Popolazione
Con il termine popolazione si intende genericamente un insieme di entità individuali. Così si può parlare di popolazioni di cellule che formano i diversi organi e sistemi nel corpo umano (per es., la popolazione di cellule circolanti nel sangue o di quelle del sistema nervoso, ma anche di cellule neoplastiche, nel caso di un tumore), di popolazioni di molecole in chimica o di stelle in astronomia, di popolazione umana per definire l'insieme degli individui viventi in una determinata area geografica, oltre che, ovviamente, di popolazioni di animali e di piante. In generale, è opportuno affermare che varie ragioni rendono l'analisi del termine assai più complessa che in passato: è infatti cresciuta l'attenzione nei confronti dei fenomeni collettivi, quelli cioè che hanno come unità di osservazione la popolazione stessa, la quale è divenuta quindi determinante anche per l'esame dei fenomeni individuali.
Nell'uso del termine popolazione hanno avuto ricadute rilevanti, tanto nel linguaggio comune quanto nei lessici specialistici, i molteplici importanti eventi che hanno caratterizzato la storia recente della popolazione umana: la crescita smisurata del numero degli individui anche in relazione all'aumento della probabilità di sopravvivenza (v. tab.); le imponenti migrazioni transnazionali e gli spostamenti interni con la conseguente abnorme urbanizzazione; la nascita delle grandi democrazie con l'introduzione del suffragio universale; la formazione dei partiti politici la cui importanza è proporzionale al numero dei sostenitori; lo sviluppo dei servizi di sanità pubblica e la conseguente necessità di valutazioni epidemiologiche accurate; lo sviluppo del commercio e dei consumi con la necessità di prodotti calibrati su potenziali acquirenti quantificati numericamente; l'esplosione delle varie forme di comunicazione di massa fino ai più recenti sviluppi telematici ecc. In conseguenza di ciò non solo biologia, ecologia, demografia, ma anche opinioni e tendenze politiche o di mercato sono analizzate (e possibilmente previste) in termini di popolazione, la cui conoscenza è ottenuta in genere dall'esame di campioni. Perciò è opportuno partire dall'uso del vocabolo in statistica, dove è riferito di solito a un'entità assunta come puramente astratta, non conoscibile direttamente. In statistica popolazione indica la totalità degli individui esattamente definibili e caratterizzati da una o più variabili misurabili, come, per es., la statura dei maschi adulti residenti in un definito territorio oppure il reddito annuo dei cittadini di una nazione.
Si assume (anche se ciò non è sempre vero) che la popolazione sia di dimensioni tali da non poter essere esaminata integralmente; considerandola quindi, in pratica, infinita, sconosciuta e inconoscibile, si prevede che se ne possa analizzare soltanto un campione. Tale procedimento peraltro, se viene condotto in modo corretto, non limita affatto la possibilità di stimare i valori della popolazione. Per essere in grado di fornire informazioni attendibili, il campione deve essere rappresentativo e casuale. Esso è rappresentativo se i criteri di selezione coincidono con la definizione della popolazione. Se, per es., la popolazione di cui si vuole conoscere il valore di una variabile, la statura, è quella dei maschi adulti residenti in una data città, si commetterà un grave errore misurando i maschi adulti che si incontrano per strada (l'esempio non è forzato se si pensa alla tecnica di molte inchieste televisive); il campione corretto è invece quello che si costruisce a partire dagli elenchi anagrafici dei residenti nella città, evitando in tal modo l'errore di lasciare da parte i residenti che raramente o mai passeggiano per la città o di misurare quelli che residenti non sono. Il campione deve anche essere casuale, e sarà tale se, e solo se, tutti gli individui che compongono la popolazione hanno la medesima probabilità di entrare a far parte del campione. Se questo è corretto, dalle misure campionarie si possono inferire i corrispettivi valori popolazionistici.
Due valori della variabile in esame sono particolarmente interessanti: la media (in genere quella aritmetica) e la varianza. La prima serve principalmente a confrontare nel loro complesso diverse popolazioni per una data variabile, mentre la seconda dà informazioni sulla distribuzione dei valori individuali attorno al valore medio. Le applicazioni pratiche di tali stime sono numerose: basterà citare il caso dei produttori industriali per abbigliamento, per i quali è di fondamentale interesse che le misure corporee della popolazione siano accuratamente stimate, in modo da approntare un assortimento che comprenda frazioni adeguate delle diverse taglie, tenendo anche conto delle variazioni regionali, che per es. in Italia sono cospicue. Risulta quindi chiaro che l'ottimizzazione della risposta alle esigenze individuali si ottiene con un'accurata conoscenza delle caratteristiche della popolazione. Nelle statistiche che si ricavano dalle indagini demoscopiche (per es. la raccolta di opinioni politiche e la valutazione del successo dei programmi televisivi) i problemi della campionatura sono particolarmente delicati, perché alle procedure già citate si può aggiungere il requisito che il campione sia effettivamente composto di una rappresentanza proporzionalmente corretta di fasce di popolazione chiaramente definite. Sono pertanto necessarie procedure di stratificazione del campione, affinché esso contenga in proporzione corretta tutte le fasce che si considerano rappresentative.
