Popolazione
Il meccanismo della crescita della popolazione
È evidente come nel mondo la p. si accresca soprattutto a causa della differenza fra il numero delle nascite e quello delle morti, mentre le migrazioni incidono molto di meno, salvo in poche specifiche aree o in particolari periodi storici. La p. cresce quando si registrano livelli alti di natalità e/o bassi livelli di mortalità, e al contrario rallenta la sua crescita (o diminuisce) quando le nascite sono poche e/o la mortalità è elevata. Tende infine a essere stazionaria, vale a dire pressoché immutata nell'ammontare, se i livelli di natalità e di mortalità si equivalgono; perché questo accada occorre che, nel lungo periodo, ogni donna abbia mediamente nel corso della sua vita due figli, i quali sostituiranno, nel ciclo delle generazioni, i due genitori che li hanno generati (ed ecco perché si dice in tal caso che la fecondità è pari alla 'soglia di sostituzione'). Nelle p. concrete, le condizioni di natalità e mortalità sono molto variabili, e le dimensioni delle p. - e la loro morfologia e distribuzione sul territorio - sono determinate da combinazioni diverse dei fattori, numerosissimi e di varia natura, che influenzano per l'appunto il nascere e il morire. La dinamica demografica è infatti il risultato complesso e collettivo dei comportamenti demografici individuali e di coppia, sui quali influisce, direttamente o indirettamente, l'ambiente esterno, inteso in senso lato.
Oggi l'uomo riesce a controllare efficacemente tanto la morte precoce quanto la nascita indesiderata; si capisce perciò perché nelle società economicamente avanzate ci si trovi in una fase che può dirsi di demografia controllata. In essa, i processi del nascere e del morire, che trovano la loro radice nella struttura genetica dell'individuo e della coppia, o in termini più generali nell'attitudine a dare la vita e nella limitata capacità di conservarla, sono poi profondamente modificati sia per effetto di impulsi e di scelte che appartengono alla storia particolare dell'individuo e della coppia, sia per effetto di motivazioni ed elementi collettivi che derivano dall'appartenere a una società che ha un proprio ambiente fisico, una propria struttura economica e un proprio tessuto di cultura, leggi e costumi. Per fare un esempio, avere un figlio (o un figlio in più) costituisce una decisione e un evento profondamente diversi in una famiglia istruita e benestante di una città industriale europea oppure in una famiglia povera e analfabeta dell'Africa rurale subsahariana, in cui, fra l'altro, la trasmissione della cultura e delle tradizioni avviene quasi esclusivamente per via orale. Ben s'intende allora quanto più sociale sia nel primo caso l'accadimento-nascita, che pure prende le mosse da una predisposizione biologica e psicologica individuale e di coppia a dare la vita. Nel secondo caso, invece, a essere prevalenti sono le determinanti biologiche e quelle ambientali intese in senso lato, tanto più forti e influenti quanto più ci si rivolga verso società per le quali il processo di modernizzazione è iniziato da relativamente poco tempo o, man mano che si risale indietro nella storia, verso società per le quali il processo di modernizzazione è ancora di là da venire. In contrapposizione alla fase di demografia controllata, questa fase premoderna è detta di demografia naturale; con ogni probabilità, in una prospettiva storica di popolamento della Terra, è durata molte migliaia di anni, e arriva ai giorni nostri per qualche p. particolarmente arretrata.
In quelle società in cui il processo di modernizzazione innescato dalla rivoluzione industriale è cominciato ed è progredito, a partire dall'Europa, tra queste due fasi se ne è sviluppata una terza: la transizione demografica, che ha portato progressivamente le p. da elevati (cioè 'naturali') verso ridotti (cioè 'controllati') livelli di fecondità e mortalità. In questa fase si registra una rapidissima crescita della p. per effetto dello sfasamento temporale tra l'anticipato calo della mortalità e il posticipato declino della natalità, sfasamento, questo, che dilata straordinariamente la differenza tra nascite e morti. Inoltre, la forte crescita della pressione demografica sul territorio non trova più, come nelle società premoderne, un allentamento significativo nelle guerre o nelle catastrofi naturali, ormai progressivamente sconfitte grazie al complesso dei fattori legati all'intero processo di modernizzazione, ma viene fronteggiata soprattutto attraverso la crescita delle risorse.
