Popoli e culture dell'Italia preromana. I Piceni
Con il nome di Piceni si designano le popolazioni di lingua umbro- sabellica abitanti la fascia medio-adriatica convenzionalmente compresa tra il fiume Foglia a nord, il Tronto a sud e i rilievi della dorsale umbro-marchigiana a ovest, con confini diversi rispetto a quanto le fonti (Plin., Nat. hist., III, 18, 110-12) ci informano, che saranno successivamente quelli della Regio V (Picenum) di età augustea, compresa tra il fiume Esino a nord e il Salino o il Pescara a sud e comprendente anche le popolazioni ora indicate come medio-adriatiche. Una linea di demarcazione, costituita dallo stesso Esino, tra il territorio del Piceno settentrionale e quello meridionale, si riflette nella differenziazione dei caratteri epigrafici e linguistici delle iscrizioni, distinte in “nord-picene” e “sud-picene”. A partire dall’età arcaica è comunque questo fiume, piuttosto che il Foglia, a segnare il confine settentrionale tra le genti di cultura picena e umbra.
Alla tradizione italico-romana si devono varie rielaborazioni della leggenda sulle loro origini: tramandatoci da Plinio (Nat. hist., III, 18, 110), ma risalente a Verrio Flacco e ripreso anche da autori greci come Strabone (V, 3, 1; 4, 2), è infatti il racconto che collegava il loro arrivo nelle Marche a una migrazione di genti sabine, organizzata nella forma rituale del ver sacrum, che avrebbero tratto il loro nome dal picchio (Picus), animale totemico sacro a Marte assunto come guida. Una conferma sul piano linguistico degli stretti legami esistenti con la Sabina è offerta dall’iscrizione in lingua “sud-picena” da Cures Sabini (presso Farfa) e dalle tre stele di Penna Sant’Andrea (Teramo), databili al V sec. a.C., in cui compare un etnico safin- (sabino) per designare il carattere della comunità citata nel testo. Nella fase del Bronzo Medio e Finale l’area picena è interessata da una serie di piccoli insediamenti sparsi, sia sulla costa (Ancarano di Sirolo, Massignano, Ripatransone), di cui si sono evidenziati i rapporti con le culture balcaniche, che nell’entroterra (Santa Paolina di Filottrano, Montefrancolo di Pollenza, Moscosi di Cingoli), questi ultimi in contatto con le popolazioni terramaricole, ma progressivamente abbandonati o in declino alla fine dell’età del Bronzo, a vantaggio di quelli costieri.
A questa fase risale l’insediamento sul colle dei Cappuccini ad Ancona, dove una necropoli viene impiantata sul sito del precedente abitato. Dell’importanza che i traffici marittimi rivestono in questa fase, soprattutto per l’approvvigionamento dell’ambra baltica che arrivava nel Piceno, ci offrono indiretta testimonianza i frammenti di ceramica del Miceneo IIIB rinvenuti sul Colle del Montagnolo (Ancona) e a Treazzano di Monsampolo (Ascoli Piceno). Il rito funerario prevede l’incinerazione; tra le necropoli si ricorda quella di Pianello del Genga, presso Ancona, con i resti del defunto collocati entro anfore od olle ricoperte da una ciotola e accompagnate da fibule, spilloni, oggetti di ornamento e rasoi. Ripostigli di bronzi composti da armi e utensili frammentari databili tra XI e X sec. a.C., sono stati rinvenuti a Monte Primo e Marsia. Lo sviluppo della cultura picena a partire dall’età del Ferro è stato suddiviso in sei fasi principali, che vanno dal IX secolo fino al 295 a.C., data della battaglia di Sentinum, oppure al 268 a.C., al termine degli scontri con Roma originati dalla deduzione della colonia di Ariminum (Rimini), che segnarono la fine dell’autonomia della regione. Alla base della sua formazione si è riconosciuto il concorso di culture diverse, quella appenninica, protovillanoviana e delle popolazioni transadriatiche.
