POPOLAZIONI FAVOLOSE
Con l'espressione p. favolosa vengono indicate numerose specie di esseri viventi del tutto immaginari, ma documentati da una notevole serie di fonti letterarie e figurative. Si tratta di p. abitanti in terre lontane ed esotiche, che sono caratterizzate da deformità mostruose o che invece mostrano tangibili tratti ferini. Presenti in narrazioni di carattere enciclopedico e geografico, oppure consegnate alla mitologia antica (come i Ciclopi o i Centauri), le p. favolose sono illustrate anche in numerose composizioni allegoriche e nelle drôleries (v.) dei manoscritti miniati.La prima compiuta e vasta documentazione sull'India e sulle sue p. fuori dal comune è contenuta negli Indica di Ctesia di Cnido, medico alla corte del re persiano Artaserse tra la fine del sec. 5° a.C. e gli inizi del successivo. Egli compilò una lunga lista in cui incluse, tra le altre p. favolose, Pigmei e Cinocefali, calandoli in un paesaggio abitato da animali mostruosi o di dimensioni straordinarie. Superando e ampliando le notizie presentate da Erodoto (sec. 5° a.C.), nella sua opera storica (3, 97-106; 4, 44), che a sua volta aveva attinto alle narrazioni di Ecateo di Mileto (sec. 6° a.C.), Ctesia aprì di fatto la strada ai racconti di Megastene (fine del sec. 4° a.C.), che seguirono alla spedizione in India di Alessandro Magno (327-324 a.C.). Benché realmente recatosi in alcune regioni indiane in qualità di ambasciatore per volontà di Seleuco I Nicatore, uno degli eredi del regno macedone, Megastene preferì affidarsi, più che a descrizioni autoptiche, alle fonti letterarie a sua disposizione, che includevano anche testi indiani. In tal modo accettò e fece proprie molte leggende orientali, relative agli esseri mostruosi, che furono così trasmesse alla cultura dell'Occidente. Ciò divenne ancora più tangibile grazie al fatto che Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), autore dei trentasette libri della Naturalis Historia, ebbe tra le sue fonti sia Ctesia sia Megastene. Nel libro VII, in cui tratta della c.d. antropologia fisica, Plinio poté soffermarsi sull'India e sulla regione degli Etiopi, dove abbondavano esseri mostruosi e creature abnormi.Al sec. 2° d.C. risale invece la stesura in greco di un testo che, ben presto tradotto in latino e poi in molte lingue romanze e non, rivestì un ruolo straordinario nel corso di tutto il Medioevo: si tratta del Physiologus, che entrò a pieno diritto in numerosi bestiari (v.), enciclopedie (v.) e trattati medievali, di cui fu il nucleo costitutivo.L'aspetto meraviglioso del racconto pliniano venne sottolineato e amplificato ancora di più nell'agile compilazione di Solino (sec. 3°), che già dal titolo (Collectanea rerum memorabilium) dichiarava il proprio intento: dopo aver attinto a numerose fonti letterarie (da Pomponio Mela a Svetonio Tranquillo), l'autore rimarcava tutte le notizie più straordinarie che riguardassero le p. dell'intera superficie terrestre e i loro usi e costumi.Fecero tesoro delle notazioni presenti in Plinio e in Solino non solo Macrobio (sec. 4°-5°), che nel commento al Somnium Scipionis espose le proprie conoscenze geografiche, ma anche Marziano Capella (sec. 5°), che nel De nuptiis Mercurii et Philologiae (VI) offrì un resoconto accurato di tutte le curiosità di ordine naturale, ivi comprese ovviamente le p. favolose.Queste ultime vennero citate anche da Agostino di Ippona (354-430), che nel De civitate Dei (XVI, 8) si pose la questione se i "genera hominum monstrosa" fossero discendenti di Adamo o di Noè: la sua risposta, che annoverava anche le p. favolose fra le creature di Dio, sanciva in tal modo il passaggio di simili credenze dalla cultura pagana a quella cristiana e ne legittimava perfettamente l'esistenza. Così Isidoro di Siviglia (ca. 560-636) dedicò una parte delle Etymologiae alla trattazione degli esseri mostruosi.Significativi per la cultura dei secoli successivi e per la ricca massa dei dati raccolti su un Oriente lontano e favoloso sono alcuni testi che rielaborarono fonti sia greche sia orientali di carattere mitologico e geografico. Spiccano l'Epistola de rebus in Oriente