POPOLAZIONE (XXVII, p. 914; App. II, 11, p. 591)
L'evoluzione dello popolazione dopo la seconda guerra mondiale. - Dopo la fine della seconda guerra mondiale, non dovettero passare molti anni perché si riempissero i vuoti da essa determinati nella p. sotto le armi, particolarmente elevati in URSS ed in Germania, ma complessivamente alquanto inferiori a quelli della guerra del 1914-18; molto superiori invece i vuoti nella p. civile, per l'uso più largo e micidiale dell'arma aerea, per le deportazioni in massa e per le stragi sistematiche di intere popolazioni, specialmente fra gli Ebrei, di cui si calcola che più di 6 milioni, sopra un totale di 19, siano stati eliminati ad opera dei nazisti nelle camere a gas o con altri mezzi di distruzione, principalmente in URSS e in Polonia.
A quello che era avvenuto negli ultimi anni di guerra, si aggiunsero le perdite determinate subito dopo la sua fine coi trasferimenti coatti di interi gruppi etnografici dalle regioni che si assegnavano ad uno stato diverso da quello a cui fin allora avevano appartenuto: sistema draconiano e crudele di garantire ai nuovi stati una maggiore omogeneità etnica, a cui si era fatto ricorso dopo la prima guerra mondiale coi trasferimenti dalla Grecia alla Turchia e viceversa, ma che dopo il 1945 si applicò in proporzioni assai maggiori, in particolare fra la Polonia, gli altri stati baltici e la Germania.
Dopo il 1948 non solo i vuoti di guerra si possono considerare completamente colmati, ma l'aumento della p. mondiale riprende in una misura generalmente superiore a quella degli anni anteriori al 1939. La popolazione totale del mondo, in parte desunta dai censimenti, in parte da stime, è indicata, per il periodo dal 1900 al 1959, nella tabella in testa alla colonna seguente.
Quest'aumento, manifestatosi dopo il 1946 anche nei paesi che avevano subìto i più gravi danni di guerra, ha indotto gli statistici delle Nazioni Unite ad affacciare l'ipotesi che, se non interverranno avvenimenti inattesi, la popolazione totale del mondo debba raggiungere nel 1975 i 3.828 milioni e nel 2000 addirittura i 6.267 milioni, cioè il quadruplo della popolazione mondiale nel 1900.
Ma più che queste previsioni, sempre incerte per quanto fondate sull'elaborazione razionale e prudente di dati sicuri, c'interessa vedere in quale misura abbiano partecipato a questo sensibilissimo aumento le varie parti del mondo e, entro ciascuna di esse, i singoli stati più popolati in senso assoluto e relativo. L'aumento risulta così distribuito:
In questo aumento generale il primo posto spetta alle due Americhe, in misura maggiore all'America Merid., ed in essa in primissima linea al Brasile, che dai 42 milioni di ab. del 1941 è salito a 62,7 nel 1958, a 64,2 nel 1959, a 65,7 nel 1960. Segue l'Oceania, la cui scarsa popolazione è cresciuta in 40 anni di più del 70%, e subito dopo l'Asia, che sulla sua vastissima superficie ha avuto anch'essa l'aumento impressionante di poco meno del 60%, mantenendo, quasi, la proporzione altissima di più della metà della popolazione del mondo. In essa i primi posti spettano alla Cina, salita secondo una stima del 1958, senza Formosa, a 669 milioni di ab. con una densità di 69 ab. per km2; all'India (senza il Pakistan) che nel 1959 raggiunse i 408 milioni (121 ab. per km2); al Giappone con 91,7 milioni (248 ab. per km2); all'Indonesia con 87,3 milioni (59 ab. per km2); al Pakistan con 85,6 milioni (91 ab. per km2).
Un posto anche più alto nella graduatoria spetterebbe all'Africa di cui la popolazione totale - se si potesse prestare qualche fede alle stime delle regioni del centro, che sarebbero poi le più densamente popolate - sarebbe aumentata nell'ultimo quarantennio di più del 60%. I primi posti spetterebbero alla Nigeria, salita nel 1959 a 33 milioni (38 ab. per km2), seguita dall'Egitto con 25 milioni (25 ab. per km2) e dall'Etiopia con 21 milioni (18 per km2).
Pure al disopra del 60% è stato nel cinquantennio l'aumento della popolazione dell'URSS, dove però la densità media della popolazione, che raggiunge un'altezza rilevante nell'Ucraina e nella Bielorussia, si mantiene ancora al disotto dei 18 ab. per km2.