Per le prime due fasi dell’età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.) le conoscenze relative agli abitati si basano sui resti del colle dei Cappuccini ad Ancona, Osimo, Moie di Pollenza e nel territorio ascolano, ove gli insediamenti sono impiantati in alcuni casi su siti dell’età del Bronzo, anche se non è dimostrabile una continuità di vita con la fase precedente. Vengono predilette sia le località costiere che quelle nell’entroterra, lungo gli assi di comunicazione diretti all’interno, paralleli alle valli fluviali. I materiali dagli abitati comprendono ceramiche, manufatti di corno e osso, strumenti per la filatura e la tessitura, forme litiche di fusione per la lavorazione del bronzo, attestata anche dal rinvenimento di un ripostiglio dai pressi di Urbino nel Museo Pigorini. Per le necropoli i dati più antichi sono offerti dalle due incinerazioni in pozzetto di Numana e dai sepolcreti di colle Cardeto, via Villarey e piazza Malatesta ad Ancona, ove, accanto all’incinerazione, compare l’inumazione del defunto in posizione rannicchiata su letto di ghiaia, una pratica che perdurerà nella tradizione locale. Nel corredo la presenza di ceramiche si limita all’urna e successivamente a qualche kantharos e kothon; più numerosi gli oggetti di ornamento di bronzo, osso e ambra, comprendenti per le tombe femminili fibule, pettorali del tipo a placca trapezoidale con protomi ornitomorfe, orecchini e bracciali, per quelle maschili armi (spade, lance) e utensili.
Svariati manufatti evidenziano già in queste fasi i rapporti con la cultura villanoviana del versante tirrenico (rasoi, spade ad antenne da Ancona a Fermo), con il bolognese, ma anche con l’area balcanica e le sponde orientali dell’Adriatico, ove sono stati rinvenuti armi e oggetti di ornamento di tipo italico. La presenza già nell’VIII sec. a.C. di ceramica daunia nel Piceno (olla dalla tomba 34 di Novilara) indica la precocità dei rapporti con le regioni meridionali lungo le rotte percorrenti in senso nord-sud l’Adriatico, che si intensificheranno successivamente, e l’importanza del Piceno per l’approvvigionamento dell’ambra, la cui lavorazione è attestata nelle fasi più antiche della necropoli di Novilara (IX sec. a.C.). La presenza a Fermo di un’enclave di cultura villanoviana è nota dai reperti delle necropoli a incinerazione entro biconici databili tra il IX e l’VIII sec. a.C. (contrada Mossa e Misericordia) ed è stata spiegata con l’arrivo di gruppi di individui dall’Etruria, assimilati già nel VII sec. a.C. dalle popolazioni locali.
A nord del fiume Esino, le necropoli di Novilara (di cui non è stato localizzato l’insediamento antico) mostrano la ricezione di spunti del Villanoviano bolognese e dei rapporti con la comunità di Verucchio, la Dalmazia e l’Istria, sviluppandosi per un arco cronologico che va dal IX al VI sec. a.C. Nella III fase (700-580 a.C.) anche nel Piceno si afferma la cultura orientalizzante, parallelamente allo sviluppo, all’interno della società, di gruppi aristocratici, il cui rango è sottolineato dall’uso di deporre nelle sepolture carri (anche in quelle femminili), armi, manufatti pregiati, spesso di importazione. I traffici interadriatici sono molto intensi, tanto da configurare una koinè fra le popolazioni sulle due sponde, e si svolgono principalmente lungo rotte di piccolo cabotaggio, utilizzando le foci dei fiumi e le aree lagunari costiere come scali. Non è da escludere che già in questa fase, tramite le rotte adriatiche, possano essere giunti nel Piceno alcuni oggetti dell’artigianato greco, a cui corrisponde l’attestazione di materiale di provenienza medio-adriatica nei siti greci di Perachora, Samo ed Efeso.
