PONTI (XXVII, p. 854)
Nello sviluppo della tecnica dei ponti dal 1935 alla fine del 1948, si presentano nettamente due distinti periodi: il primo, dal 1935 al 1939, riguarda la lenta e progressiva evoluzione della tecnica di pace, il secondo, dal 1939 in poi, riflette i problemi posti dalla guerra per la costruzione e la ricostruzione dei ponti.
Nel primo periodo si può dire che la teoria e la tecnica dei ponti non hanno segnato alcun progresso appariscente, ma si sono lentamente evoluti e perfezionati i criterî di progetto, i metodi di calcolo ed i procedimenti di costruzione in dipendenza dei problemi posti dalla pratica.
Accanto a diversi studî teorici sono continuate in parecchie nazioni, fra cui l'Italia, le ricerche sperimentali per la determinazione del coefficiente dinamico (v. appresso: Teoria dei ponti), senza peraltro giungere a risultati di carattere generale e definitivi, come del resto è naturale data la complessità del problema.
In generale, in tutti i tipi di ponte si nota una molto maggiore rispondenza dell'aspetto generale alla struttura statica del ponte: si rinuncia sempre più a mascherare con decorazioni, spesso di cattivo gusto, la struttura portante e questa viene sempre più posta in evidenza, con notevole vantaggio estetico.
Nessuna modificazione si ha nella struttura dei ponti in legno, il cui campo di applicazione era e rimase quello dei ponti provvisorî, almeno in Italia. Neppure nei ponti in muratura alcuna modificazione è da registrare in questo periodo, mentre i ponti di cemento armato hanno tratto motivo di maggiore arditezza dal lento ma continuo affinarsi dei metodi di calcolo.
Nei ponti di cemento armato ad arco a via superiore, la luce di 186 m. del Ponte di Plougastel è stata largamente superata prima dal viadotto per ferrovia a doppio binario dell'Esla (1940) in Spagna, della luce netta di m. 192,40 e teorica di m. 210, largo m. 8,40 e ribassato a 1/3,4 e poi dal ponte di Sandö (1943) dello stesso tipo, di m. 264 di luce e m. 40 di freccia, largo m. 12.
Nei tipi di ponti usuali, e cioè di luci non eccezionali, si è andato diffondendo sempre più il ponte a travata in strutture sempre più snelle (fig. 4), spesso ottenute col tipo a travata con contrappesi (v. fig. 1); ad uguale risultato porta l'applicazione del cemento precompresso, nel quale una parte delle armature metalliche è posta in tensione o artificialmente (v. cemento armato: Calcestruzzo precompresso, in questa App.) o naturalmente, grazie al peso proprio della struttura (p. es. in fig. 3 sono indicati dei tipi di travi sotto armati ad armatura pretesa).
Progressi forse più sensibili mostrano i procedimenti di costruzione nei quali i mezzi meccanici assumono sempre maggiore importanza. Caratteristico e nuovo il dispositivo che era stato previsto da un'impresa italiana per la costruzione di un ponte in cemento armato ad arco, della luce di m. 120, sul Nilo Azzurro, per la strada Addis Abeba-Gondar. Non essendo opportuno costruire una centina in legname, era stata progettata l'armatura metallica del tipo Melan, e, per ridurne l'entità, tale armatura veniva sostenuta da funi metalliche disposte secondo lo schema di un ponte sospeso.
Analogamente, nei ponti metallici si è notata una maggiore arditezza in dipendenza dell'uso di materiali speciali e si è accentuata la tendenza ad usare la saldatura come mezzo di collegamento e ad adottare strutture di tipo semplice; in particolare, è stata usata la trave a parete piena (fig. 5) per luci ben superiori ai 25÷30 m., che 20÷25 anni fa rappresentavano il massimo in uso. Da ricordare è anche la tendenza sempre più diffusa di usare, nell'impalcato dei ponti metallici stradali, solette di cemento armato, abbandonando i vecchi ferri Zorés difficili ormai da trovarsi sul mercato. Fra i ponti metallici più notevoli dell'epoca è da citare il ponte sospeso con campata centrale di 701 m. di luce sull'East River a New York (fig. 6).
Ben diversa è l'evoluzione della tecnica dei ponti in conseguenza della guerra. Si possono distinguere due aspetti o meglio due fasi di tale evoluzione; l'una riflette i problemi dì guerra e, quindi, riguarda essenzialmente i ponti militari; l'altra i problemi della ricostruzione ed investe tutti i ponti destinati ad usi civili.