Inferiore a quello di tutte le altre parti del mondo è stato nell'ultimo cinquantennio l'aumento della popolazione nell'Europa ad occidente del confine russo. Quest'inferiorità è dovuta indubbiamente alle fortissime perdite causate in Europa dalle due guerre mondiali, sebbene in larga parte esse abbiano trovato un compenso nella forte diminuzione dell'emigrazione transoceanica. In misura non molto minore vi ha contribuito l'incremento e la moltiplicazione dei grandi agglomerati urbani e la conseguente diminuzione delle nascite; ma soprattutto, l'apparente inferiorità dell'Europa nello sviluppo demografico è determinata dal fatto che alla vigilia della guerra 1914-18 la densità media della sua popolazione era di circa sei volte superiore a quella di tutto il resto del mondo. Peraltro, le diversità d'incremento demografico dei varî continenti e dei varî stati sono anche e soprattutto da attribuire alle caratteristiche della dinamica demografica.
Le tendenze della dinamica demografica mondiale. - Il forte sviluppo denunciato dalle cifre della p. deriva prevalentemente da un fenomeno generale: la progressiva diminuzione della mortalità. Le scoperte terapeutiche dell'ultimo decennio e i progressi dell'igiene hanno, infatti, consentito di ridurre la mortalità a quote molto basse anche in territorî economicamente arretrati, dove questa toccava, ancora nell'immediato anteguerra, livelli elevatissimi.
Alla progressiva diminuzione della mortalità ha fatto riscontro un mutamento nelle tendenze della natalità, ormai in atto da oltre un ventennio. Fin verso il 1940, la natalità era per lo più molto alta in tutte le popolazioni dell'Asia, dell'Africa, e dell'America centro-meridionale, mentre - dopo un secolo circa di andamento discendente - si era progressivamente ridotta a livelli variabili, ma piuttosto bassi in tutte (o quasi tutte) le p. europee o di origine europea e segnatamente in quelle occidentali. Contrariamente ad ogni previsione, a partire dal 1935-40, nella maggior parte delle p. occidentali (europee o di origine europea) la natalità ha mutato bruscamente il suo andamento; si è, infatti, iniziato un aumento che in qualche caso ha avuto carattere transitorio ma più spesso si è dimostrato stabile, mantenendo la frequenza delle nascite a un livello più elevato (e talora sensibilmente) di quello degli anni prebellici. La ripresa della natalità appare anche legata - almeno in molti paesi - ad una diminuzione dell'età media al matrimonio. Poiché, d'altra parte, nelle p. ad alta natalità una diminuzione di rilievo non si è verificata che eccezionalmente (caratteristica eccezione è quella del Giappone, dove la natalità si è quasi dimezzata nell'ultimo decennio a seguito di una massiccia propaganda per la limitazione delle nascite), ben si comprende come l'incremento demografico abbia registrato in questo ultimo decennio un ritmo molto intenso. Ma, ovviamente, tale ritmo è stato assai più intenso in quelle popolazioni ad alta natalità, dove la mortalità era precedentemente molto alta ed ha subìto quindi riduzioni più rilevanti, mentre assai meno intenso è stato per l'Europa, dove la natalità (nonostante la ripresa) ha un livello piuttosto basso e dove la mortalità già da tempo aveva raggiunto quote abbastanza modeste e trova, d'altra parte, un ostacolo ad ulteriori riduzioni nelle caratteristiche della struttura per età della popolazione.
Diminuzione della mortalità e aumento della natalità hanno apportato, come è ovvio, un notevole mutamento nel tasso d'incremento naturale.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale, i livelli d'incremento naturale superiori al 10‰ erano assolutamente eccezionali in Europa e piuttosto rari anche fuori d'Europa, quelli inferiori al 5‰ molto frequenti e non mancavano casi di eccedenza delle morti sulle nascite (Austria, Francia); attualmente, sono invece eccezionali i livelli d'incremento inferiori al 5‰, mentre i grandi complessi demografici europei ed emra-europei (URSS, S. U. A., India) presentano livelli prossimi o superiori al 15‰ e non pochi paesi (tra cui la Cina) toccano livelli pari o superiori al 20‰.
Questo fenomeno di esplosione demografica ha interessato non solo gli studiosi di problemi della p., ma anche gli statisti e gli economisti, tra i quali ha destato un diffuso allarme. Tale allarme, però, anche se in parte giustificato, è certamente eccessivo, in quanto è molto probabile che il fenomeno abbia carattere transitorio e si attenui più o meno rapidamente a seguito della progressiva diffusione del controllo delle nascite in quei vasti territorî dell'Asia, dell'Africa e dell'America centro-meridionale dove la natalità è tuttora elevatissima; l'esperienza storica dimostra, infatti, che nei territorî sotto-sviluppati al progresso economico segue ben presto la riduzione della natalità, anche dove la propaganda per il controllo delle nascite non forma oggetto di una vera e propria politica demografica.