Si osserva comunque un intensificarsi dei rapporti soprattutto con il versante tirrenico, testimoniato dallo sviluppo di una serie di centri posti lungo le vie interne (Fabriano, Matelica, Pitino, Tolentino, noti quasi esclusivamente dalle necropoli) e l’adozione di nuove tipologie funerarie, derivate dall’ambiente etrusco, come le tombe a tumulo con fossato o delimitate da circoli di pietre. Un ruolo significativo nei traffici tra le due aree è stato svolto dall’Umbria, come indica il rinvenimento di manufatti piceni a Fossato di Vico, Colfiorito, Perugia e Terni. Sono note in questo periodo le fasi dell’abitato di Ancona, che si estende anche sul colle Guasco, mentre tracce di insediamenti si sono rilevate ad Acquaviva Picena, Rotella (Ascoli Piceno), Fabriano. Sono comunque le necropoli a fornire le principali testimonianze. Tra queste si ricordano quelle di Fabriano, con tombe coperte con tumulo di ciottoli e in particolare la tomba 3, il cui corredo principesco era costituito da bronzi (una panoplia, scudi da parata e patere baccellate etrusche, uno scudo di tipo oplitico, vasellame, alari e spiedi), kotylai e un affibbiaglio d’argento di produzione ceretana, un uovo di struzzo montato a vaso cui sono probabilmente pertinenti alcuni frammenti di avorio, oltre a vasellame di impasto locale.
Di pari ricchezza erano le tombe di Matelica, Sant’Egidio di Tolentino, Moie di Pollenza, Pitino di San Severino. In quest’ultima località il corredo di due tombe particolarmente ricche (14, 15 con carro) comprendeva vasellame di bronzo di produzione locale ed etrusca, la decorazione d’avorio di un seggio, un uovo di struzzo montato a vaso finemente intagliato e policromato, una pisside d’avorio, una coppa di tipo ionico d’argento, ceramiche d’impasto di produzione locale, oltre a oggetti di ornamento di vario tipo. Per la stessa fase tombe con ricco corredo e carro erano state rinvenute a Belmonte Piceno, ma sono andate in gran parte disperse durante l’ultima guerra con il bombardamento del Museo Archeologico Nazionale delle Marche di Ancona. L’artigianato piceno si rivela in questa fase, come anche nelle successive, ricettivo nei confronti dei modelli forniti dagli oggetti di importazione, di cui rielabora in maniera autonoma alcuni spunti.
Le tipologie vascolari indicano per alcuni aspetti un notevole conservatorismo, con il perdurare dalla fase precedente di vasi di tipo biconico deposti nelle inumazioni insieme al kothon e nelle decorazioni a bugne. I vasi sono d’impasto, con la superficie esterna lucidata e spesso incisa; il numero delle forme aumenta tuttavia notevolmente e caratteristiche sono le anforette, le grandi olle, le ciotole con anse semilunate. Gli stretti contatti tra l’area tiberina tramite la Sabina sono testimoniati dall’adozione di forme quali i calici quadriansati su piede, dalla presenza di protomi e figurine a tutto tondo applicate su anse e coperchi e dalle decorazioni a incisione ed excisione con creature ferine, uccelli e il Signore dei Cavalli. Le armi rinvenute in gran numero nelle necropoli testimoniano, oltre alla presenza di oggetti da parata come gli scudi etruschi di lamina bronzea, anche l’introduzione di una panoplia composta da schinieri anatomici, corta spada, lance, mazze, elmo a calotta di tipo crestato, sostituito nel corso del VII sec. a.C. dai tipi con orlo a tesa e a calotta composita.
I dischi-corazza, elemento caratteristico dell’armamento delle genti picene e del medio Adriatico, sono decorati a incisione con motivi geometrici oppure a sbalzo con figure umane e animali resi in maniera disorganica, questi ultimi influenzati dalle produzioni di area capenate. La presenza di dischi-corazza in alcune tombe femminili è interpretabile come un simbolo di rango, mentre l’abbondanza delle armi in quelle maschili evidenzia il ruolo centrale del guerriero. Gli oggetti più caratteristici della parure femminile sono, oltre a fibule di varia foggia (a sanguisuga, con arco rivestito d’osso e ambra, ad arco semplice in cui è infilato un grande nucleo d’ambra, queste ultime più di uso rituale che pratico), catenelle e pettorali con pendagli, di bronzo, osso, avorio e ambra (tra cui quelli antropomorfi, configurati a kouros e kore, a bulla, manina, a doppia protome ferina) o, come già a Novilara, con conchiglie cypraeae o imitazioni di bronzo, alcuni dei quali rinvenuti anche in area laziale (Palestrina, Anagni). Come nel caso delle armi e dei manufatti di bronzo sbalzato, esistono moltissime corrispondenze con quelli attestati in area medio-adriatica, soprattutto a Campovalano.