In ambito ecologico un uso molto generico del termine popolazione si riferisce a tutti i viventi di una certa categoria in un dato territorio: per es., la popolazione faunistica delle zone alpine oppure la popolazione ittica di un lago. In modo più puntuale ci si riferisce invece alla popolazione di una data specie, vivente in un determinato territorio, soprattutto al fine di misurarne le dimensioni e le strategie di sopravvivenza, sempre tenendo presente che è la somma dei comportamenti dei singoli individui a costituire l'aspetto fondamentale di una popolazione, ovvero la sua sopravvivenza stessa. Le capacità riproduttive di ciascun individuo sono assai superiori a quanto serve alla popolazione per rimanere in equilibrio. La differenza fra il tasso di natalità medio e il tasso di mortalità medio rappresenta il potenziale biotico di una popolazione (che viene in genere indicato con la lettera r), e quando esso è positivo porta la popolazione a una crescita esponenziale illimitata. Ovviamente, nessuna popolazione può crescere in modo illimitato e quindi una crescita più realistica prevede il raggiungimento di un massimo non superabile, che è definito dalla somma delle risorse dell'ambiente, la sua 'capacità portante', indicata con K. Inserendo nella previsione di crescita il fattore K, la curva da esponenziale diviene sigmoide, con il raggiungimento di un plateau quando la capacità portante dell'ambiente viene saturata.
I primi conteggi di individui residenti in una determinata area geografica risalgono al 3000 a.C. in Cina, ma è solo l'efficiente organizzazione dell'Impero Romano che mette in atto i primi censimenti veri e propri, rappresentanti la fotografia in un dato momento di una definita frazione della popolazione, sostanzialmente i cittadini maschi adulti. Compaiono in seguito le prime liste di nati e di morti, una prima misura della dinamica nel tempo di una popolazione a livello locale (per le diocesi cattoliche è dal Concilio di Trento, 1545-63, che si raccolgono liste di nati, morti e matrimoni celebrati). Occorre però giungere al Settecento per avere i primi registri di popolazione completi. Con essi diviene possibile il calcolo della vita media e soprattutto della speranza di vita a ciascuna età, ciò che oggi risulta fondamentale per i calcoli attuariali degli istituti di assicurazione ai fini, per es., della valutazione delle rendite vitalizie (già in epoca romana esistevano peraltro alcune regole empiriche di capitalizzazione delle rendite vitalizie). È anche questo un caso che dimostra in modo esemplare come la decisione sul singolo individuo viene presa in base ai valori popolazionistici. L'analisi demografica moderna viene svolta dagli istituti nazionali di statistica, sui cui dati si fondano anche gli istituti di statistica sovranazionali, per es. quelli dell'Unione Europea, dell'ONU e, per problemi più specifici, di organizzazioni come l'OMS, la FAO o l'UNESCO.
Le statistiche demografiche possono riguardare caratteri biologici o sociali: i primi sono relativi soprattutto a nascite e morti, i secondi a matrimoni e migrazioni. Vengono inoltre raccolte informazioni relative alle condizioni professionali, a quelle sanitarie ecc. Le fonti sono di vario tipo: censimenti, registri anagrafici e analisi mirate (in genere campionarie). Con i censimenti (perlopiù sulla base di famiglie e convivenze) vengono valutate la popolazione presente, quella residente e le distribuzioni per età (fig. 1) e per sesso. Nei registri anagrafici è invece annotato il movimento naturale della popolazione, ovvero le nascite e le morti. Da questi strumenti si ricavano indici di grande utilità, sia di carattere biologico, come la fertilità, le mortalità specifiche per età (quella infantile in particolare), sia di valore sociale, come quelli relativi a matrimoni e migrazioni. I problemi demografici della popolazione umana sono da considerarsi tra i più complessi da affrontare: da un lato vi sono ormai alcune popolazioni a crescita zero, dall'altro ve ne sono altre in rapida crescita, ma nel complesso vi è una sovrappopolazione mondiale. Comportamenti individuali e fenomeni collettivi sono alla base di questi squilibri. Per quanto riguarda le popolazioni a crescita zero, e l'Italia è tra queste, tale fenomeno è il risultato della transizione demografica, per la quale la drastica riduzione della mortalità (quella infantile in particolare), dovuta al miglioramento delle condizioni alimentari, igieniche e sanitarie avvenuto nel 20° secolo, ha indotto un più controllo stretto della fertilità, che è stato probabilmente accentuato dall'accresciuta frequenza di lavoro extradomestico femminile. In questo modo, dopo la riduzione, i due indici di mortalità e di natalità hanno raggiunto un equilibrio, creando quindi le condizioni per la crescita zero, che attualmente in Italia ha già una forte tendenza a raggiungere addirittura valori negativi. Vi è già chi prevede che il futuro biologico delle popolazioni in queste condizioni sarà legato soprattutto alle immigrazioni.