Il problema dei ponti militari è stato nella recente guerra risolto nel miglior modo dai ponti smontabili dell'inglese Bailey, formati di elementi rettangolari a due riquadri con diagonali e contro-diagonali saldate, elementi riuniti fra loro da bulloni manovrabili rapidamente mediante caviglie (fig. 10). In condizioni favorevoli un ponte Bailey di una trentina di metri di luce poté essere montato in poco più di un'ora. Non è qui inopportuno notare che il ponte Bailey non è altro che il vecchio ponte smontabile italiano Cottrau con l'introduzione di alcune modificazioni (essenzialmente l'adozione delle saldature in luogo delle chiodature) che sono state rese possibili dall'odierna tecnica costruttiva. Nel complesso, si può dire che nel ponte Bailey è compendiato il progresso della tecnica dei ponti di guerra.
Più sensibile è il progresso della tecnica nel dopoguerra, progresso dovuto alle molteplici necessità imposte dalla ricostruzione e più ancora dalla necessità di ricostruire rapidamente.
Una statistica dei ponti distrutti in Europa per cause di guerra non esiste a tutt'oggi; neppure esiste una sicura statistica di quelli distrutti in Italia (per i ponti ferroviarî distrutti in Italia per cause di guerra, vedi, peraltro, ferrovia, in questa seconda App., I, pag. 928); ciò è dovuto alla non uniforme classificazione dei ponti per cui talvolta il nome di "ponte" viene dato solo ai manufatti di luce superiore ai 10 m. mentre tal'altra si comprendono sotto questo nome anche manufatti di 4 o 5 m. di luce soltanto. Anche limitandosi però ai manufatti di luce superiore ai 10 m., i ponti stradali e ferroviarî distrutti in Italia sono parecchie decine di migliaia. Le sole Ferrovie dello Stato avevano alla fine del 1945 in corso di ricostruzione quasi quindicimila ponti. In tale situazione la necessità di rimettere in efficienza la rete stradale e quella ferroviaria ha portato a nuovi accorgimenti sia di progetto sia di esecuzione, accorgimenti che rappresentano un effettivo e sensibile progresso tecnico.
Nei ponti in muratura, all'atto della ricostruzione, specialmente nel caso di strade importanti, allo scopo di allargare la sede stradale sono state talvolta costruite delle travi di cemento armato appoggiate sui rostri delle pile (fig. 7).
Per accelerare il tempo di costruzione ed economizzare il legname nelle centine, si è ripreso, alquanto modificato, il vecchio ed abbandonato sistema di costruzione ad anelli per le vòlte: si costruiva cioè, in passato, prima un anello di vòlta col sussidio di una leggera centina in legname, poi dopo un po' di tempo un secondo anello della vòlta che, in fase di indurimento delle malte, veniva sopportato dalla centina in legname e dal primo anello, e così via. Il sistema è stato ora ripreso in questo modo: fatto in muratura di mattoni un primo anello ed i muri frontali si è completata la vòlta con un getto di calcestruzzo di cemento, getto che in fase di indurimento era sopportato dalla centina in legname e dall'anello in muratura.
Nei ponti in cemento armato si è accentuata la tendenza, già prima accennata, a porre in evidenza la struttura statica per trarre effetto estetico dalla sua stessa essenza. La nazione in cui la ricostruzione è più avanzata è probabilmente l'Italia. Fra i ponti più notevoli si ricordano qui il viadotto di Recco, in curva ad archi incastrati (fig. 9) il viadotto di Desenzano, a portali incernierati al piede (v. ferrovia, in questa App.), e il ponte di Albaredo (fig. 8) ad aste tutte tese (riportabile al tipo Nielsen).
In qualche caso, dove era stato costruito nella posizione del ponte definitivo un ponte provvisorio con travate in ferro, per non interrompere il traffico o costruire un altro ponte provvisorio spostato, è stato costruito un ponte in cemento armato a metà larghezza per volta, utilizzando le travature metalliche provvisorie come armature metalliche del ponte in cemento armato nel cui getto vennero incorporate.