Tra i prodotti della toreutica si segnalano i recipienti di lamina bronzea lavorata a sbalzo, tra cui ciste a cordoni, vasi di forma troncoconica con anse ed elementi decorativi plastici realizzati a fusione. L’ambra, che giungeva nel Piceno dal Baltico per poi essere ridistribuita attraverso le rotte adriatiche fin nel Mediterraneo orientale, era lavorata in loco per decorare fibule, pettorali e pendagli di varie fogge. Tra la fine del VII e il primo quarto del VI sec. a.C. si collocano i numerosi oggetti d’avorio e osso rinvenuti a Fabriano, Pitino di San Severino, Belmonte Piceno, Pianello di Castelbellino, Matelica, riconducibili a diverse tradizioni stilistiche, tra cui si segnalano quelle etrusca, greco-orientale e laconica, alcuni dei quali realizzati probabilmente in loco. Molti dei beni di prestigio di importazione rinvenuti nelle tombe di questa fase sono di produzione etrusca, ma accanto a essi vi sono anche oggetti levantini (pendagli, amuleti e scarabei in faïence) e greco- orientali (phialai d’argento, klinai con intarsi di avorio e ambra da Numana e Santa Paolina di Filottrano), non tutti necessariamente mediati dall’Etruria. Se infatti è possibile che si debba all’Etruria la ridistribuzione di ceramica protocorinzia e corinzia, si è ipotizzato che la presenza di importazioni greco-orientali sia da connettersi con gli interessi di genti provenienti da quell’area nell’Adriatico.
Con l’età arcaica (fase IV A: 580-520 a.C. / IV B: 520-470 a.C.) e nel corso del V sec. a.C. una serie di cambiamenti interessa l’organizzazione sociale e la cultura delle genti picene. Il rinnovato interesse da parte degli Etruschi e dei Greci (prima Ionici ed Egineti, poi soprattutto Ateniesi) per i mercati dell’Adriatico favorisce lo sviluppo di scali intermedi sulle rotte dirette verso i centri di Adria e Spina, tra cui in particolare Numana. Tra le merci ricercate in Adriatico dai mercanti greci vi erano probabilmente, oltre all’ambra, soprattutto il grano e gli schiavi. I commerci e la prosperità economica favoriscono l’acquisizione di ricchezze e beni di prestigio da parte di più ampi strati della popolazione, che tende a raggrupparsi in centri abitativi maggiori, come indica la minore frammentazione delle aree di necropoli, senza tuttavia arrivare alla creazione di veri e propri insediamenti urbani. Resti di abitazioni, realizzate con una tecnica edilizia molto semplice, sono stati rinvenuti a Moscosi di Cingoli, Montedoro di Scapezzano, Acquaviva Picena e Pesaro, a controllo di un approdo sull’estuario del fiume Foglia.
Numana, già attiva come scalo marittimo nei secoli precedenti, diviene il principale centro di smistamento di beni pregiati, tra cui in particolare ceramiche attiche e bronzi di manifattura greca (peloponnesiaca), alcuni dei quali vengono successivamente convogliati verso l’Europa centrale, come è probabilmente avvenuto nel caso della hydria di bronzo laconica rinvenuta a Grächwil (Svizzera). Le necropoli della stessa Numana, di Recanati, Grottazzolina, Belmonte Piceno, Cupra Marittima sono caratterizzate da sepolture a fossa, in alcuni casi entro circolo di pietre, con parte del corredo deposto talvolta in una fossa separata. La cosiddetta Tomba del Duce di Belmonte Piceno e quella femminile in località I Pini di Numana esemplificano le caratteristiche delle deposizioni di personaggi di rango della metà e della fine del VI sec. a.C., corredati da armi, carri, oggetti esotici di importazione e vasi da simposio. Collegate alle necropoli sono probabilmente le stele iscritte e decorate con soggetti figurati e narrativi incisi da Novilara, così come la testa elmata di guerriero da Numana, che rientra, insieme al Guerriero di Capestrano, in una tradizione che accomuna le diverse popolazioni dell’area medio- adriatica e quelle dell’Istria.