Nella lunga fase di transizione demografica, il declino della natalità è ritardato, rispetto a quello della mortalità, per ragioni culturali ed economiche da un lato e tecnologiche dall'altro. Infatti, in quasi tutti i Paesi economicamente avanzati il processo di modernizzazione ha impiegato non poco tempo per trasformare la società da largamente rurale e analfabeta, fondata sulla famiglia come unità economica fondamentale, in società urbana, industriale, scolarizzata, dove i molti figli non sono più comunque un beneficio, ma rappresentano anzi un costo per il fatto che sono impegnati sempre di più in lunghi periodi di istruzione e formazione. D'altro canto, la scoperta da parte di G. Pincus della contraccezione ormonale, la cosiddetta pillola, non risale che agli anni Cinquanta del secolo scorso e, quindi, la grande diffusione del controllo volontario delle nascite poté incidere solo successivamente sul calo della fecondità in Europa e nell'America Settentrionale. È stato inoltre necessario che si creassero le condizioni, in primo luogo psicologiche e culturali - oltre che economiche, sociali e anche normative (in molti Paesi la contraccezione e l'aborto volontario erano proibiti per legge ancora negli anni Sessanta) - che permettessero l'accettazione del ricorso generalizzato a metodi contraccettivi, quelle condizioni cioè che facessero risultare alle donne e alle coppie tale ricorso come fatto nel loro 'interesse', dal momento che esse si convincono ad avere meno figli solo quando si accorgono che ciò è per loro effettivamente conveniente.
La popolazione nel 20° e nel 21° secolo
Proprio per l'appena ricordato sfasamento nella discesa anticipata della mortalità rispetto a quella posticipata della natalità, mai nella storia dell'umanità la p. mondiale è cresciuta così intensamente e così rapidamente come nel 20° secolo. Dalla comparsa dell'uomo fino all'alba del secolo scorso la p. è passata da poche migliaia di persone a 1,65 miliardi, mentre nel brevissimo intervallo di tempo costituito dal solo 20° sec. ha superato i 6; al 2005 era stimata in 6,465 miliardi.
Secondo tutte le più accreditate proiezioni, la p. mondiale dovrebbe largamente diminuire l'intensità della sua crescita nel corso del 21° sec., per stabilizzarsi intorno al 2050 su poco più di 9 miliardi; dopo il 2050 potrebbe anche diminuire, se la discesa della fecondità, largamente in corso in quasi tutti i Paesi del mondo, dovesse proseguire fino a portare il numero medio di figli per donna dai 2,55 rilevato intorno al 2005 ai previsti 2,05 (numero che assicura la crescita zero della p.) del 2050, e forse poi ancora di meno.
La velocità di crescita della p. mondiale è stata massima nel decennio 1960-1970, quando il tasso di crescita medio annuo è stato pari al 2,03%, mentre nei primi anni del nuovo secolo è stato poco più della metà (1,18%) e intorno alla metà dello stesso potrebbe scendere allo 0,42%, cioè poco più di un quinto del valore massimo. L'intensità di crescita è stata invece massima nel decennio 1980-1990, quando il numero di persone di cui si è accresciuta ogni anno la p. è stato pari a 84 milioni, per scendere poi a 76 milioni, mentre alla metà del secolo potrebbe scendere a 38, cioè poco meno della metà del valore massimo. L'intensità di crescita diminuisce quindi più lentamente della velocità di crescita. Infatti, lo sviluppo della p. è caratterizzato da una forte inerzia, sostanzialmente per il fatto che le nascite registrate in un certo anno di calendario sono il frutto del numero di bambine nate circa 30 anni prima moltiplicato per il numero medio di figli che esse, diventate donne, procreano in quell'anno; e quindi anche se quest'ultimo numero va diminuendo dappertutto, resta ancora assai elevato il numero delle bambine nate trenta anni prima, e dunque il numero di nascite resta relativamente alto.