mirabilibus (conosciuta anche con i titoli di Lettera all'imperatore Adriano sulle Meraviglie dell'Oriente o di Epistola Premonis regis ad Traianum imperatorem), di incerta datazione (sec. 6°-7°), l'Epistola Alexandri ad Aristotelem magistrum suum de situ et mirabilibus Indiae (probabilmente del sec. 7°) e il Liber monstrorum de diversis generibus, nato in ambito sicuramente anglosassone e databile quasi con certezza alla metà dell'8° secolo. Coeva, o leggermente anteriore a quest'ultimo scritto, è l'opera, sempre di origine anglosassone, che va sotto il nome di Cosmographia di Aethicus Ister (lo pseudoEtico) e che costituì il vero punto di snodo della cartografia medievale per la sua vasta diffusione. Il ricco capitolo sui mostri compreso nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia venne ulteriormente elaborato da Rabano Mauro (784-856), che nel De Universo l'accrebbe di ampi commenti di carattere misticoallegorico, atti a spiegare le fattezze di ogni singolo essere preso in esame. Ratramno di Corbie (sec. 9°) concentrò invece la propria attenzione su un solo gruppo di p. favolose, i Cinocefali, che egli descrisse nella Epistola de Cynocephalis ad Rimbertum presbyterum scripta: ancora una volta, a muovere l'interesse del dotto monaco è la possibilità anche per una simile razza mostruosa di godere della redenzione divina.Le p. favolose compaiono poi nelle grandi raccolte di notizie approntate nei secc. 12° e 13° - nel momento in cui si consolida e si rafforza la tradizione enciclopedica - e che segnarono uno sforzo straordinario nella riorganizzazione e nella catalogazione di tutti i dati culturali fino ad allora conosciuti. Si passa così dall'Imago mundi attribuita a Onorio Augustodunense (ca. 1090-poco dopo la metà del sec. 12°), all'Image du monde (1248) di Gossuino di Metz e agli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (m. dopo il 1214), compiuti verso il 1211 per l'imperatore Ottone IV, che costituiscono una vera e propria concessione al gusto orientale, debitori come sono a testi quali la già citata Epistola de rebus in Oriente mirabilibus. Vanno ancora ricordati il De proprietatibus rerum (verso il 1220) di Bartolomeo Anglico, il Trésor di Brunetto Latini (databile intorno al 1260) e il monumentale Speculum naturale di Vincenzo di Beauvais (ca. 1190-1264), in cui è dedicato ampio spazio alle p. favolose (XXXI; ma si veda anche il libro primo dello Speculum historiale).Altre opere rilevanti per la storia delle p. favolose, di carattere non meramente enciclopedico ma più spesso con intenti descrittivi geografici o di storia naturale, sono sicuramente il Liber floridus (1140) di Lambert de Saint-Omer, il Liber de monstruosis hominibus Orientis (che ebbe una notevole diffusione anche per conto proprio, pur facendo parte di una composizione più vasta - il Liber de natura rerum - redatta tra il 1228 e il 1244) di Tommaso di Cantimpré (1200-1274) e infine l'Imago mundi di Pierre d'Ailly (1350-1420), opera con la quale si giunge fino ai primi anni del 15° secolo.La presenza delle p. favolose viene anche registrata in numerose carte geografiche o in testi come i Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana (m. nel 798), che prevedeva tra le illustrazioni esplicative anche una mappa mundi.Nuovi resoconti e nuove prove dell'esistenza delle p. favolose vennero forniti dai viaggi, veri o immaginari, compiuti in un Oriente comunque pieno di meraviglie: accanto alla Lettera del Prete Gianni (penultimo quarto del sec. 12°), pervenuta in varie redazioni del testo e in un impressionante numero di manoscritti, si possono citare il Milione di Marco Polo (1298) e il Voyage d'outre mer (De mirabilibus mundi) di Jean de Mandeville, redatto dapprima in francese, forse nel 1356, e ben presto tradotto in numerose lingue.Infine, alcune notizie relative alle p. favolose sono affidate alle pagine del Romanzo di Alessandro dello pseudo-Callistene (sec. 3°-4°), dalla vastissima diffusione, che tramandò a tutto l'Occidente medievale il mito di Alessandro Magno, come testimonia Jacques de Vitry (m. nel 1240) con l'Historia Orientalis sive Hierosolymitana.