A Numana si è proposto di riconoscere l’area di provenienza di due kouroi greci di età arcaica, il cosiddetto Apollo e l’Apollino Milani (a cui è stata recentemente congiunta la testa), conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze, ma precedentemente parte della collezione osimana Briganti-Bellini. Per quanto riguarda i luoghi di culto conosciamo dalle fonti l’esistenza di un santuario dedicato alla dea picena Cupra, convenzionalmente localizzato nella omonima località di Cupra Marittima. La mancanza di una strutturazione in senso urbano porta a privilegiare l’offerta di oggetti votivi in località montane, presso corsi d’acqua, sorgenti o in fosse, come attestano i rinvenimenti presso il torrente Tarugo (Isola di Fano), a Cupra Marittima, Apiro e Montefortino di Arcevia; tra gli ex voto vi sono ceramiche, spesso miniaturizzate, ma soprattutto bronzetti, realizzati a fusione o in lamina ritagliata, che raffigurano divinità come Eracle, Marte, Giove e Atena derivate, anche dal punto di vista iconografico, dal Pantheon etrusco-italico. Si ricordano in particolare l’Ercole di Castelbellino e il Giove da Cagli che, per le loro dimensioni (quasi 50 cm), possono considerarsi vere e proprie sculture.
I beni di importazione comprendono, a partire dagli inizi del VI sec. a.C., hydriai di tipo laconico (con anse decorate con il Despotes hippòn e con la lotta di due guerrieri su un caduto da Treia, che danno luogo a imitazioni locali) e corinzio da Numana e Castelbellino. Tra i bronzi di manifattura etrusca si ricordano, oltre al dinos da Amandola, della prima metà del V sec. a.C., con figure plastiche sull’orlo, situle, oinochoai di tipo rodio e le Schnabelkannen, bacili con anse a maniglia configurate (come quello da Filottrano raffigurante la reciproca uccisione di due guerrieri, forse Eteocle e Polinice) e altro vasellame destinato al simposio (simpula, infundibula). Gli artigiani piceni imitarono nella ceramica alcune di queste forme, in particolare oinochoai rodie e Schnabelkannen; già nel corso del VI sec. a.C. ai vasi d’impasto di forma tradizionale si affiancano esemplari d’argilla figulina decorati a fasce, ispirati alle produzioni etrusco-corinzie.
Ad artigiani di formazione ionica attivi nel Piceno sono da attribuire molte delle ambre e degli avori scolpiti da Belmonte Piceno, databili intorno alla metà del VI sec. a.C., e manufatti quali il disco bronzeo da Rapagnano dell’inizio del V sec. a.C. Tra gli oggetti di ornamento, oltre alle numerose fibule con nucleo d’ambra scolpito nell’arco, nel corso del VI sec. a.C. si diffondono torques di bronzo con le estremità variamente decorate, come quello della tomba 68 di Belmonte Piceno con Sirene e cavalli marini, opera di un artigiano magno-greco. Le prime importazioni di ceramica attica, a figure nere e poi soprattutto a figure rosse, nonché a fondo bianco, si datano attorno al 520-510 a.C. Nel corso del V sec. a.C., corrispondente alla V fase della cultura picena (470-385 a.C.), le testimonianze riguardanti gli abitati non sono numerose; a Santa Marina di Focara, Pesaro e alla foce del torrente Arzilla sono state rinvenute ceramiche attiche e in alcuni casi (Pesaro) resti di edifici, che hanno permesso di localizzarvi degli insediamenti collegati a scali marittimi.
