Pilato, Ponzio
Rappresentante dell'autorità romana in Palestina al tempo (26-36 d.C.) di Gesù Cristo, con il titolo di procurator o, secondo un'iscrizione trovata nel 1961, praefectus.
A lui toccò pronunziare la sentenza di morte nei riguardi di Gesù in un contesto che lascia ancora perplessi gli studiosi circa la maggiore o minore responsabilità di questo romano, che non voleva condannare uno di cui riconosceva l'innocenza ma in pratica ordinò che l'imputato fosse flagellato e poi emise il gravissimo verdetto.
Nelle opere latine di D. (Mn II XI 5 e 6, III XIV 5, Ep V 28) si parla di P. solo per metterne in risalto o specificarne l'autorità, senza che si formuli un giudizio morale sulla sua condotta. Esso risulta senz'altro negativo nella metafora novo Pilato (Pg XX 91) applicata a Filippo il Bello, ritenuto colpevole di neghittosità perché non impedì l'oltraggio di Bonifacio VIII. Questo giudizio implicito è l'argomento principale per coloro che identificano con P. il ‛ vile ' di If III 60; per tutta la questione, v. CELESTINO V.
Bibl. - E. Barbarani, Due chiose dantesche, Verona 1897; G. Pascoli, Chi sia " colui che fece il gran rifiuto ", in " Il Marzocco " 6 e 27 luglio 1902 (poi in Prose, II, Milano 1952, 1469-1487; L.A. Rostagno, Chi sia " colui che .fece per viltade il gran rifiuto ", Torino 1903; G. Rosadi, Il processo di Gesù, Firenze 19094, 309 ss.; G. Ferretti, Saggi danteschi, ibid. 1950, 43-60; G. Padoan, " Colui che fece per viltà il gran rifiuto ", in " Studi d. " XXXVIII (1961) 75-128; Toynbee, Dictionary 164; G. Jannucci, Pilato l'ignavo, in " Il Veltro " XVI (giugno-ag. 1972) 237-255.