Parlare della possibile p. del 2050 potrebbe apparire un puro esercizio di fantasia demografica; ma non è così, perchè negli studi di p. conta molto, come si accennava sopra, il legame fra le successive generazioni, e quindi l'unità di tempo a cui normalmente si fa riferimento è l'intervallo fra le generazioni - cioè la distanza media fra nonni e genitori, fra genitori e figli, e così via - che è pari a circa trenta anni. Il 2050 dista quindi dal 2005 circa una generazione e mezza. Proiettarsi al 2050 significa perciò fare riferimento a persone che sono già nate in larga parte: una persona che aveva 30 anni nel 2000 ne avrà 80 nel 2050; una neonata del 2000 ne avrà 50. Considerando che nella p. italiana l'età mediana (ordinando tutti gli individui secondo l'età, è quella dell'individuo che sta esattamente al centro) al 2050 è stimata in 53 anni, e che fra il 2006 e il 2050 intercorrono 44 anni di calendario, circa il 60% della p. che con ogni probabilità sarà in vita al 2050 è già presente nel Paese al 2006.
Se quindi la p. mondiale è destinata a rallentare la sua crescita, due sono gli elementi che la caratterizzeranno fino al 2050: la fortissima differenziazione territoriale e il fortissimo invecchiamento.
Per quanto riguarda le differenze a livello territoriale, la tab. 1 è estremamente eloquente: per i 50 Paesi più poveri del mondo ci si aspetta fra il 2005 e il 2050 un incremento di poco meno di 1 miliardo di persone, pari al 129%; per il complesso degli altri Paesi in via di sviluppo (che comprendono però i Paesi a più rapida crescita economica, come Brasile, Cina e India) l'incremento atteso è di 1,6 miliardi, pari al 36%; per i Paesi ricchi si prevede una sostanziale crescita zero, di appena 25 milioni, pari al 2,1%.
Tutta la geopolitica e i rapporti economici saranno necessariamente cambiati da questi andamenti così differenziati, che produrranno anche pressioni migratorie fortissime e praticamente inarrestabili, originate soprattutto dai Paesi a sviluppo minimo. Particolarmente declinante dovrebbe essere la p. dell'Europa (inclusa la Russia), che calerebbe da 728 a 653 milioni (nonostante che in questa previsione sia già inclusa un'immigrazione di oltre 23 milioni di persone): al 2005 era europea una persona su nove nel mondo, mentre al 2050 potrebbe esserlo una su quattordici.
Per quanto riguarda l'invecchiamento, significative sono le cifre riportate nella tab. 2. In particolare, i Paesi economicamente progrediti dovranno fronteggiare un invecchiamento di fortissima intensità, dal momento che la loro percentuale di ultrasessantenni dovrebbe raggiungere nel 2050 il 32%. L'incremento di questa p. dovrebbe essere di 156 milioni, mentre tutto il resto, con meno di 60 anni, dovrebbe diminuire (nonostante l'immigrazione) di 131 milioni. I Paesi a sviluppo minimo dovranno fronteggiare un invecchiamento veloce (244%) ma ancora contenuto come intensità. Gli altri Paesi in via di sviluppo dovranno fronteggiare un invecchiamento di fortissima intensità e velocità, dato che vedranno aumentare gli ultrasessantenni di oltre 1 miliardo di individui, pari al 158%.
Dalle cifre emerge ben chiaramente come il problema dell'invecchiamento sarà, dal punto di vista demografico-economico, uno dei problemi dominanti della prima metà del 21° sec., potendo mettere in forte crisi il sistema di welfare e l'intera economia tanto nei Paesi sviluppati, che potrebbero non reggere l'intensità dell'invecchiamento e la concorrenza dei Paesi più giovani, quanto in quelli in via di sviluppo, che non hanno sistemi pensionistici e di protezione sociale diffusi e generalizzati. Né d'altra parte è possibile immaginare che la famiglia, diminuita nei componenti e caricata di estese responsabilità lavorative, possa continuare a giocare, come ha fatto fino ad ora, un ruolo fondamentale di assistenza e sostegno alla p. anziana e vecchia.