Rappresentante di una stirpe favolosa di uomini nati senza testa, con occhi, naso e bocca posti sulle spalle; gli Acefali furono anche conosciuti con il nome di Blemmyae.Ricordati da Plinio il Vecchio (Nat. Hist., 5, 44 e 46; 7, 23-24) e da Aulo Gellio (Noc. Att., 9, 4, 9), gli Acefali vengono poi citati da Solino (Coll. rer. mem., 31, 3; 52, 32), Marziano Capella (De nupt. Mer. et Phil., I, 4, 23; VI, 6, 74), Agostino (De civ. Dei, XVI, 8, 22-23) e poi ancora da Isidoro di Siviglia (Etym., XI, 3, 17) e da Rabano Mauro (De Univ., VII, 7).La raffigurazione dell'Acefalo compare spesso come motivo ornamentale o come drôlerie di vari manoscritti che hanno conservato le opere più diverse. Nel Salterio Rutland (Londra, BL, Add. Ms 62925), databile verso il 1250, la figura dell'Acefalo è rappresentata per ben due volte: dapprima a c. 57r, poi a c. 87v, ove appare mentre sta lanciando una freccia contro uno Sciàpodo. Esso compare a c. 82r in un altro manoscritto inglese (Londra, BL, Cott. Tib. B.V), una miscellanea del sec. 11°, così come a c. 102v di un manoscritto coevo (Londra, BL, Cott. Vit. A.XV). L'Acefalo non manca neppure nel notissimo manoscritto del De Universo di Rabano Mauro (Montecassino, Bibl., 132, p. 166v). Al sec. 12° risalgono una Bibbia (Londra, BL, Harley 2798-2799, c. 243r) e una miscellanea (Oxford, Bodl. Lib., 614, c. 41r), entrambe con una raffigurazione dell'Acefalo; esso ritorna, inoltre, anche in manoscritti di carattere enciclopedico, come un duecentesco codice di Milano (Bibl. Ambrosiana, C.246 inf.), che contiene l'opera di Solino: a c. 57r, fra numerosi mostri e animali esotici figura l'Acefalo, che è presente anche in un manoscritto contenente l'Image du monde di Gossuino di Metz (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, 2200, c. 71r), coevo al codice milanese. L'Acefalo trova posto poi nei bestiari e in particolare in due esemplari del sec. 13° conservati a Londra (coll. privata, già Sion College Lib., Arc. L 40 2/L 28, c. 117v; Westminster Chapter Lib., 22, c. 3r).
Mitico essere cui erano attribuite le caratteristiche di entrambi i sessi, per cui è generalmente rappresentato con tratti fisionomici sia maschili sia femminili, l'Androgino è ricordato da Plinio (Nat. Hist, 7, 15-16 e 34), da Aulo Gellio (Noc. Att., 9, 4, 16), da Agostino (De civ. Dei, XVI, 8, 12-14), da Paolo Orosio (Hist., V, 8-11), nonché da Isidoro di Siviglia (Etym., XI, 3, 11-12) e da Giovanni Scoto Eriugena (De div. nat., II, 4, 8, 12 e 14).Rappresentazioni dell'Androgino compaiono in alcuni manoscritti che trattano di prodigi o mostri cui si prestava fede nel Medioevo. Tale è il caso di alcuni manoscritti già citati (Oxford, Bodl. Lib., 614, c. 50v; Westminster Chapter Lib., 22, c. 32r; Montecassino, Bibl., 132, p. 166r). Inoltre compare, sotto l'aspetto di Eva barbuta, in un affresco di Saint-Sernin a Tolosa, databile intorno al 1100; va rilevata poi la sua raffigurazione nel timpano, superbamente scolpito, del portale centrale della cattedrale della Sainte-Madeleine a Vézelay, in Borgogna (1120-1132). Un altro celebre esempio di Androgino, conosciuto anche con il nome di Ermafrodito, è costituito dalla 'Potta' di Modena, una mensola scolpita dal Maestro delle Metope nei primi decenni del sec. 12°, posta originariamente all'esterno della cattedrale e ora nel Mus. Lapidario del Duomo; la figura, sebbene largamente rimaneggiata nel Cinquecento, conserva ancora chiaramente la mescolanza dei sessi, che mette ben in evidenza con il divaricare le gambe: è rappresentata, infatti, seduta e con le braccia poste intorno alle ginocchia.