D'altro canto, in vaste zone del pianeta si è verificata per il momento soprattutto la prima parte della transizione demografica, e cioè la riduzione della mortalità, mentre la riduzione della fertilità procede assai lentamente: ciò ha dato origine a una notevole crescita di queste popolazioni che, rappresentando la maggioranza di quelle che si trovano sul pianeta, inducono nel complesso una crescita globale il cui tasso sta diminuendo solo molto lentamente. In riferimento a tale situazione, sebbene quella umana sia l'unica specie che è stata in grado di modificare in maniera determinante la capacità portante degli ambienti che è andata via via occupando, è difficile prevedere se anche in seguito questa operazione sarà possibile. I pessimisti ritengono che la capacità portante della Terra nel suo complesso sia già stata raggiunta e che quindi l'equilibrio sia ormai divenuto molto precario. Le modalità con le quali le popolazioni vanno incontro alla transizione demografica mostrano che in generale risulta assai più facile, avendone la possibilità, adottare tutti quei comportamenti che contribuiscono a ridurre la mortalità, anche perché assai spesso questi coincidono con un miglioramento generale delle condizioni di vita, mentre l'aumento del controllo sulle nascite incontra maggiori difficoltà e soltanto la combinazione di vari interventi riesce nello scopo. Questo viene comunque raggiunto (e talvolta come si è visto addirittura superato) al conseguimento di un sostanziale benessere, che rende il patrimonio individuale in quantità di prole (l'unico possesso del povero) meno essenziale per la sopravvivenza.
Nella sua formulazione della teoria evoluzionistica, Ch. Darwin tenne conto anche delle analisi demografiche di T.R. Malthus, dalle quali risultava evidente che il potenziale riproduttivo di una specie, compresa quella umana, è sempre superiore a quello effettivamente realizzato, determinato dalla capacità portante dell'ambiente, oltre che dalla competizione con le altre specie presenti. Ciò lascia spazio a una selezione che in ogni generazione consente la sopravvivenza di una sola frazione di individui.
L'ipotesi di Darwin si fonda sull'idea che la sopravvivenza di un individuo dipenda dalla sua capacità di adattarsi all'ambiente. Se le ragioni di questo adattamento sono genetiche (e solo se sono genetiche), il pool di geni della generazione successiva ne risulterà modificato. È questo il nucleo centrale del processo di evoluzione per selezione naturale (va ricordato tuttavia che esiste anche un'evoluzione dovuta solo a ragioni casuali). Riprendendo il concetto di corpo come popolazione di cellule, appare possibile indicare la fondamentale distinzione tra cellule germinali (uova o spermatozoi, destinati a produrre nuovi individui) e cellule somatiche, cioè tutte le altre che compongono il corpo. Queste ultime durano per il ciclo vitale di un individuo e poi muoiono. La linea delle cellule germinali è invece potenzialmente eterna, nel senso che passa da una generazione a quella successiva. Sebbene tutti i fenomeni popolazionistici che sono stati descritti fino a questo momento riguardino l'insieme dei corpi umani, cioè insiemi di cellule mortali, la base materiale dell'evoluzione si trova invece nella composizione delle cellule germinali, le uniche appunto che non sono mortali in quanto possono essere trasmesse alla generazione successiva. Sono comunque gli insiemi delle cellule somatiche, i corpi per la loro parte somatica, che veicolano le cellule germinali cui spetta il ruolo fondamentale della riproduzione.
L'insieme di corpi di coloro che si riproducono è pertanto l'unità di osservazione evoluzionistica, che viene denominata popolazione mendeliana, riferendosi con questo termine a quell'insieme di individui, appartenenti alla medesima specie, tra i quali l'accoppiamento ai fini riproduttivi avviene a caso, in modo cioè che ciascun membro della popolazione abbia la medesima probabilità di accoppiarsi con qualunque altro membro dell'altro sesso. Anche questa definizione si riferisce a un'entità relativamente astratta; infatti, se da un lato è ovvio che la probabilità di accoppiamento tra due individui abitanti nella stessa città è maggiore di quella esistente tra due abitanti di città distanti o addirittura di nazioni o continenti diversi, è anche vero che la delimitazione dei confini della popolazione mendeliana è imprecisa: si possono persino verificare differenze tra quartieri diversi della stessa città. La variabile più importante della popolazione mendeliana è la sua composizione genetica, la cui misura può essere effettuata in un campione della popolazione in esame per uno dei circa 50.000 geni che sono presenti nel DNA (nel DNA umano ciò è possibile solo per una frazione di geni, ma l'esame di qualche decina di essi è già sufficiente). Per ogni gene è assai probabile che esistano nell'insieme di individui che compongono la popolazione in esame almeno due forme alleliche diverse (v. gene): la misura della frazione di ciascuna delle forme presenti è dunque la misura della composizione del pool genico di una popolazione per quel marcatore genetico. Tale composizione può variare, seppur assai lentamente, nel corso delle generazioni, a causa di eventi del tutto casuali o sulla base di fenomeni selettivi.