Nei ponti in ferro si è accentuata la tendenza, già precedentemente manifestatasi, ad usare materiali ad elevato limite elastico ed elevato carico di sicurezza. Le Ferrovie dello Stato, subito dopo la fine della guerra, nel giugno 1945, hanno fissato nuove norme per i carichi di sicurezza nel materiale ed hanno insieme assunto nuovi schemi di carico. Interessante è osservare che, prevedendosi su tutte le linee principali l'applicazione della trazione elettrica, le locomotive dei vecchi treni tipo sono state sostituite dai locomotori, i quali sono simmetrici rispetto al loro asse: è così scomparsa la distinzione fra treno tipo tagliante e treno tipo flettente fin qui in uso, con qualche semplificazione anche nei calcoli.
Degna di essere ricordata è anche l'applicazione dell'alluminio in alcuni ponti americani. Nella trave a parete piena di 30 m. di luce di un ponte dello stato di New York il peso è risultato meno della metà di quello di un ugual ponte in ferro. La fig. 11 mostra il ponte in fase di montaggio. È in costruzione nel Canada un ponte ad arco, pure in alluminio, di 185 m. di luce. Se questi primi ponti daranno - come è probabile - buoni risultati, l'uso dell'alluminio si estenderà rapidamente con notevole economia soprattutto nel caso di fondazioni difficili e costose.
Teoria dei ponti.
La teoria dei ponti differisce dalla teoria delle strutture usuali per il fatto fondamentale che i carichi gravanti sui ponti sono carichi mobili, cioè che si muovono, mentre i carichi che si considerano nelle strutture usuali sono, o almeno si considerano, fissi. L'essere i carichi mobili porta a due conseguenze: l'intensità dei carichi varia col tempo, la posizione dei carichi varia pure col tempo.
Si accenna qui, separatamente e brevemente, agli effetti della variabilità nel tempo dell'intensità e della posizione dei carichi.
Variazione dell'intensità dei carichi. - I carichi che agiscono sui ponti sono trasmessi alle ruote dei veicoli stradali o ferroviarî per mezzo di molle. Durante il movimento dei veicoli le molle oscillano, il carico si alza e si abbassa più o meno regolarmente e ritmicamente, mentre le molle si curvano o si appiattiscono. È chiaro che, quando il carico si abbassa appiattendo la molla, questa viene maggiormente caricata, e in conseguenza è maggiormente caricata la ruota. La quotidiana esperienza dice che il movimento di un qualunque veicolo - vagone ferroviario, tram, automobile - è accompagnato da successive ininterrotte oscillazioni delle molle. Ne consegue che, durante il movimento, l'intensità del carico è continuamente variabile. A chi voglia calcolare un ponte si presenta quindi spontanea la ricerca dell'intensità massima che un carico determinato può assumere durante il movimento.
È chiaro che un carico risulterà tanto più gravoso per una certa struttura, quanto più questa struttura è leggera: un carro che passa sopra una leggera passerella la pone in grande oscillazione, lo stesso carro che passa sopra un massiccio ponte in muratura non vi produce alcuna oscillazione.
Si chiama coefficiente dinamico il rapporto fra l'intensità massima che si dovrebbe attribuire al carico per tener conto dei suoi effetti durante il moto e l'intensità che il carico stesso ha a veicolo fermo ossia, come si dice brevemente, il rapporto fra il carico dinamico e il carico statico.
Mentre, per alcuni casi particolarmente semplici, è possibile calcolare teoricamente il coefficiente dinamico, in genere la sua determinazione è da attendersi soltanto da ricerche sperimentali. E ricerche sperimentali, interrotte solo durante il periodo di guerra, sono in corso nelle principali nazioni del mondo: Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Russia, Italia, ecc. Ma il valore del coefficiente dinamico dipende da numerosi elementi: la velocità, il pulsare del carico, ossia il variare periodico del carico per effetto di masse non equilibrate (come nelle ruote delle locomotive), il periodo proprio di vibrazione del ponte; dipende cioè dalle caratteristiche del carico e del suo movimento e dalle caratteristiche del ponte. Si comprende quindi facilmente come esperienze anche eseguite in condizioni non troppo dissimili possano portare a risultati sensibilmente diversi. D'altra parte quando sul ponte agiscono più carichi contemporaneamente, sorgono interferenze che diminuiscono l'entità del coefficiente dinamico.