P. mitica dalle caratteristiche non ben definite, secondo alcune fonti gli Antipodi hanno i piedi, dotati di otto dita, posti al contrario, cioè rivolti verso la schiena dell'individuo, da cui il loro nome; secondo altre fonti questa p. vive agli antipodi del mondo abitato, aderendo con i piedi alla superficie terrestre, mentre la testa è immaginata sospesa nel vuoto.Gli Antipodi sono citati da Plinio il Vecchio (Nat. Hist., 7, 11 e 22-23), da Aulo Gellio (Noc. Att., 11, 4, 6), da Solino (Coll. rer. mem., 52, 26-27). Sono poi ricordati anche da Agostino (De civ. Dei, XVI, 8), Isidoro di Siviglia (Etym., IX, 2, 133; XI, 3, 24), da Rabano Mauro (De Univ., VII, 7) e dal Liber monstrorum de diversis generibus (XXIX e LIII).La figura dell'Antipode con i piedi posti al contrario e dotati di otto dita compare in cicli illustrativi di vari manoscritti miniati (Londra, BL, Harley 2798-2799, c. 243r; Oxford, Bodl. Lib., 614, c. 50r). L'Antipode è presente anche nel manoscritto 132 della Bibl. di Montecassino (p. 166), dove non presenta però i piedi posti all'indietro, anche se ognuno di essi ha otto dita. Raffigurazioni dell'Antipode compaiono poi per es. in due bestiari del sec. 13° (Oxford, Bodl. Lib., Douce 88, c. 69v; Cambridge, Univ. Lib., Kk.4.25, c. 52r). Alcune carte geografiche medievali seguono invece la seconda linea interpretativa: è il caso, per es., della mappa dell'abbaziale di Ebstorf, in Germania, del 1240 ca. (distrutta nel 1943; già Hannover, Niedersächsisches Hauptstaatsarch.), in cui gli Antipodi si distinguevano dalla folla di personaggi favolosi perché rappresentati al contrario rispetto a questi. Un'altra testimonianza illuminante è costituita da una metopa della cattedrale di Modena (Mus. Lapidario del Duomo, sec. 12°), in cui si vede una donna dalla lunga treccia che si abbraccia le ginocchia e, di fronte lei, ma al contrario, un uomo raffigurato nello stesso atteggiamento. Infine, bisogna ricordare che gli Sciàpodi assumono talvolta le funzioni di Antipodi, come nella carta di Beato di Liébana (Burgo de Osma, Catedral, Bibl., 1, cc. 34v35r), datata al 1086.
P. dai contorni mitici che si riteneva si cibasse di carne umana, gli Antropofagi erano spesso considerati una stirpe degli Sciti.Sono ricordati da Plinio il Vecchio (Nat. Hist., 7, 9 e 11-12) e da Pomponio Mela (De chor., 2, 1, 14); vengono anche citati da Aulo Gellio (Noc. Att., 9, 4, 6), da Solino (Coll. rer. mem., 15, 4 e 13; 30, 7-8; 50, 1) e da Marziano Capella (De nupt. Mer. et Phil., I, 663; VI, 693). La loro esistenza viene poi attestata anche da Isidoro di Siviglia (Etym., IX, 2, 132), dal Liber monstrorum de diversis generibus (XXXIII) e da Remigio d'Auxerre (Commentum in Martianum Capellam, VI, 33, 11).L'Antropofago - ne compare generalmente uno solo - è rappresentato sempre come un uomo dalle grandi membra e dall'aspetto minaccioso che sta per divorare un altro essere umano. Frequente è la sua presenza in cicli decorativi di manoscritti miniati (Londra, BL, Cott. Tib. B.V, cc. 81v, 83v e 87v, con l'Antropofago che sta ingoiando la gamba di un uomo; Oxford, Bodl. Lib., 614, c. 40v; Londra, coll. privata, già Sion College Lib., Arc. L 40 2/L 28, c. 117r; Oxford, Bodl. Lib., Douce 88, c. 70r); inoltre compare sulle mappae mundi, come quella di Riccardo di Haldingham, nella cattedrale di Hereford (ca. 1290), dove l'Antropofago, discendente diretto di Caino, è generalmente posto nell'Asia nordorientale.