La seconda eventualità si verifica quando individui portatori di alleli diversi hanno una differente probabilità di partecipare alla costituzione del pool genico della generazione successiva, ovvero hanno una diversa probabilità di generare figli che raggiungano l'età riproduttiva. Tale probabilità è detta idoneità biologica (o fitness) e deve essere misurata per ciascun individuo. La misura dell'idoneità biologica associata a ciascun allele viene poi calcolata per l'insieme degli individui che lo possiedono. È chiaro, quindi, come il fenomeno collettivo rilevante (il pool genico di una popolazione) risulti dall'insieme delle capacità riproduttive degli individui che compongono la popolazione stessa. Da queste analisi, eseguite su numerose popolazioni umane, è risultato che la composizione del pool genico è variabile nelle diverse popolazioni (fig. 2). Un esame complessivo di questa variabilità ha consentito la ricostruzione di una linea filogenetica, dalla quale si può ricavare la storia del popolamento del pianeta da parte dell'uomo, nel corso degli ultimi 100.000 anni. Un confronto con i dati demografici, archeologici e linguistici ha consentito poi di dimostrare il sovrapporsi delle genealogie. Se ne deduce che geni, popoli e lingue si sono diffusi parallelamente a partire dall'Africa. Queste analisi genetiche sono state compiute nel corso degli ultimi trent'anni circa del 20° secolo, e potrebbero forse essere in qualche modo utili a una migliore comprensione di un fenomeno presente nella nostra cultura da molto più tempo: la pretesa di costruire, sulla base delle diverse caratteristiche corporee delle popolazioni umane, il concetto di razza (fig. 3). Innanzitutto, la dimostrazione dell'unicità dell'origine della nostra specie sgombra definitivamente il campo da quelle teorie che sostenevano che i diversi gruppi razziali si fossero originati indipendentemente. Il fatto più rilevante è comunque la dimostrazione che all'interno di ciascuna popolazione esiste una variabilità genetica superiore a quella esistente tra popolazioni diverse, e ciò prova che non è possibile attribuire un individuo a una specifica popolazione sulla base dell'esame dei suoi geni. L'impiego delle varie caratteristiche corporee per classificare i cosiddetti tipi razziali deriva solo dal fatto che analoghe condizioni climatiche hanno selezionato nel corso degli ultimi 40.000 anni circa alcune caratteristiche, quali per es. una pelle più scura utile ad avere una maggiore protezione dall'irraggiamento solare alle basse latitudini, o, al contrario, una pelle meno pigmentata per ottenere una più profonda penetrazione dei raggi solari (al fine principale di produrre vitamina D) nelle zone più lontane dall'equatore.
Analoghe riflessioni possono essere fatte sulla forma del naso, degli occhi o sulle caratteristiche dei capelli. Popolazioni anche molto distanti filogeneticamente tra loro (come, per es., africani e aborigeni australiani), che sono state a lungo esposte a condizioni climatiche simili, presentano infatti una notevole somiglianza per quanto riguarda queste caratteristiche della superficie corporea. Le acquisizioni della genetica sull'origine unica della nostra specie, sull'inesistenza delle razze e sull'individualità biologica di ciascun essere umano sono comunque in accordo con le più avanzate elaborazioni culturali in tema di definizione delle regole di convivenza tra gli uomini, coerentemente con la graduale affermazione del diritto fondato sulle caratteristiche comuni a tutti gli uomini. Dalle varie chartae libertatis di epoca comunale alla dichiarazione dei diritti naturali, essenziali e inalienabili delle colonie inglesi in America (Dichiarazione dei diritti dell'uomo, 1787), fino alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, promulgata in Francia nel 1789, alle numerose costituzioni moderne, alla convenzione di Ginevra del 1949, nella quale si è cercato di garantire una serie di diritti inalienabili della popolazione civile, si sono andate progressivamente identificando le caratteristiche e le funzioni di base di un corpo umano inteso nella sua espressione più ampia, che devono essere in ogni caso garantite nell'ambito della convivenza comune.
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