Numerose formule esistono per il calcolo del coefficiente dinamico, in gran parte tratte da esperienze, mentre altre rappresentano il frutto di un compromesso fra i risultati dell'esperienza e le necessità della pratica. Alcune di tali formule fanno variare il coefficiente dinamico con l'inverso della luce del ponte, altre con l'inverso del quadrato; altre formule pongono in evidenza il rapporto fra il peso permanente e il carico accidentale. Le FF. SS. italiane (circolare n. 54 del 15 luglio 1945) calcolano l'aumento percentuale ϕ del carico (e quindi il coefficiente dinamico è 1+ ϕ) con la formula:
dove l è la luce in metri del ponte e V la velocità massima dei treni in km/ora. Per l = 50 m., V - 100 km/ora, risulta ϕ = 27%, ossia il coefficiente dinamico è 1 + 0,27 = 1,27.
In pratica, molte volte si assume semplicemente un coefficiente dinamico variabile fra1,10 e 1,40 a seconda della luce del ponte (ai ponti di grande luce compete il valore più piccolo).
Variazione della posizione dei carichi. - Si può dire che gran parte della teoria dei ponti si compendia nello studio del variare dei diversi effetti (reazioni di vincolo, sollecitazioni, tensioni, spostamenti) prodotti dai carichi mobili. I ponti sono costituiti da travature nel piano o nello spazio, ma di solito vengono considerati come scomposti in travature piane e quindi la teoria dei ponti praticamente coincide con la teoria delle travature piane soggette a carichi mobili. Ora i carichi possono essere concentrati o ripartiti e, nella teoria classica dell'elasticità (ossia prescindendo dai casi di equilibrio elastico instabile), ciascun parametro o componente delle reazioni di vincolo, ciascuna caratteristica di sollecitazione in una sezione (momento flettente, sforzo di taglio), la tensione interna sui di un elemento qualunque, lo spostamento elastico di un punto qualunque, in una parola l'effetto qualunque di un carico è proporzionale all'intensità del carico stesso; cioè, moltiplicando per 2, 3... l'intensità del carico, se ne moltiplica per 2, 3... l'effetto. Avendo sul ponte diversi carichi si possono separare gli effetti di essi - con che ci si riduce allo studio dell'effetto di un sol carico concentrato, e si può poi dividere l'effetto di un sol carico per l'intensità del carico stesso - riportandosi all'effetto di un carico di intansità uno o, come si dice, di un carico unitario (carico di 1 kg. o di una tonnellata). Ma anche un carico ripartito d'intensità p per unità di lunghezza l, si può pensare sostituito da tanti piccoli carichi concentrati di intensità pdx, essendo dx una lunghezza infinitamente piccola. E allora, quando si conosca l'effetto di un carico uno, si ha subito l'effetto del carico pdx e per integrazione, ossia per somma, quello del carico pl. Cosicché, in conclusione, la teoria dei ponti si riduce per la gran parte allo studio degli effetti del carico unitario mobile.
Se si ha lo schema statico di un ponte qualunque - p. es., una trave liberamente appoggiata agli estremi (fig. 12) - percorsa da un carico verticale unitario, e per ogni possibile posizione di questo si porta in ordinata sulla verticale, retta d'azione del carico, un'ordinata che rappresenti un certo effetto del carico (parametro di reazione di vincolo, caratteristica di sollecitazione, abbassamento, ecc.), il diagramma che risulta facendo variare la posizione del carico è il diagramma di variazione di quel certo effetto e si chiama linea di influenza di quel certo effetto. Nota la linea d'influenza ed i carichi sul ponte, è facile trovare per tentativi il massimo dell'effetto che si cerca.
La fig. 13 mostra la linea d'influenza dell'abbassamento della sezione C, ossia il diagramma di variazione dell'abbassamento di C, quando un carico unitario percorre la trave. Se sulla trave nelle posizioni D ed E si trovano due carichi rispettivamente di 5 e di 10 tonnellate, l'abbassamento totale che essi producono nel punto C sarà l'abbassamento prodotto da un carico di 1 tonnellata agente in D (abbassamento rappresentato in una certa scala dall'ordinata ηD) moltiplicato per 5 più l'abbassamento prodotto dal carico di 1 tonnellata in E (rappresentato da ηE) moltiplicato per 10. La linea d'influenza permette così di trovare subito l'effetto di un qualunque sistema di carichi. Si può quindi dire che il problema fondamentale della teoria dei ponti è quello del tracciamento delle linee d'influenza.
Le linee d'influenza di cui interessa il tracciamento riguardano: parametri di reazioni di vincolo, caratteristiche di sollecitazione, tensioni interne nelle travi a parete piena, sforzi nelle aste delle travi reticolari, componenti di spostamenti elastici (o rotazione).