Descritti come uomini con la testa di cane - ma Plinio (Nat. Hist., 7, 31) e Solino (Coll. rer. mem., 27, 58) chiamano con tale nome anche alcune scimmie dell'Etiopia -, i Cinocefali, secondo numerose fonti, vivevano in un territorio corrispondente all'India. Ne danno notizia in tal senso sia Plinio (Nat. Hist., 7, 23), che cita come propria fonte Ctesia, sia Solino (Coll. rer. mem., 52, 27), che porta invece come proprio riferimento Megastene. I Cinocefali, che sono spesso caratterizzati anche da denti e zampe canine con lunghi artigli e che comunicano con latrati, sono menzionati da Agostino (De civ. Dei, XVI, 8), Isidoro di Siviglia (Etym., XI, 3, 15), Rabano Mauro (De Univ., VII, 7), dal Liber monstrorum de diversis generibus (XVI), da Onorio Augustodunense (Im. mundi, I, 12), dalla Lettera del Prete Gianni (XIV), da Bartolomeo Anglico (De propr. rer., XV, 73) e da Vincenzo di Beauvais (Spec. nat., XXI, 126; Spec. hist., I, 92-93).Il luogo d'origine dei Cinocefali viene localizzato in alcune isole vicine all'India da Marco Polo (Milione, 168, isola di Angaman) e da Jean de Mandeville (De mir. mundi, 21, isola di Nacumera). Ma la sede di questa p. è posta anche nel continente africano: Erodoto indica la Libia (4, 191), mentre Plinio situa i Cinomolgi, un'altra p. con la testa di cane, in Etiopia (Nat. Hist., 6, 195), seguito da Solino (Coll. rer. mem., 30, 8). I Cinocefali sono ricordati ancora nell'estremo Nord dalla Cosmographia dello pseudo-Etico (II, 28) e in Russia da Giovanni da Pian del Carpine (Hist. Mong., V, 13), che negli anni 1245-1247 aveva guidato una spedizione in Oriente voluta da papa Innocenzo IV.Il testo sicuramente più significativo è la citata Epistola del monaco Ratramno di Corbie; essa affronta la questione se tale p. possa essere definita appartenente alla stirpe umana o meno e se quindi in lei vi sia la presenza di un'anima razionale. Come prova che i Cinocefali non vadano annoverati fra gli esseri ferini, Ratramno ricorda che anche s. Cristoforo appartenne alla loro stirpe. Tale menzione si fonda sulla leggenda attestata dalla Passio Christophori (sec. 7°), un testo molto diffuso nell'Occidente medievale, secondo la cui narrazione il pagano Reprobo "de Cynocephalorum oriundus genere" si sarebbe convertito e avrebbe assunto il nome di Cristoforo (Lecouteux, 1981).La tradizione iconografica relativa ai Cinocefali è strettamente legata ai testi che ne forniscono una descrizione, senza per questo escludere anche occorrenze isolate di tale p. favolosa. Risale al sec. 13°, ma presuppone modelli ben più antichi - un originale del sec. 9° che potrebbe avere a sua volta come antecedenti addirittura archetipi del sec. 6°-7° -, il citato manoscritto dell'opera di Solino (Milano, Bibl. Ambrosiana, C.246 inf.), dove, a c. 57r, compare un Cinocefalo effigiato, completamente nudo, insieme con altri esseri mitici e favolosi. Nella stessa foggia e nello stesso contesto, ma raffigurato mentre azzanna un animale, compare su una Bibbia (Londra, BL, Harley 2798-2799, c. 243r).I testi sulle meraviglie dell'Oriente (in primo luogo l'Epistola de rebus in Oriente mirabilibus) sono conservati in tre manoscritti miniati inglesi già citati (Londra, BL, Cott. Vit. A.XV; Cott. Tib. B.V; Oxford, Bodl. Lib., 614). Se nel primo codice londinese, a c. 100r, il Cinocefalo compare coperto di una veste di stoffa, a c. 80r del secondo manoscritto esso è raffigurato nudo e con una criniera di cavallo lungo il collo, mentre con la mano sinistra si porta alla bocca una foglia strappata da un albero posto su di una roccia, così come pure nel terzo codice (c. 38r), che dal secondo strettamente dipende.Presente anche nei manoscritti miniati di Rabano Mauro (per es. Montecassino, Bibl., 132, p. 166r, che si basa su cicli miniati risalenti al sec. 9°), la figura del Cinocefalo ritorna nei manoscritti illustranti il Liber de natura rerum di Tommaso di Cantimpré (Breslavia, Bibl. Uniw., Rehdig. 