Popoli e culture dell'Italia preromana. I Reti
Si deve a Catone il Vecchio la prima menzione del termine “retico”, utilizzato per identificare un vino molto apprezzato, come confermano diverse fonti che ne indicano la zona di produzione, nel Veronese, alle falde del territorio dei Reti (Strab., IV, 6, 8; Verg., Georg., II, 93-96; Serv., Ad Georg., 2, 95; Mart., Epigr., XIV, 100; Plin., Nat. hist., XIV, 16, 67; Colum., III, 2, 26-30; Suet., Aug., LXXVII). I limiti dell’area assegnata a tali popolazioni sfuggono peraltro a una precisa identificazione. Le notizie tramandate dalle fonti greche e romane sono infatti scarse, incidentali e talvolta parzialmente contraddittorie. Alla stirpe dei Reti sono riferiti, ad esempio, oltre ai Camuni, Rucanti e Cotuanti, anche i Leponzi (Strab., IV, 6, 8) che sotto il profilo archeologico si collocano nel gruppo culturale di Golasecca dell’Italia nord-occidentale, appartenente linguisticamente alla famiglia celtica. Sulla base di quanto riferiscono in particolare Strabone e Plinio il Vecchio, è comunque possibile, seppure a grandi linee, circoscrivere nell’area alpina centro-orientale il territorio dei Reti, dove Polibio colloca uno dei quattro valichi alpini, “tutti scoscesi” (Strab., IV, 6, 12).
Secondo le sommarie indicazioni disponibili, la zona attribuita ai Reti si estendeva oltre Como e Verona fino alle terre solcate dal Reno e al Lago di Costanza e, verso est, fino al Norico abitato dai Celti (Strab., IV, 3, 3; 6, 6; 6, 8; 6, 12; V, 1, 6; VII, 1, 5; 5, 1-2; Plin., Nat. hist., III, 130, 133, 146; XIV, 67; Dio Cass., LIV, 22, 1). Rilevando come i Reti fossero divisi in molte comunità, Plinio (Nat. hist., III, 130) attribuisce Verona agli Euganei e ai Reti, mentre Trento, Feltre e l’ignota Berua sono definite oppida dei Reti. D’altro lato, Pompeo Trogo (presso Iust., XX, 5; V, 7-8) e Tolemeo (Geogr., III, 1, 31) qualificano Trento come città dei Galli, ma si tratta di una connotazione che non trova riscontro nella documentazione archeologica. Allo stato attuale delle ricerche, infatti, nel tratto settentrionale del bacino dell’Adige non sono stati identificati stanziamenti celtici, seppure a fronte del diffuso manifestarsi in tutta l’area alpina retica, dal IV sec. a.C. fino ai tempi della romanizzazione nel I sec. a.C., di rilevanti influssi celtici, per quanto riguarda soprattutto elementi d’ornamento e d’armamento.
Livio (V, 33) riferisce che “senza dubbio” dagli Etruschi discendono i Reti, mentre Plinio (Nat. hist., III, 130) sembra assumere al riguardo una posizione di maggiore prudenza, affermando che “si reputa” una derivazione dei Reti dagli Etruschi, espulsi dalla Pianura Padana nell’area alpina in seguito alla pressione dei Galli. Il nome dei Reti è collegato a quello di un condottiero capostipite – Reto – in modo implicito nell’opera di Plinio (Nat. hist., III, 133) ed espressamente in quella di Pompeo Trogo (apud Iust., XX, 5). La considerevole diversità fra le testimonianze archeologiche del territorio etrusco e di quello alpino ascritto ai Reti e la specificità degli aspetti culturali di questo ambito escludono peraltro una filiazione dei Reti dagli Etruschi. Il significativo influsso di questi ultimi nell’area alpina centro-orientale è comunque documentato ampiamente soprattutto nel contesto della cultura di Fritzens-Sanzeno, che deve il proprio nome a due località, rispettivamente della Valle dell’Inn e della Val di Non. Tale aspetto culturale si sviluppa, fra la seconda metà del VI e il I sec. a.C., sulla base dei precedenti sostrati locali (hallstattiano e di Luco/ Laugen - Meluno/Melaun), in gran parte dell’area retica, corrispondente agli odierni Trentino - Alto Adige, Tirolo e Bassa Engadina.