Dalle necropoli di Numana proviene il maggior numero di testimonianze indicanti l’intensa importazione di ceramiche attiche. Le tombe sono del tipo a gradoni e tra esse si ricordano la Giulietti-Martinelli (460 a.C.) e quelle nn. 178 e 185 dell’area Quagliotti (fine V sec. a.C.), i cui corredi comprendono interi servizi da simposio, composti anche da vasi di grandi dimensioni, come i crateri a volute, con una qualità generalmente alta dei prodotti, attribuibili alle principali botteghe attiche. Solo alla fine del V sec. a.C. le importazioni attiche cedono lentamente il posto a quelle magno-greche (e in particolare lucane), come indicano i reperti della tomba 64 del fondo Quagliotti. L’ultima fase della cultura picena (VI: 385-268 a.C.) è caratterizzata da un progressivo declino che si concluderà con la perdita della identità culturale e la sottomissione a Roma. Due eventi concorrono a questo processo: l’occupazione da parte di Galli appartenenti alla tribù dei Senoni (provenienti probabilmente dalla zona della Champagne) nelle Marche settentrionali e la fondazione nel 380 a.C., da parte di Dionisio I di Siracusa, di Ancona, sul sito di un emporio già attivo in precedenza.
L’arrivo massiccio di popolazioni celtiche era stato preceduto, già nel corso del V sec. a.C., dallo stanziamento di singoli individui o gruppi, come testimonia il rinvenimento di fibule di tipo hallstattiano. Necropoli con tombe appartenenti a Celti sono state rinvenute a Santa Paolina di Filottrano, Montefortino di Arcevia e, soprattutto, a Camerano: si tratta di fosse di dimensioni notevoli, rivestite in alcuni casi di pietre, con copertura di legno a formare una camera funeraria, caratterizzate da ricchi corredi composti da armi, spesso piegate ritualmente, e oggetti di ornamento di tipo celtico insieme a ceramiche greche e vasellame etrusco di bronzo. Nella produzione bronzistica picena vennero assimilate, per le armi, tipologie celtiche; dall’Etruria proviene la maggioranza del vasellame di bronzo, tra cui soprattutto gli stamnoi, la cui distribuzione accomuna il Piceno alle aree di cultura celtica d’Oltralpe. A una progressiva diminuzione delle ceramiche attiche importate corrisponde l’avvio di una produzione di vasi a figure rosse locali, denominati “alto-adriatici”, ispirati a quelli attici a figure rosse e magno-greci a cui si affianca l’importazione di ceramiche a vernice nera dall’Etruria e di tipo Gnathia dall’Italia meridionale.
L. Braccesi, Grecità adriatica, Bologna 19772.
La civiltà picena nelle Marche. Studi in onore di Giovanni Annibaldi. Convegno (Ancona, 10-13 luglio 1988), Ripatransone 1992.
Kouroi Milani. Ritorno ad Osimo (Catalogo della mostra), Roma 2000.
L. Braccesi (ed.), Grecità adriatica e grecità periferica. Atti dell’incontro di studio (Venezia - Padova, 22-23 ottobre 1996), in Hesperìa, 10. Studi sulla grecità d’Occidente, Roma 2000.
N. Lucentini, I Piceni di Colle Vaccaro. Guida della mostra, Falconara 2000.
A. Naso, I Piceni. Storia e archeologia delle Marche in epoca preromana, Milano 2000 (con ampia bibl.).
Eroi e regine. Piceni popolo d’Europa (Catalogo della mostra), Roma 2001 (con bibl. ult.).
Lo scavo del Lungomare Vanvitelli. Il porto romano di Ancona (Catalogo della mostra), Ancona 2001.
L. Braccesi, Hellenikòs Kolpos, in Hesperìa, 13. Studi sulla grecità d’Occidente, Roma 2001.
L. Braccesi (ed.), I Greci in Adriatico. Atti dell’incontro di studio, in Hesperìa, 15. Studi sulla grecità d’Occidente, Roma 2002.
A. Massi Secondari, Tolentino. Il Museo Civico Archeologico “Aristide Gentiloni Silveri”. Guida breve, Macerata 2002.
I Piceni e l’Italia medioadriatica. Atti del XXII Convegno di Studi Etruschi ed Italici (Ascoli Piceno - Teramo - Celano - Ancona, 9-13 aprile 2000), Pisa - Roma 2003.
L. Antonelli, I Piceni. Corpus delle fonti. La documentazione letteraria, Roma 2003.
Il territorio di Recanati dalla preistoria all’età romana, s.l. s.a.
Dal Mediterraneo all’Adriatico nell’età dei kouroi. Atti del Convegno Internazionale (Osimo - Urbino, 30 giugno - 2 luglio 2001), in c.s.