174, c. 43v, del sec. 13°, dove è raffigurato ricoperto di pelliccia e con il capo cornuto, così come anche a Praga, Knihovna Národního muz., XIV A 15, c. 32r, databile al 1350 ca. e forse di area boema). In un altro codice del Liber (Dublino, Chester Beatty Lib., 80, c. 9r), più tardo (1425) ed eseguito in Provenza, il Cinocefalo è raffigurato sempre ricoperto di pelliccia, ma mentre si muove a carponi.Leggermente anteriore (1411-1412) è un manoscritto di Parigi (BN, fr. 2810) che illustra i viaggi di Jean de Mandeville: a c. 76v compaiono due gruppi di Cinocefali, abbigliati come nobili contemporanei, intenti a discutere e a mercanteggiare. E la figura di un Cinocefalo è presente anche in testi storico-narrativi quali il Roman de toute chevalerie (Parigi, BN, fr. 24364, c. 51r, del sec. 14°) o nei bestiari (per es. Londra, coll. privata, già Sion College Lib., Arc. L 40 2/L 28, c. 117r), dove compare la figura di un Cinomolgo, un Cinocefalo antropofago, che infatti sta azzannando un arto umano. La presenza dei Cinocefali è legata inoltre al tema dell'evangelizzazione di tutti i popoli della terra, fra cui ovviamente anche tale p. favolosa.Un Cinocefalo figurava, armato di arco e frecce, nella grande carta dell'orbe terrestre già a Ebstorf, mentre nella mappa mundi di Hereford i Cinocefali sono due e in atto di dialogare. Nel primo caso questa p. favolosa trova la sua collocazione in Africa occidentale e nell'India orientale, mentre la carta di Hereford colloca i Cinocefali a N, secondo le indicazioni della Cosmographia (II, 38) dello pseudo-Etico. Una coppia di tali personaggi intenti a parlare tra loro compare poi nella cornice del timpano del portale centrale della Sainte-Madeleine di Vézelay.Anche nella vetrata del rosone della facciata del transetto meridionale della cattedrale di Losanna (metà del sec. 13°), che costituisce un vero e proprio repertorio enciclopedico figurato del mondo medievale, compare un Cinocefalo con il corpo ricoperto di peli mentre sta azzannando un arto umano: esso trova posto accanto al fiume Tigri e l'iscrizione lo designa come appartenente ai Cinomolgi.Nell'affresco absidale della chiesa di S. Giacomo a Termeno (prov. Bolzano), databile al primo quarto del sec. 13°, un Cinocefalo con il corpo nudo e con i piedi palmati sta per portare alla bocca una lunga serpe.In area bizantina le raffigurazioni di Cinocefali sono legate soprattutto a testi sacri quali i salteri. Infatti, a illustrare Sal. 22 (21), 17 (Quoniam circumdederunt me canes multi) compaiono alcuni Cinocefali ai lati di Cristo, uno dei quali è spesso rappresentato mentre lo sta colpendo: è il caso del Salterio Chludov (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Add.gr. 129, c. 19v, del sec. 9°), del Salterio Barberini (Roma, BAV, Barb. gr. 372, c. 33r, del sec. 11°) e del Salterio di Teodoro (Londra, BL, Add. Ms 19352, c. 23r, del 1066).Ma la figura di un Cinocefalo si riconosce anche in miniature che mostrano gli Apostoli mentre predicano ai popoli della terra dopo la discesa dello Spirito Santo, come nei citati salteri Chludov (c. 19r), Barberini (cc. 28r/v), e di Teodoro (cc. 19v e 20r), in un altro manoscritto conservato a Roma (BAV, Vat. gr. 1927, c. 29v, del sec. 12°), e in un evangeliario armeno del 1262 (Baltimora, Walters Art Gall., 539, c. 379r), opera di T'oros Roslin.