I primi quattro tipi di linee d'influenza interessano nello studio dei progetti, il quinto essenzialmente nei collaudi.
È fondamentale nella teoria delle linee d'influenza il teorema di Land il quale dice che le linee d'influenza possono essere tracciate come linee elastiche, ossia come deformate del sistema, quando questo venga pensato tagliato e sollecitato in modo opportuno; il tracciamento delle linee d'influenza viene così ricondotto al tracciamento di linee elastiche (sistemi a parete piena) e di poligoni di inflessione (sistemi reticolari).
Si può dimostrare - in una forma assai semplice ma tuttavia già al di fuori di questa trattazione elementare - che le linee d'influenza di parametri di reazione di vincolo, di caratteristiche di sollecitazione, di tensioni interne e di sforzi nelle aste sono composte di segmenti di retta nel caso di sistemi staticamente determinati, mentre tutte le altre linee d'influenza sono formate di tratti di curve o di poligoni iscritti o circoscritti a curve.
La fig. 12 mostra la linea d'influenza del momento flettente in una sezione di una trave liberamente appoggiata agli estremi; la fig. 13 la linea d'influenza dell'abbassamento di una sezione C di una trave liberamente appoggiata agli estremi; la fig. 14 la linea d'influenza del momento flettente nella sezione A di un arco incastrato agli estremi; la fig. 15 la linea d'influenza dell'abbassamento del vertice in un arco a tre cerniere.
Le figure mostrano che in alcuni casi (p. es., in quello della fig. 12) il massimo effetto si ha quando tutta la struttura è caricata, mentre in altri (p. es., in quelli delle figg. 14 e 15) il massimo effetto si ha quando è caricata soltanto una parte: quella CD o l'insieme delle due AC e BC. Questa osservazione è molto importante, perché mostra che, ove si voglia operare con esattezza, occorre sempre tracciare le linee d'influenza. Accade spesso che per un elemento di un ponte sia più gravoso il carico agente soltanto sopra una parte che non il carico agente su tutto il ponte.
Le linee d'influenza, così come sopra definite, dànno un parametro, p. es. la componente di uno spostamento quando la forza 1 ha una data direzione, p. es. quella verticale. Se si vuol conoscere tutto lo spostamento bisogna tracciare anche la linea d'influenza della componente orizzontale dello spostamento per la stessa forza 1; e se si vuole avere l'effetto conseguente alla forza 1 comunque orientata bisogna tracciare la linea d'influenza della componente verticale e della componente orizzontale per la forza 1 verticale e per la forza 1 orizzontale, ossia in totale quattro linee d'influenza. Allo stesso risultato si giunge tracciando le linee d'influenza integrali che riassumono in sé le quattro linee d'influenza ora citate.
In alcuni sistemi elastici particolarmente semplici - trave appoggiata agli estremi - si possono anche tracciare con molto vantaggio le linee delle sollecitazioni massime assolute, le quali sono assai più comode delle linee d'influenza. Il problema tecnico che si presenta all'ingegnere è quello di determinare in un certo numero di sezioni la massima sollecitazione possibile. Ora le linee d'influenza servono per trovare la sollecitazione massima in un certo numero di sezioni, e, ove considerazioni di simmetria non aiutino, per trovare per tentativi il massimo assoluto e la sezione in cui esso si verifica. Di qui la necessitä di un duplice ordine di tentativi, prima per trovare la sollecitazione massima nelle sezioni che si sono scelte, poi per cercare la sezione in cui si ha il massimo assoluto. Le linee delle sollecitazioni massime invece, prefissato un certo tipo di carichi, dànno per ogni sezione la sollecitazione massima che quel certo carico vi produce. Le figg. 16 e 17 mostrano le linee del taglio massimo e minimo per una trave liberamente appoggiata soggetta ad un carico ripartito mobile e la linea dei momenti massimi in una trave liberamente appoggiata agli estremi a carico indiretto soggetto allo stesso carico.
Bibl.: G. Albenga, Ponti, Torino 1930; L. Croce, La costruzione dei ponti, Genova 1942; L. Stabilini, Ponti, Milano 1947; articoli diversi delle riviste Annali dei LL. PP., Giornale del Genio Civile, Tecnica Italiana, Génie Civil. Annales des Ponts et Chaussées, Travaux, Bautechnik, Schweizerische Bauzeitung, Engineering, Engineering News-Record.