Sulla base di questa coincidenza territoriale, una parte degli studiosi considera la cultura di Fritzens-Sanzeno come propria dei Reti o di buona parte di essi. Ai contatti con il mondo etrusco si devono l’adozione in tale ambito di caratteri dell’alfabeto nord-etrusco, l’importazione di beni suntuari, l’assunzione dell’ideologia del simposio e del banchetto e di elementi iconografici di matrice etrusco-italica. Nel territorio alpino centro-orientale attribuito dalle fonti ai Reti si riconoscono altri aspetti culturali accanto a quello più evidente di Fritzens-Sanzeno, identificabile innanzitutto in base alla peculiare produzione ceramica, alla diffusione di caratteristici attrezzi di ferro quali zappe/vomeri e chiavi, di oggetti d’ornamento e di iscrizioni nell’alfabeto detto “di Sanzeno”, nonché nella tipologia edilizia (nelle cd. “case retiche”) e nelle manifestazioni di culto. In Val Camonica, Valtellina, Val Trompia, Valsabbia e nelle Giudicarie si localizza il gruppo Val Camonica, caratterizzato dalla presenza di boccali con appiattimento in corrispondenza dell’ansa e di iscrizioni camune. Nelle Prealpi venete si distingue il gruppo di Magr, dove interagiscono influssi della cultura di Fritzens-Sanzeno e veneti, mentre a nord-ovest si localizza il gruppo alpino della valle del Reno.
Nelle brevi menzioni delle fonti antiche i Reti sono descritti come popolazioni rese selvagge dall’asprezza del loro territorio, bellicose, armate di asce amazzonie, dedite a scorrerie, un pericoloso ostacolo al libero transito attraverso le Alpi (Strab., IV, 6, 6; 6, 8; V, 1, 6; Hor., Carm., IV, 14, 7-6; 17-22). Difficile è stabilire fino a che punto queste notizie corrispondano alla realtà o siano condizionate da intenti encomiastico- propagandistici che si colgono apertamente nell’opera di Strabone. La politica espansionistica di Roma a danno dei popoli alpini, coronata nel 16/5 a.C. con le guerre retiche condotte vittoriosamente da Tiberio e Druso, i figliastri di Augusto, è infatti legittimata con la necessità di rendere più sicuri e agevoli al transito i valichi alpini (Strab., IV, 6, 6). Le fonti non chiariscono purtroppo quali fossero i caratteri ritenuti distintivi dei Reti, se propriamente etnici, linguistici, politici, geografici, religiosi o altro e non è accertabile se le popolazioni così chiamate avessero un qualche senso di appartenenza e identità.
Queste lacune informative hanno determinato l’insorgere fra gli studiosi di un dibattito, tuttora in corso, che riguarda la effettiva collocazione e la precisa connotazione dei Reti.
Verso la fine del 1960 è stata avanzata da O. Menghin l’ipotesi che non fossero una popolazione o un’unità culturale o politica, ma che potessero essere un gruppo di culto. Questa tesi si è alimentata anche per la presenza in Valpolicella di un’epigrafe che menziona un sacerdote dei sacri luoghi dei Reti, per l’assonanza del loro nome con quello della divinità veneta di Reitia e per la problematica assenza del loro nome sul Tropaeum Alpium, il monumento eretto nel 7/6 a.C. a La Turbie per celebrare la vittoria di Augusto sui popoli alpini. Depone d’altro lato a favore dell’effettiva connotazione etnica dei Reti non solo quanto riferiscono le fonti già citate, ma anche un importante documento epigrafico scoperto nel Sebasteion di Afrodisia, in Caria, che menziona in epoca giulioclaudia un ethnos dei Reti. La diffusione differenziata di monete romane repubblicane, fibule, recipienti di metallo e ceramica di derivazione padana ci informa che una parte delle popolazioni insediate nel territorio retico fu romanizzata attraverso un processo di progressiva acculturazione e che le guerre retiche coinvolsero solamente alcune aree dove tali testimonianze sono sporadiche e dove si rileva la brusca interruzione di abitati e luoghi di culto.
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