Tale p. favolosa deve il proprio nome all'enormità delle orecchie, in grado di ricoprire l'intero corpo. Ricordati da fonti greche come i peripli di Ctesia (nr. 688 F 45t), che parla di uomini con orecchie lunghe e serpentinate, e di Scìlace (nr. 709 F 7b), e le descrizioni dell'India di Megastene (nr. 715 F 27b), i Panotii sono menzionati per ben due volte da Plinio, che pone la loro sede in India (Nat. Hist., 7, 30), ma nomina anche la p. dei Phanesii (Nat. Hist., 4, 95), caratterizzata a propria volta da grandi orecchie e abitante nel Nord della Scizia. Indicano i Panotii come esseri con enormi padiglioni auricolari con cui coprono il proprio corpo nudo Solino (Coll. rer. mem., 19, 8) - che li designa anch'egli con il termine di Phanesii -, Isidoro di Siviglia (Etym., XI, 3, 19), Rabano Mauro (De Univ., VII, 7), Bartolomeo Anglico (De prop. rer., XVIII, 46) e Vincenzo di Beauvais (Spec. nat., XXXI, 127; Spec. hist. I, 92).Più accurata è la descrizione che compare nei testi che fanno capo all'Epistola de rebus in Oriente mirabilibus. Nelle diverse redazioni (XXVI, 4), i Panotii presentano un corpo bianchissimo e una grossa testa da cui sporgono orecchie talmente grandi da far pensare che con esse possano spostarsi quando sono impauriti o minacciati. E tali indicazioni sono riprese negli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (XXVI, 4).La tradizione iconografica della figura dei Panotii, generalmente ritratti nudi, è legata strettamente ai testi che ne documentano l'esistenza. Nella citata Bibbia di Londra (BL, Harley 2798-2799, c. 243r) uno di tali personaggi appare caratterizzato da due immensi padiglioni auricolari con cui ricopre, come un ampio mantello, tutto il suo corpo. Anche nel codice di Rabano Mauro di Montecassino (Bibl., 132, p. 166r) il personaggio ha lunghe orecchie che scendono lungo i suoi fianchi, così come in un altro manoscritto del De Universo (Roma, BAV, Pal. lat. 291, c. 75v, del 1425).Raffigurazioni dei Panotii compaiono poi in alcuni citati manoscritti inglesi (Londra, BL, Cott. Vit. A.XV, c. 104r, dove il personaggio ha due grandi padiglioni auricolari tondeggianti a forma di ventaglio; Cott. Tib. B.V, c. 83v). Nel codice di Oxford (Bodl. Lib., 614, c. 43v) tale p. favolosa è contrassegnata da lunghe orecchie che si avvolgono attorno alle braccia come serpi; quest'ultimo particolare è significativo perché chiarisce come l'illustrazione non segua il testo, bensì la descrizione di Ctesia.I Panotii figurano anche nei bestiari (Oxford, Bodl. Lib., Douce 88, c. 70r, con ampie orecchie a ventaglio), e nelle drôleries di manoscritti come il citato Salterio Rutland (Londra, BL, Add. Ms 62925, c. 88v).Nel timpano del portale centrale della Sainte-Madeleine di Vézelay compare, tra le altre p. che affollano l'architrave portante, una coppia di Panotii con il loro piccolo, che presentano larghi padiglioni auricolari a ventaglio, mentre nella carta di Ebstorf e in quella di Hereford ricompare un personaggio con lunghe orecchie che scendono fin sui fianchi.
