena, deportati sul golfo di Poseidonia, a causa dei loro sentimenti antiromani. Avendo i Picentini, in seguito, sposato la causa di Annibale, furono estromessi dall'esercito e ridotti al rango di portalettere; la città fu spopolata e gli abitanti costretti a vivere sparsi in villaggi; in funzione di presidio contro di essi fu poco dopo (194 a.C.) dedotta una colonia militare a Salernum. Tutte le fonti di cui disponiamo sono relative agli avvenimenti di età romana; fa eccezione una breve menzione di Plinio (Nat. Hist., III, 70): a Surrentino ad Silarum amnem XXX milia passuum ager Picentinus fuit Tuscorum, attribuzione rimasta per lungo tempo inspiegabile fin quando, verso la metà degli anni cinquanta, una serie di scavi resi necessari dall'improvvisa espansione edilizia di P. hanno cominciato a portare alla luce tombe a incinerazione con il caratteristico ossuario biconico della cultura villanoviana e ricchi corredi del periodo orientalizzante che mostrano, pur con le dovute differenze, una notevole solidarietà dell'agro Picentino con i grandi centri dell'Etruria costiera. Si discute sul significato da attribuire a questa punta estrema meridionale della cultura villanoviana, se si tratti di un fenomeno d'interazione tra componenti culturali affini o di rapporti politici e commerciali; la distribuzione degl'insediamenti villanoviani sembra comunque escludere un disegno unitario e, al più, si può parlare di trasferimento verso sud di piccoli gruppi in cerca di terra.
Che i rapporti più intensi siano stati intrattenuti con l'Etruria marittima è ora provato anche dall'individuazione del porto antico di P., resa possibile da un rilevamento con il magnetometro a protoni, pochi metri a S della foce del Picentino. Si è tentato anche di dare un nome alla città antica, ma resta ipotetica l'attribuzione ad Amina, avanzata dal Bérard. Lo scavo delle necropoli, iniziato nel 1954, continua pressoché ininterrottamente; a tutt'oggi sono stati recuperati oltre 3000 corredi.
Sulla base della distribuzione delle tombe (piuttosto sparse nella prima età del Ferro, a riprova di forme d'insediamento paganico, densamente concentrate a partire dall'Orientalizzante) è possibile localizzare la città a monte della SS. 18; scavi recenti hanno confermato questa ipotesi: la città occupa un'area piuttosto estesa tra il Picentino a nord, Sant'Antonio a Picenzia a sud e la SS. 18 a ovest; a est sembra interessare anche l'area a monte dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Da poco è iniziato uno scavo sistematico dell'abitato. Dall'esame dei corredi risulta che solo tre tombe spettano all'Eneolitico, con oggetti inquadrabili nella cultura di Gioia del Colle-Andria, mentre tutti gli altri si dispongono tra il 9° e il 4° secolo a. Cristo.
Dopo una fase di sostanziale egualitarismo, a partire dagl'inizi del sec. 8° i corredi mostrano sempre più accentuate differenziazioni di ricchezza, in concomitanza con l'apparire di oggetti di lusso importati, segno di alcune sostanziali modifiche nella struttura economica e sociale. Ciò appare più evidente nel corso del 7° secolo, quando P. tocca l'apogeo della sua floridezza: in misura abbondante affluisce la ceramica protocorinzia, sia quella importata, sia quella imitata a Cuma o a Pithekoussai, ma non mancano prodotti di altre fabbriche, soprattutto della Ionia; accanto a questa ceramica fine, sopravvive nel repertorio locale, nelle forme d'impasto, l'anfora, mentre si conoscono versioni in impasto di forme greche (per es. la bottiglia, la kylix); tra le forme d'uso comune riconosciute nell'abitato spicca la situla, di cui si conosce qualche esemplare d'impasto e altri in argilla grezza. Al periodo orientalizzante spettano due tombe del tipo cosiddetto principesco con recinto rettangolare e loculo in cui era deposto il prezioso corredo composto di calderoni di bronzo, oinochoai di bronzo, un'oinochoe cipriota d'argento con palmetta a lamina d'oro, una kotyle d'argento, che richiama le famose sepolture analoghe di Palestrina e di Caere. A partire dalla metà del sec. 6° a.C., P. comincia a cadere in crisi; i corredi di questo periodo con rara e scadente ceramica attica e pochi pezzi di bucchero prevalentemente prodotto in loco non sembrano rilevare accentuate differenziazioni di ricchezza. Dopo i duri colpi inferti all'egemonia etrusca in Campania tra il 524 e il 474, P. decade del tutto; probabilmente l'abitato si sarà ridotto a una piccola borgata di contadini. Non si deve comunque sopravvalutare la portata dello iato del 5° secolo; nel corso del sec. 4°, infatti, le poche iscrizioni rinvenute graffite su vasi a vernice nera mostrano l'uso predominante della lingua etrusca e nel repertorio della ceramica d'uso ricompare la situla con poche varianti rispetto alla forma stabilita nel corso dell'8° secolo. Dal punto di vista economico, comunque, durante il 4° secolo P. sembra gravitare nell'area della lucana Paestum: i vasi a figure rosse prodotti nelle officine di questa città sono prevalenti nei corredi di questo periodo, unitamente alle terrecotte figurate. Scarse sono le informazioni archeologiche per l'età romana: presso il monastero di S. Giorgio si rinvenne nel 1836 una statua di Dioniso in marmo, ora nel museo di Napoli; un mosaico fu rinvenuto sul litorale in località Magazzeno, nel 1880; nelle vicinanze è segnalata anche una necropoli di età imperiale, da cui proviene un'iscrizione che ricorda un classiarius della flotta misenate.
Una scelta significativa dei materiali fino a oggi portati alla luce è da poco sistemata nel museo nazionale dell'Agro Picentino, a P., in Piazza Risorgimento.
Bibl.: M. Ruggiero, Degli scavi di antichità nelle provincie di terraferma, Napoli 1888, p. 451 segg.; L. Foglia, in Rendic. accad. arch. lett. belle arti Napoli, XIX (1905); P. C. Sestieri, in St. Etr., XXVIII (1960), p. 91 segg.; id., in Riv. sc. preist., XV (1960), p. 207 segg.; id., in Arch. cl., XII (1960), p. 155 segg.; A. D. Trendall, in Apollo, 1961, p. 29 segg.; B. D'Agostino, in Mostra della preistoria e protostoria del Salernitano, Napoli 1962, p. 105 segg.; id., in La parola del passato, 1963, LXXXVIII, p. 62 segg.; J. Bérard, La Magna Grecia, Torino 19633, p. 390; E. Lepore, in La parola del passato, XCV (1964), p. 143 segg.; B. D'Agostino, in Boll. Paletnol. It., 1964, 73, p. 89 segg.; id., in Boll. d'arte, 1964, p. 364 segg.; E. Pozzi, in St. Etr., XXXII (1964), p. 247 segg.; M. Napoli, ibid., XXXIII (1965), p. 661 segg.; B. D'Agostino, ibid., p. 671 segg.; id., in Not. Sc., 1968, pp. 75-196; G. D'Henry, ibid., pp. 197-204; B. D'Agostino, in Enc. Arte Ant., suppl. 1970, sub v. pontecagnano; id., in Atti XI conv. studi Magna Grecia, 1971, p. 410; id., in Popoli e civiltà dell'Italia antica, II, p. 18 segg., Roma 1974.