Mutamenti socioculturali alla base delle tendenze demografiche
La contraccezione, legandosi inestricabilmente all'aumento dell'istruzione e, insieme a esso, a una nuova condizione della donna, ha innescato un'altra transizione - denominata da qualche studioso seconda transizione demografica - questa volta nella famiglia, attualmente evidente soprattutto nelle società occidentali. Ci si sposa molto più tardi di un tempo perché si studia di più e perché si è, in un primo momento, alla ricerca di stabilità professionale e affettiva; si ha un numero di figli ridotto o, più spesso, ridottissimo, e non sono più i figli del desiderio sessuale, ma i figli del desiderio e del piacere di avere figli, che può realizzarsi solo grazie alla possibilità di ricorrere alla contraccezione e all'aborto. Non c'è più stretto bisogno dell'istituzione famiglia per limitare le nascite e sostentare i figli, che si possono avere e allevare anche al di fuori della famiglia. Si tratta di una rivoluzione nella storia dell'uomo e del popolamento che ha cambiato totalmente la struttura familiare e la costruzione dell'identità degli individui, contribuendo largamente alla nascita del moderno individualismo esasperato.
E d'altra parte, non essendoci più necessariamente alla base della nascita di un figlio le relazioni familiari, le relazioni sessuali possono aver luogo autonomamente rispetto al progetto procreativo. Anche per questo, a partire dall'inizio degli anni Novanta, sono stati elaborati e introdotti in sede internazionale - e in particolare nella Conferenza mondiale su popolazione e sviluppo che l'ONU tenne al Cairo nel 1994 - due concetti del tutto nuovi nel campo dei diritti dell'uomo e della sessualità: quello dei diritti riproduttivi e della salute riproduttiva. Con essi s'intende, per l'appunto, assicurare ai giovani una piena e sana vita sessuale nei lunghi anni che vanno dal suo inizio (che rispetto al passato è sempre più anticipato, ponendosi spesso ai 12-14 anni) fino al matrimonio, o all'inizio di una vita di tipo coniugale, che spesso si pone intorno ai 28-30 anni. In questo lungo intervallo e in quest'ottica va data ai giovani una corretta informazione, la disponibilità di contraccettivi e consultori, l'accesso all'aborto sicuro e gratuito, esteso anche ai minorenni che non abbiano il consenso dei genitori. Perdurano ancora la battaglia ideologica e la forte contrapposizione che fin dalla Conferenza del Cairo si sono accese su questi temi fra i diversi Paesi, alcuni dei quali tendono a rifiutare questa impostazione, mentre altri, soprattutto quelli dell'Europa centrale e settentrionale, spingono fortemente in questa direzione.
Ma, al di là della procreazione - frutto del desiderio e della volontà di avere un figlio che si manifesta nel se, quando e quanti figli avere -, l'atto creativo si va spostando sempre più dalla natura all'uomo, perché l'uomo è diventato realizzabile da parte dell'uomo stesso, che può produrlo e manipolarlo con l'utilizzo della tecnica, nel caso in cui la natura abbia fallito. I limiti della natura sono parzialmente cambiati non soltanto nel dare la vita, ma anche nel lasciarla; infatti, l'intrusione, e spesso l'invasione, della tecnica va costantemente spostando in avanti l'evento morte, lasciando in vita un numero straordinariamente crescente di persone fino a età incredibilmente avanzate.
Emerge così sempre più nettamente nelle società contemporanee, frequentemente lacerando le coscienze, la profonda problematica del biodiritto, vale a dire l'angoscioso interrogativo sul senso del nostro vivere e del nostro morire.
bibliografia
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