Gli Sciàpodi sono contraddistinti dall'avere un'unica gamba terminante in un grande piede con il quale sono in grado di ripararsi dal sole: essi, infatti, si sdraiano a terra, poggiandosi sulla schiena e spesso anche con una mano o un braccio, e alzano l'arto inferiore a mo' di grande ombrello.Secondo Plinio (Nat. Hist., 7, 23) e Solino (Coll. rer. mem., 52, 29-30), che citano come propria fonte Ctesia, essi vivono in India e riescono anche a correre con l'unica gamba, compiendo salti con grande velocità. Plinio designa la p. favolosa non solo con il nome di Monocoli, ma anche come Sciàpodi ed è con questo secondo termine che essi vengono menzionati da Agostino (De civ. Dei, XVI, 8), Isidoro di Siviglia (Etym., XI, 3, 23), Rabano Mauro (De Univ., VII, 7), Onorio Augustodunense (Im. mundi, I, 12), Vincenzo di Beauvais (Spec. nat. XXXI, 127; Spec. hist., I, 92), che come i due autori precedenti pone gli Sciàpodi in Etiopia, e Gossuino di Metz (Image du monde, II, 2C), che parla di Cyclopien, attestando una confusione con i Ciclopi della tradizione mitologica classica e Brunetto Latini (Trésor, I, 122, 21).La fortuna dell'immagine dello Sciàpodo - ne è generalmente raffigurato uno solo - si dimostra fortemente relata agli scritti in cui viene menzionata tale p. favolosa ed è ben documentata nel codice milanese di Solino (Bibl. Ambrosiana, C.246 inf., c. 57r), dove appare come un uomo barbuto che si erge in piedi sull'unica gamba; nella citata Bibbia londinese (BL, Harley 2798-2799, c. 243r) lo Sciàpodo è invece raffigurato di profilo e sdraiato a terra, mentre con la mano destra regge l'unica gamba dall'enorme piede e tiene la mano sinistra sollevata sopra al capo.Tale postura ritorna quasi invariata nei manoscritti illustrati del De Universo di Rabano Mauro: nei codici cassinese (Montecassino, Bibl., 132, p. 166r) e vaticano (Roma, BAV, Pal. lat. 291, c. 75v), il gesto si differenzia solo perché nel primo caso lo Sciàpodo non regge la propria gamba con nessuna mano, mentre nel secondo la sostiene con entrambe.Uno Sciàpodo compare anche nel citato manoscritto di Oxford (Bodl. Lib., 614, c. 50r), adagiato a terra e nell'atto di sorreggersi sul suo gomito destro, con cui bilancia il peso della gamba innalzata verso l'alto e sulla quale posa la sua mano sinistra; nel citato bestiario inglese (Londra, Westminster Chapter Lib., 22, c. 3r) è invece raffigurato frontalmente e senza vesti, mentre si appoggia a terra con il braccio sinistro piegato e con quello destro sorregge la grande gamba dotata di un piede ampio e piatto, quasi una zampa palmata. Nel Salterio Rutland (Londra, BL, Add. Ms 62925) la figura dello Sciàpodo compare a c. 87v: poggiando la schiena a terra, egli regge con entrambe le mani il grande piede palmato.Nei manoscritti del Liber de monstruosis hominibus Orientis di Tommaso di Cantimpré si riscontra una grande varietà di figurazioni di tale p. favolosa. Il manoscritto di Bratislava (Bibl. Uniw., Rehdig. 174, c. 44r) presenta lo Sciàpodo in atto di appoggiare tranquillamente il proprio capo su entrambe le braccia e di tenere sollevata la gamba, mentre in quello di Praga (Knihovna Národního muz., XIV A 15, c. 32v) egli è stranamente rappresentato con entrambi gli arti inferiori.La presenza dello Sciàpodo è frequente anche nelle carte geografiche medievali: esso compare infatti sia nella carta di Burgo de Osma (Catedral, Bibl., 1, cc. 34v-35r), ove figura come Antipodo, sia in un più tardo manoscritto parigino (BN, nouv.acq.lat. 1366, cc. 24v-25r, del sec. 12°), a illustrazione del prologo del secondo libro dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana, così come nelle carte di Ebstorf e di Hereford.Lo Sciàpodo è una delle figure mostruose che popolano anche la decorazione plastica delle chiese romaniche e gotiche: è presente, per es., in un capitello della cripta della piccola chiesa romanica di Saint-Parize-le-Châtel (dip. Nièvre, del 1113) e nel portale centrale della cattedrale di Sens (dip. Yonne, del 1200 ca.)
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