La situazione demografica italiana nel quadro delle tendenze generali. - a) Il movimento naturale. - Nel quadro delle tendenze generali della dinamica demografica, l'Italia occupa attualmente un posto un po' particolare. Infatti, fino alla vigilia della seconda guerra mondiale la situazione italiana poteva considerarsi intermedia tra quella delle popolazioni in fase avanzata di evoluzione demografica (bassa natalità, bassa mortalità, elevata proporzione di classi in età anziane e senili) e quella delle popolazioni in fase evolutiva ancora arretrata (alta natalità, alta mortalità, elevata proporzione di classi in età infantili); oggi, invece, l'Italia presenta caratteristiche più simili a quelle della prima categoria, mentre la maggior parte dei paesi che rientravano in essa le hanno in parte modificate e sono attualmente caratterizzati da una bassa mortalità e da una natalità relativamente alta. Tale mutata posizione deriva dal fatto che la natalità italiana non ha registrato l'inversione di andamento osservata nella grandissima maggioranza delle p. occidentali e ha continuato a ridursi anche quando in molti paesi a bassa natalità i quozienti sono notevolmente risaliti.
Le attuali tendenze della dinamica demografica italiana non lasciano prevedere mutamenti di rilievo nel prossimo futuro. Le oscillazioni della nuzialità non hanno un preciso carattere sistematico: la frequenza dei matrimonî, che si era un poco ridotta dopo il recupero dei matrimonî dilazionati per cause belliche, si è riportata sui livelli normali del 7,4 7,5‰, stabilizzandosi su tale quota. La natalità - in progressiva riduzione già dalla fine del secolo scorso - ha continuato a diminuire fino al 1952-53; in seguito, l'andamento discendente sembra essersi arrestato ma il quoziente oscilla tra il 17 e il 18‰ senza tuttavia mostrare alcun indizio di ripresa sistematica. L'andamento della mortalità generale - nonostante le inevitabili oscillazioni legate a fattori transitorî (climatici o di altra natura) che influiscono sulle frequenze dei decessi-dopo una prima fase chiaramente discendente indica una tendenziale stabilizzazione del quoziente intorno al valore del 9‰, determinatasi fin dal 1954; tuttora in fase discendente è, invece, la mortalità infantile (che nel corso dell'ultimo decennio si è ridotta di un terzo, ma il cui livello è ancora oggi uno dei più elevati in Europa) e pure in fase discendente è la nati-mortalità (che nello stesso periodo ha subìto una contrazione del 20%).
b) Le caratteristiche strutturali. - Gli effetti della dinamica passata hanno modificato sostanzialmente talune caratteristiche strutturali della p. italiana. La composizione per sesso si è stabilizzata da circa un trentennio intorno ad una cifra di 96 maschi circa per 100 femmine, giacché la diminuita intensità dell'emigrazione (il cui effetto è di ridurre la proporzione di maschi) ha bilanciato l'aumento relativo nella popolazione delle classi di età più avanzata (nelle quali le femmine sono più largamente rappresentate, in conseguenza del più basso rischio di morte femminile).
Una notevole modificazione si è operata, invece, nella composizione per età della popolazione, che ha subìto un progressivo notevole invecchiamento per effetto congiunto della prolungata diminuzione della natalità e della notevole riduzione della mortalità: per valutare sinteticamente la portata di questo invecchiamento si può tener presente che il rapporto tra gli individui di età superiore ai 60 anni e quelli di età inferiore ai 15 anni (indice di vecchiaia) che al 1901 era pari a 28,5, era salito nel 1951 a 46,5 e all'inizio del 1958 a 52,3; attualmente, tuttavia, l'Italia ha ancora una popolazione più "giovane" di quella della maggior parte dei Paesi dell'Europa occidentale.
Bibl.: B. Colombo, La recente inversione nella tendenza della natalità, Padova 1951; J. Beaujeu-Garnier, Géographie de la population, 2 voll., Parigi 1956-1958; J. Vialatoux, Le peuplement humain, 2 voll., Parigi 1957-59; K. Witthauer, Die bevölkerung der Erde, Gotha 1958; Ph. M. Hauser e O. D. Duncan, The study of population, Chicago 1959; S. Chandrasekar, China's population, Hong Kong 1959; G. Mortara, Economia della popolazione, Torino 1960; N. Federici e R. Lenzi, Aspetti demografici del problema delle aree arretrate, in Problemi sullo sviluppo delle aree arretrate, Bologna 1960. V. inoltre: Nazioni Unite, The determinants and consequences of population trends, New York 1953; id., The aging of populations and its economic and social implications, New York 1956; id., Demographical Yearbook, ivi 1958; id., Annuaire statistique, ivi 1959; id., Bulletin mensuel de statistique, novembre 1960.